PM --> HOME PAGE ITALIANA --> ARGOMENTI ED AREE --> NOVITÁ --> ANORESSIA-BULIMIA


PSYCHOMEDIA
RISPOSTA AL DISAGIO
Anoressia e Bulimia



Approccio dinamico al tema della anoressia-bulimia: sintomo, difesa, ricerca dell'identità e loro trattamento nel gruppo terapeutico

di Stefania Marinelli



Lo studio dell'anoressia ha da sempre avuto una dimensione, oltre a quella strettamente medica, psichiatrica: nel senso delle fenomenologie riportate, delle cure indicate e dell'intrepretazione adottata. Lo studio dinamico è recentissimo; una modellizzazione specifica da parte della psicoanalisi non è stata evidentemente proposta, ma sono state svolte numerose ricerche, tendenti nel loro insieme più a disaggregare i dati che ad organizzarli, più a disarticolare l'idea di una patologia preordinata che a configurarla.

Perché?!. La diagnosi differenziale sembrerebbe infatti nel campo di questa particolare sintomatologia più importante che mai, per almeno tre motivi.
- Il primo riguarda semplicemente la possibilità di distinguere i diversi piani causali, e quindi la loro natura.
- Il secondo la necessità, da parte del curante, di non corrispondere con un pieno - la diagnosi, o meglio la collusione con la diagnosi già stabilita dal sintomo - ad un vuoto - il vuoto di identità che potrebbe celarsi dietro il disordine alimentare.
- Il terzo riguarda propriamente la risposta da approntare per e dopo una corretta diagnosi: intendo la necessità di stabilire se il disturbo anoressico di un paziente sia stato prodotto durante la crisi adolescenziale, cioè nel periodo di ricerca e costruzione dell'identità, o piuttosto in una crisi di regresso, in mancanza della possibilità di integrare parti di personalità in sviluppo e in difficoltà, ma in un periodo successivo.

Insomma l'apparenza del sintomo corrisponde ad una configurazione soggiacente della personalità, oppure la nasconde? In questi diversi casi si tratta evidentemente di porre in campo risposte diverse. Una studiosa di anoressia, H.Bruch, critica nei suoi validi studi fenomenologici e terapeutici, la condotta psicoanalitica, perché troppo "attendista"(Bruch 1978): cito questo aspetto, perché lo considero un tramite di idee relativamente al nostro ambito, molto aderente e qualificante, che porta la nostra attenzione direttamente nel merito del nostro interesse.

Infatti, anche se conviene stabilire che non esista una psicopatologia anoressico-bulimica altro che come stile o addirittura moda prescelta, per esprimere un disturbo non propriamente alimentare, ma soprattutto relativo all'identità, o meglio ancora ad un nucleo fragile del sé, in molti casi risulta appropriato discernere alcune componenti che si ripresentano sempre, associate con questo tipo di disordine della personalità, oltreché del comportamento alimentare. Questo sintomo infatti - e tale lo dobbiamo considerare appunto - può esprimere diverse condizioni (Jeammet P. 1982-'92); ne indicherò alcune.
- La più cospicua riguarda, come si è accennato sopra, il segnale di fallimento dei processi di integrazione delle parti della personalità in sviluppo, nel processo di costruzione e individuazione dell'identità; quindi, è relativa al periodo di definizione dell'identità sessuale e di acquisizione del corpo sessuato: dunque al momento dell'adolescenza (Ferrari A.B. 1994).
- La seconda condizione invece, vorrei prospettarla come inerente alla qualità del sintomo stesso: l'aspetto alimentare è da ritenere espressivo di paure che contengono qualità alimentari: l'essere smembrati, divorati (Anzieu D.1976) e evacuati, sembra un modello che la mente infantile non è stata in grado di evolvere, di trasformare, di sublimare; ad esso sono rimaste legate fantasie, pensieri primitivi, terrori impensabili, che hanno preferito la via corporea e sintomatica all'espressione verbale e alla comunicazione.

Sia il pensiero che la comunicazione e il legame sono rimasti inibiti, o inaccessibili. In una famiglia in cui si ritrova un caso o più casi di anoressia-bulimia, si ritrova anche un serio difetto di comunicazione umana e intersoggettiva. Il sintomo viene scambiato per un problema dietologico e gastro-enterologico, non gli viene assegnato alcun valore espressivo, e viene confinato in uno spazio isolato, privato delle emozioni e dei sentimenti, da dove è difficile, per il curante, disincastrarlo.

Un altro aspetto che si può indicare come generale, anche se diversificato fortemente dalla varianza soggettiva, è relativo alla delusione: la rinuncia anoressica al cibo, o anche l'ingordigia irrefrenabile di cibo, sembrano equivalere alla rinuncia per delusione (di sé, della famiglia, del reale intero). Sembra che la delusione sia quella di accorgersi di aver lottato strenuamente per un falso ideale: spesso quello di difendere il vero sé dalla plasmazione familiare, sentita piuttosto come colonizzazione nociva, eppoi sentire che durante la lotta il vero sé si è svuotato o atrofizzato per mancanza di alimenti; e del falso sé, paradossalmente compiacente, non si può fare un uso creativo. Allora inizia un dramma: la rinuncia al corpo e alla sessualità ne rappresenta la sede.

Si può dire che in questo senso abbiamo toccato un altro aspetto che è molto caratterizzante della condizione di anoressia-bulimia: quello della scissione (vuoi nel senso mente-corpo; vuoi nel senso dell'ambivalenza e la duplicità interne). Sembra che quando le condizioni di precarietà e fragilità siano troppo inoltrate, si renda impossibile contenerle senza fare ricorso alla divisione, o alla duplicazione, e che tale processo di divisione di sé e di duplicazione verso l'altro da sé, possa essere utilizzata allo scopo di sopportare il vuoto; di immaginarlo come pieno; di confondere il mondo interno con quello esterno per essere aiutati a negare la defusione (dalla madre) e la persecuzione del terzo, dell'estraneo (del padre), quando non si siano ancora prodotte le condizioni di sicurezza e stabilità idonee ad elaborarne la presenza all'interno del mondo e dello spazio mentali dell'individuo - o anche, spesso, della famiglia cui egli appartiene.

Purtroppo, frequentemente, un figlio che il medico definisce anoressico o bulimico, viene difficilmente aiutato dalla famiglia, perché ne esprime un difetto, o quella porzione di difetto, che riguarda un'area inelaborata o inelaborabile della sua vita psichica, e soprattutto della sua capacità simbolica (Castellana F.1995). Ma questo tema ci porterebbe altrove, ad un piano che inerisce alla pensabilità dei contenuti caotici e disarticolati della persona e in particolare della sua parte infantile; alla trasmissione trans-generazionale; al tema della nascita e dello sviluppo del pensiero verbale e della capacità simbolica: e cioè alla capacità del bambino di distaccarsi dall'esperienza sensoriale e figurale della presenza dell'altro (della madre), trasformandola in possibilità di presenza simbolica autoriproducentesi, o comunque rifornibile di apporti affettivi di qualità anche non fisica e non continuativa.

Sembra che questa serie di fallimenti dell'esperienza infantile, ricorrendo al momento cruciale del massimo impegno nella costruzione di sé, nell'adolescenza, possa produrre tutta una serie di comportamenti regressivi, difensivi, sintomatici, che servono a schermare l'esperienza di insicurezza profonda; l'idea di aver fallito; la cognizione di affetti familiari o vuoti o troppo appassionati, in ogni caso inibiti o conflittuali; la fantasia di essere non amati o rifiutati, portatori di contenuti addirittura mostruosi; l'illusione di nascondere, svuotando il corpo o riempiendolo troppo, il sentimento di indigenza e di umiliazione. Diete, rituali ripetuti (Rothenberg A.1993), chiusure e ritiri, raptus di voracità, tutto è utilizzato per sfuggire al timore di frequentare se stessi, il proprio interno (negato), e l'altro, il mondo sociale da cui si è stati emarginati.

In questi pazienti ritroviamo spesso, oltreché una vita intellettiva spesso sviluppata e raffinata, anche un mondo di produzioni fantastiche molto attivo e ricco, connotato frequentemente da passioni sociali, mistiche, estetiche, filosofiche (Vandereycken W. 1994): ma questi contenuti, che hanno a che fare con tentativi mal riusciti di sublimare (cfr. cap. 4) un mondo pulsionale in crisi, raramente contengono qualità simboliche agli occhi stessi della persona che ne è portatrice, né flessibilità e indipendenza. Più spesso si tratta di quelle che potremmo chiamare ideologie rigide, che non arricchiscono la vita e la creatività personale, ma servono a schermirsene. Per guarire ci vuole un aiuto, quello che può essere dato solo dal nutrimento, qualora sia accettato, di relazioni buone, calde, accoglienti.

Forse, per rendere il discorso meno astratto e anche meno pessimistico, converrà accennare alla pratica terapeutica dell'Associazione di cui faccio parte e all'interno della quale è specialmente maturata la mia esperienza con questo tipo particolare di pazienti, di cui siamo venuti parlando. L'ABA infatti è nata come un'Associazione insolita: non come Società di medici e psichiatri e psicologi, ma come gruppi che si sono radunati attorno ad una persona straordinaria, che era stata malata di anoressia ed era guarita tramite l'analisi personale, e aveva semplicemente raccontato, in un libro, la sua storia.

All'origine dei gruppi terapeutici dell'ABA dunque, c'è un fatto non deciso nella mente di uno o più operatori come strategia terapeutica ottimale; bensì questa scelta (quella dell'uso del piccolo gruppo terapeutico, nel quale, se è possibile, vengono preferenzialmente immessi i pazienti), è scaturita, se così si può dire, da un'appartenenza sociale spontanea, nata come riconoscimento di sé attraverso il richiamo di qualcuno o qualcosa (Fabiola Declercq e il suo libro) che ne rappresentava la storia, l'identità, le speranze.

Sembra che i pazienti, quando arrivano alla terapia, all'Associazione, abbiano già sentito di appartenere ad un popolo specializzato, vi si sentano riconosciuti e finalmente percepiti, visti e accolti. Il seguito, sarà di competenza dell'operatore: prima quello del Consultorio, nel quale i pazienti vengono visti preliminarmente e, se reputato utile, inviati a far parte di un gruppo di terapia, o, in seconda istanza, a richiedere un trattamento privato. Poi sarà competenza del conduttore di gruppo e del gruppo, creare lo spazio per il nuovo arrivo; oppure crearlo, nella sua mente, come insieme ancora da comporre, se il gruppo non sia già attivo da tempo.

La valutazione di ognuno di questi aspetti richiederebbe una trattazione particolare, e comunque rinvia a questioni di scelte tecniche e quindi di modelli teorici, oltreché operativi. Ciò che qui possiamo accennare, è relativo alla motivazione sulla scelta, da parte dell'Associazione, dell'uso del gruppo, quale strumento di lavoro psicoterapico privilegiato. Infatti non siamo né di fronte ad un sapere costituito che ne indichi la validità; né a esperienze strutturate che ne rivelino l'utilità, in campo nazionale o internazionale: abbiamo invece il riscontro decennale della esperienza nazionale dell'Associazione e di altre con cui essa ha scambi di informazioni e ricerche; una storia della pratica e della teoria dei gruppi in ambito psicosomatico e in ambito psichiatrico e psicoanalitico; una modellizzazione che negli ultimi decenni ha preso sostanza e ordine, particolarmente nel campo che utilizza le esperienze e gli studi dello psicoanalista inglese W.R.Bion sui fenomeni di gruppo.

La riflessione conduce a considerare alcune utilità nell'uso del gruppo:
- la prima riguarda sicuramente il suo ambito certo e, diremo così, fisiologico, quello dell'adolescenza
- la seconda invece riguarda il gruppo visto come luogo dove l'affrontamento del rapporto identità-alterità diventa urgente e indispensabile, più di quello della relazione duale (mi riferisco al rapporto di psicoterapia individuale), all'interno della quale le quote di indistinzione possono restare più a lungo non sollecitate o meglio non sollecitate a prendere una posizione.

Al contrario, all'interno di un gruppo, le quote più collettive e indistinte della personalità dei suoi membri, vengono rapidamente spinte a creare un insieme, per esempio un'esigenza comune (nel caso di cui parliamo, quella di mantenere una condizione di indistinzione fra sé e l'altro da sé, protetta dall'illusione collettiva), o comunque un prodotto comune, che non sarà sentito come la somma degli apporti personali (di desiderio, bisogno, illusione), ma che potrà essere riconoscibile come sovradeterminazione collettiva: ciò che può recare il conforto di un aiuto impersonale - cioè meno legato alla dipendenza e quindi sentito in modo meno persecutorio - e che può consentire l'esperienza di non essere premuti a fondare precocemente un'identità personale, che, come abbiamo visto, è stata così difficile da costruire.

Un altro elemento utile del gruppo, qualora riesca a formare quell'ambiente affettivo e di pensiero capace di produrre accoglimento, legittimazione, e di compiere esperienze maturative e di restituzione trasformativa, è quello di offrirsi come luogo di appartenenza collettiva di natura esclusiva e di costituire un patrimonio di affetti, idee, memoria, che può proteggere anche l'esperienza esterna del mondo reale dei suoi partecipanti, essendo sentita come tesoro internalizzato che accompagna la persona dal suo interno, e che nel tempo potrà restituire, attraverso le identificazioni multiple del gruppo e il lavoro analitico che esso avrà svolto, capacità di individuazione di sé e di amore.

Ma forse converrà valorizzare il fatto che anche con i lettori stiamo formando appunto un gruppo, e potremo utilmente contribuire insieme a chiarire le nostre domande, o a cercare insieme le nostre risposte.

BIBLIOGRAFIA

Agostini S.(1995), Il tempo in/fame:per una lettura del disturbo anoressico, in:" Il corpo e i suoi fantasmi", Rivista di Psicologia Analitica, I5
Anzieu D. (1976), Il gruppo e l'inconscio, Borla, Roma 1979
Bion W.R. (1961), Esperienze nei gruppi, Armando, Roma 1971
Bruch H.(1978), La gabbia d'oro, Feltrinelli, Milano 1983
Castellana F. (1995), Il corpo stremato, in: "Il corpo e i suoi fantasmi", Rivista di Psicologia Analitica, 51
Corrao F.(1981), Il concetto di campo come modello teorico, Grupppo e funzione analitica,1
Correale A.(1991), Il campo istituzionale, Borla
Declercq F.(19 ), Tutto il pane del mondo,
Ferrari A.B.(1994), Adolescenza la seconda sfida, Borla, Roma-Rothenberg A.(1993), Adolescenza e disturbi alimentari: la sindrome ossessivo-compulsiva, in: Adolescenza, 4,2, Il Pensiero Scientifico
Jeammet P.(1972-1992), Psicopatologia dell'adolescenza, Borla, Roma,1992
Kaes R.(1976), L'apparato pluripsichico: costruzioni del gruppo, Armando, Roma 1983
Kohut H.(1966), La ricerca del sé, Boringhieri, Torino 1982
Marinelli S.(1995), Transfert istituzionale e rito in un gruppo di pazienti anoressiche, in: La domanda impossibile: dai primi colloqui all'entrata nel gruppo, a cura di L.Baglioni e M.Recalcati, F.Angeli, Milano
Neri C.(1995), Gruppo, Borla, Roma
Rosini E.(1995), Considerazioni sui disturbi alimentari: modelli conoscitivi ed espressioni mitologiche, in: "Il corpo e i suoi fantasmi", Rivista di Psicologia Analitica,5
Tagliacozzo R.(1986), Il Servizio di un DSM visto dal punto di vista di uno psicoanalista: modelli relazionali ed eventi trasformativi psichici, Gruppo e funzione analitica, VII,3
Vandereycken Ron van Deth W.(1994), Dalle sante ascetiche alle ragazze anoressiche, Cortina, Milano 1995
Winnicott D.W.(1971), Gioco e realtà, Armando, Roma 1974


PM --> HOME PAGE ITALIANA --> ARGOMENTI ED AREE --> NOVITÁ --> ANORESSIA-BULIMIA