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Tesi di Laurea di Roberta Ganzetti

GAETANO BENEDETTI: IL SIMBOLO E LA STRUTTURA
DELL'INCONTRO NELLA TERAPIA DELLE PSICOSI


DAL CONCETTO FREUDIANO DI TRANSFERT


La relazione terapeutica si è iniziata sostanzialmente con l'opera di S. Freud, che ha permesso di entrare, attraverso l'ascolto e l'interpretazione, nel mondo psicopatologico delle persone sofferenti. La rilevante "scoperta" del transfert fu sicuramente un passo decisivo per l'affrancamento di questa nuova disposizione psichiatrica. Freud scoprì che i suoi pazienti tendevano a proiettare sulla figura del terapeuta le immagini inconsce dei loro precedenti "oggetti d'amore", ripetendo prototipi infantili vissuti con un forte senso di attualità.
Inizialmente Freud considerò il transfert come una componente non essenziale della relazione terapeutica, classificandolo tra gli ostacoli principali che si oppongono alla rievocazione del materiale rimosso. Successivamente si rese conto che il transfert come difesa segnalava contemporaneamente l'avvicinarsi del conflitto inconscio e quindi rappresentava in modo privilegiato di cogliere "a caldo" la problematica personale del paziente. Nacque, così, specie ad opera dei successori di Freud, la "tecnica" dell'analisi del transfert come metodo terapeutico. Nella linea di pensiero che ha portato alla valorizzazione del concetto di relazione oggettuale, si cerca di vedere in azione nel "rapporto di traslazione" le modalità privilegiate delle relazioni del soggetto con i suoi diversi tipi d'oggetto, parziali o totali. Un ulteriore passo avanti rispetto alla teorizzazione freudiana si ebbe con la scoperta di C. G Jung che, parallelamente al transfert, si sviluppa un controtransfert nel terapeuta con cui egli, a sua volta, proietta le sue immagini profonde sul paziente.
Freud aveva raramente accennato alla controtraslazione, ma, soprattutto, la aveva considerata come l'effetto del transfert del malato sui sentimenti inconsci del medico allontanandosi dal modo di intendere e descrivere la cura come relazione anche attuale.
Dal concetto di controtransfert si è aperta la rotta percorsa da coloro i quali prevedono che la controtraslazione sia l'asse portante della terapia, la migliore difesa contro la distruttività del paziente ed il miglior mezzo per superare il transfert negativo.
Il terapeuta, oltre ad analizzare il controtransfert, attribuendogli un senso e, prima ancora, prendendolo in considerazione, utilizza le emozioni che il paziente "normalmente" gli suscita diventando una sorta di cassa di risonanza. Il paziente investe, anzi meglio travolge, il terapeuta con quelle emozioni che non ha saputo elaborare da solo dando vita all'incontro, scambio tra i due.
Il controtranfert ha richiamato sempre più l'attenzione degli psicoanalisti specialmente da quando si è verificata l'applicazione della psicoanalisi a nuovi campi, per esempio all'analisi degli psicotici, nei quali le reazioni inconsce dell'analista sono maggiormente sollecitate. La scuola kleiniana, ad esempio, giunge a considerare il controtransfert come lo strumento privilegiato per comprendere la natura della relazione riedita(1). Una importante osservazione di Gaetano Benedetti al riguardo è quella che in ogni processo di scambio tra paziente e terapeuta si va incontro ad una "crescita psichica" non solo del paziente, ma anche del terapeuta. Quest'ultimo impara a conoscere il suo controtransfert, a modularlo secondo le richieste inconsce del paziente e ad arricchirlo di un messaggio che prima di tutto ha il compito di far sperimentare il fondamentale vissuto del dare e ricevere come base autentica di ogni relazione umana. Il controtransfert, così come lo considera Benedetti, nasce sulla base di una appersonazione terapeutica della sofferenza del malato, intesa come empatia, immedesimazione, intuizione del terapeuta che non si trascende, non cerca di andare al di là di ciò che il paziente gli comunica, attraverso l'interpretazione, bensì prende su di sé la tragedia insita nell'esperire psicotico. Da quest'ultima osservazione è facile comprendere che il controtransfert non è solamente la risposta che dal passato del paziente giunge a quello del terapeuta, ma nasce e si dipana anche nell'hic et nunc(2).
Nella terapia delle psicosi di G. Benedetti il paziente non è il portatore di una psicopatologia "oggettiva" che si sviluppa a partire esclusivamente da una precisa psicodinamica per così dire "rigida", creativamente bloccata; il controtransfert si forma anche nella dinamica dell'incontro tra due persone che si mostrano in molteplici sembianze dando vita ad una gamma di reazioni imprevedibili e non lineari. Un tale modo di concepire la relazione terapeutica, come comunicazione creativa che non si irrigidisce nel solco di una riduttività psicodinamica, avvicina molto G. Benedetti al pensiero della fenomenologia. Nel libro Psichiatria e fenomenologia di Umberto Galimberti, si legge che la comunicazione terapeutica non ha nulla a che fare con le nozioni di transfert e di controtransfert, ma una tale affermazione mi sembra troppo definitiva. Pur rimanendo all'interno di un'ottica psicodinamica è possibile, proprio come fa Benedetti dare un nuovo senso a questi termini, senso che va nella direzione della dia-logicità e della crescita psichica ed esistenziale dei partecipanti all'incontro(3).
Se, come sottolinea Galimberti, il concetto di transfert proprio della concettualizzazione freudiana, presuppone l'esistenza di sentimenti in sé, indipendenti dalle cose sentite o dalle persone percepite(4), negando qualsivoglia intenzionalità soggettiva, tutto questo è valso fino a quando l'accento della psicodinamica è stato posto sulle pulsioni dell'apparato psichico; ma non vale più quando ad essere prese in considerazione sono principalmente le relazioni oggettuali e il dispiegarsi dell'essere in tali relazioni. Mi è sembrato, a volte, che il voler porre incessantemente l'attenzione sul vissuto del paziente, sulla relazione e sui modi di essere nel mondo ai quali la fenomenologia è così attenta, la esaltasse e la dovesse portare allo statuto di unica via di accesso al malato. Questo è sicuramente vero, ma ciò non toglie per esempio alla psicoanalisi la possibilità di porsi in questo orizzonte di senso, anche se la comprensione passa attraverso altri modi di esprimerla. Quando ho chiesto al Prof. Benedetti quanto avessero influenzato le figure esistenziali nel suo approccio psicoterapeutico, lui mi ha risposto che, anche se comprende una espressione del paziente nei termini di "un complesso di castrazione", questa "astrazione, concettualizzazione" non è sufficiente ad allontanarlo dal suo paziente, importante è il modo attraverso il quale il terapeuta "rimanda" ciò che ha compreso. Quando Benedetti parla di crescita psichica, di psicopatologia progressiva, nel senso anche di sviluppo comunicativo, non mi sembra essere per nulla lontano dal considerare fondamentale anche la novità dell'incontro in grado di agire una nuova visione del mondo(5). Tra fenomenologia e psicopatologia progressiva vi è, forse, anzitutto una distanza rispetto all'uso del linguaggio per descrivere la sofferenza del "malato". Il linguaggio di Benedetti è quello della psicoanalisi, che non manca però di reinterpretare molti concetti che le sono propri(6), ma è anche il linguaggio dell'incontro che, come nell'analisi esistenziale descrive e racconta l'essere-nel-mondo e l'essere-con-gli-altri proprio di ciascun paziente(7). Sempre a proposito delle affinità dell'approccio di Benedetti con la fenomenologia, mi sembra che il concetto dell'anticipare liberando (contrapposto a quello del sostituirsi dominando) che caratterizza secondo M. Heidegger l'autentica modalità di cura dell'altro, sia pienamente contemplato in Benedetti. Per esempio, di fronte al delirio l'autore si pone attraverso un giudizio che non è quello di realtà, ossia non si chiede se tale espressione sia lecita oppure no, il rimando è quello che si fonda innanzitutto su di un giudizio di esistenza, condizione imprescindibile a partire dalla quale innesterà "semi buoni". Tale modalità di essere con il suo paziente diviene la base per un'opera di positivizzazione, contrapposto alla negativizzazione che appunto nega, rifiutando il delirio, la libertà di essere del paziente nell'unico modo nel quale è in grado di manifestarsi in quel momento.

Lo psicoterapeuta non sostituisce sempre le sue "buone credenze" a quelle del paziente anche in un'esistenza così radicale come è quella delirante, perché vede l'altro, per usare una frase di Maria Armezzani, non nelle sue determinazioni, ma nelle sue possibilità, che poi gli restituisce. Così facendo è possibile riscontrare una posizione prospettica, cioè progressiva della conoscenza dell'altro, in contrapposizione alla riduzione di questo ad un sapere che precede l'incontro e che in esso vuol trovare a tutti i costi delle conferme. Ma la psicoanalisi post-freudiana, a cui si sarebbe potuta rivolgere una critica in questo senso, si sta spostando, o almeno così mi sembra, sempre più in una direzione anti-naturalistica,8 fondata su una comunicazione empatica autentica che permette al paziente di ricostruire il suo rapporto con se stesso in una dimensione di riconoscimento della sua esistenza e delle sue possibilità.

Note:

1) JOSEPH B., "The patient who is difficult to reach", in Giovacchini P. (a cura di), tactics and techniques in psychoanalitic therapy, Jason Aronson, New York, 1975, p. 62 "Molto di ciò che noi sappiamo del transfert proviene dalla nostra comprensione di come il paziente agisca su di noi per le più svariate ragioni; di come i pazienti cerchino di attirarci nel loro sistema difensivo di come essi agiscano inconsciamente con noi nel transfert, cercando di farci agire con loro, di come essi trasmettano aspetti del loro mondo interno costruito nell'infanzia e poi elaborato nella fanciullezza e nell'età adulta,
esperienze che spesso non trovano espressione in parole e che noi possiamo captare solo a partire dai sentimenti che sorgono in noi, attraverso il controtransfert."
2) GAETANO BENEDETTI, "La psicoterapia come sfida esistenziale", edizione italiana a cura di Giorgio Maria Ferlini, Cortina, Milano, 1997, p. 64. "Nella storia della psicoanalisi termini come "transfert" e "controtransfert" significano il fatto che gli affetti vengono "trasferiti" dalle prime esperienze della vita al presente. L'investigazione del passato (per lo più inconscio), che sta dietro la psicopatologia odierna, è stata certamente l'intento principale della psicoanalisi. Il transfert inverso, quello della trasformazione del passato attraverso l'esperienza del presente, è invece il proposito particolarmente della terapia delle psicosi."
3) MARIA ARMEZZANI, "L'enigma dell'ovvio -la fenomenologia di Husserl come fondamento di un'altra psicologia-", Unipress, Padova, 1998, p. 213. "Nella psicoterapia delle psicosi "l'essere-con" il paziente è, per Benedetti, la risposta terapeutica all'esistenza negativa; "l'abbraccio del controtransfert" è una reazione affettiva del terapeuta, che nell'identificazione e nella condivisione del tragico fondo d'esperienza vissuta dal paziente, mira alla positivizzazione dell'Erleben psicotico."
4) UMBERTO GALIMBERTI, "Psichiatria e fenomenologia", Feltrinelli, Milano, 1996, p.150 "... si può immaginare che per esempio un sentimento d'amore si stacchi dalla madre e si "trasferisca", nel corso del trattamento, sull'analista."
5) FERDINANDO BARISON, "La psichiatria tra ermeneutica ed epistemologia", 1990, p. 1 A proposito della novità dell'incontro una frase di questo autore mi sembra molto significativa e trovo che possa essere sovrapponibile al pensiero di G. Benedetti: "Qualsiasi psicoterapia può essere vista come il crearsi di una situazione assolutamente nuova che interrompe il corso della vita di due persone -terapeuta e terapeutizzato- questo spazio "nuovo" (che si presenta spesso con aspetti di irrealtà) favorisce l'instaurarsi di un "essere insieme" che implica modi di esserci del tutto nuovi per ambedue. E che sono "terapeutici" in quanto costituiscono occasione di modi di essere autentici".
6) GAETANO BENEDETTI, "La psicoterapia come sfida esistenziale", edizione italiana a cura di Giorgio Maria Ferlini, Cortina, Milano, 1997, p. 67. "Le teorie psicodinamiche sono qualcosa di più che modelli ingegnosi qualora ci diano la possibilità di recar aiuto, comprendendoli, ai nostri malati! Questo aiuto io l'ho trovato nell'inversione dialettica del concetto di regressione fondato in altra sede: cioè nella psicopatologia progressiva. Con questa espressione non intendo certo solo il progresso terapeutico che, in quanto progressione elimina la regressione. Si tratta, piuttosto di un procedere su un doppio binario, e di una, per così dire riedizione della psicopatologia nel paziente in fase di evoluzione, la quale formalmente è simile a quella preterapeutica, e dunque si serve ancora delle forme psicotiche, ma per esprimere attraverso esse già delle -intenzioni antipsicotiche-".
7) GIOVANNI GOZZETTI, "Il contributo di Ferdinando Barison alla psicopatologia fenomenologica della schizofrenia", Padova, 1998, Articolo comparso in www.pol.it ; l'autore riporta le seguenti parole di Barison: "Benedetti quando parla e scrive, conduce nei mondi che racconta affascinando sempre, perché luci sempre nuove sorgono ad illuminarli".
8 MARIA ARMEZZANI, "L'enigma dell'ovvio -la fenomenologia di Husserl come fondamento di un'altra psicologia-", Padova, 1998, "Ai tentativi di fondare una psicoterapia ispirata alla Daseinsanalise binswangeriana, fa da riscontro il progressivo movimento della psicoanalisi post-freudiana in direzione antinaturalistica, che culmina nell'opera di Benedetti in cui l'analisi del transfert e del controtransfert prende lo stesso senso del Mit-Dasein fenomenologico."


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