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PSYCHOMEDIA
ARTE E PSICOTERAPIA
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Franca Settembrini
“ Il sole travestito “

di Silvana Crescini.*



“Quando vieni a trovarmi ?” è la prima frase di Franca quando ci telefoniamo e poi inizia ad elencare i regalini che desidera, prodotti per la toilette, sigarette, scarpe per le quali ha un debole. Queste cose non le mancano alla “Casa Famiglia” dove si trova adesso, li è seguita con cura, ma è importante per lei che qualcuno la ricordi, anche solo con semplici pacchettini che poi scarterà con gioia e stupore infantili.
A Firenze è ritornata nel febbraio 1995, dopo circa dieci anni di assenza. Quando vado a trovarla per passare la giornata insieme, si esce a pranzo, si va per compere in un grande magazzino, si fa una sosta nel suo bar preferito e quando la sera viene il momento di lasciarci, lei china il capo senza più parlare ed a me viene un nodo alla gola.

Era l’inverno del 1991 quando arrivò nell’atelier, accompagnata sottobraccio dalla dottoressa del reparto. Piccola e minuta, camminava a fatica trascinando le gambe, stava sulle difensive e sembrava in collera con tutto il mondo. Era venuta di controvoglia quel giorno, non potendo dire no al medico che l’aveva in cura. Il salone era animato, varie persone erano intente a disegnare o dipingere e lei si mostrò insofferente, ma il suo sguardo d’interesse, rivolto ai colori sparsi sopra un tavolo, era inequivocabile.
Le chiesi subito se voleva fare qualcosa, ”Io son brava a pitturare” mi rispose con sufficienza e un forte accento toscano. “Sei di Firenze ?”, continuai cercando di avvicinarla, “No” replicò seccata, ”sono americana!” e incominciò a sfoderare un “suo” linguaggio straniero. Istintivamente e con molta serietà, le risposi nella stessa lingua inventata, guadagnando la sua simpatia. La dimostrò accostandosi al tavolo, da cui prese foglio e matita iniziando a disegnare con solenne gestualità. La sicurezza del suo segno era sbalorditiva, la matita scorreva veloce senza mai staccarsi dal foglio e la figura femminile che stava nascendo, non era frutto di riflessione alcuna, sorgeva spontanea, urgente, espressiva, caratterizzata da grandi mani, occhi fortemente segnati ed una capigliatura elaborata.
Alla fine i suoi occhi brillarono, soddisfatti dall’interesse suscitato; la volta successiva si presentò spontaneamente.
Ero incuriosita da quei disegni che continuava a fare, apparentemente tutti uguali e avrei voluto approfondirne il significato, ma era difficile comunicare con lei; usava un gergo incomprensibile, con dei discorsi sconnessi e senza senso, attraverso i quali si costruiva un suo mondo, popolato da personaggi fantastici con i quali parlava, rideva o inveiva.

La sua permanenza in O.P.G. (Ospedale Psichiatrico Giudiziario) di Castiglione delle Stiviere è durata dal febbraio 1991 al febbraio 1995.
Era riuscita a inserirsi bene, tanto da considerare quel luogo la sua casa, un posto dove si sentiva sicura, perché qualcuno si curava di lei. Nonostante certi momenti difficili di crisi, scatenate da forti angosce, era riuscita ad accattivarsi la simpatia di tutti, forse anche per il sentimento materno, evocato dal suo atteggiamento infantile; dichiarava di avere dodici o al massimo quindici anni.
Era arrivata a Castiglione in condizioni di estrema precarietà, di lei ben poco si sapeva, solo che era nata a Firenze nel 1947 e che non avendo più nessun rapporto con la famiglia di origine, era sempre stata istituzionalizzata, sin dalla prima infanzia, passando da un Ospedale Psichiatrico all’altro . Aveva trascorso gli ultimi sette anni in un ospizio toscano, dove le sue condizioni psichiche erano regredite. In quel luogo aveva dovuto reprimere la sua vitalità e l’intimo bisogno di comunicare. Avendola conosciuta, sono convinta, che il modesto reato commesso (furto di un orologio), sia stato un gesto di ribellione per attirare l’attenzione, per dire io esisto. Conseguente, era stata la denuncia e quindi la detenzione in O.P.G.
Questa nuova condizione era pressoché normale per lei, che aveva conosciuto solo istituti, quando però vedeva alcune compagne uscire per brevi licenze, si sentiva ancora più sola e abbandonata, entrando in crisi e diventando aggressiva; piangeva allora, urlava e talvolta tentava di procurarsi delle piccole lesioni.
Dopo alcuni mesi fu una gioia per me farle assaporare, anche solo per un giorno, la libertà; ottenuta la licenza, la portai a casa mia.

Solo l’anno successivo al suo arrivo in O.P.G. ebbi importanti dettagli della sua vita e ciò avvenne quasi per caso.
Avevo letto su una rivista d’arte, che presso il Museo De L’Art Brut di Losanna, era in corso una mostra collettiva delle opere del Centro di Attività espressive “La Tinaia” di Firenze e tra i nomi degli espositori: Franca Settembrini. Possibile !?. Fosse anche per un caso di omonimia, sentii che dovevo indagare. Riuscii a mettermi in contatto con la Tinaia dove trovai tutte le risposte che cercavo : lì era “nata” come artista quando, ricoverata al S.Salvi (dal 1977al 1984), era stata incoraggiata a dipingere.
La ritrovo perfettamente delineata in uno scritto di Massimo Mensi, fondatore del Centro: “...un vulcano di energia, che spesso scaricava in reparto o per i viali, con urla, litigi, scene isteriche o accapigliamenti con altre ricoverate. Durante i primi giorni Franca si comportò come in reparto, parlando sempre a squarciagola, talvolta urlando e piangendo, apparentemente senza motivo. Anche in questo caso fu il gruppo ad agire, chiedendole di smetterla, perché loro volevano lavorare in pace. Un po’ per volta, Franca mutò atteggiamento, iniziò a disegnare e a dipingere e tutta quella sua energia fu convogliata nel lavoro artistico.” 1
Quando seppi queste notizie, la mostra della Tinaia era già finita, ma qualche mese dopo mi recai a Losanna per vedere la sua grande tela: “Crocifissione”, entrata a far parte ormai della Collezione de l’Art Brut. Conoscevo già il museo ed, entrando, cercai ansiosa il quadro. Scoprendolo, subito l’emozione fu intensa. Quei colori accesi : rosso, azzurro, ocra ed il nero che contornava le figure, rendendole più penetranti e drammatiche, spiccavano ancora di più contro le pareti nere del museo. Quell’opera, di certo, rappresentava la “sua” Guernica.

Oramai la licenza per uscire in permesso era divenuta una consuetudine, nell’attesa lei trepidante, dedicava tutta la giornata precedente ai preparativi. La mattina, quando andavo a prenderla, si presentava linda ed elegante e salutava tutti. Alcune compagne partecipavano alla sua gioia, consapevoli che l’indomani ella avrebbe generosamente diviso con loro sigarette e altri piccoli doni.
Il tragitto in auto era breve, nel salire, giurava che non avrebbe fumato, ma inevitabilmente, dopo un chilometro, accendeva di soppiatto la sua inseparabile sigaretta, guardandomi di sbieco per vedere se mi arrabbiavo; ne avrebbe fumate oltre quaranta prima di sera, decapitando ogni tanto il filtro per gustarne appieno il sapore. Durante il viaggio mi faceva ripetere il programma della giornata, voleva sapere chi avrebbe pranzato con noi, le piaceva la compagnia dei miei famigliari e amici che ormai considerava parenti. Si accertava inoltre: “Hai preparato i colori ?” e soggiungeva: ”Fai presto ad arrivare perché mi scappano le idee”, oppure: “Faccio un quadro grande grande”.
Nell’atelier dovevo dedicare la mia attenzione a molte altre persone, quando veniva da me, ero a sua completa disposizione, le approntavo i colori che non poteva preparare da sé, proponendole carte, pennelli e seguendola in tutte le cose pratiche, di poco conto per la sua urgenza creativa.
Amava l’estate e le lunghe giornate di sole e di luce che le davano più energia. In quelle occasioni talvolta si dipingeva all’aperto e mi chiedeva tele di grandi dimensioni.
Il sole a proposito, soggetto suo ricorrente, mi ricorda attimo per attimo, l’esecuzione di una sua opera significativa: la tela (cm.130x205) è distesa su un grande tavolo, tutto è pronto, i pennelli, i colori a tempera fluida dalle tonalità richieste. Per non sporcarsi, anche Franca indossa il camice (che presto diverrà coloratissimo, con tasche rigonfie di sigarette e caramelle). Io sono impaziente di vedere quello che nascerà, lei non lo rivela, forse neanche lo sa, ma come sempre, nel momento in cui traccerà il primo segno, continuerà velocemente con sorprendente sicurezza, senza fermarsi un istante, come se la scena che va raffigurando, fosse già nota alla sua mente e premesse per uscirne. Per agevolare lo scorrimento del pennarello, usato per il disegno preparatorio, la tela è stata precedentemente trattata; si inizia: in alto sulla sinistra, traccia un cerchio contornato da raggi che rassomigliano a petali sottili, lo completa col naso, occhi, bocca e barba. “E’ il sole” mi dice, subito sotto disegna una donna piccola, dal cui corpo si dipartono braccia e mani lunghissime protese sin oltre metà della tela. Di fianco alle due figure, fa un’altra donna con cappello e grandi mani, sempre rivolte verso destra; le quattro mani enfatizzate, nell’atto di prendere qualcosa, riempiono la parte centrale della tela.
“Cosa fai in questo spazio ?“, le chiedo indicando l’ultima parte vuota della tela, “ Un sole travestito, ci stai?”, “Ci sto!”. Ed ecco a destra sorgere in tutta lunghezza, un sole con il corpo maschile e le braccia allargate come in un ipotetico abbraccio. Una mano, la destra, si allunga verso le altre, quasi ad incastrarvisi, come per diffondere una energia vitale.
Dopo il disegno, la stesura del colore è altrettanto affascinante da seguire, i colori sono preparati in comode vaschette allineate in un carrello. Franca sceglie in fretta, decisa: rosso e blu per il primo sole, rosso e verde per il corpo delle donne e del sole-uomo, le cui mani sono viola, mentre quelle delle donne sono rosa; giallo per tutti i volti, blu per gli occhi. Le campiture di sfondo sono verdi, rosse e viola, ma il colore non è più uniforme, nella foga non ha cambiato il pennello e i colori, inizialmente puri, si sono incontrati formando, a tratti, delle sfumature. A volte intinge in più colori contemporaneamente e di proposito lo stesso pennello, lo strofina energicamente negli spazi più ampi e lo disfa sino a farlo sembrare un ombrello aperto.
Per quest’opera particolarmente, ella desidera mantenere evidente il disegno d’origine, che se coperto dal colore, va a riprendere con il nero. Verso la fine, presa dall’ansia di non finire in tempo, rifiuta persino l’invito a sedersi per bere un tè o l’ennesimo bicchiere di acqua e menta. Dopo alcune ore intense il lavoro è finito, è stanca, felice ed affamata, partecipo alla sua gioia, lodandola con calore, poi preparo la cena; dal divano lei mi parla fumando, la giornata è volata, l’ora del rientro in O.P.G. è ormai prossima.

Franca la Fauve !. Appare evidente il parallelo per l’ardente espressionismo rappresentato dai colori intensi applicati con vigoria. La sua creatività tuttavia, è indenne da qualsiasi contaminazione artistica, di certo non ha mai conosciuto Matisse, ne Kirchner tantomeno Picasso (dal quale a volte si denotano analogie in certi suoi disegni). La sua espressione artistica è del tutto priva di apporti culturali e, pur avendo frequentato la terza elementare, col trascorrere degli anni ed a causa della malattia non sa più leggere, ha ormai dimenticato quasi del tutto l’uso della scrittura, riesce solo e malvolentieri, ad eseguire la sua esuberante firma.
Guardo spesso i suoi lavori, cercando di svelarne il misterioso significato ed, evocati dal soggetto o dall’uso del colore, riaffiorano peculiarità artistiche e caratteriali.
Nella sua rappresentazione figurativa l’immagine femminile prevale, meno quella maschile, di profilo talvolta e con una specie di turbante. Quand’era più serena, rappresentava la coppia in atteggiamento affettuoso, in altri momenti raffigurava l’uomo con una barba scura.
Amava molto ornare le sue figure, ricamare gli abiti, inventare cappelli, mettere fiori e fiocchi nei capelli, o coroncine oppure corone di spine.
La coroncina, il velo, l’abito lungo e il bouquet di fiori stretto sul petto, erano i particolari della sposa, che spesso disegnava in atteggiamento leggiadro, ma che talvolta rendeva inquietanti, mettendo la corona di spine al posto della coroncina ed il “sacro cuore” al posto dei fiori.
Il Cristo era rappresentato crocefisso, talvolta aveva un cuore rosso emanante luce dal petto, probabile reminiscenza di immagini sacre.
Scontata, l’originale modalità simbolica delle carte da gioco: regina, jolly, cuore, picche, fiori, elementi usati per completare le sue figure, attinta dal comunissimo gioco praticato spesso nei luoghi in cui si è trovata a vivere.
Altri soggetti rappresentati dal suo immaginario erano: fiori, variopinti ”uccelli del Paradiso”, l’Angelo (Custode forse), animali fantastici o bestie scure e minacciose.
La raffigurazione più tormentata era la sua “maternità”: il bambino appariva, più che in braccio, incorporato nella madre, non ancora partorito. Franca non parlava mai del figlio avuto, dal quale aveva dovuto separarsi subito, non ne era più cosciente, il trauma aveva cancellato il ricordo, ma nel disegno riaffiorava l’inconscio; capitava a volte di vederla disegnare ossessivamente queste sue maternità, come per liberarsene. Del suo matrimonio invece ricordava solo la cerimonia con l’abito da sposa, faceva solo rari accenni alla sue breve quanto triste esperienza matrimoniale lasciando sempre intuire la violenza subita. In quei frangenti cercavo di distrarla per attenuare l’angoscia evocata dal ricordo.
Da tutte le opere, un elemento balza agli occhi, caratterizzando ulteriormente il suo stile personale, le grandi mani dall’ambivalente significato: desiderio di incontro o desiderio di scontro...”le unghie di quella mano che abbraccia sono anche disposte a graffiare...”2

Oggi, nel terminare il racconto di questa esaltante esperienza umana ed artistica, ripenso all’intrinseco valore di alcuni fogli che Franca mi donò prima di partire per Firenze. Sono disegni eseguiti al volo, con la biro, su carta stropicciata trovata in qualche angolo. Sul retro ho segnato la data : 12 febbraio 1995.

A Firenze Franca Settembrini ha ripreso a frequentare “La Tinaia” dove continua a fare l’unica cosa forse, che può dare un senso alla sua vita: disegnare e dipingere.


BIBLIOGRAFIA
1 Massimo Mensi - “La Tinaia. Ein Werkstattbuch” Ed. Baumann & Stromer, 1992, p.16.
2 Roberto Travaglini ha pubblicato uno studio su un’opera di F. Settembrini in:
“Malattia mentale ed esperienze grafico-artistiche contemporanee” - Studi Urbinati, LXVI 1993/94, pp.185-
213. - Inoltre : “Progettare la creatività” di S.Rossi e R.Travaglini - Ed.Guerini Scientifica, 1997 , pp.155-
156.


Da : L'ARTE NAIVE - ARTE MARGINALE - dicembre 1997 - anno 24° - Rassegna semestrale di arte naive e arte marginale (art brut-outsider art-arte irregolare) (pagg.3-8).
Testo di Silvana Crescini,Consulente artistica-Conduttrice dell'Atelier dell'O.P.G. di Castiglione Stiviere (MN)


FRANCA SETTEMBRINI


Nata a Firenze nel 1947, ricoverata in Istituti Psichiatrici sin dall’età di 11 anni, inizia a dipingere nel 1976 presso “La Tinaia” , un Laboratorio di attività espressive all’interno dell’Ospedale Psichiatrico S.Salvi di Firenze, dove è ricoverata.
Nel 1986, dopo la chiusura degli O.P., viene trasferita in un ospizio toscano dove interromperà l’attività creativa.
Nel 1992 entra nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere (MN) dove rimane per quattro anni, ricominciando a dipingere nell’Atelier di pittura.
Nel 1995 viene dimessa dall'O.P.G., ritorna a Firenze presso una Casa Famiglia e ricomincia a frequentare La Tinaia.
L'artista, riconosciuta ufficialmente nel mondo dell'Art Brut, è presente con un'opera di grandi dimensioni nel Museo de L'Art Brut di Losanna; tre opere sono esposte in permanenza nel Museo INSITA di Bratislava.
Le sue opere sono state inoltre esposte, insieme agli altri artisti della Tinaia, in numerose mostre in: Italia, Francia, Svizzera, Germania, Norvegia, Slovacchia , U.S.A (New York e Chicago).
Nel 1997 è stata realizzata una importante mostra personale a Bruxelles, presso il Centro di Ricerca e Diffusione ART en MARGE.


Da : L'ARTE NAIVE - ARTE MARGINALE - Dicembre 1998 - anno 25° - Rassegna semestrale di arte naive e arte marginale (art brut - outsider art - arte irregolare ).
Recensioni di mostre, pagg.36,37.

Franca Settembrini a Bruxelles

Presso Art en Marge, il Centro di Ricerca e Diffusione per l'Arte Marginale di Bruxelles, fondato e diretto da Francoise Henrion, si è svolta, dall'11 settembre al 28 novembre, una mostra personale di opere e disegni di Franca Settembrini. Hanno collaborato nella realizzazione della interessante e stimolante iniziativa, Silvana Crescini, responsabile dell'Atelier presso l'O.P.G. di Castiglione delle Stiviere e Dana Simionescu del Centro di Attività Espressive de La Tinaia di Firenze.
Il materiale esposto ha rappresentato i periodi più importanti dell'attività della Settembrini, da alcuni dipinti eseguiti dal '76 all '84 presso La Tinaia, ad altri, prodotti dal '92 al '95 nel periodo di degenza presso l'O.P.G. di Castiglione, fino a quelli realizzati dal 1995 ad oggi presso La Tinaia ove Franca Settembrini lavora tuttora.
All'inaugurazione della rassegna era presente un folto pubblico: assente l'artista per motivi di salute, l'hanno rappresentata Silvana Crescini e Dana Somionescu.
In occasione della mostra personale, il Bollettino n.50 di Art en Marge è stato interamente dedicato all'artista fiorentina: Marisa Ameli ha tradotto la presentazione dell'artista curata dalla Simionescu. In seguito l'Ameli ha curato la traduzione del testo di Silvana Crescini "Il sole travestito" che è apparso sul fascicolo n.59 (dicembre'97) della nostra rivista, al quale rimandiamo.
E' stata poi inserita la traduzione di un testo di Massimo Mensi nel quale vengono esposte
le vicende e le esperienze del Centro di Attività espressive de La Tinaia di Firenze, fondato nel 1975 e che inizia l'attività in una piccola fattoria abbandonata, ai margini dell'O.P. S.Salvi, nei cui locali erano ancora vecchi tini (da qui l'origine del nome La Tinaia).
Dana Simionescu, attuale responsabile del Centro, sottolinea l'importanza della struttura evidenziando le prestigiose partecipazioni ad iniziative internazionali (Zurigo'90 - Malmò'91- Losanna, Chicago, New York '92 - Praga '94 - Bratislava '97).

Nell'occasione della segnalazione della mostra della Settembrini è opportuno illustrare sinteticamente l'attività del Centro Art en Marge, diretto da Francoise Henrion, la quale da ben 15 anni guida le sorti dell'organizzazione che in dodici anni di esposizioni a contribuito a far conoscere un centinaio di artisti marginali in Europa e in Usa.
Sorto nel 1983, il Centro si è dotato di una valida struttura tramite la quale è stato possibile indagare, analizzare e proporre le forme dell'espressione marginale, evidenziando le differenze e le similitudini con le opere realizzate da artisti professionisti ed abituando il pubblico a percepire la loro complementarità.
In considerazione della qualificatissima attività svolta, numerose sono state le collaborazioni con Musei ed istituzioni straniere: da segnalare gli scambi culturali con la Collection de l'Art Brut di Losanna, con la Fabuloserie, l'Aracine, Site de la Création Franche, col Museo di Zwolle, oltre a numerosi altri centri statunitensi.


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