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PSYCHOMEDIA
RISPOSTA AL DISAGIO
Anoressia e Bulimia



Rappresentazione di Anima et di Corpo

di Antonio Ciocca

(Questo articolo è stato pubblicato in Archivio di Psicologia,
Neurologia e Psichiatria, 1995, LVI, 2-3:189-204)



In epoca medievale, dai Contrasti italiani alle Moralités francesi ed alle Morality plays inglesi, è molto diffuso un genere di sacra rappresentazione di tipo allegorico in cui due entità astratte espongono e dibattono opposte tesi a fini di edificazione morale del pubblico. Queste composizioni erano dialogate e spesso anche messe in musica ed in esse viene visto l'antecedente storico da cui si svilupperà poi il melodramma e l'opera. L'esecuzione della Rappresentazione di Anima et di Corpo di Emilio De Cavalieri all'Oratorio della Vallicella nel 1600 viene infatti ricordata come antecedente del melodramma italiano (Ferrari-Barassi, 1977).

Anima e Corpo frequentemente comparivano in tali composizioni per rappresentare ed opporre tra loro le ragioni della vita spirituale e quelle della vita materiale, illustrando spesso i lamenti ed i travagli dell'anima imprigionata nel corpo ed il suo desiderio di liberarsene per tornare ad essere puro spirito e così godere delle gioie della perfezione e della santità.
L'idea di queste Rappresentazioni la proponiamo per indicare in modo allegorico un modello della psicopatologia dei disturbi del comportamento alimentare fondato sul drammatico confronto della mente e del corpo che si sviluppa come esito dissociativo di difficoltà del processo di integrazione psicosomatica che caratterizza la vita psichica di queste pazienti.

I disturbi del comportamento alimentare

Il quadro dei disturbi del comportamento alimentare si sta attualmente evolvendo dal punto di vista terminologico e presenta problemi di distinzione e di sovrapposizione tra le varie sindromi.
La nuova sezione dei Disturbi del Comportamento Alimentare del DSM-IV ha abbandonato la nozione di bulimarexia e distingue sia per la anoressia che per la bulimia dei sottotipi a seconda delle pratiche adottate dalle pazienti per il controllo del peso ( tipo restrittivo e binge-eating /purging per la anoressia e tipo purging / non-purging per la bulimia) raggruppando come EDNOS, eating disorders non altrimenti specificati le condizioni che non rientrano pienamente nelle situazioni descritte come anoressie con ciclo o con peso regolare a cui viene aggiunta una nuova categoria, BED Binge Eating Disorder in cui ricorrenti episodi di assunzione incontrollata di cibo si accompagnano a vergogna e disgusto di sè come nella bulimia senza però il ricorso alle pratiche di compenso per il controllo del peso (DSM-IV,1994).
Fondatezza ed utilità di queste distinzioni devono naturalmente essere discusse e passare quindi al vaglio degli accertamenti della statistica e soprattutto della validazione della clinica.

La propensione nostra che vorremmo sostenere è per una concezione unitaria dei disturbi del comportamento alimentare che possa collegare anche teoricamente queste diverse espressioni sintomatiche che spesso sono collegate nella clinica dove si sa che esse ad esempio si possono alternare in fasi evolutive diverse nella stessa persona mettendo di volta in volta in primo piano il più rigido controllo del corpo attraverso la dissociazione psicosomatica ed il digiuno, ed è la anoressia, oppure la perdita più o meno ciclica del controllo con conseguente comportamento alimentare caotico, ed è la bulimia, oppure infine l'incapacità stabile di qualsiasi controllo del comportamento alimentare, ed eventualmente anche di altri comportamenti, come ad esempio nelle forme psicogene di obesità e sovrappeso (Beumont,1988).

Ricordiamo che circa la metà delle pazienti anoressiche ha avuto od ha crisi e comportamenti bulimici (Casper et al,1980) e che tra il 30% e l' 80% le pazienti bulimiche hanno una storia precedente di anoressia (Mitchell et al,1985). Secondo Kassett et al,1988 poi, se negli anni passati il modello più comune era che le pazienti anoressiche diventassero poi bulimiche, ora invece diventa sempre più frequente lo sviluppo prima della bulimia e poi la sua evoluzione in anoressia.

La struttura psicopatologica

La psicopatologia di questi disturbi è molto complessa ed ha avuto interpretazioni eterogenee.
Ricordiamo brevemente come in essa si sia vista in passato una forma dell'isteria, soprattutto da parte dei primi autori psicoanalitici (Waller et al., 1940 ) e poi una forma di disturbo ossessivo ( proposta originaria di Palmer e Maxwell Jones,1938 ripresa e sostenuta da Rothenberg,1986,1990) oppure ancora una forma dissociativa (da Nicolle, 1939 che la considerava una forma pre-psicotica a Bischof,1992). A questo proposito, un pioniere degli studi della anoressia, L.V. Marcé l'aveva già definita nel 1860 delirio ipocondriaco ( Silverman, 1989) ed anche gli autori psicoanalitici avevano messo in evidenza gli aspetti psicotici della struttura psicopatologica e del transfert delle pazienti anoressiche . Così già nel 1940 in una conferenza tenuta alla Boston Psychoanalytic Society e pubblicata poi dal suo biografo Paul Roazen, Helene Deutsch aveva affrontato questi temi e notato la difficoltà legata alla peculiare compiacenza che queste pazienti dimostrano ( Deutsch,1981) e risale al 1943 la osservazione di Eissler sul difetto dello sviluppo dell'Io in queste pazienti che comporta una perdita od una inibizione di quelle sensazioni corporee che sono alla base di ciò che egli chiamava "sentimento di vitalità"( Eissler,1943).

Come hanno affermato Jessner e Abse, 1960 "la anoressia nervosa con i suoi aspetti isterici, fobici, ossessivi, psicosomatici e psicotici e tendenze suicidarie sembra condensare la intera potenziale patologia dell'adolescenza" e secondo alcuni autori la si potrebbe considerare come un disturbo transnosografico (Jeammet,1991; De Risio,1991).
In realtà ci sembra che ognuno di questi accostamenti diagnostici costituisca un vero avvicinamento psicopatologico alla struttura della anoressia. Ad esempio, come nella isteria si ha "la sostituzione di uno stato corporeo ad un problema personale...( che viene così) ignorato in quanto tale" (Fairbairn,1954) e come nella ossessività la paziente anoressica è impegnata in uno sforzo mentale in cui il pensiero non è teso alla elaborazione ed alla comprensione della esperienza della realtà ma al controllo dei processi e dei contenuti del pensiero stesso. A proposito di questo aspetto intellettuale, ricordiamo come un altro pioniere degli studi sull'anoressia, il medico inglese Richard Morton che descrisse nel 1694 vari casi di "Consunzione nervosa" li attribuisse, come i casi della "figlia del Signor Duke" e del "figlio del Reverendo Steele" allo "star sempre sui libri", segno appunto di una patologia dell' intelletto ( Bhanh e Newton, 1985). I fenomeni psicotici di dissociazione colgono le caratteristiche del rapporto della mente con il corpo in queste pazienti che propriamente costituiscono un nucleo di follia intorno al quale pensiamo si organizzi la sintomatologia anoressica.
Vorremmo soffermarci su questo aspetto.

In effetti, per quanto riguarda l'anoressia, dal punto di vista psicopatologico sono presenti sia una caratteristica configurazione relazionale che una intrapsichica che sono strettamente analoghe per struttura e significato (Jeammet,1995) per cui in definitiva sia l'oggetto esterno, vale a dire gli altri, che quello interno, e cioé il corpo, vengono schiavizzati al servizio della follia interna.
Naturalmente il fatto che generalmente l'oggetto esterno schiavizzato sia la madre illumina sul fallimento evolutivo della ragazza anoressica per mancata distinzione e separazione dalla madre come originariamente sostenuto dalla Bruch e da molti altri dopo di lei.

C'è però una riflessione da fare sull' aver notato come oggetto interno il corpo. Noi in effetti pensiamo che il nucleo folle possa consistere proprio nella pretesa di trattare il corpo, che è un oggetto reale ed in rapporto con la realtà, come un oggetto interno, vale a dire, in fondo, come se fosse un oggetto mentale e quindi creazione o prodotto della attività mentale stessa. La dissociazione psicosomatica possiamo vederla come effetto di questa straordinaria pretesa della mente nei confronti del suo corpo, di non riconoscerlo nella sua realtà, di negarne una sua consistenza fisica, di imporre una specie di coprifuoco mentale che ne cancelli i segni di esistenza e di resistenza. Per proseguire la metafora bellica, diventa allora necessario procurarsi ostaggi e prigionieri che fungano ai compiti fisici che la paziente rifiuta per cui la configurazione relazionale risulterebbe secondaria e motivata proprio dal bisogno di dover mantenere e sostenere la dissociazione. Come antesignano di tale teoria possiamo considerare Lasègue stesso, il grande clinico francese che per primo ne affrontò la psicopatologia e ne intuì il nucleo di malattia nella perversione intellettuale che assicura una patologica tranquillità mediante il disconoscimento dello stato fisico (Lasègue,1873).

Anche in questo caso dobbiamo riprendere in fondo l'intuizione di Freud che in una lettera a Fliess del 1895 aveva parlato della struttura melanconica dell'anoressia (Freud,1889) riferendosi al lutto per la perdita della libido che noi oggi possiamo intendere come lutto per una immagine ideale di sè, che è quella mentale ed incorporea, libera dal bisogno al cui provvedimento viene appunto delegata la madre.
Ora, all'apparenza, non vi è molto in comune tra la rigidità e la severità del comportamento delle anoressiche e l'impulsività ed indisciplinatezza di quello delle bulimiche a cui fa difetto proprio il controllo intrapsichico e che mancano inoltre della tipica configurazione relazionale anoressica. Se pensiamo tuttavia che il fondamento del loro comportamento impulsivo risieda nell'incapacità di raggiungere il soddisfacimento psichico attraverso quello fisico perchè le sensazioni sia di natura alimentare che sessuale vengono vissute in modo dissociato (Hogan,1983) ed in fondo corpo e mente rimangono recoprocamente estranei, allora possiamo vedere che l'esperienza che queste persone fanno di se stesse non è poi molto diversa da quella delle anoressiche e che entrambe presentano una analoga incapacità della mente ad entrare in contatto con il proprio corpo.

Le pazienti anoressiche presentano mancanza di percezione non solo della fame e della sazietà ma anche del dolore fisico fino ad una vera e propria perdita della consapevolezza corporea (Garfinkel e Garner,1984). Anche le pazienti bulimiche presentano alterazioni della percezione corporea, dalla valutazione visiva ( Franzen et al,1988) alla soglia percettiva tattile e pressoria (Florin et al,1988) e gli obesi poi rivelano una caratteristica difficoltà nella decifrazione dei linguaggi della cinestesia e della propriocezione (Slochower,1983) che ha fatto anche pensare ad un aspetto di lateralità, vale a dire ad una prevalenza dell'emisfero sinistro che presiede alla espressione verbale (Weisz et al.,1990).

Il riconoscimento, la differenziazione e la comunicazione verbale delle emozioni, misurate mediante il costrutto della alessitimia, risultano impoverite sia nella anoressia ( Bourke et al,1992; Taylor et al,1991) che nella bulimia ( Cochrane et al,1993; Jimerson et al, 1994) e forse anche nella obesità (Clerici et al, 1992). In particolare, le pazienti anoressiche sono più alessitimiche di quelle bulimiche ma nella bulimia la alessitimia sembra essere un tratto più stabile che non si modifica con il miglioramento clinico ma solo con il trattamento psicoterapico ( Schmidt et al,1993).
Lo studio degli episodi di eccesso alimentare condotto con accurati resoconti soggettivi della esperienza ha messo in luce processi di restringimento, decostruzione e destrutturazione della coscienza come mostrano la identificazione delle azioni in base alle sensazioni ed ai movimenti immediati piuttosto che in base a movimenti complessi e modelli e scopi significativi (Vallacher e Wegner,1987) ed inoltre l' aspetto concreto del pensiero, l' immediatezza degli scopi, la rigidità cognitiva e la temporalità circoscritta (Baumeister,1990).

Secondo Heatherton e Baumeister,1991 in questi episodi la riduzione della attività di pensiero ai livelli più bassi di consapevolezza fino alla sola coscienza delle sensazioni e dei movimenti muscolari e quella analoga del campo e del livello della attenzione agli stimoli presenti ed immediati ha un significato difensivo di fuga dalla consapevolezza di sè che sarebbe fonte di conflitto e di angoscia ( escape theory) ma comporta in tal modo per l' esclusione stessa dei livelli elaborativi e di controllo del pensiero l' impossibilità della esperienza di soddisfacimento.
Gia Garfinkel e Garner,1982 avevano messo in relazione l' egocentrismo e la preoccupazione narcisistica di queste pazienti con una loro difettosa consapevolezza "interocettiva" per cui la ridotta percezione e valutazione degli stati interni porta ad esasperare la loro sensibilità alla esteriorità, alla apparenza ed al giudizio degli altri.
Queste riflessioni illuminano anche l'impulso a ferirsi, in genere in modo lieve ma talvolta anche gravemente, che è spesso associato ai disturbi del comportamento alimentare (Favazza, 1987) e che, per quanto autodistruttivo possa apparire, costituisce spesso un tentativo di entrare in contatto con il corpo, di percepirlo e possederlo (Cross,1993).

L'obesità è stata meno studiata da questi punti di vista ma anche in essa Hilde Bruch era riuscita a riconoscere fondamentali analogie con gli altri disturbi del comportamento alimentare.
In questi disturbi possiamo quindi affermare che vi è una alterazione del rapporto con il corpo che va ben al di la del sintomo alimentare, una alterazione che riguarda in modo profondo l'esperienza stessa del corpo, dell' avere un corpo e non solo la sua immagine "estetica" o sessuale, come dimostrano i casi di anoressia in giovani congenitamente cieche (Bemporad et al.,1989), quelli in età prepubere (Chatoor,1989; Mouren-Simeoni e Bouvard, 1993; Lask e Bryant-Waugh, 1992) e nella prima e primissima infanzia (Debray, 1993).

A proposito di queste forme così precoci di anoressia, Irene Chatoor ha parlato di fallimento dello sviluppo della integrazione somatopsichica per cui il comportamento alimentare del bambino viene ad essere dettato dai bisogni emotivi invece che dalle sensazioni fisiologiche della fame e della sazietà (Chatoor,1989). Anche Rosine Debray parla di fallimento della prima integrazione psicosomatica per spiegare la intolleranza alla manipolazione ed alla posizione di passività che permette lo accudimento che si manifesta in questi bambini fin dalla nascita, intolleranza che potrebbe essere in relazione con gravi difficoltà della prima regolazione della coppia madre-bambino (Debray, 1993).

Il processo di integrazione psicosomatica

La visione evolutiva delle attuali ricerche dello sviluppo infantile è in grado di mettere in relazione e collegare gli aspetti relazionali nel cui contesto avviene lo sviluppo psicologico del bambino ed i disturbi e le difficoltà che questo sviluppo incontra anche nelle sue fasi più precoci (Stern,1988,1989; Emde,1989; Sander,1987).
Questa visione ci permette di verificare ed approfondire la concezione evolutiva di questi disturbi che era già stata proposta da Hilde Bruch.
Ella aveva infatti sottolineato la grande importanza del meccanismo di inclusione narcisistica della figlia o del figlio nei bisogni di uno o di entrambi i genitori e quello della focalizzazione sull'alimentazione delle preoccupazioni emotive dei genitori per cui il cibo diventa il mezzo preferito per dare conforto e sollievo ed esprimere o negare attaccamento ed affetto. L'inclusione narcisistica porta poi la madre ad una relazione di iperprotezione ansiosa che inibisce la crescita autonoma e lega i figli alla dipendenza dai genitori che divente in adolescenza gravemente conflittiva (Bruch,1973).

Noi oggi sappiamo come la disponibilità materna ad accogliere, tollerare ed elaborare gli stati affettivi ed i messaggi comunicativi del bambino sia un fattore importante per lo sviluppo nel bambino stesso della capacità di discriminare e modulare i propri bisogni e di esprimere adeguatamente i propri stati affettivi.
Per la madre, d' altronde, l'incapacità a riconoscere e differenziare i bisogni del figlio è fonte di grande insicurezza che la porta a rispondere con "la saturazione immediata ed uniforme di ogni richiesta del bambino... La soddisfazione immediata del bisogno prima ancora che il desiderio sia stato elaborato, non può non schiacciare dei momenti importanti dello sviluppo."( Kreisler et al.,1976).

Vi sono quindi fattori critici nello sviluppo della organizzazione della cerniera tra intrapsichico e relazionale (Norsa e Seganti,1993) a cui la teoria psicoanalitica si è sempre riferita anche se con vari termini e con varia sottolineatura di accento, dalla introiezione di Freud alla identificazione proiettiva ed introiettiva di Melanie Klein ed ai modelli operativi interni di Bowlby, in cui sostanzialmente si afferma che il sistema relazionale della coppia madre-bambino e della famiglia funge da mediatore dello sviluppo nel bambino di capacità e sistemi di autoregolazione di complessità crescente con cui egli poi si determina e viene anche naturalmente determinato.
Horowitz et al,1992 ha recentemente schematizzato i processi do organizzazione e di strutturazione della autoregolazione in quattro fasi. La prima fase di regolazione biologica in cui si produce la armonizzazione delle funzioni fondamentali del bambino con i suoi ritmi del ciclo alimentare e di quello sonno-veglia in coordinazione con la madre fino allo stabilirsi di una sorta di sincronia di fasi tra di loro. Questa fase di regolazione biologica rappresenta il modello precoce della regolazione psicologica che avviene già a partire dalla seconda fase in cui la regolazione degli affetti, vale a dire la modulazione della loro intensità e la loro successiva discriminazione si sviluppa nel contesto di condivisione degli stati affettivi con la madre e di cammino progressivo alla loro regolazione congiunta. La terza fase è legata all'emergere della capacità di locomozione che mette in gioco la regolazione ed il controllo del comportamento mentre la quarta fase è legata allo sviluppo delle capacità simboliche e rappresenta il fondamento della autoconsapevolezza.

Al buon andamento di questi processi sono legati aspetti fondamentali della esperienza soggettiva come "il senso di essere agente o assertività" (Lichtenberg,1983), la "vitalità" (Stern,1985), il senso di efficacia (Broucek,1979).
In questi processi vi sono anche le precoci radici evolutive della integrazione psicosomatica. Le alterazioni di questo processo si manifestano in clinica come disturbi sia degli aspetti percettivi e cognitivi della capacità di ricezione degli stati interni e della loro discriminazione e differenziazione che degli aspetti emozionali, vale a dire della struttura, regolazione e controllo degli affetti e degli impulsi.
La teoria psicoanalitica, a seguito soprattutto dell'opera e del pensiero di Bion, ha messo in luce come la funzione della mente nasca e si sviluppi attraverso un processo di apprendimento dall'esperienza emotiva e quindi di continua trasformazione, processo che è determinato fondamentalmente dall'equilibrio tra bisogno difensivo di evitamento e possibilità di elaborazione maturativa dell'esperienza emotiva stessa, equilibrio che si sviluppa nel bambino in interazione con la mente della madre, con la sua capacità e sensibilità (Bion,1962).

Il vissuto emozionale viene a far parte di un processo le cui tappe Bion ha proposto di classificare in una griglia secondo una scala di crescente significato mentale dei fenomeni, dalla sensazione alla emozione, dal sentimento al pensiero fino al ragionamento astratto.
In particolare la transizione tra sensazione ed emozione, vale a dire tra processi più direttamente legati al corpo e processi con significato psicologico implica procedure mentali di percezione, registrazione ed elaborazione che in modo analogo al processamento della informazione esterna trasformano e danno significato e contenuto emotivo alla esperienza (Ferrari,1992).
L'emozione viene così ad essere il nodo che lega fisicità e psichicità producendo e sostenendo la integrazione psicosomatica in un processo che nel bambino è assistito dalla mente della madre. In particolare aspetti precoci e peculiari della sensorialità possono venire a funzionare come organizzatori psichici, vale a dire come perni attorno a cui si dispone la organizzazione della mente.
Difficoltà a questo livello, nel processo di contenimento e modulazione delle emozioni, producono effetti disintegrativi tra il funzionamento mentale e quello corporeo che costituiscono la genesi dei disturbi psicosomatici (Bion,1981).

La dissociazione psicosomatica possiamo vederla come il nucleo dei disturbi del comportamento alimentare che ha come suo effetto la separazione della mente dal corpo, con la egemonia assoluta della mente e la negazione ed abbandono del corpo nella anoressia, la lotta continua ed il loro ciclico prevalere nella bulimia oppure infine il consolidamento della secessione per cui la mente non riesce più a governare il corpo (Ferrari,1992).
Come è stato già ricordato, sviluppando il modello bioniano Armando Ferrari (1992) ha definito il sorgere ed il mantenimento della funzione mentale come Eclissi dell'Oggetto Originario Concreto intendendo per oggetto originario concreto il corpo e per eclissi il processo di registrazione e modulazione dell'attività sensoriale da cui si originano le emozioni ed i processi simbolici di pensiero che mettono alla fine per così dire "in ombra" le basi originarie e concrete del processo stesso che rimangono di conseguenza "contenute" nel corpo. L'ipotesi proposta da Ferrari postula che "sotto la spinta delle percezioni sensoriali violente e marasmatiche, pericolose anche per un armonico funzionamento fisico (coordinamento tra sistema nervoso,endocrino, vascolare, etc.) ed in presenza della mente materna, della sua importantissima funzione di rêverie, l'apparato mentale inizia la sua funzione che è, insieme, di registrazione e di contenimento...La violenza delle percezioni sensoriali che debbono essere contenute, e la presenza della rêverie materna ci mostrano immediatamente che la eclissi dell' Oggetto Originario Concreto si realizza in un duplice rapporto duale: uno esterno, che include la madre ed il bambino, ed uno interno, intrapsichico, che include invece la mente e l' Oggetto Originario Concreto"(Ferrari,1992).

In varie condizioni cliniche è possibile osservare problemi e difficoltà in questo processo. Nella crisi di panico, ad esempio, si realizza in modo fulmineo ed istantaneo le reversibilità di questo processo che costituisce l'attività mentale per cui viene a mancare la funzione di contenimento e regolazione che essa esercita ed il paziente si trova esposto alla invasione marasmatica del corporeo e del fisico con la sensazione di "star per perdere la testa ed il corpo"( Ciocca e Procaccio,1994) ed è il desiderio onnipotente di controllo di tale processo che ci sembra in atto nelle condizioni di esperienza drogastica dove l'ingestione della droga serve a produrre attraverso il corpo gli stati mentali che si desidera avere e ad eliminare quelli indesiderati o non tollerati (Ciocca,1993).
Queste riflessioni nascono insomma dal fatto che dal punto di vista della mente, è il corpo con la sua sensorialità e ricettività che veicola e mette in contatto con la realtà ed è quindi attraverso il corpo che la mente può cercare di combattere la battaglia più radicale per tagliare alle radici le fonti di quello che potrebbe diventare conflitto psichico. In modo analogo a quanto Freud aveva intuito quando parlava della Reizschutz, dello schermo antistimolo come parte integrante del sistema ricettivo percezione-coscienza (Freud,1924), il controllo del corpo che è tramite della realtà può assicurare alla mente il controllo della realtà, in particolare tener ferma la realtà che cambia.

E' poco noto che danze come il mambo derivano in realtà da riti vudù dove il ritmo del movimento al rullo dei tamburi serve ai partecipanti per la identificazione con il movimento cosmico che deve essere poi arrestato all' inizio della cerimonia in modo che possa compiersi la magia che ha bisogno di uno spazio e di un tempo propri che non sono quelli della realtà (Deren,1953).
Rifacendoci a Santillana che ha riscoperto nella mitologia la necessità di fermare la realtà ed il suo movimento perchè si compia l'atto magico, diremo che la magia della mente della anoressica si realizza fermando il corpo e con esso la realtà (Santillana e Dechend,1969).
Il desiderio di tener bloccato il corpo e con esso la realtà in modo da non doverci pensare più è propriamente il nucleo folle della ragazza anoressica perchè il corpo non può che continuare a dar segnali di sè e quindi anche della realtà, anzi segnali sempre più forti ed intensi che invadono e soggiogano tutta la mente della paziente e la costringono a non riuscire mai a fermarsi nella ricerca del peso ideale pur da lei stessa stabilito.
Per capire perchè la paziente anoressica abbia bisogno di evitare il conflitto emotivo tagliando via ed eliminando le radici corporee e sensoriali del conflitto stesso e quindi si costringa al più rigido controllo del corpo come fonte delle percezioni della realtà sia interna che esterna dobbiamo far ricorso alle possibili ragioni dell'intolleranza del conflitto emotivo troppo nutrito di odio e violenza, conflitto relativo alla crescita, alla funzione sessuale, alla responsabilità di essere se stessa.
Tra queste ragioni va annoverata la esperienza della precocità del ricorso a modalità mentali di evitamento dei conflitti con il successo di condotte di tipo role reversal che costituiscono la base della fiducia nell'onnipotenza mentale con l'investimento nello studio od in attività intellettuali che va di pari passo con un a condotta in apparenza remissiva e condiscendente.

L'intervento terapeutico

La storia naturale dei disturbi del comportamento alimentare e ancora oggi poco definita e vi sono molti problemi che devono essere chiariti riguardo alla evoluzione, agli esiti ed ai fattori che ne possono influenzare il decorso in senso positivo o negativo (Vandereycken e Meermann,1992) per cui le indagini sui risultati delle varie terapie in uso per anoressia e bulimia non si possono considerare conclusive. Certo si può notare che vi è un ampio spettro di interventi terapeutici che vengono tentati, anche molto eterogenei e diversificati, e questo di per sé è segno di smarrimento e di difficoltà.
Si è sostenuto a lungo e da parte di molti che psicoanalisi e psicoterapia psicoanalitica non fossero indicati in questi disturbi ed anzi dalla evidente difficoltà che questi trattamenti incontrano con queste pazienti si è voluto far discendere l' incapacità della psicoanalisi a capire la natura stessa di questi disturbi e quindi la necessità di far ricorso a teorie alternative o contrapposte alla psicoanalisi stessa. L' assunzione contrapposta più radicale è stata naturalmente quella del "Black box" propugnata da comportamentisti e sistemisti della famiglia che ha mirato ad escludere il fondamento stesso della psicoanalisi vale a dire il riconoscimento della natura soggettiva della esperienza. Molta acqua è passata sotto questi ponti e si può dire che oggi non c'è più traccia di queste posizioni anche in chi le aveva assunte con molto clamore.

Molta acqua è passata anche per la psicoanalisi che ha rinnovato teoria e tecnica di fronte alle acquisizioni della psicologia dello sviluppo e delle scienze cognitive ma soprattutto per la evoluzione della psicoanalisi stessa dovuta all'opera profondamente creativa di persone come Bion capaci di rinnovare e rielaborare la teoria stessa della mente.
Tutto questo ha fornito una diversa attrezzatura mentale per affrontare in psicoterapia di disturbi come quelli del comportamento alimentare e per meglio capirne la struttura, anche se naturalmente ciò non significa affatto che il loro approccio e trattamento sia diventato più semplice.
Per quanto riguarda la psicoanalisi e la psicoterapia psicoanalitica alcuni dati recenti convergono nell'indicarne l'utilità ma anche la difficoltà ed impegnatività (Jeammet et al, 1991; Bemporad et al,1992a; Bemporad et al,1992b; Herzog et al.,1992 e per la bulimia nervosa Hartmann et al., 1992).
Pensiamo che in questi casi abbia grande importanza la possibilità di mettere in luce il modo di funzionare della mente del paziente nei suoi processi di elaborazione delle esperienze emotive. Prestare attenzione a questi processi significa osservare e discutere i "modi con i quali l'analizzando dispone la propria mente nei confronti dei prodotti della stessa...ossia sensazioni, sentimenti, pensieri e dati di realtà"(Ferrari,1986) con lo scopo di promuovere la crescita mentale sostenendo e favorendo l'assunzione da parte del paziente di un ruolo attivo nei confronti dei propri stati mentali.
Se si rivolge l'attenzione a questi processi si possono mettere a fuoco le difficoltà che i pazienti possono incontrare nell'affrontarli ed aiutarli efficacemente accompagnandoli nella esperienza senza prevaricarli.

Come sappiamo una difficoltà grave con queste pazienti è la condizione di scissione e dissociazione che si traduce in una forte angoscia di contatto di natura claustrofobica. Poter affrontare questo aspetto è spesso decisivo per le sorti del trattamento ma, come scrive Ferrari, bisogna "considerare che, quando la scissione non rientra, il soggetto non ha, o crede di non avere, le condizioni per metabolizzare il problema che ha allontanato da sé" ed allora "ciò che realmente prevale è l' impossibilità del soggetto di affrontare la scissione in sé". Si rivela utile poter esplorare con il paziente il suo funzionamento mentale prevalente ed indicargli le teorie che lo guidano e lo imprigionano. "Nella pratica clinica con adolescenti anoressiche si è sovente presentato un sostrato di tipo claustrofobico, dove l' anoressia ha chiare funzioni difensive. Se l' analista propone come vertice di osservazione gli aspetti claustrofobici, l' adolescente anoressica si rende conto di essere lei stessa prigioniera di una teoria secondo la quale il corpo deve essere messo in prigione, rinchiuso e controllato, essendo un elemento sovversivo"( Ferrari,1994).

Il lavoro analitico si propone così " un duplice obiettivo che si riferisce alle emozioni e alle possibilità di consapevolezza:

a) aiutare il paziente in ogni suo vissuto a dar posto alle relative emozioni, sopportandole e facendone esperienza;
b) fargli vedere l'uso che fa della sua mente che, spesso, sembra più indirizzato a mantenere le difese contro le emozioni che ad essere presente nelle situazioni del momento"(Bon De Matte, 1990).


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