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PSYCHOMEDIA
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Tesi di Laurea di Roberta Ganzetti

GAETANO BENEDETTI: IL SIMBOLO E LA STRUTTURA
DELL'INCONTRO NELLA TERAPIA DELLE PSICOSI


COMUNICAZIONI PAZIENTE-TERAPEUTA


Il conflitto tra distanza e vicinanza interpersonale che vive il paziente schizofrenico è anche da collegarsi all'assenza di una rappresentazione simbolica del Sé che, da una parte trasmette affetti interpersonali al Sé e allo stesso tempo lo protegge da questi. L'assenza del simbolo del Sé che, quindi, è in grado di trasformarsi nell'incontro con il mondo per conservare un nucleo protetto ed invariabile, espone il paziente all'impatto con il mondo senza alcuna mediazione; ne risulta che il centro di Sé viene modificato direttamente dalle emozioni delle relazioni interpersonali perdendo la sua funzione importante di organizzazione e strutturazione dell'esperienza mondana entro le coordinate spazio-temporali che danno il senso della continuità esistenziale del nostro essere.
Il paziente evita il contatto umano, allontana l'altro e poi, paradossalmente, lo ricerca perché contiene il fascino di un incontro speculare con il centro di un sé inafferrabile.
Abbiamo già discusso nel capitolo dedicato alla perdita del simbolo nella patologia schizofrenica in quali termini si presenta il disturbo, cercando anche di riportare le osservazioni cliniche ad un modello di comprensione psicodinamica. Ora, però, vorrei collegare quel discorso con la prassi terapeutica. La scelta di parlare dell'importanza dell'incontro e della relazione terapeutica all'inizio della tesi ha il significato di voler sottolineare, al di là di ogni tipo di concettualizzazione teorica, che lo scopo della psicoterapia delle psicosi è proprio l'incontro stesso. Come ha sottolineato Gilberto Di Petta, nella conferenza tenuta a Padova il 6/05/01, una psicoterapia fondata sulla fenomenologia è un incontro che si propone di arrivare ad un incontro".
Credo che una tale affermazione sia valida anche per la psicoterapia di G. Benedetti che nei Quaderni di Aretusa scrive: "Non si distingue tra sofferenza endogena e psicoreattiva, l'individuo è prima di tutto il portatore della sofferenza umana, cura, attenazione e dedizione sono denominatori comuni tra psichiatri, psicoanalisti e psicoterapeuti, scavalcando le possibili contrapposizioni metodiche."
L'incontro, allora, ci può essere anche quando il paziente non può utilizzare il suo terapeuta come il simbolo delle relazioni precedenti, il senso del transfert si sposta e da narcisistico diviene progettuale, si apre la possibilità di occuparsi anche di quei pazienti nei quali la capacità di simbolizzazione è alterata. Tale capacità non è più il pre-requisito senza il quale è impossibile instaurare una relazione.
"L'interazione tra paziente e terapeuta avviene nello spazio del simbolo schizofrenico"(1), nel senso che esiste una situazione desimbolizzata riguardo alla quale l'analista esercita la sua funzione di simbolizzazione.
La cura del paziente schizofrenico si focalizza sulla presenza, a partire da ciò che il paziente è, da ciò che racconta, sia pure anche un delirio; il compito del terapeuta è quello di ripercorrere, tra movimenti dialettici di simbiosi e di separazione, lo sviluppo del simbolo.
Il concetto di positivizzazione sta alla base di tutta l'intenzione terapeutica e rappresenta uno dei più notevoli contributi alla psicoterapia offerti dal Prof. Benedetti. "La psicoterapia è, innanzitutto, positivizzazione della persona del malato."(2)
Ciò vuol dire che lo psicoterapeuta non comunica al paziente quello che gli appare obiettivamente, ossia non lo considera solo oggetto di meccanismi psicodinamici, bensì gli comunica ciò che la sua esistenza significa per il terapeuta. Viene così veicolata al paziente un'immagine di sé prospettica e non riduttiva. Il terapeuta attraverso un atto inconscio di reciprocità trasforma la percezione psicopatologica dell'altro in quanto ha "il presentimento della sua vera realtà (sé vero di Winnicott)" nascosta dal dolore e dalla potenza della psicosi.
In questo passaggio del pensiero di Benedetti secondo me si chiarisce qualcosa di importante: la psicoterapia che assume come fondamentale un atteggiamento positivizzante trasforma un incontro mancato, un incontro che fa fatica ad essere accettato dallo stesso terapeuta in un nuovo incontro alla scoperta della stessa persona terapeutica. Per Benedetti un siffatto modo di entrare in contatto con il paziente rappresenta una modalità tecnica di relazione umana che diviene terapeutica.
"attraverso la psicoterapia si costituisce l'immagine virtuale che trascende la miseria mentale: ecco qui la seconda grande illuminazione dell'incontro." (3)
La positivizzazione assume il significato di promuovere attivamente la presenza del terapeuta nel mondo del paziente.
Il paziente, agli occhi del terapeuta diviene simbolo dell'Uomo e quindi anche di se stesso; la dimensione tragica dell'esistenza umana viene "contenuta" dallo psicoterapeuta, interiorizzata e restituita al paziente a livello inconscio come "attenzione dialogica".
A questo livello sarà possibile rimettere in movimento l'ingranaggio dei simboli per il fatto che le immagini del paziente verranno progressivamente arricchite con l'inconscio del terapeuta fino a diventare, con il passare del tempo, simbolizzabili anche da parte del paziente.
Per ricollegarmi brevemente al discorso sull'interpretazione, vorrei sottolineare che, con i pazienti psicotici, la parola non ha lo scopo di mediare principalmente l'insight, ma diviene soprattutto portatrice della presenza del terapeuta; questo è un aspetto ravvisabile sia nell'interpretazione dall'interno che nell'interpretazione dall'esterno.
Oltre a ciò, la parola è anche mediatrice di affetti tradotti in immagini simboleggianti.
L'interpretazione, pur avendo dilatato moltissimo il suo raggio d'azione, come ho già detto, non è sempre utilizzabile; ci sono altri mezzi di comunicazione che utilizzano livelli pre-razionali figurativi, onirici, in grado di convogliare al paziente, visualmente ed in modo immediato, attraverso immagini, gli affetti del terapeuta.

Note:

1) CORREALE A., RINALDI L., "Quale psicoanalisi per le psicosi", Cortina, Milano, 1997.
2) BENEDETTI GAETANO, "Paziente e terapeuta nell'esperienza psicotica", con la collaborazione di Laura Andreoli, Antonella Cannavò, Lilia D'alfonso, Ciro Elia, Clelia Leozappa, Daniela Maggioni, Lauretta Ottolenghi, Francesca Pavese, Alberto Sibilla, Carla Tommasina. Bollati Boringhieri, Torino, 1971, pag.51
Inoltre, vorrei riportare un altro passo importantissimo rispetto al tema della positivizzazione, dallo stesso testo, a pag.154;
"(...)noi aiutiamo il paziente non solo mostrandogli i risvolti psicodinamici della malattia, ma anche e soprattutto confrontandolo con una sua immagine virtuale in noi: immagine quasi di bellezza, di interezza nella frammentazione, di trasparenza nell'autismo, di validità nel delirio, e che egli deve ritrovare in noi per superare i limiti della scissione, dell'autismo, del delirio. E' come se ci fosse, alla base della psicoterapia, la possibilità di osservare, di vedere i difetti, le lacune, le miserie e le brutture del paziente sempre allo specchio di una trascendenza dello spirito, che è come il riflesso del dolore di Cristo; il paziente porta la sua croce, aiuta noi a portare il peso del dolore del mondo (...)Ma tale immagine riflessa non esiste nell'Io del paziente, non esiste nel suo inconscio; si forma anzitutto in noi, e in lui solo nella misura in cui ci accostiamo a lui."
3) BENEDETTI GAETANO, "Paziente e terapeuta nell'esperienza psicotica", con la collaborazione di Laura Andreoli, Antonella Cannavò, Lilia D'alfonso, Ciro Elia, Clelia Leozappa, Daniela Maggioni, Lauretta Ottolenghi, Francesca Pavese, Alberto Sibilla, Carla Tommasina. Bollati Boringhieri, Torino, 1971, pag. 154


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