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PSYCHOMEDIA
RISPOSTA AL DISAGIO
Psicosomatica



Osservazioni sul trattamento psicoanalitico di un caso di rettocolite ulcerosa

di Orlando Todarello (1), Piero Porcelli (2)

(1) Clinica Psichiatrica II, Università di Bari,
(2) Servizio di Psicodiagnostica e Psicoterapia, IRCCS gastroenterologico "S. de Bellis", Castellana Grotte (Bari)

Pubblicato su Psicoterapia e Scienze Umane, 1996, 30 (4): 67-86



Il problema psicosomatico in psicoanalisi è molto controverso, a partire dal paradosso epistemologico di indagare con un metodo psicologico (la psicoanalisi) un oggetto (il rapporto mente-corpo) ad esso eterogeneo (cfr. Todarello-Porcelli, 1992). La questione non  meramente speculativa ma ha importanti implicazioni cliniche. In questo lavoro ci proponiamo di esaminare i problemi che sorgono nel trattamento analitico di un caso di rettocolite ulcerosa (RCU) riportato da Paul Lefebvre, un analista canadese che aderisce alla scuola psicosomatica francese di Pierre Marty (1).

Presentazione del caso

La paziente, Laura, a 31 anni iniziò un'analisi durata 5 anni, pi altri 6 di brevi periodi analitici. Sposatasi a 19 anni, subito dopo la morte del padre, Laura iniziò a soffrire di RCU a 28 anni, dopo la separazione dal marito ed essere tornata a vivere con la madre insieme ai suoi due figli. Era motlo insoddisfatta di sé, soffriva di crisi ricorrenti di depressione e bulimia, aveva rapporti saltuari con diversi uomini.

Lefebvre ha diagnosticato subito una nevrosi di carattere (2) evidenziando una modalità di relazioni oggettuali secondo cui "tutto ciò che veniva messo all'interno era destinato ad essere fecalizzato, trasformato rapidamente da orale ad anale, ossia dall'esperienza dello stomaco a quella dell'intestino. Tutto ciò che veniva messo dentro, quindi, non era mai né sufficiente né molto buono (...) gli oggetti interni sono distrutti e poi evacuati come avanzi privi di valore, secondo un fantasma inconscio sadico-anale di espulsione" (p.44). Tale dinamica  evidente nell'incapacità di Laura a conservare una relazione stabile con un oggetto interno e ad identificarsi con un oggetto esterno separato e diverso da lei. Il risultato  la ricerca disperata e senza fine di oggetti idealizzati, per soddisfare il suo desiderio di un "doppio identico". Infatti Laura incontrava persone che la ferivano continuamente e poi la abbandonavano, e lei reagiva a queste continue esperienze di perdita con un aggravamento dei sintomi della RCU.

Lefebvre identifica 3 elementi che hanno caratterizzato l'intera prima fase analitica: 1) i meccanismi di difesa, che ruotavano attorno a quello fondamentale dello splitting ; 2) la natura del transfert, che veniva attivamente negato da Laura a causa della paura di sentire l'analista troppo vicino ed intrusivo; 3) la natura del contro-transfert, tramite cui Lefebvre realizzò che la negazione del transfert non era dovuto ad una resistenza (forma edipica molto pi matura delle possibilità della paziente) ma all'identificazione proiettiva mediante la quale Laura gli comunicava il modo in cui si era sentita rifiutata, abbandonata e infuriata nelle sue relazioni oggettuali primitive e successive; infatti le reazioni contro-transferali dell'analista erano caratterizzate fondamentalmente dalla noia e dalla collera per l'esclusione dal mondo affettivo della paziente.

Il rapporto di Laura con la madre era tuttora molto conflittuale. Nel prendersi cura delle precauzioni dietetiche della paziente, la madre era solita affermare imperiosamente: "Mangia! E' buono! Se lo mangio io, puoi mangiarlo anche tu!". Un giorno, in disaccordo con la madre su qualcosa, Laura reagì con rabbia: "Ma che merda mi racconti, che merda mi dai?". L'analista commenta dicendole che sembrava che ella fosse affamata ma che tutto ciò che le veniva offerto dalla madre era merda. Nella seduta successiva Laura portò un sogno in cui era sorpresa nel trovarsi delle feci in bocca. Laura vi associò il suo passatempo preferito di disegnare oggetti o spazi nella bocca con la lingua. Ciò le ricordava un'amica che le parlava del piacere sessuale nel praticare la fellatio. A quel punto Laura riuscì a parlare dei suoi rituali con la lingua nella bocca come di una masturbazione, e della masturbazione che praticava fin dall'adolescenza come un mezzo per "assicurarsi un "giardino segreto" popolato di fantasmi piacevoli centrati su un essere che l'amava e l'aiutava ad affrontare la solitudine" (p.44). L'interpretazione del sogno favorì un legame affettivo fra di loro ma non comportò alcuna elaborazione psichica.
La fase centrale del trattamento venne caratterizzata dalla comparsa nel transfert della "fame oggettuale" della paziente: Laura iniziò a sentire l'analista come lontano e separato da lei, per cui si evidenziò maggiormente il suo bisogno fusionale. Anche in questa fase il rischio controtransferale era di colludere con i movimenti del transfert dato il rischio di sentirsi invaso da esigenze arcaiche.

Grosso modo, l'inizio di questa seconda fase  databile a due anni di analisi, con un sogno: "Sono a casa mia. C' un cane che sta mangiando un topo che  in un barattolo dai bordi frastagliati. Il cane mangia tutto, topo e barattolo, e quest'ultimo gli lacera le budella. Mia madre  lì, da qualche parte. Io sono terrorizzata" (p.45). La paziente riesce ad associare pi facilmente gli elementi simbolici del sogno: il cane  lei che viene nutrita da un contenitore pericoloso, come la madre o forse anche l'analista; lei non riesce a resistere ai propri bisogni di divorare, anche se questi comportano il prezzo dell'autodistruzione. Laura può quindi associare questo insieme di simboli e pulsioni alla sua malattia e quindi vedere la propria rabbia, per tanto tempo scissa, negata e proiettata. Per cui, conclude Lefebvre, "i sogni mostrarono chiaramente che le due estremità del tratto digerente erano coinvolte dalle ripercussioni di questi affetti tempestosi" (p.45).

L'osservazione delle relazioni oggettuali, e transferali, di Laura inducono Lefebvre a formulare il concetto di "impasse narcisistica" come "fattore di rischio aspecifico nella vulnerabilità somatica", descritto in questo modo: "L'impasse descrive l'incapacità del soggetto a pianificare una distanza ottimale con l'oggetto. C' un'incapacità di soddisfare simultaneamente i bisogni di spazio personale e di intimità. L'oggetto  sempre minacciosamente troppo vicino o troppo lontano. L'indecisione di Laura e la sua angoscia all'inizio o alla fine di una relazione ne erano un esempio lampante. L'alternativa era costituita sia dalla minaccia di una intrusione divorante che dall'abbandono estremo e dal vuoto. In entrambi i casi, esisteva una minaccia di disintegrazione dell'Io e di perdita del senso del Sé" (p.45).

Secondo Lefebvre, il paziente psicosomatico cerca un rapporto identificatorio con l'oggetto di tipo oneness o sameness (3): ossia, egli non può tollerare la differenza nell'oggetto rispetto a sé. La ricerca di un oggetto idealizzato, l'angoscia psicotica di fusione distruttiva, l'impossibilità di tollerare la differenza dell'oggetto e il diniego dell'ambivalenza e dell'imperfezione nel Sé e nell'oggetto sono tutte caratteristiche che si ritrovano nel transfert di Laura, e che la conducono ad una "impasse narcisistica", impossibilitata a muoversi fra l'alternativa radicale oneness-or-noneness . In questa fase dell'analisi, Laura vive un bisogno disperato dell'oggetto ed una paura terribile di essere distrutta dall'oggetto e quindi dal suo stesso bisogno. E' ciò che Lefebvre chiama "fame oggettuale", evidenziatasi in modo clamoroso in un episodio. Laura era in viaggio, si sentiva depressa e i sintomi della RCU si erano riacutizzati. La paziente gli scrive dicendogli che tornava subito a casa e che aveva bisogno di vederlo immediatamente anche se sapeva che l'analista era in vacanza. Nella lettera, Laura comunicava esplicitamente il suo bisogno di sentirsi necessaria per qualcuno in quel momento, anche per il suo analista; non era sicura che questo modo di fare era conforme al protocollo delle regole analitiche ma in ogni caso non gliene importava un bel nulla.

Il diritto alla soddisfazione tenacemente perseguito in questa fase consente a Lefebvre di elaborare il concetto di "fantasma del patto faustiano", che descrive in questo modo: "Questo fantasma si ricollega al fatto che, fin dall'inizio dell'esistenza, l'oggetto capace di amare in modo perfetto e incondizionato  una finzione irraggiungibile e al fatto che fin da piccolo il bambino impara che la sua sopravvivenza dipende da un patto con coloro che si prendono cura di lui. Se la risposta affettiva dei genitori  insufficiente o inadeguata, il bambino può essere condotto ad accentuare la scissione normale che si crea non solo fra buono e cattivo, amore e odio, ma anche fra ciò che si costituisce come un falso Sé, adattato alle percezioni delle esigenze genitoriali, e un vero Sé perseguitato e ferito che può perdere ogni contatto con la coscienza. In cambio di questo adattamento, il bambino può avere la sensazione di aver diritto ad una sicurezza e ad una soddisfazione indefinite, conservando tuttavia la convinzione che ogni trasgressione del patto reca in sé una minaccia di punizione mortale. Il prezzo da pagare per un patto di questo tipo  di sacrificare la propria differenza e il senso di proprietà della propria psiche e del proprio corpo. In poche parole, il messaggio percepito fin dall'inizio da questo tipo di bambino  il seguente: "Puoi sopravvivere, ma non puoi vivere (nel senso pieno del termine)" (p.47).

L'ultima fase dell'analisi inizia nel periodo in cui l'analista comincia a fornire le sue interpretazioni sul "fantasma del patto faustiano" per ricollegare l'impasse narcisistica e transferale con le dinamiche della relazione originaria con la madre. Laura inizia, verso il quarto anno di analisi, a verbalizzare le sue emozioni reali verso la madre, descrivendola come una donna cupa e depressa, autoritaria ma contemporaneamente anche dipendente. E soprattutto come una persona capace di dare molto ma di far pagare a caro prezzo ciò che donava. La paziente si rese quindi conto di aver avvertito alla morte del padre la paura fortissima di aver perso il tampone protettivo fra sé e la madre. Si sposò un anno dopo, trasferendo sul marito la sensazione di avere dei "diritti da far valere". In sostanza, il matrimonio ebbe valore di trasgressione del "patto faustiano" con la madre. Abbandonata e separatasi dal marito, ella tornò dalla madre, ritrovando gli affetti intensi e ambivalenti legati alla mancata differenziazione con l'oggetto materno. Fu a quel tempo che comparvero i sintomi della colite ulcerosa. In questa fase dell'analisi Laura cominciò a chiedersi se la RCU non abbia rappresentato "un modo di "pagare il suo chilo di carne", come sua madre l'aveva minacciata, se avesse rotto il legame simbiotico reciproco" (p.48).

In questo periodo sono da registrare anche altri cambiamenti importanti nella stessa direzione terapeutica. Laura inizia a percepire l'importanza delle comunicazioni affettive offerte dai sogni e delle comunicazioni transferali dei contenuti affettivi dei sogni. Inizia anche a sentirsi triste e depressa, e perfino a piangere in seduta, riuscendo a separare la rabbia scaricata somaticamente nella diarrea dal lutto depressivo e dalla tristezza di sentirsi sola. Le riacutizzazioni della RCU diminuirono, e la paziente fu anche in grado di porre ella stessa fine alle sue relazioni sentimentali compulsive, vivendo la perdita ma recuperando la propria autostima, sentendosi triste ma meglio. Pot quindi sopportare l'assenza di un oggetto senza attaccarlo e senza farlo sparire distruggendolo, spostandosi da una "posizione persecutoria ad una posizione depressiva" (p.48). Ma un esame endoscopico mostrò una diminuzione di infiammazione e di ulcerazione intestinale. Però lo stesso esame mostrò anche la presenza di polipi sulla mucosa intestinale. I medici considerarono molto pericolosa la presenza di polipi intestinali dopo circa dieci anni dall'esordio della RCU, e decisero di effettuare una colostomia.

Alla fine del quinto anno di analisi, Laura sentiva che la sua vita andava molto meglio per quanto riguardava la fiducia in sé stessa, i rapporti con la madre e la soddisfazione che riceveva nel realizzarsi in un nuovo lavoro. Chiese pertanto di stabilire una data di fine dell'analisi. Nei sei anni successivi, Lefebvre vide Laura a intermittenza per tranches analitiche di alcune settimane. Dopo un secondo sfortunato matrimonio (il nuovo marito morì di cancro due anni dopo), la paziente si impegnò in un lavoro molto importante, non passò pi all'atto nelle sue relazioni ripetitive ed i rapporti con i figli e la madre migliorarono considerevolmente, così come la sua tolleranza all'angoscia e la sua capacità di utilizzare le proprie emozioni come segnali affettivi da non dover necessariamente scindere e negare.

Malattia somatica e modello analitico

Secondo Lefebvre, il disturbo di personalità di Laura ha caratteristiche molto vicine alla personalità psicosomatica descritta da Marty. Il sogno delle feci in bocca offre lo spunto a Lefebvre per confermare la sua valutazione iniziale secondo cui la diarrea emorragica come sintomo della RCU rientrava nel modello di relazione oggettuale di trasformazione dell'oggetto interno da incorporazione sadico-orale a espulsione sadico-anale. Il "modello di 'fecalizzazione' del cibo" (trasformazione distruttiva dallo stomaco all'intestino)  identico in Laura per quanto riguarda sia la relazione oggettuale che la malattia organica.

Questo  un punto teorico di estrema importanza per la psicosomatica analitica:  possibile trovare analiticamente un unico modello per la psicopatologia e la malattia organica? Se ci chiediamo in che senso la psicoanalisi può trovare corrispondenze fra sintomi somatici e corrispettivi fantasmatici, le risposte possibili sono almeno due.

La prima risposta (che per comodità chiamiamo "Tesi A")  che la psicoanalisi consente di ricostruire il senso mentale delle funzioni somatiche. La seconda risposta ("Tesi B")  che la psicoanalisi consente di trovare la causalità dei meccanismi biologici all'interno del simbolismo dei fantasmi inconsci. Queste due tesi sono completamente diverse, autoescludentesi e non complementari.

Quando parliamo di senso mentale delle funzioni somatiche (Tesi A), intendiamo che le modalità di mentalizzazione ricalcano un funzionamento fisiologico da cui sono derivate. Gaddini (1982) considera le fantasie originarie del Sé come fantasie nel corpo (distinte dalle fantasie sul corpo, che implicano una separazione già avvenuta fra il mentale e il somatico) che costituiscono un'espressione mentale dei funzionamenti somatici. In tal senso il meccanismo mentale dell'introiezione  una elaborazione evolutivamente successiva della sua radice originaria somatica di incorporazione orale materiale, così come il meccanismo mentale della proiezione  un'evoluzione dell'originario meccanismo fisiologico di escrezione fecale. Ciò che qui  implicato  appunto il senso mentale delle operazioni somatiche, dapprima incorporato nel soma e nel concreto funzionamento fisico, e successivamente autonomo e mentalizzato nella simbolizzazione psichica. Se assumiamo invece che la psicoanalisi possa, restando all'interno del proprio modello epistemico, rintracciare la genesi causale dei meccanismi biologici nel simbolismo dei fantasmi inconsci (Tesi B), affermiamo una cosa completamente diversa. Infatti in tal modo non si fa altro che estendere il modello della conversione isterica alle strutture governate dal SNA e agli organi interni di muscolatura liscia, che si assume abbiano una funzione di simbolizzazione sessuale e conflittuale. Come  noto questa  stata la prima tesi in psicosomatica analitica (Groddeck, 1923; Deutsch, 1959; Garma, 1953), riproposta anche da alcuni autori contemporanei che assumono il c.d. modello della "conversione pre-genitale" (Sperling, 1973; Mushatt, 1975; Savitt, 1977; Chiozza, 1976).

Quando Lefebvre trova che le modalità relazionali d'oggetto di Laura seguono un pattern di incorporazione-defecazione identiche alla sequenza bulimia-diarrea, compie un salto teorico dalla Tesi A (ammissibile in base alle osservazioni compiute in un setting specificamente analitico) alla Tesi B (non controllabile in base alle osservazioni analitiche). Il pattern evidenziato da Lefebvre indica che Laura cerca disperatamente un oggetto-Sé idealizzato nelle sue manifestazioni comportamentali di natura sessuale, e tale comportamento  una ricostruzione mentalizzata del comportamento corporeo della bulimia; così come distruggendo oggetti e rapporti interpersonali, ella riproduce la mentalizzazione della funzione distruttiva e anale dell'evacuazione violenta. Ossia: Laura riproduce nelle sue manifestazioni comportamentali e relazionali il rapporto interiorizzato della relazione oggettuale primaria con la madre. In tal modo si può legittimamente affermare solo che le funzioni somatiche di Laura seguono lo stesso andamento delle sue relazioni oggettuali, cio del versante mentalizzato delle funzioni somatiche. Ne può derivare che la diarrea come sintomo funzionale riproduce il senso mentale della funzione escretoria perturbata (Tesi A), ma non che la patologia delle relazioni oggettuali  una determinante causale della diarrea intesa come sintomo organico della RCU, né tanto meno che la RCU sia una malattia psicogenetica.

La RCU non  un disturbo funzionale, ma ha alterazioni organiche evidenziabili endoscopicamente e istologicamente, anche se la sua etiologia  a tutt'oggi sconosciuta. Ma evidentemente non basta che di una malattia non si conoscano i meccanismi etiopatogenetici per affermare immediatamente che  psicosomatica. Nella diarrea, intesa come sintomo funzionale, il disturbo ha un senso primario, per esprimerci con Sami-Ali (1984: 133), ossia  una metafora simbolica per esprimere qualcos'altro, in questo caso l'impasse relazionale della paziente, se fosse un sintomo funzionale. Il sintomo organico, all'opposto, ha un senso secondario, letterale e neutro (Sami-Ali, 1984: 133) poiché riguarda il corpo biologico, il corpo reale opposto al corpo immaginario delle somatizzazioni funzionali o isteriche (Sami-Ali, 1977) -"l'anonimato del corpo profondo, dei disturbi metabolici e cellulari" (Sami-Ali, 1987: 50)-, il corpo dotato di un'autonomia di funzionamento biologico su cui non si può provare alcun potere del simbolismo inconscio.

Ora, se si elimina il corpo biologico, se si eliminano i sintomi della RCU (diversi dai sintomi funzionali di diarrea), cosa resta di questa paziente? o meglio: cosa si può legittimamente dire di questa paziente a partire dal nostro setting di osservazione e dagli strumenti di cui disponiamo? Niente di pi che  una paziente con una patologia primaria del Sé e delle relazioni oggettuali. Il problema allora può esser posto in questi termini: le associazioni della paziente sul nesso cibo-merda non consentono metodologicamente di confermare che la RCU in Laura sia coerente con il modello di relazioni oggettuali di incorporazione-espulsione. Le stesse osservazioni possono essere compiute clinicamente anche se la paziente non fosse malata di RCU. Avere questa malattia o un'altra o non avere alcuna malattia organica, non avrebbe modificato di una virgola la conduzione tecnica del trattamento da parte di Lefebvre, il quale può compiere quel tipo di interventi interpretativi, ottenendo una buona efficacia nell'evoluzione del caso, solo a ragione delle proprie osservazioni sulla relazione transferale e sul suo contro-transfert e non perché la paziente  colitico-ulcerosa. Infatti Lefebvre non sceglie un trattamento psicoterapeutico specifico per la malattia organica, ma decide un certo tipo di intervento (ossia compie una valutazione sulla tecnica) perché risulta pi adeguato per il disturbo (psichico) di personalità della paziente.

L'impasse narcisistica

Dopo due anni di analisi, la paziente sta mentalizzando il somatico, nel senso della Tesi A: sta elaborando il senso mentale delle proprie funzioni somatiche patologicamente alterate, come viene mostrato dal sogno del barattolo mangiato dal cane. Laura inizia a diventare consapevole che la diarrea emorragica della RCU potrebbe avere un senso psichico all'interno dei propri vissuti e del modo in cui i propri affetti sono implicati nelle relazioni interpersonali intense. Se il suo bisogno fondamentale  quello di incorporare gli oggetti, ossia di fondersi simbioticamente con essi, allora la bulimia  un comportamento molto simile e coerente con quanto le accade con persone e situazioni. Il cibo lei lo divora materialmente, le persone le introietta metaforicamente, ma sempre con la medesima avidità e con le stesse esigenze di gratificazione assoluta da parte di oggetti idealizzati. E questo  vero anche per un'altra sua modalità, parallela all'incorporazione ma che lei ha creduto separata da essa a causa della scissione primitiva. La sua paura fondamentale  quella di distruggere gli oggetti che ha introiettato e di essere distrutta a sua volta. Non può non incorporare a causa del suo bisogno di avidità, ma allo stesso tempo non può non aver terrore della propria auto-distruzione. E ciò lei inizia a ritrovarlo nei rapporti affettivi con le persone significative che le stanno attorno: gli amanti, la madre, l'analista. Ma ciò lei lo ritrova anche nella sofferenza causata dai sintomi intestinali, nella violenza imperiosa della diarrea, nel terrore di inondare il water con il suo sangue vivo misto ai propri escrementi.

Grazie alla strutturazione e all'elaborazione del transfert (versante affettivo-relazionale) e grazie alle interpretazioni dell'analista (versante cognitivo-emotivo), la paziente riesce adesso ad elaborare le relazioni intense con i propri oggetti interni ed esterni. E scopre di avere con la sua malattia lo stesso rapporto complesso che ha con persone e situazioni con cui ha attualmente o ha avuto in passato relazioni affettive. In un precedente lavoro, Lefebvre aveva avanzato l'ipotesi che "il paziente che somatizza mostra lo stesso modo narcisistico e strumentalizzante di relazionarsi sia con il proprio corpo che con qualsiasi altro oggetto" (1980: 6). La RCU  quindi un oggetto (nel senso analitico del termine) e il rapporto fra sé e la malattia  lo stesso rapporto fra la rappresentazione del Sé e quella degli oggetti. Se si parte dall'assunto della Tesi A, contrapposto a quello della Tesi B, si può definire il progresso terapeutico di Laura come una modificazione in corso delle proprie relazioni oggettuali, quindi del rapporto fra rappresentazione del Sé e rappresentazione dell'oggetto-RCU. Quello che fondamentalmente si sta attenuando in Laura  il meccanismo difensivo della scissione. In seguito ad un uso meno rigido del meccanismo di scissione, emerge pi nettamente la configurazione transferale della "impasse narcisistica", o identificazione del tipo sameness , che consisteva nel non poter soddisfare né i suoi bisogni di fusione con l'oggetto né il suo bisogno di distruzione dell'oggetto ma nella "costrizione" a vivere contemporaneamente queste due alternative che in realtà si escludono a vicenda.

L'impasse narcisistica viene considerata da Lefebvre come un fattore di rischio per la somatizzazione, un elemento necessario ma non sufficiente nella teorizzazione della vulnerabilità somatica. Infatti essa si trova come fattore etiologico in molte altre affezioni psicopatologiche afferenti tutte a quella che lui chiama la "casa-madre dei disturbi gravi di personalità" (la psicosi) con le sue "succursali" di "personalità narcisistiche, psicosomatosi, perversioni sessuali, tossicomanie, stati al limite e certi disturbi gravi del carattere" (1984: 1177).

L'eterogeneità della impasse narcisistica in rapporto ai disturbi precoci del Sé viene ipotizzata da molti altri autori, sia nel campo dei disturbi borderline che in quello delle patologie psicosomatiche, come Sami-Ali (1987) o Ammon (1974) Anche agli albori della psicosomatica analitica, Ruesch (1948) ipotizzò che il fallimento della psicoanalisi di insight in questi pazienti fosse dovuto proprio a questa difficoltà di differenziazione fra Sé e oggetto nel transfert simbiotico.

Questo stesso tipo di transfert viene però teorizzato anche da altri autori che si sono occupati di patologia borderline. Secondo Kernberg (1975), uno degli aspetti centrali dell'identificazione proiettiva nel transfert  il bisogno del paziente di controllare l'oggetto prima di essere attaccati e distrutti da esso. Kohut (1971) evidenzia come le difficoltà di mantenere livelli idealizzanti o speculari nella traslazione comportino rischi di disorganizzazione nella coesione primitiva del Sé che il paziente tenta di arrestare agendo comportamenti regressivi e perfino pericolosi per la salute e la sopravvivenza.

Il nucleo pregenitale della sindrome borderline sta proprio in questo carattere primitivo delle relazioni oggettuali, in cui si alternano e coesistono affetti molto intensi di richieste contemporanee di grande avvicinamento affettivo e di grande paura della vicinanza, di richieste di enorme disponibilità affettiva dell'analista e di intensi sentimenti di rabbia per qualsiasi movimento del terapeuta verso il paziente. L'impasse, in altre parole,  la situazione in cui il paziente si trova a causa della patologia delle proprie relazioni oggettuali e della rappresentazione del Sé e dell'oggetto. Ma  anche la sua comunicazione affettiva nella relazione transferale, in cui il terapeuta stesso si trova in situazioni di vicolo cieco nel quale ogni mossa provoca reazioni opposte e non si sa che strada prendere. Si tratta, cio, di una impasse di relazione della psicoterapia e nella psicoterapia: un punto di paralisi in cui il paziente  spaventato sia dall'avvicinamento affettivo che da una distanza che sente come rifiutante e lo fa sentire vuoto e disperato, al pari delle sue relazioni originarie con l'oggetto materno; e in cui il terapeuta  preso da mille tentazioni tutte equivalenti e tutte disperate: assumere un ruolo eroico per cercare una gratificazione narcisistica, sentirsi sopraffatto dall'inadeguatezza e dall'impotenza, tentare di salvare il paziente con interventi seduttivi, lottare contro ogni tentazione assumendo un atteggiamento rigidamente interpretativo o ipercritico o anche apertamente rifiutante.

Nel lavoro del 1980, Lefebvre aveva compiuto un breve excursus sull'aspetto evolutivo della patologia narcisistica e psicosomatica, richiamandosi alla teorizzazione della Mahler sul processo di separazione-individuazione per spiegare la genesi della vulnerabilità psicosomatica. Esiste una unanimità rara fra analisti di differenti scuole di pensiero nel legare la patologia borderline al processo evolutivo mahleriano di differenziazione fra il Sé e l'oggetto, e nel concepire lo sviluppo psicologico non come passaggio attraverso le fasi psicosessuali freudiane ma a parametri quali la differenziazione sé-altro, il passaggio dalla simbiosi alla separazione-individuazione, il grado di coesività del Sé (cfr. ad es. Masterson, 1981; Eagle, 1984; Higgitt-Fonagy, 1992; Eagle, 1992). E su questo punto c' anche la convergenza dell'intera psicosomatica analitica contemporanea, nelle cui diverse teorizzazioni si ricorre comunque al problema della scarsa differenziazione per spiegare il deficit di simbolizzazione o la vulnerabilità alle malattie somatiche in occasione di eventi di separazione che riattivano la problematica pregenitale dell'identità e dell'individuazione (Taylor, 1987).

Quello che emerge nel rapporto con Laura  quindi una situazione specifica dei disturbi precoci del Sé (la impasse psicoterapeutica, la scarsa differenziazione sé-oggetto, il patto faustiano), ma anche generica poiché riguarda un'esperienza aspecifica che riporta in luce la precarietà del senso del Sé e delle relazioni con l'oggetto. E' quindi una situazione relazionale che ha la sua genesi in un disturbo della relazione precoce madre-bambino, in un deficit di strutturazione psichica, in un disturbo delle rappresentazioni del Sé e dell'oggetto, e che si riattualizza quando l'esperienza traumatica originaria viene rivissuta all'interno del rapporto transferale, determinando l'impasse psicoterapeutica. Parlando della impasse narcisistica, Lefebvre aveva affermato che si trattava di un fattore di rischio aspecifico, una condizione necessaria ma non sufficiente per la vulnerabilità somatica. Il punto però  che non sappiamo se si tratti di un fattore di rischio aspecifico per le patologie psicosomatiche o per i disturbi borderline. Infatti, se si vuole trovare una specificità psicosomatica bisogna trovare situazioni di rischio che siano specifiche per gli psicosomatici, in ciò che essi hanno di differente rispetto alle sindromi borderline. In base a quanto visto finora, però, non abbiamo trovato nulla in Laura che sia specificamente diverso rispetto ad un'altra qualsiasi paziente borderline.

Alla luce di quanto emerso finora sull'impasse in psicoterapia, si può affermare che, da un punto di vista psicoanalitico, le patologie psicosomatiche sono parte dei disturbi precoci di personalità? Non potendo stabilire se la impasse psicoterapeutica  un fattore di rischio per gli psicosomatici o per i borderline o per entrambi, le alternative sono due: a) o  falso che esista una struttura specifica di personalità per gli psicosomatici, perché non abbiamo trovato nulla di specifico in essi a partire dal setting di osservazione e dagli strumenti concettuali analitici; b) oppure gli psicosomatici fanno parte della sindrome borderline; o meglio: l'unica cosa che possiamo affermare partendo dagli strumenti tecnici e concettuali della psicoanalisi  che  possibile concepire i pazienti psicosomatici come pazienti borderline.

Integrazione e scissione psico-somatica

Nella fase finale dell'analisi Laura  progressivamente riuscita ad integrare le immagini scisse difensivamente del Sé e dell'oggetto, vivendo il lutto dell'abbandono dei nuclei grandiosi del Sé arcaico e limitando il senso persecutorio dei precursori sadici del Super-io primitivo, per dirla con Kernberg. C' quindi una consapevolezza maggiore che la paura di essere distrutta dall'oggetto materno  la proiezione del proprio odio verso la madre, che la ricerca di un oggetto idealizzato che fornisca il giusto e meritato amore secondo i propri "diritti da far valere"  una costruzione difensiva che la protegge dai rapporti temuti con gli altri e che la rabbia per la madre (e l'analista) pericolosa si incontra e si integra con il desiderio di una madre (e di un analista) buona e idealizzata. Ma qui, se  abbastanza chiaro il movimento psichico prodotto dalla psicoterapia, si riapre invece tutta la questione sulla psicosomatica e sulla malattia organica.

Discutendo sul rapporto tra esiti psicoterapeutici e malattia somatica, Lefebvre introduce un punto metodologico importante per la nostra discussione. Egli afferma che non  possibile ridurre l'etiologia della RCU al fantasma faustiano poiché così si correrebbe il rischio di effettuare un salto teorico dal "fantasma che guarisce in analisi" al "fantasma che causa il disturbo somatico". Questa "ossessione grandiosa di una etiologia lineare e causalista", propria della psicogenesi,  stato il fattore che ha "avvelenato" la storia della psicosomatica. Ma, in ogni caso, scrive Lefebvre, "si potrebbe collegare la colite di Laura agli affetti traumatici e negati di paura, rabbia e dolore che accompagnavano inevitabilmente questo fantasma" (p.48). Infatti, egli sostiene che la scoperta e l'elaborazione del fantasma faustiano inconscio ha favorito nella paziente ciò che Marty chiama "spessore del preconscio" (1976), ossia la possibilità di utilizzare i contenuti affettivi nell'elaborazione psichica e di renderli così meno patogeni sul funzionamento somatico.

Qui Lefebvre sembra oscillare fra due contraddizioni essenziali. La prima  quella di elaborare una concezione del "fantasma faustiano" sulla base della teoria delle relazioni oggettuali, avvicinandosi alla realtà dell'esperienza clinica e del vissuto della paziente, e poi di scivolare nell'interpretazione economica fornita da Marty con la questione dello "spessore del preconscio". E' molto difficile seguire il senso logico di Lefebvre. Infatti non si comprende come mai egli senta la necessità di saltare da una teoria (quella della relazioni oggettuali), che sembra efficace sul piano tanto della metapsicologia quanto della teoria della tecnica, ad un altro punto di vista (quello economico-energetico) che non apporta alcuna chiarificazione ulteriore a livello metapsicologico e che certamente non ha alcun rapporto con la tecnica terapeutica. Al di là di un serrare i ranghi per restare "fedeli alla linea" della Scuola, sfugge del tutto una ragione fondativa di tale salto teorico. La seconda contraddizione  anch'essa di natura teorica. Lefebvre  consapevole di poter scivolare in una versione della "conversione pregenitale" (come schema teorico di ragionamento) modificata nel senso delle relazioni oggettuali (come contenuti della teoria) quando afferma l'insostenibilità di una linearità causalistica fra fantasma faustiano inconscio e genesi della RCU. Ma poi si trova costretto a reintrodurre dalla finestra quella etiopatogenesi psichica che ha appena cacciato dalla porta. E' proprio sicuro che gli affetti negati e scissi di paura, rabbia e dolore che accompagnano il fantasma inconscio del patto faustiano siano collegabili alla colite di Laura?

Ancora una volta, ci si deve mettere d'accordo sul significato che bisogna dare nella psicosomatica analitica al concetto di "collegamento". Il paradigma delle relazioni oggettuali di Laura  che avere rapporti con un oggetto significa desiderio e paura di fondersi con esso insieme al desiderio e alla paura di distruggererlo ed esserne distrutta. La sua difesa essenziale consisteva nell'idealizzare l'oggetto per preservarlo dalla sua rabbia. La RCU può essere ricostruita mentalmente come un oggetto che lei preserva perché le consente di concentrare la rabbia e la domanda di terapia su di essa (cio sulla sua guarigione). Inoltre i sintomi di diarrea e sangue, da un lato, e di bulimia, dall'altro, possono essere ricostruiti mentalmente come fusione con oggetti introiettati ed espulsione violenta di oggetti cattivi. Strutturando in senso pi maturo la rappresentazione del Sé e dell'oggetto, Laura riesce a percepire i sintomi di malattia come meno distruttivi e meno invasivi di pari passo con la maggiore tolleranza verso le imperfezioni del Sé e dell'oggetto e verso le forme invasive di angoscia e paura. Non bisogna dimenticare, infatti, che Lefebvre riconduce il miglioramento della RCU alle comunicazioni della paziente sulla sua percezione soggettiva dei sintomi, e non a reperti endoscopici sul grado di severità clinica della malattia. Quindi, cambiando la percezione soggettiva delle fonti ansiogene, cambia positivamente anche il suo rapporto con la malattia. Non a caso, adesso Laura può percepire l'oggetto materno interno come una persona depressa e tirannica, infelice e diabolica da cui si sente abbandonata (la "posizione depressiva" di cui parla Lefebvre) invece che come un oggetto interno persecutore e distruttivo. La psicoterapia, dunque, sta consentendo l'integrazione di quelle parti del Sé pi automatiche, primitive, inconsce, e quindi pi pericolose, parallelamente alla maggiore integrazione delle rappresentazioni dell'oggetto. Quindi, la malattia organica e la madre come oggetti reali restano un in sé immodificabile analiticamente, mentre i vissuti della malattia e della madre come oggetti interni di relazione sono stati modificati dalla psicoterapia.

Se invece partissimo dall'assunto della Tesi B, le cose sarebbero molto diverse. Secondo questo punto di vista, non si parla di relazione con l'oggetto-malattia ma di etiologia della malattia stessa. La psicoterapia dovrebbe quindi star funzionando nel senso che la paziente sta compiendo una duplice operazione. Da un lato, la psicoterapia sta rinforzando l'Io consentendogli di svolgere la propria funzione "classica" di controllo pulsionale e mediazione con la realtà esterna, con l'Es e con il Super-io. Dall'altro, la psicoterapia sta consentendo all'Io di elaborare il simbolo come segno analogico di qualcos'altro, ossia della madre (ciò che Marty chiama, in sostanza, "spessore del preconscio"). Questo se si resta nel modello pulsionale Es-Io. Se si adotta la teoria delle relazioni oggettuali, la psicoterapia sta modificando le scissioni patogene degli oggetti interni e le dinamiche pregenitali, le cui vicissitudini erano anche la causa della malattia. In ogni caso, se adottiamo la versione modificata in chiave di relazioni oggettuali della conversione pregenitale, dovremmo concludere che la psicoterapia ha un effetto protettivo sulla malattia. Conseguenza di ciò  che la psicoterapia dovrebbe mettere Laura al riparo dall'aggravamento della malattia, se non agire come fattore terapeutico vero e proprio sulla guarigione dalla RCU.

Cosa accade in realtà a Laura? Lefebvre parla dei progressi sia psicologici che fisici della paziente durante il quinto e ultimo anno di analisi. Dei progressi psichici ci siamo già occupati, e sono un effetto terapeutico positivo della psicoterapia. Per quanto riguarda i progressi fisici, Lefebvre dice che gli episodi diarroici e bulimici diminuirono considerevolmente, così come le ospedalizzazioni. Però l'esame endoscopico mostrò a questo punto una displasia o forse anche una neoplasia già in atto, tanto da dover porre la necessità di una colostomia.

In questo passaggio tragico dell'esistenza di Laura si evidenzia tutta l'inconsistenza della Tesi B. Ci sono alcuni punti da tenere fermi. Anzitutto il senso e il compito dell'analisi per i pazienti con una patologia primaria del Sé, come  il caso di Laura. Qui non si tratta, come afferma Kernberg "di ricercare materiale inconscio, rimosso, ma di collegare e integrare quel che si presenta come due o pi stati dell'Io emotivamente indipendenti, ma alternativamente attivi" (1975: 113). E questo "collegamento e integrazione"  stato effettuato benissimo e con successo mediante la psicoterapia. Ma Laura non  soltanto una paziente borderline,  anche una paziente somatica. Ora, un ulteriore punto fermo nella psicoterapia dei pazienti psicosomatici  che tale "collegamento e integrazione" deve avvenire non soltanto fra gli stati scissi dell'Io ma anche fra lo psichico e il somatico. Questo punto  alla base stessa di una teoria della tecnica terapeutica in psicosomatica,  palesemente ovvio e infatti viene assunto come condizione preliminare da tutti gli autori di qualsiasi scuola e di qualsiasi epoca. Si può divergere sulle tecniche specifiche per ottenere questo risultato, ma l'obiettivo  unico.

La scoperta del cancro di Laura, sia che fosse displasia ad evoluzione cancerosa certa sia che fosse neoplasia già in atto, dimostra solo una cosa: il successo dell'integrazione psichica in psicoterapia ha come contraltare il fallimento dell'integrazione psiche-soma nell'ottica psicosomatica. Qui infatti si verifica l'opposto dell'integrazione, e dunque il suo fallimento: la scissione ulteriore fra una psiche "guarita" ed un corpo "malato". Se all'ingresso in psicoterapia c'era una scissione fra un corpo malato che agiva (o avrebbe agito, secondo Lefebvre) automaticamente gli affetti inconsci ed il livello psichico che non consentiva una adeguata mentalizzazione ed un corretto equilibrio psico-somatico, alla fine della psicoterapia la scissione  diventata paradossalmente pi grave e profonda perché l'equilibrio psichico e la mentalizzazione delle funzioni somatiche perturbate  stata garantita dal successo terapeutico mentre il corpo si  ammalato in maniera ancora pi grave e profondo.

Allora: la psicoterapia non ha funzionato? No, con tutta probabilità: 1) la psicoterapia ha funzionato benissimo per quanto riguarda esclusivamente l'organizzazione borderline di personalità; 2) il somatico ha una sua autonomia di funzionamento che resta una cosa in sé per qualsiasi approccio teorico e terapeutico della psicoanalisi; 3) nonostante la teoria "satura" di forti assunti di base, si  prodotta una scissione ulteriore fra psichico e somatico.

Se si assume l'ipotesi che la psicoanalisi  in grado, mediante i mezzi teorici e terapeutici di cui dispone, di articolare una teoria metapsicologica ed una teoria della tecnica opportunamente modificata per una specifica organizzazione di personalità psicosomatica, allora il cancro di Laura dimostra non solo che  clinicamente falsa la Tesi B (etiologia simbolica del somatico) ma anche l'impossibilità di comprendere le ragioni della evoluzione clinica della paziente. Il caso di Laura, paradossalmente, rischia di dimostrare l'esatto contrario del motivo per cui  stato esposto in una pubblicazione scientifica. Lefebvre ha scritto questo caso per mostrare il modo di trattare con successo in psicoterapia una paziente psicosomatica. Sembra invece che esito positivo della psicoterapia per quanto riguarda l'aspetto mentale sia accompagnato dall'esito negativo per quell'aspetto psicosomatico per il quale  stata fatta la comunicazione.

Conclusioni

L'analisi del caso di Laura descritto da Lefebvre consente di giungere a tre conclusioni generali:

1) non  sufficientemente chiaro in cosa questa paziente affetta da malattia somatica sia differente rispetto ad una sindrome borderline, sindrome per la quale sembra essere stata efficacemente trattata;

2) i concetti esplicativi forniti dall'autore fanno sorgere il legittimo dubbio che le personalità psicosomatiche abbiano gli stessi meccanismi strutturali ed evolutivi nella rappresentazione del Sé e nella relazioni oggettuali delle personalità borderline, cosa che fa ipotizzare che le personalità psicosomatiche rientrino nella patologia borderline;

3) esito positivo della psicoterapia  stato accompagnato esito negativo per quanto riguarda l'integrazione psicosomatica: la scissione finale ottenuta rappresenta una piena conferma del dualismo mente-corpo.

In questo lavoro abbiamo tentato di verificare se il nostro precedente discorso sulla psicosomatica analitica in chiave epistemologica (Todarello-Porcelli, 1992) possa avere un risvolto operativo applicandolo alla trattazione di un caso clinico. Bene, come in quell'occasione, la conclusione  la stessa. Si aprono un continuum di opzioni possibili fra due poli distinti.

Il primo polo  costituito da una "ipotesi minima". Si tratta di un'ipotesi ottimistica che parte dalla realtà clinica e da una sorta di morale provvisoria. La storia della psicoanalisi ha dimostrato che l'esperienza clinica consente di avanzare una serie di proposte metapsicologiche per una specifica patologia precedentemente ritenuta inanalizzabile, dando luogo ad alcune sperimentazioni terapeutiche che sul lungo periodo impongono una modificazione della tecnica secondo direttive precise. Basti pensare allo sviluppo della psicoanalisi infantile o della psicoterapia con personalità borderline e narcisistiche. Si tratta del problema dell'ampliamento delle indicazioni per l'analizzabilità considerato, già molti anni fa, anche per quanto riguarda i disturbi psicosomatici, da Stone (1954) e Wallerstein (1969). I sostenitori di questa "ipotesi minima" ritengono, pi o meno esplicitamente, che i nuovi paradigmi psicoanalitici centrati sullo sviluppo del Sé e delle relazioni oggettuali possano costituire un ponte metodologico importante fra la teoria e l'oggetto psicosomatico. Finché non si riescono a precisare maggiormente le categorie specifiche che consentano di differenziare le personalità psicosomatiche da quelle borderline, dobbiamo agire in base alla "morale provvisoria": considerare teoricamente e trattare tecnicamente i disturbi psicosomatici come se fossero disturbi borderline. E' un'ipotesi ottimistica poiché lascia aperta la possibilità di scoprire in futuro qualcosa di pi sul rapporto mente-corpo e quindi di modificare teoria e tecnica verso questa direzione.

La "ipotesi minima", però, urta contro una essenziale difficoltà. La psicopatologia precedentemente dichiarata inanalizzabile e che oggi sembra diventata una forma prevalente di casi trattati in analisi, come le sindromi marginali,  comunque una psico -patologia. Ciò che un tempo sembrava una difficoltà di principio si  rivelata invece una difficoltà di ordine squisitamente tecnico: modificando opportunamente la tecnica terapeutica, la patologia  diventata trattabile. Ma in questo caso l'oggetto di studio  comunque omogeneo al metodo analitico, rientrando il tutto nell'universo delle scienze psicologiche. In psicosomatica, invece, l'oggetto di studio non  omogeneo al metodo analitico poiché il livello biologico ha una sua autonomia che resta irriducibile rispetto agli strumenti metodologici di cui dispone la psicoanalisi.

Il secondo polo  costituito da una "ipotesi massima". I fautori di questa ipotesi sostengono che la psicoanalisi non può occuparsi in linea di principio dei disturbi psicosomatici poiché  un metodo valido solo per l'oggetto psichico, e non ha nulla da poter dire su oggetti ad esso eterogenei. La psicoanalisi non può che basarsi sul dualismo mente-corpo perché fondata sulle rappresentazioni puramente psicologiche. L'aspetto somatico può essere legittimamente considerato solo se assunto come sotto-gruppo della classe logica dello psichico. I sintomi di conversione potrebbero rientrare in questa sotto-classe poiché possiamo formulare ipotesi sui meccanismi intermedi di connessione mente-corpo (il simbolismo d'organo nella conversione). Ma le malattie organiche (come la RCU o il cancro) hanno meccanismi etiopatogenetici complessi e la psicoanalisi  del tutto estranea e impreparata in linea di principio ad avanzare qualunque tipo di ipotesi sulle connessioni del rapporto mente-corpo. Non esisterebbe quindi alcuna continuità con la tradizione analitica o con il patrimonio di modificazioni tecniche in psicoanalisi. Da questo punto di vista, i pazienti psicosomatici non sono personalità borderline tout court. Al contrario, si tratta di pazienti borderline (diagnosi che la psicoanalisi  abilitata a pronunciare) che soffrono anche di una malattia organica.

Anche la "ipotesi massima" incontra seri problemi. Primo fra tutti  l'abdicazione totale su un settore della clinica estremamente diffuso a livello sociale e che pone grossi problemi di assistenza terapeutica. Le sue posizioni sembrano molto ragionevoli e sono largamente condivise dalla comunità psicoanalitica. Ma rischiano di abbandonare il campo senza raccogliere quella sfida epistemologica di ricerca di un livello pi profondo di integrazione mente-corpo che altre scienze stanno raccogliendo entrando sempre pi potentemente nella ricerca clinica e nelle riviste internazionali, anche di livello molto prestigioso e di carattere sia psicologico che interdisciplinare che strettamente medico.

Se adottassimo i punti di vista espressi dalle due ipotesi qui delineate, il caso di Laura assume due configurazioni differenti. Secondo la "ipotesi minima", Laura  una paziente psicosomatica trattata come se avesse un disturbo borderline di personalità. Secondo la "ipotesi massima", Laura  una paziente borderline presentata come se fosse una paziente psicosomatica.

NOTE

(1) Il caso  stato presentato per la prima volta al XXXV International Psychoanalytical Congress di Montreal nel luglio 1987 e successivamente  stato pubblicato sull'International Journal of Psycho-Analysis nel 1988 e sulla Revue Franaise de Psychanalyse nel 1990. Per comodità, ci riferiremo alla versione inglese nell'indicazione delle pagine.
Bisogna premettere un'avvertenza di metodo. Nel corso del lavoro si parlerà di teoria delle relazioni oggettuali e di disturbi borderline. Su questi due concetti non esiste attualmente una unanimità di vedute in psicoanalisi. Per quanto riguarda la teoria delle relazioni oggettuali, assumiamo quanto specificato da Kernberg (1976: 54-8): non ci riferiamo alla teoria specifica della scuola kleiniana ma ad una visione analitica pi ampia che sottolinea la formazione contemporanea della struttura complessiva del Sé e delle rappresentazioni dell'oggetto come determinanti primarie delle strutture intrapsichiche (Es, Io e Super-io). Per quanto riguarda la categoria borderline, essa racchiude molte definizioni di carattere sia psichiatrico che psicoanalitico (personalità schizoidi dei kleiniani, sindromi marginali o personalità stato al limite di Kernberg, disturbi narcisistici di personalità dei kouhtiani) che a volte hanno caratteristiche differenti e altre volte si sovrappongono completamente. Al di là dei modelli psicoanalitici adottati dai diversi autori, noi ci riferiamo ad un fattore comprensivo che accomuna le diverse teorizzazioni: l'identificazione di patologie precoci del Sé che hanno origine in un'epoca primitiva dell'ontogenesi in cui avviene il processo evolutivo di differenziazione del Sé dal non-sé. Questa "area pre-edipica" la si ritrova nelle attuali teorie analitiche sia per la psicopatologia che per la psicosomatica.

(2) Nella teoria di Marty (1980: 11-59), la nevrosi di carattere riguarda una forma clinica di disorganizzazione del livello mentale e di psicopatologia che si cristallizza in una formazione caratteriale stabile nel tempo. In occasione di eventi traumatici, la fragilità del funzionamento mentale e la cattiva interiorizzazione degli oggetti determina una profonda regressione disorganizzativa che non consente di stabilire alcun equilibrio omeostatico durevole e quindi alcuna possibilità riorganizzativa attorno a dei punti di fissazione. In queste situazioni, la debole organizzazione mentale si deteriora ulteriormente sotto la pressione pulsionale, dando luogo ad automatismi comportamentali o ad agiti di tipo perverso. Cronicizzandosi la disorganizzazione, le strutture pi evolute della mentalizzazione (simbolismo, associazioni, metafore, sogni, pensiero astratto, tonalità emotiva del discorso) e della relazione interpersonale (che diventa fredda, impersonale, anaffettiva) scompaiono e si installa un tipo di pensiero che Marty definisce "operatorio" (Marty-de M'Uzan, 1963).

(3) In altri suoi lavori, Lefebvre (1980, 1984) si  rifatto alla teoria della Jacobson (1964) secondo cui il rapporto tra il Sé e l'oggetto può essere ricondotto a tre situazioni paradigmatiche, definite come oneness (de-differenziazione fusionale completa tra soggetto e oggetto), sameness (reduplicazione del soggetto nell'oggetto) e likeness (riconoscimento della differenza tra soggetto e oggetto).

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