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PSYCHOMEDIA
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Tesi di Laurea di Roberta Ganzetti

GAETANO BENEDETTI: IL SIMBOLO E LA STRUTTURA
DELL'INCONTRO NELLA TERAPIA DELLE PSICOSI


IMMOBILITA' E TRASCENDENZA NELL'ESPERIENZA PSICOTICA


Credo che non sia del tutto corretto rintracciare l'essenza dell'esperienza psicotica esclusivamente nei termini di un'alterazione dell'ordine simbolico e Benedetti sicuramente nel suo lavoro non si è limitato a questo, quello che però rappresenta il filo rosso della mia ricerca è proprio l'andare a vedere quanto, questo tipo di alterazione, influenzi la possibilità di "fuoriuscire" da una condizione di chiusura del reale, di non trascendenza radicale, di intenzionalità bloccata, quale mi sembra, per certi versi, essere la condizione dello schizofrenico. Ricordo a questo proposito uno dei primi giorni in cui mi recavo all'Ospedale dei Colli a Padova dove avevo avuto la possibilità, grazie alla frequentazione del corso di psicopatologia generale, di fare un'esperienza con pazienti psicotici cronici. La sensazione più immediata che ebbi oltrepassando la cancellata fu quella che il tempo si fosse fermato. Lì dentro ogni cosa appariva con un aspetto antico, le persone con cui parlavo erano inspiegabilmente ancorate ad un'epoca della loro vita e quelle che non parlavano ripetevano, secondo precisi rituali, alcune azioni ai miei occhi incomprensibili che, però, mi trasmettevano una sensazione di immobilità, di terrificante destorizzazione.
Ciò che sono riuscita immediatamente a cogliere è stato che il mio senso del tempo era radicalmente diverso da quello delle persone con cui mi trovavo. A volte ho creduto che la differenza non fosse solamente rispetto al fatto che io stavo vivendo nel 1998 e che, per esempio, la sig. M. G. si era "fermata" al 1946; spingendomi un po' oltre mi sembrava quasi che il tempo per questa donna non esistesse più, si fosse dissolto portandosi via anche la speranza di qualche cambiamento, di una sorpresa.
Successivamente incontrai un'altra persona; mi raccontò ad una velocità sbalorditiva qualche strano episodio della sua vita, mi offrì una bibita dalla bottiglia che si portava appresso, mi salutò e se ne andò lasciandomi ferma, nella stessa posizione in cui mi trovavo all'inizio dell' incontro. Pensai che, allora, il tempo avesse di nuovo ripreso a scorrere. La settimana dopo la rincontrai e di nuovo tutto si svolse quasi nello stesso identico modo. Nuovamente quella sensazione di immobilità, nessuno esprimeva una tensione, un progetto, una costruzione nuova della propria esperienza esistenziale. L'impatto iniziale fu quello di una incomprensibile distanza e incapacità di comprensione da parte mia delle persone di cui volevo difensivamente conoscere la "diagnosi psicopatologica" prima di rendermi definitivamente conto che l'unico accesso possibile alla loro sofferenza poteva passare solo attraverso la fatica di una ristrutturazione dei miei modi-di-essere-con loro a partire dalla sospensione del giudizio.
Lo schizofrenico vive nell'impossibilità di vivere il reale, così come condizione nella quale perseguiamo sogni, illusioni, possibilità per i quali ci adoperiamo strenuamente.
Tali possibilità probabilmente rappresentano il senso e la direzione che via-via, si modellano e si ri-strutturano andando alla ricerca dell'infinito attraverso la finitudo di necessarie definizioni di percorso. Tali definizioni, però, in una sorta di movimento circolare, nel momento in cui chiudono, imprigionano il senso contemporaneamente manifestano un'assenza, lasciano intravedere nuove possibilità, nuove interpretazioni che ognuno accoglie probabilmente per trascendere quelle precedenti. Aperture e chiusure si alternano e si sovrappongono come in risposta ad una insopportabile mancanza.
Ciò che imprigiona colui che soffre psichicamente è forse anche una impossibilità di trascendenza intesa come impotenza di fronte alla chiusura delle opportunità a divincolarsi dalla causalità negativa che uccide la creatività e provoca una insopportabile sofferenza. Questa potrebbe essere biunivocità rigida che sottende il segno in contrapposizione alla libertà ed alla espressività del simbolo.
Il terapeuta si incarica di accompagnare i suoi pazienti al difuori del territorio della finitezza negativa anche attraverso la metafora delirante che pur rimanendo tale, ossia anomala, non è più pietrificata, rimette in movimento il gioco dei significanti. Essa ha in sé qualcosa di nuovo, un elemento inserito dal terapeuta attraverso il processo della positivizzazione che descriverò successivamente. Tramite la positivizzazione è possibile, per il terapeuta, partendo dallo stesso contenuto delirante, dualizzarlo ossia parteciparne in vista di poterlo trascendere.
A questo punto mi sembra opportuno andare a vedere qual è il significato di trascendenza nell'opera di Gaetano Benedetti in quanto tale termine è stato utilizzato con diverse accezioni anche nella psichiatria e nella psicoanalisi, a volte con sfumature moralistiche o pedagogiche e non secondo un rigoroso approccio strutturale per la cura della schizofrenicità.
Pier Giorgio Moriero, nel suo libro "Benedetti e Lacan ... riflessioni su due autori"(pag. 31) afferma che un merito di Benedetti è quello di aver reintrodotto il concetto di trascendenza "come momento formatore di una dualità operazionale, terapeutica e della possibile nascita di una soggettività transizionale, elemento e termine terzo tra paziente e terapeuta possibilità di una positivizzazione del male e della sofferenza del soggetto, vera apertura ad un loro superamento, ad una trascendenza appunto".
L'impossibilità di trascendenza però non impedisce al paziente, che è immerso in una "esistenza negativa", senza meta, né speranza, di inviare al terapeuta dei messaggi per simbolizzare la negatività.(1)
Segno e simbolo rappresentano due modalità tensionali diverse perché mentre il primo rinvia ad una realtà, ad una presenza, rintracciabile e quasi "pacificante", come certe interpretazioni che attenendosi scrupolosamente alla teoria di riferimento spiegano perfettamente il significato di un sintomo. Al contrario il simbolo rinvia ad una assenza per la quale nasce anche a livello ontogenentico e nel rispetto della sua stessa natura assume significazioni non racchiudibili in un enunciato che lo presentifichi, ma utilizzando una espressione di Pier Giorgio Moriero "in una enunciazione che assuma, alle soglie del finito, il significante di una mancanza"(2).
La mancanza, l'assenza cui rimanda il simbolo, diviene allora il mezzo con cui è possibile superare la compattezza del reale, che per il paziente è assimilato al simbolico.
"L'assunzione a livello simbolico di un difetto radicale, di quella mancanza di una mancanza che costituisce l'opprimente incombere del reale, significa per il soggetto nella psicosi il pur aurorale affacciarsi di una simbolizzazione che in qualche modo delimiti le sabbie mobili della mancanza di una mancanza ed il pericolo letale che esse rappresentano, laddove è forcluso, verworfen, il nome del padre.(3)

Note:

1) "invano perchè per lui tutto il simbolico è reale" JACQUES LACAN, Réponse au commentaire de Jean Hippolite sur la "Verneinumg" de Freud, in Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 392 ; ediz. ital. scritti, Einaudi, Torino 1974 pag. 384.
2) PIER GIORGIO MORIERO: "Benedetti e Lacan ... riflessioni su due autori, Edizioni dell'Arco, Milano, 1997
3) MORIERO PIER GIORGIO "Benedetti e Lacan ... riflessioni su due autori", Edizioni dell'Arco, Milano, 1997


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