PM --> HOME PAGE ITALIANA --> ARGOMENTI ED AREE --> NOVITÁ --> DISTURBI DELLA COMUNICAZIONE

PSYCHOMEDIA
RISPOSTA AL DISAGIO
Disturbi della Comunicazione



La balbuzie.
Dall'osservazione alla teoria

di Francoise Le Huche (1)



La balbuzie è un fenomeno complesso che viene descritto classicamente come un disturbo della fluenza della parola.
Tre sono le specie di complicazioni - i balbettamenti (o disfluenze) - che turbano effettivamente il corso della parola del balbuziente: le ripetizioni di sillabe (o di parole o di frasi), i blocchi e gli arresti momentanei durante i quali la parola resta per alcuni secondi come sospesa. Si parla di balbuzie clonica se predominano le ripetizioni, di balbuzie tonica se si osservano soprattutto dei blocchi e di balbuzie per inibizione nel meno frequente terzo caso. Ma si tratta d’una classificazione contestata nella misura in cui non corrisponde a categorie ben definite.
A queste complicazioni bisogna aggiungere i prolungamenti dei suoni che riguardano alcune consonanti o vocali che si prolungano per parecchi secondi, le parole d’appoggio, brevi parole o locuzioni senza rapporto con il senso (dunque, si ma, e poi, cioè...) che s’inseriscono in maniera fraudolenta nella frase.
Eventualmente si possono ancora osservare dei disturbi accompagnatori: movimenti involontari (tic, smorfie...), l’evitare o il fissare lo sguardo, l’ansimare respiratorio...
Ma c’è una cosa che sfugge all’osservazione esterna e che caratterizza meglio la balbuzie che i balbettamenti e tutto ciò che può accompagnarli. Si tratta, tranne che al momento della recita, del gioco teatrale, del canto e (qualche volta) della lettura, dell’ incertezza, in cui si trova la persona balbuziente riguardo al buon svolgimento della sua parola in corso o prossimo.
I balbettamenti sono evidentemente ciò che si nota di più, ma essi possono mancare totalmente in un balbuziente grave che controlla costantemente la sua parola sapendo che la balbuzie aspetta soltanto l’allentamento di questa sorveglianza per ricomparire.
D’altronde i balbettamenti - meno frequenti e meno evidenti - esistono anche nella parola normale: le persone balbuzienti non ne hanno l’esclusiva.
I balbettamenti esistono pure nella parola normale.
Ma, quando ci sono, non sono affatto notati da quegli stessi che, benché non balbuzienti, li producono. Quando si parla, ci si occupa piuttosto di ciò che si ha da dire e dei possibili effetti nell’Altro che del fatto che si parla. E’ già molto. Ci si occupa poco invece della maniera in cui si parla. Ed è spesso una sorpresa per il non balbuziente, quando ascolta una registrazione della sua parola, sentire che la sua parola balbetta a momenti.
Esitazioni, che hanno una struttura simile a quelle della parola del balbuziente con ripetizioni di sillabe che oltrepassano le tre unità, di prolungamenti di suoni che oltrepassano la seconda o di gravi blocchi dell’articolazione della parola, si producono più spesso di quanto si creda nella parola normale.
Ciò che può capitare alla vostra parola, quando durante una discussione un po’ viva, vi adirate perdendo un po’ il controllo della situazione, ma ugualmente anche, quando voi avete semplicemente difficoltà a trovare la parola che avete sulla punta della lingua.
Fatta eccezione, se non siete balbuziente, i vostri balbettamenti - e noi vedremo perché - sfuggono in generale tanto all’attenzione dei vostri interlocutori quanto alla vostra.
Ciò non vuol dire tuttavia che questi ultimi siano insensibili e che queste esitazioni non abbiano alcun effetto su di loro.
I balbettamenti, come le altre irregolarità della parola normale, hanno in effetti un significato.
Attraverso queste disfluenze, e senza prestarci direttamente attenzione, si colgono le esitazioni del pensiero della persona che parla; si percepiscono i movimenti della sua tensione psichica.
Senza saperlo, ci si trova davanti alla vista del lavoro del suo preconscio confrontato con i rampolli freudiani dell’inconscio che cercano di aprirsi un passaggio attraverso le maglie della rimozione. E nella misura in cui questi balbettamenti sono spontanei, possono giocare un ruolo del tutto positivo arricchendone lo scambio.
Per quanto sia così, occorre paradossalmente che questi balbettamenti siano sistematicamente accompagnati da ciò che io ho chiamato un comportamento tranquillizzante che può essere mimico (piccolo aggrottamento delle sopracciglia...), gestuale (piccolo mulinello della mano o movimenti di diniego della testa...) o più raramente verbale (“scusi!”).
La funzione di questo comportamento tranquillizzante è di fare in modo che l’attenzione dell’interlocutore non sia rivolta a questi balbettamenti e continui ad essere focalizzata nel senso che ci si augura di dare ai propri propositi. Il messaggio che è indirizzato per mezzo del comportamento tranquillizzante è insomma il seguente: “ Voi potreste constatare certamente che io mi aggrappo a questa parola o che io m’ingarbuglio nella frase, ma non fateci caso. Io sono al corrente, ne sono consapevole. Vedete piuttosto dove voglio arrivare con ciò che vi dico... ciò non v’impedisce di essere sensibile al fatto che la mia parola incespica rivolgendomi così a voi”.
Ma, fatto rimarchevole, questo messaggio tranquillizzante è indirizzato dal locutore in modo totalmente inconscio e in maniera ugualmente inconscia è ricevuto dall’interlocutore.(1)
Capita che nella balbuzie questo comportamento tranquillizzante naturale è nel 90% circa dei casi soppresso. Parallelamente le disfluenze, anche se restano discrete, diventano coscienti tanto per il locutore quanto per l’interlocutore. Insomma, quando una persona non balbuziente balbetta, il suo comportamento tranquillizzante segnala che essa balbetta e da questo fatto il balbettamento è come cancellato.
Se si tratta di una persona balbuziente, l’assenza di questo segnale attira paradossalmente l’attenzione sul balbettare che occupa allora il proscenio. E’ un fenomeno ben curioso che è alla portata dell’osservazione più semplice.
La perdita del comportamento tranquillizzante crea un’importante differenza tra la parola del balbuziente e la parola normale. Ma c’è un’altra differenza ancora più importante e che segnala che si è proprio in presenza di un balbettare patologico che è tipico dunque della balbuzie. Si osserva in effetti che, al momento del balbettare per un parlatore normale, e più generalmente quando la parola del non balbuziente incontra una qualunque difficoltà, ciò innesca in lui in modo riflesso una diminuzione della tensione psicomotoria messa in moto da lui nell’atto della parola corrente. A condizione di cessare di essere attento al contenuto del discorso, l’osservatore imparziale percepirà in modo soggettivo che, sebbene questa persona s’innervosisca balbettando, si determina un allentamento negli organi della fonazione. Auditivamente, egli potrà eventualmente constatare inoltre che la tonalità della voce si abbassa con una ripetizione da una sillaba all’altra, o al momento del prolungamento di un suono. Visivamente, egli potrà notare a volte che il soggetto sbatte le palpebre verso il basso, nello stesso tempo flette la testa leggermente in avanti, e questo corrisponde a un atteggiamento di ripiegamento.
Invece, se il balbettamento sopraggiunge nel quadro di una balbuzie attiva (perché, come per i vulcani, ci sono delle balbuzie spente) l’osservatore percepirà soggettivamente che la tensione psicomotoria aumenta nell’apparato fonatorio del soggetto. Questo aumento della tensione può manifestarsi in modo variabile secondo i casi, con l’innalzamento del tono della voce che sale verso l’acuto al momento del prolungamento di un suono o di una ripetizione all’altra nel caso di una balbuzie clonica. L’osservatore può notare ancora, al momento di una balbuzie tonica, l’accentuarsi di un blocco articolatorio della parola e/o l’aumento dei movimenti accompagnatori, e nella balbuzie per inibizione l’intensificarsi della mimica d’angoscia con il tremore delle labbra e il fremito delle narici. Per riassumere, si può dire che - almeno all’inizio dell’evoluzione della balbuzie - esiste nella persona del balbuziente un’inversione del riflesso normale della diminuzione della tensione al momento delle difficoltà della sua parola, che lo porta a lottare ciecamente e fermamente “affinché la parola passi” - ciò che finisce con l’arrivare là dove il non balbuziente fa rapidamente concessioni.

Ciò può spiegare d’altronde che questo genere di messaggio sia perfettamente misconosciuto dai ricercatori; tanto più che, sebbene accessibile alla semplice osservazione, esso si presta male alla sperimentazione.
La mia ipotesi è che l’inversione di questo riflesso è la conseguenza degli sforzi fatti più o meno coscientemente dal soggetto all’inizio dell’evoluzione della sua balbuzie per ridurre i balbettamenti della sua parola passando di forza attraverso essi e sono questi sforzi che per me sono responsabili del passaggio dalle esitazioni della parola normale alla balbuzie.


Arrivati a questo punto rimane da domandarci perché il soggetto che s’indirizza verso la balbuzie si sforza di aumentare così la tensione psicomotoria nel suo apparato fonatorio al momento di un balbettamento invece di lasciarla diminuire come accade per l’insieme della popolazione.
I fattori predisponesti possono riguardare lo stesso bambino ed avere un’origine genetica. Si sa che esiste una predisposizione genetica per la balbuzie. Si possono senza dubbio incriminare certe caratteristiche neuromuscolari che potrebbero facilitare la comparsa delle disfluenze, come l’allungamento del tempo di reazione messo in evidenza da alcuni studi, o rimarcare un temperamento particolare. Non è probabilmente qualunque bambino che può diventare balbuziente. Clinicamente si osserva sovente che si tratta di un bambino piuttosto caparbio e rigido, anche se gli studi realizzati fin qui faticano a delineare un profilo psicologico specifico. Altri fattori predisponesti possono provenire dall’ambiente. I più frequentemente rintracciabili sono la pretesa genitoriale quanto alla qualità della parola e la pressione temporale eccessiva che pesa sulla vita del bambino. Si capisce che un bambino caparbio sottomesso a pretese eccessive possa reagire a banali difficoltà di parola sforzandosi per tentare di dare soddisfazione. Si può ancora notare l’ambiente familiare alterato a causa di un conflitto tra i genitori o per qualche altra causa di tensione durevole che favorisce i balbettamenti.
I fattori scatenanti sono costituiti da avvenimenti puntuali qualche volta molto ordinari suscettibili di essere malamente vissuti dal bambino, come la nascita di un altro bambino, un trasloco, l’allontanamento momentaneo dall’ambiente familiare a causa di un’ospedalizzazione o di vacanze, un cambiamento di scuola...che innalzano momentaneamente il livello di tensione generale del bambino, ciò che favorisce la comparsa dei balbettamenti ( all’inizio normali) nella sua parola. Ci può essere ugualmente un avvenimento più evidentemente traumatizzante e fonte di spavento: un incidente, un incendio, un lutto, un cambiamento di tutto l’ordine, tanto più traumatizzante quanto più minimizzato, non riconosciuto, non espresso.
Questa inversione del riflesso di diminuzione di tensione al momento dei balbettamenti costituisce nella mia teoria la prima alterazione della parola del balbuziente, primo passo nella formazione della balbuzie. Questo aumento di tensione si accresce dapprima progressivamente in funzione del fastidio che procura secondo un meccanismo di circolo vizioso. Ma nelle settimane, i mesi o gli anni che seguono, si vede molto spesso che il soggetto reagisce a questa tensione divenuta sempre più fastidiosa, per la presa in carico volontaria del dettaglio di esecuzione della sua parola... con la complicità assai intenzionale talora di molti rieducatori! Egli si mette così a pensare alla sua frase in anticipo, a cercare un’altra parola per rimpiazzare quella che lo blocca o ad adottare un ritmo di parlare particolare, che gli permette di ridurre artificialmente questa tensione. In contropartita la sua parola perde più o meno completamente la sua spontaneità e la sua espressività naturale. Ciò costituisce per me una seconda alterazione, definita come la perdita del carattere naturale e spontaneo della sua parola, che s’aggiunge o anche alla lunga si sostituisce alla prima.
Questa parola controllata, anch’essa non procede senza difficoltà e trascina quasi sempre nella sua scia la perdita del comportamento tranquillizzante che ho segnalato sopra, e che costituisce la terza alterazione. A questa terza alterazione s’aggiunge ben presto, una volta su due circa, una quarta costituita dalla perdita dell’accettazione dell’aiuto la cui messa in evidenza dovrebbe modificare - io spero vivamente di essere convincente su questo punto - il modo di comportarsi in presenza di una persona, che soffrendo di balbuzie, balbetta. Come per le tre prime alterazioni, questa messa in evidenza scaturisce dall’esame di ciò che si produce nella persona normale.
In effetti, quando parlandovene, io ho un problema con una parola che non trovo, voi non esitate a lungo a darmela, se credete di conoscerla, ed io sono piuttosto felice di questo dono. Allo stesso modo, se innervosito, io m’impantano balbettando in una grande frase di cui non arrivo a trovare l’uscita, e, se comprendendo ciò che io voglio dire, voi mi proponete una fine per questa frase, io l’accetto senza difficoltà: “ Esattamente! E’ proprio come dite voi!”. Se adesso voi non cogliete nel segno, fraintendendo ciò che voglio dire, ciò non mi disturberà affatto. Io rettificherò semplicemente informandovi che quello non era affatto il mio pensiero. In ogni modo, cercando di aiutarmi, voi mi rendete piuttosto un servizio. Ciò mi permette di comprendere meglio dove voi siate a proposito di ciò che voi credete io voglia dire. Purché si sia realmente preoccupato di ciò che vuole realmente dire la persona che parla, i tentativi di aiuto felici o sfortunati fanno talmente parte dell’interazione linguistica più abituale che non vengono notati neanche nella conversazione ordinaria...ben sapendo che una piccola minoranza di persone non sopporta questi tentativi, aggrappandosi a questa regola felicemente e costantemente trasgredita che decreta che non è cortese interrompere qualcuno prima che abbia finito di parlare!
Sfortunatamente, quando una persona balbuziente, prendendo la parola, si trova di fatto nella difficoltà della sua balbuzie, questa regola di non intervento è considerata in generale come piena di sé e si è deciso che bisogna senza reagire attendere pazientemente che questa persona abbia finito di esprimersi prima di continuare dando la replica o ricercando il cambio.
Ciò si esprime, ahimé, con la distruzione dell’interazione linguistica naturale che ha come inconveniente maggiore quello di rinchiudere la persona balbuziente in una comunicazione patologica. Malgrado le proteste indignate d’una buona metà di balbuzienti e le reazioni di stupore probabili della grande maggioranza dei terapeuti della balbuzie, io non posso che essere in disaccordo con tale pratica.
Si comprende certamente ciò che può avere di spiacevole per un balbuziente ricevere questa parola che gli è in qualche modo sottratta al momento che, bloccata nella sua bocca, avrebbe potuto essere espulsa con soddisfazione grazie a un piccolo sforzo supplementare se avesse ben voluto aspettare un secondo in più!
Malgrado ciò, mi sembra molto più appropriato adottare qui un atteggiamento d’aiuto. Dapprima perché esso è molto accettato da più della metà delle persone balbuzienti, purché sia prudente e discreta. Esso potrebbe solamente tradursi con piccoli scuotimenti di testa, indicanti che, malgrado le difficoltà, si segue il proposito e che si crede intravedere la direzione che egli prende, poi come per sé, con l’accenno dell’articolazione di una parola (forse è proprio questo il problema) che potrebbe iscriversi in questa direzione. Eventualmente si oserà con lo stesso stato d’animo mormorare una fine per la frase “in panne”, pur interrompendosi immediatamente e scusandosi per questo tentativo di aiuto infelice, se si percepisce che non è accolta favorevolmente, lascia di tentarne di nuovo una simile cinque minuti più tardi! Una seconda ragione di adottare questo modo di procedere è che esso offre al balbuziente la possibilità di uscire dall’idea molto diffusa ed infelice che parlare non sarebbe niente di più che tradurre in parola il suo pensiero, idea che esclude l’interlocutore rifiutandogli il ruolo normale di partner immediato dello scambio.
Un certo percorso è spesso necessario nel corso del trattamento rieducativi purché la persona comprenda bene o piuttosto senta che parlare è anche far nascere nello spirito dell’interlocutore immagini, idee, rappresentazioni mentali e sentimenti ai quali (ciò che non semplifica il problema) non si ha direttamente accesso. Ora nessuna parola può essere realmente normale se non si tiene conto di questo fatto.
Attualmente il trattamento più spesso praticato per quanto riguarda la balbuzie dell’adulto si basa essenzialmente sul controllo delle disfluenze, sull’esclusione della vergogna del balbettamento e sull’accrescimento delle abilità sociali. Esso lascia per sfortuna da parte questa nozione dell’effetto della parola sull’altro. Si comprende in queste condizioni che, quantunque ci siano miglioramenti importanti ottenuti malgrado ciò, la guarigione sia ancora da realizzare.
La guarigione completa è possibile tuttavia, e può essere ottenuta in un adulto balbuziente su due, in diciotto mesi di trattamento in media, comportante una seduta per settimana e alcuni minuti al giorno di esercizio personale. La guarigione completa significa per me che la parola è diventata completamente normale secondo il parere dello stesso soggetto così come quello delle persone che gli stanno intorno. Essa non s’accompagna ad alcuna attenzione particolare al momento dell’uso della parola e corrisponde alla fine dell’incertezza che io evocavo all’inizio di questo articolo.
Per ottenere questa guarigione è, a mio avviso, preferibile cessare di polarizzarsi sul controllo della balbuzie e di abbandonare l’idea di acquisizione in seduta delle tecniche di fluenza da trasferire successivamente nella vita. Conviene al contrario esaminare la rettifica delle devianze che il soggetto ha inflitto, nella sua lotta contro le disfluenze, alla meccanica psicofisiologica della sua parola. Queste devianze costituiscono il fondamento della teoria delle sei alterazioni fondamentali della parola del balbuziente(1) che io ho elaborato lungo il corso della mia carriera di rieducatore. Queste rettifiche costituiscono l’oggetto di numerosi esercizi descritti altrove(rilassamento ad occhi aperti - esercizi di proiezione vocale - disegno dettato - creatività dell’immagine - testo con testo), orientati per quanto riguarda i primi verso l’abilità a gestire il livello della tensione psicomotoria, il respiro, l’articolazione con lo scopo di riparare gli automatismi perturbati e per gli ultmi verso l’instaurarsi di un contatto normale con i potenziali interlocutori.

In questa esposizione ho lasciato da parte le due ultime alterazioni. La quinta è la perdita dell’auto-ascolto che lede il 20% dei balbuzienti che sono nell’impossibilità di riascoltare mentalmente le ultime parole che essi hanno appena pronunciato. La sesta si definisce come la perdita o l’alterazione dell’espressività al momento dell’emissione e/o dell’ascolto della parola.

Traduzione dal francese di Angelo D’Onofrio e Giovanni Galdo

1) Foniatra, Parigi


PM --> HOME PAGE ITALIANA --> ARGOMENTI ED AREE --> NOVITÁ --> DISTURBI DELLA COMUNICAZIONE