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Esperienza estetica, esperienza artistica e processo
terapeutico nell'arte-terapia

di Carla Maria Carlevaris



Esperienza estetica, esperienza artistica e processo terapeutico nell'arte-terapia

Il termine arte-terapia ci propone un interrogativo sul senso del legame tra due distinte categorie; tale dicotomia trova un superamento all'interno di un approccio terapeutico che ha la sua essenza in una presa di contatto molto immediata con il livello preverbale e prelogico del vissuto, lì dove originano il processo primario e la fantasia.

L'arte-terapia è oggi qualcosa di notevolmente diverso da ciò che fu ai suoi esordi, negli anni '40 e '50, quando cominciarono in America i dibattiti attorno alle prime teorizzazioni, che più volte sono stati sintetizzati nelle formule 'arte come terapia' (Kramer), o 'psicoterapia attraverso l'arte' (Naumberg).

Questo specifico processo terapeutico si differenzia infatti da un approccio volto a integrare l'arte alla psicoterapia come una possibilità accessoria, o volto a individuare nei processi o nei prodotti cosiddetti artistici un valore di per sè terapeutico (in virtù della catarsi o della sublimazione); e si configura in modo del tutto diverso da approcci di tipo comportamentale fondati su metodologie e su esercitazioni predefinite, assegnate al paziente in base a precisi obiettivi di apprendimento.

Si tratta infatti di stabilire una più profonda e sottile compenetrazione tra i due versanti (arte e terapia), di definire cioè un setting preciso, fondato sul parallelismo tra processo creativo e processo terapeutico; e di chiarire quale contributo e quale specificità può portare all'interno del processo terapeutico una sensibilità estetica, rispetto alla forma della relazione terapeutica, così come alle forme concrete e ai prodotti artistici in cui i vissuti attivati nella relazione si incarnano.

Ma sarà bene - data la possibilità di malintesi attorno a parole tanto usate - chiarire subito cosa definiamo con esperienza estetica.

Scriveva Kandinskij: "Non dobbiamo ingannarci e pensare che riceviamo la pittura solo attraverso l'occhio. No, la riceviamo, a nostra insaputa, attraverso tutti e cinque i nostri sensi. E come potrebbe essere altrimenti?". Se la citazione evoca la natura globale e primaria di questo tipo di esperienza, potremmo amplificarla fino a coinvolgere gli aspetti più arcaici di ciascuno di noi (ai fini del nostro discorso, di entrambi i presenti nella stanza di arte-terapia: paziente e terapeuta). Che approdi ad un prodotto grafico o plastico o ad una coreografia, il travaglio della creazione affonda le sue radici direttamente nelle prime fasi del vissuto, lì dove la forma coincide con le vicissitudini della forma del proprio corpo attraverso le cure della madre (nell'essere toccati, tenuti, cullati, carezzati,ecc.), e della forma che si viene dando al mondo attraverso le prime relazioni con l'oggetto.

L'esperienza estetica affonda dunque le sue radici nel vissuto primario, quando è la madre che dà forma e trasforma - seguendo Bollas - l'esperienza interna ed esterna del neonato, prendendosi cura di lui in modi specifici (lo sfama, lo lava, ecc.). Con la crescita questo potenziale trasformativo viene poi riposto in altri oggetti (oggetti-soggettivati) concreti o concettuali, investiti della capacità di promuovere un profondo cambiamento del Sè; l'esperienza artistica occupa in questo contesto un posto di primo piano.

Già Winnicott riteneva che i fenomeni transizionali rimangono parte intrinseca dell'esperienza dell'individuo adulto, in determinate aree della vita quali l'arte, la cultura, il lavoro immaginativo o di creazione scientifica, la religione.

La creatività viene così posta entro il contesto dello sviluppo umano: essa permette nel corso della vita al proprio mondo immaginativo di divenire congruente con l'esterno così che ciascuno possa in parte plasmare il proprio destino, e rendere plasmabile il confine tra realtà e fantasia, recuperando l'illusione che il mondo esterno possa coincidere con il mondo interno, e la fiducia nella propria capacità creativa e trasformativa.

Il setting di arte-terapia si configura in questo senso come un luogo privilegiato in cui la memoria dei processi arcaici che danno forma all'esperienza può riattualizzarsi: la relazione fisica con i materiali presenti nel setting riattiva direttamente e concretamente le esperienze di contatto e di comunicazione pre-verbale quali si sono date nella storia del paziente, e le particolari relazioni oggettuali internalizzate; l'immagine acquisisce caratteristiche transizionali (è contemporaneamente un oggetto percepibile fuori di sè , ma essenzialmente intriso del proprio sé più intimo); mentre la potenzialità di un atto creativo cui sia il paziente che il terapeuta partecipano, inaugura una potenzialità trasformativa.

Il ricongiungimento ai vissuti più arcaici presuppone forme complesse di esperienza, dense di caratteristiche percettive ed emotive spesso non esprimibili, o non esauribili, verbalmente.

I vissuti che risalgono alle prime fasi di sviluppo, sono di natura non-verbale e assumono una forma attraverso l'energia, la sensazione, il ritmo, il peso, il volume, ecc.. Sono difficili da esprimere in forma verbale, ma piuttosto si esprimono attraverso il mezzo artistico, che incarna qualità sensoriali e possiede caratteristiche visive. Nell'atto del creare, il gesto, il contatto con i materiali, la traccia riprendono l'aspetto tattile e sensorio del corpo e lo trasferiscono verso l'occhio: il processo di dipingere ricalca il processo di presa di distanza del bambino rispetto al corpo materno, e il processo di separazione psichica, inteso come percorso non lineare ma ciclico.

Se le esperienze primarie vengono quindi rispecchiate nelle immagini e nel lavoro con i materiali, contemporaneamente vengono smosse dall'uso di appropriati materiali.

In questo senso ciò che viene creato (mi riferisco non tanto al prodotto finito, quanto alle vicissitudini del suo emergere) non è mai solo traduzione di un pensiero astratto o rappresentazione, ma è espressione inconscia e incarnata di un vissuto; non pura trascrizione di un vissuto nel concreto, ma rielaborazione del vissuto stesso e riattivazione di un processo che può essere stato inadeguato, o distorto, o bloccato.

Un paziente accetta alcuni importanti cambiamenti nel gruppo con apparente tranquillità e indifferenza, ma aggiunge di non avere voglia di fare nulla, solo di uscire, affermando che non verrà più in modo da lasciare più posto per gli altri. La rabbia viene negata e, stimolato a contattare le sue emozioni, afferma di non sapere cosa sente, di non sentire niente, anzi di non aver mai capito cosa significa sentire qualcosa. Lo invito allora a disegnare un gruppo di persone. Non pressato da una richiesta che lo coinvolga troppo personalmente e direttamente, può lavorare a un'immagine : quattro figure (stilizzate, come è suo stile), un'altra figura che spara ai quattro, un prete.

Sul foglio già paiono cominciare ad allentarsi i fili di quel nodo contratto che gli impediva di venire a contatto con le proprie emozioni. Suggerisco di mettere accanto a ciascun polo del disegno (le quattro persone, l'assassino, il prete) qualche aggettivo. Appaiono i sentimenti contrastanti, ambivalenti, negati. Non è necessario verbalizzare il lavoro fatto, perché il disegno rimanda al paziente in modo molto diretto l'articolarsi di alcune emozioni che gli appartengono, ma non trovando un contenitore affidabile (in questo caso il foglio e la relazione lentamente costruita) collassavano annullandosi l'una con l'altra.

Nel setting il processo terapeutico si attua quindi in un campo tripolare, all'interno della relazione triadica tra paziente, terapeuta, immagine (anche potenziale). Perchè si possa parlare di arte-terapia nessuna delle tre direttrici della relazione può mancare o fare a meno dell'altra, e ognuna riceve spessore dalle altre due, riflettendosi in una più complessa dinamica transferale-controtransferale.

Gli strumenti e le diverse possibilità di intervento del terapeuta, così come il senso dei diversi materiali, o le funzioni dell'oggetto creato, possono essere compresi adeguatamente solo a partire da questo rapporto triadico. Le possibili tecniche utilizzabili o i parametri di osservazione e di analisi delle immagini (modo di riempire lo spazio, rapporto figure-sfondo, equilibrio delle parti, colori usati, movimenti interni, astrazione, volume, ecc.) acquisiscono un potenziale trasformativo solo all'interno del dialogo terapeutico, a sua volta fondato sulla comune attenzione alle immagini che prendono forma.

In questo ambito si possono intendere meglio alcune caratteristiche dell'esperienza estetica: il coincidere di oggetto e processo; il profondo legame tra forma, contenuto e modalità di creazione; il graduale e privilegiato instaurarsi di una comunicazione profonda ed inconsapevole.

L'esperienza viene resa possibile da uno spazio terapeutico protetto e rassicurante, che possa contenere, sostenere e facilitare (quale holding environment), senza rinunciare a un'atmosfera giocosa e priva di giudizio. In virtù di questo ambiente, l'esperienza artistica (anche quando rimanga solo potenziale) può stimolare l'espressione simbolica dei contenuti dell'inconscio e può essere intesa come il prendere forma di ciò che non aveva forma. Il disegno può configurarsi come un oggetto transizionale, percepibile fuori di sè e nello stesso tempo investito di una parte molto intima di sè. L'immagine diviene ponte tra le varie parti del Sè, tra mondo interno e mondo esterno, tra paziente e terapeuta, tra sè e gli altri membri del gruppo; diviene un veicolo attraverso cui si può comunicare, e nello stesso tempo si può nascondere ciò che non può, o non può ancora, essere espresso.

Cercherò quindi di esemplificare il lavoro in un tale setting, mettendo successivamente il fuoco sulle varie componenti di un unico processo: il senso dinamico dei materiali, le possibili relazioni con le immagini nel contesto del transfert del paziente o dei vissuti controtransferali dell'analista, alcune specificità della relazione paziente-terapeuta all'interno del setting di arte-terapia.

M., un paziente psicotico di circa 40 anni, prende delle ecoline e lascia cadere questo materiale liquido sopra un foglio bagnato: il colore si espande e si stratifica, mentre M. lo ripassa con la spugna sempre più ansiosamente. Quando propongo al paziente di evidenziare su un altro foglio con dei pastelli una forma suggerita dal primo disegno, ne emerge una scena ridondante di elementi i più disparati, cui M. associa fantasie molto confuse attorno ad una gita al mare fatta con una ragazza l'anno precedente, il giorno stesso in cui erano entrambi usciti da un ricovero in clinica.

Nel setting di arte-terapia ogni materiale implica messaggi differenti, e possono essere scelti per quel particolare paziente nel contesto di una adeguata osservazione , in considerazione delle difese, del livello di relazioni oggettuali, di struttura dell'Io. Anche in rapporto alle qualità tattili dei materiali, alle possibilità di controllo o di stratificazione che essi offrono, al grado di coinvolgimento muscolare necessario, il terapeuta proporrà un materiale piuttosto di un altro, a seconda della richiesta psicologica del momento: sostenere , confrontare, sfidare, rispecchiare.

Se i primi rapporti con il mondo esterno avvengono attraverso sensazioni corporee, e questo sia su un piano percettivo che comunicativo, ogni materiale può sostituirsi ai prodotti corporei o al cibo, nelle valenze regressive ma anche di scambio vitale; e può di per sè divenire veicolo di significati psichici.

In un incontro successivo propongo a M. un lavoro con la carta da collage: si tratta di ritagliare tre forme da incollare su un foglio, per poi completare il collage seguendo i suggerimenti dell'immagine iniziale. Questa volta M. lavora con calma e in silenzio, fermandosi ogni tanto per chiedermi dei consigli, e a differenza della volta precedente accoglie i limiti che io pongo. L'immagine ricorda una bussola con cui orientarsi sul territorio del foglio e nel proprio mondo fantasmatico, e M. continua il lavoro delimitando ulteriormente gli angoli del foglio. In questo caso si è potuta arginare la tendenza all'indifferenziazione del paziente proponendo un'attività e un materiale più strutturati che consentissero al paziente di riemergere dal naufragio nella confusione.

La materia grezza non riceve passivamente, ma possiede qualità specifiche che le permettono di divenire molte forme ma non ogni forma: l'espressione, incarnandosi, si svela aldilà e a volte a dispetto delle intenzioni e di ogni progettualità, facendosi incontro al suo creatore nel foglio che resiste, nella macchia di colore, nell'andamento di una linea, nel tono muscolare. Ne può risultare un'immagine che sorprende a volte il suo stesso esecutore.

Una paziente depressa di circa 40 anni disegna una donna che cerca di abbracciare un uomo. La figura femminile appare molto piccola rispetto all'uomo, alto e grosso. L. dice che l'uomo la vuole strangolare, e intitola il disegno 'L'amore che sfugge'. Mentre la paziente disegna ho l'impressione che le estremità del corpo della figura femminile appaiano come armi (pugnali o pistole) prima di essere trasformate in piedi e mani.

Le mie impressioni rispetto all'immagine, le braccia insolitamente lunghe della figura femminile, l'interferire di una figura di vecchia nei progetti di L. che la voleva giovane, il sorriso ambiguo dell'uomo che vuole strangolarla ma sembra avere intenzioni amichevoli, consentono alla paziente di riconoscere pian piano nella donna stessa con cui si è identificata, una forte ambivalenza e rabbia. Il materiale, l'oggetto, il movimento pongono una loro resistenza specifica, offrendo - proprio attraverso questa resistenza - un limite e allo stesso tempo una struttura e una possibilità perchè l'Altro, senza nome e senza forma , possa sfuggire al controllo cosciente, concretizzarsi, divenire reale, e trovare un ponte con il processo secondario.

Nell'incontro successivo la paziente dice che anche la donna ha un coltello, e solo successivamente comincia a portare i suoi vissuti rispetto al rapporto fortemente ambivalente con la madre e di completa negazione del padre (per parecchio tempo io stessa ho pensato che fosse morto).

E' dunque l'oggetto creato stesso che, a seconda del momento e della relazione, può svolgere diverse funzioni. Nel caso appena riportato, l'immagine porta una prospettiva di cambiamento introducendo elementi nuovi nella riattivazione di una fantasia preverbale. L'oggetto - o il terapeuta attraverso l'oggetto - può cioè assumere il ruolo di oggetto trasformazionale investito della possibilità di cambiare il Sè del paziente.

Il lavoro di elaborazione può quindi essere portato su un piano di maggiore consapevolezza, ad esempio attraverso interpretazioni verbali; o rimanere su un livello più simbolico e riferito al contenuto o alla forma dell'oggetto o al processo che viene concretizzandosi nell'incontro, ad esempio con interpretazioni più metaforiche, con associazioni verbali, con tecniche di amplificazione dell'immagine o di parti di essa, o con proposte di materiali.

Ad esempio R., una paziente paranoide molto giovane, nel primo incontro disegna una paesaggio con alberi, una strada, dei gabbiani, un campo di grano, un cane nero, una ragazza che ha il nome delle sue due precedenti terapeute, e al centro del foglio una capanna. Terminato il lavoro ha una serie di associazioni paranoiche alla morte del cane, ad aggressioni da parte di uomini con la giacca gialla come il colore del grano, a delle voci nel mercato. Dice di voler spaccare il foglio a metà.

In questo caso chiedo a R. di mostrarmi dove cadrebbe la linea di rottura e lei mi indica che cadrebbe esattamente sopra la capanna. Nomino la necessità che quella capanna venga rinforzata e mi metto a farlo su un mio foglio. In questo caso non ho impedito alla paziente di agire, ma rispecchiando la fragilità della capanna, sono intervenuta prospettando una nuova possibilità che ha incuriosito R. ricentrando la sua attenzione su un aspetto più costruttivo e meno delirante, e portando una modificazione nello stato emotivo.

L'oggetto creato può assumere in altri contesti funzioni diverse: funzione transizionale, di ponte tra mondo interno e realtà esterna, tra Sè e altro da Sè, tra paziente e terapeuta (ad esempio nei momenti che precedono delle separazioni , incorporando elementi del paziente e del terapeuta); o funzione narcisistica, quale oggetto-Sè, di rispecchiamento e di sostegno del Sè del paziente.

E . rifiuta all'inizio di esprimersi graficamente: non può permettersi di sbagliare o di fare un brutto disegno perchè ne andrebbe di mezzo tutta la terra, di cui lui è alla guida. In un incontro successivo chiedo a E. quale foglio e quale colore sceglierebbe se decidesse di fare un disegno; con calma li sceglie e, solo dopo averli a lungo tenuti vicino a sè, traccia spontaneamente e rapidamente sul foglio una linea circolare. La scelta graduale e limitata a un solo colore, consente a E. di tracciare il primo segno e di partecipare più attivamente agli incontri del gruppo: è la luna, ma non è perfettamente tonda e l'ansia di fronte a quella traccia cresce. E. vorrebbe correggere o distruggere; non glielo impedisco, ma cerco di valorizzare l'immagine restituendo al suo linguaggio il valore di una metafora: suggerisco la possibilità che non si tratti della luna piena, poichè non sempre la luna è piena. L'anelito alla perfezione della totalità, presente nella prima forma di E., in questa forma del cerchio, viene così riportato a una dimensione temporale, ciclica, quella naturale delle fasi lunari. Dopo un momento di incertezza E. accoglie la possibilità che si tratti di tre quarti di luna e aggiunge i lineamenti di una faccia.

La forma circolare accompagnerà E. per tutto il corso della terapia e si ripresenterà molto tempo dopo negli ultimi incontri prima di una interruzione. E. esegue il mio ritratto: senza le gambe , il busto composto con difficoltà, con parti staccate, che poi lui stesso collega attraverso altre parti, uniformando tutto con il colore. Lavora molto attorno al seno, e per coprirlo "per rispetto al mio fidanzato", in realtà l'evidenzia. Il travaglio del processo di separazione tra paziente e terapeuta si configura anche come processo di separazione tra il sè e l'oggetto. Nell'ultimo incontro E. parla in modo confuso di molte cose e disegna un autoritratto in cui sembra esserci un seno: quasi una incorporazione di parti buone dell'oggetto , oggetto che andava sempre più differenziandosi. Sia nel precedente mio ritratto che in questo autoritratto, osservo la presenza della forma circolare: qui però, nei ritratti, attraverso il raddoppiamento della forma circolare ad indicare il seno, l'unitarietà dell'immagine corporea sembra poter diventare pensabile attraverso la dualità simmetrica propria delle modalità speculari (narcisistiche) di relazione.

Un'altra funzione dell'immagine è quella di contenere e di organizzare l'esperienza interna. Un paziente schizofrenico disegna nell'arco di vari incontri una mappa del Tevere con affluenti e colli. La figura terminata appare una figura umana, e F. amplifica su un altro foglio l'immagine suggerita dal primo disegno, trasformandola in una figura umana molto stilizzata. Rimando il fatto che il personaggio sembra non poter vedere, nè mangiare, nè sentire: F. aggiunge allora occhi e bocca, ma non le orecchie; e nota che altrimenti sentirebbe cose che è meglio non sentire. Per la prima volta in terapia dopo molto tempo parla di una voce che lo ha spaventato, che gli ingiungeva di ammazzarsi (varie volte si è fatto ricoverare per paura del suicidio) e la esprime graficamente con un vortice nero; ma non sopporta la visione del disegno, e abbandona la stanza lasciandomi sola con la sua immagine. Sento di doverne fare qualcosa e appoggio il foglio su un foglio più grande, racchiudendolo in una forma ovale. Sto ancora lavorando, quando F. rientra e subito dopo comincia a darmi consigli su come proseguire, offrendomi il suo aiuto. Negli incontri successivi emergono molti ricordi e associazioni relativi ad episodi del periodo adolescenziale, presentati e rappresentati sui fogli.

Nel setting di arte-terapia contenuti emotivamente anche troppo densi e concreti, così come la tendenza all'agito, possono quindi essere sperimentati e ricondotti in una forma simbolica che nell'esprimerli li contenga, offra una possibilità di intervenire su essi più attivamente e li restituisca al loro autore in forme meno spaventose.

Come davanti ad una scultura, ad una pittura o ad una danza, l'intervento estetico appartiene a chi ha eseguito l'opera ma anche a chi la guarda (sintonizzandosi sul ritmo, sui movimenti interni, sulle risonanze), così nell'incontro terapeutico l'opera - o piuttosto l'operare - del paziente viene accolto da un terapeuta che ha coltivato durante la sua formazione una sensibilità ed una disponibilità specifica a quel tipo di ascolto, e che chiamiamo sensibilità estetica, avendo egli stesso sperimentato e affrontato le peripezie del divenire della forma, e l'indissolubile legame tra creazione e distruzione.

T. - un bambino con vissuti traumatici molto precoci - , lavora con quantità smodate di colori e di acqua, sporcando e sprecando; di fronte ai suoi lavori senza forma e senza confine mi sento invasa e indispettita e provo il desiderio che T. non sia nella stanza. Dopo uno dei soliti incontri, mi metto a disegnare io stessa, da sola, per contattare meglio le reazioni controtransferali rispetto a questo paziente, e vedo emergere un tronco d'albero bucato nel mezzo. L'immagine richiama una ferita narcisistica: io sembro diventata l'oggetto bucato, che non è in grado di contenere; come un'identificazione nella parte debole di T. completamente proiettata su di me. Il bambino non può abitare il foglio nè la stanza ma solo occuparlo nell'urgenza insaziabile di essere visto e preso. Il mio desiderio che egli non ci sia , sembra direttamente proporzionale al suo bisogno di occupare tutto lo spazio, di saturare i fogli e la stanza riempiendoli di qualunque cosa purchè siano pieni. Il buco della mia immagine rispecchia il vuoto con cui T. si sta confrontando ed è complementare al troppo pieno dei suoi lavori. Porto quindi l'attenzione di T. sui piccolissimi spazi rimasti bianchi sui suoi fogli. Con il tempo il bambino comincia a lasciare spazi intenzionalmente bianchi, a collocarsi in queste zone del foglio e a trovare la mia collocazione nelle linee di confine tra le macchie di colore. Quindi elegge l'azzurro come suo colore e suo spazio, aprendo la possibilità di ulteriori movimenti.

Se quindi possiamo analizzare le caratteristiche del rapporto sia del paziente sia del terapeuta rispetto all'oggetto creato, dobbiamo evidenziare come emerga spesso una discrepanza tra relazione diretta paziente-terapeuta e relazione attraverso le immagini: gli aspetti più spaventosi o difesi possono esprimersi nelle realizzazioni artistiche, a volte contraddicendo quanto emerge nella relazione terapeutica; o al contrario può apparire nella forma una forza costruttiva e vitale che non è arrivata a manifestarsi nella diretta interazione col terapeuta. L'immagine può assolvere cioè un ruolo particolare ed esprimere valenze diverse (complementari, integrative, riparative) da quelle che si collocano nel rapporto tra paziente e terapeuta.

Ad esempio una paziente porta la propria distruttività nei confronti del gruppo e di sè stessa in quanto parte del gruppo attraverso continui attacchi a me che conduco e agli altri partecipanti; ma sente una parte nuova e vitale di sè rispecchiata nei disegni. Quasi sempre i colori delle immagini coincidono con i colori degli abiti che indossa; e tra i suoi disegni rintraccia sempre un filo, attraverso cui percepire la propria continuità sempre minacciata.

Un paziente psicotico prima della separazione estiva mostra rassegnazione e gratitudine nei miei confronti, mentre sui fogli emerge un sistema per non far scoppiare la bomba atomica, un sistema composto da quattro serbatoi comunicanti, in modo che la bomba passando dall'uno all'altro possa sfogare la sua energia senza esplodere. Nei numerosi disegni dedicati a progettare questo sistema di controllo, E. incontra con rabbia i limiti del foglio, come se quelli gli impedissero di rendere veramente funzionante la sua macchina. Così, mentre la macchina dovrebbe contenere l'esplosione entro un limite, la rabbia è generata da un altro limite. E. elabora sul foglio la rabbia per la separazione che non può vivere direttamente nei miei confronti. Contemporaneamente - poichè è l'immagine a contenere i vissuti negativi - il rapporto con me può essere liberato dalla violenza di queste proiezioni.

Un altro esempio di come l'immagine possa assolvere un ruolo complementare a quello della relazione diretta tra paziente e terapeuta, è in un lavoro sulle ripetizioni grafiche di pazienti psicotici cronici con forti stereotipie verbali, motorie ed espressive. Ho infatti rilevato come la stabilità e la stereotipia delle forme ripetute identiche per mesi, riveste la funzione inconscia di continuare a confermare e a rassicurare il paziente e a testimoniarne la permanenza (mai assimilata), mantenendo il vecchio volto la cui trasformazione si configura come una perdita irrimediabile. Solo in questo modo il paziente può arrischiarsi ad esplorare il campo relazionale, e nel momento in cui la relazione possa fornire una sufficiente affidabilità e prevedibilità, il movimento e la trasformazione potranno coinvolgere l'atto creativo stesso. Ciò che sembrava condannato a uno stato di sterile sintomo, acquisti nel setting di arte-terapia un significato e una funzione come comunicazione non intenzionale.

Si configura così un movimento sul piano intrapsichico e sul piano grafico, cui non si sarebbe potuti accedere verbalmente, nè tanto meno attraverso un intervento puramente tecnico attorno alle immagini.


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