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Psichiatria e
Psicoterapia Analitica
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La psichiatria biologica va cambiando? L'opinione di uno psicoanalista

Giuseppe Squitieri


Parlare di biologia nel contesto culturale della psicoanalisi è difficile e provoca più di una diffidenza ancora oggi quando il contatto ed il confronto con altre discipline è considerato una strada ineludibile per il futuro. Con il suo riferimento ad una materia fin troppo organica, la biologia sembra non poter rendere conto della complessità della mente umana, o meglio delle menti umane e delle relazioni che tra esse si costituiscono. La critica agli aspetti più fisicalistici, e inevitabilmente datati, del linguaggio come della teoresi freudiana (i due ambiti non sono sempre sovrapponibili) costituisce uno dei segni distintivi di ogni modello psicoanalitico che intenda fondarsi saldamente sulla soggettività dell'individuo e sulla centralità della relazione terapeutica. E certamente essersi liberata degli aspetti più riduttivistici e biologizzanti dell'eredità ottocentesca del pensiero freudiano ha permesso alla psicoanalisi di mettere meglio a fuoco l'oggetto del proprio studio e di meglio delimitare (talvolta espandere) i propri confini concettuali. Su questo piano (quello concettuale) la possibilità di distinguere con chiarezza tra mente e cervello ha evitato confusioni tra discorsi reciprocamente incommensurabili e ha chiarito la natura unicamente psicologica non solo degli strumenti terapeutici ma anche delle stesse categorie del pensare in psicoanalisi.
Ma non si è, come si dice, buttato il bambino insieme all'acqua sporca? In altre parole, è veramente possibile prescindere completamente, nel pensare da psicoanalisti, da un riferimento biologico?
Molte delle persone che negli anni Quaranta si affrontarono nelle "Controversial Discussions" (in cui la psicoanalisi aggiornò e mise a punto alcuni dei suoi strumenti teorici) non avevano una preparazione medica o biologica ma non ritenevano di potersi esimere (e non solo per questioni di discendenza) dal pensare anche nei termini del biologico sotteso alle loro formulazioni. Uno dei frutti di quel lavoro fu la proposizione di un concetto descrittivo al limite tra psicologico e biologico, quello di fantasia inconscia, che nonostante il suo tortuoso cammino e le molte banalizzazioni fattene non sembra aver ancor oggi esaurito il proprio potenziale euristico (tanto che, per fare un esempio, esso compare a più riprese nella discussione svoltasi su Internet intorno al lavoro di Migone e Liotti pubblicato recentemente dall'International Journal of Psychoanalysis). L'opera di Winnicott, frutto come è di una mente assolutamente originale, non sarebbe concepibile in molte delle sue parti e nel suo insieme (vedi in particolare a questo proposito il volume Human Nature, 1988) senza un riferimento costante e fecondo al biologico: ed in questo senso il concetto winnicottiano di pulsione (così come è implicitamente ricavabile dai suoi scritti) ha molti punti di intersezione con aspetti della moderna biologia. (1) Gli esempi potrebbero continuare.
E' vero che su un versante opposto alcuni modelli psicoanalitici si presentano dichiaratamente come "anti-biologici" -quello di Kohut, per esempio, o quello narrativo ed ermeneutico di George Klein e di Schafer- ma, come affermano Slavin e Krigman (1992), non c'è teorico "non biologico" che non abbia la propria serie di assunti biologici impliciti su ciò che costituisce la natura umana. "Ogni costruttivismo radicale non può che costruirsi sulle fondamenta di un essenzialismo nascosto" (Fuss, 1989). Sarebbe allora possibile rendere questi assunti più espliciti ed eventualmente utilizzabili nello stesso riflettere psicoanalitico? In molti casi probabilmente sì.
Che relazione ha tutto ciò con i cambiamenti che vanno delineandosi nella psichiatria biologica? Cercherò di spiegare il mio punto di vista attraverso un'altra domanda. Che riferimenti e che punti di contatto sarebbe possibile trovare per lo psicoanalista con una psichiatria biologica i cui presupposti concettuali ed i cui ambiti di ricerca fossero pressocché esclusivamente ancorati al paradigma puramente biochimico rappresentato dal modello recettoriale ed ad un atteggiamento nosografico di tipo neokraepeliniano? Probabilmente quasi nessuno, per ragioni che sono di per sé abbastanza evidenti e che non è comunque qui possibile ricordare. Orbene, se prendiamo come punto di riferimento significativo, e a noi prossimo, l'ultimo Congresso della Società Italiana di Psichiatria Biologica (Napoli, 29 settembre-3 ottobre 1998) risulta evidente che in esso compare un cambiamento radicale di paradigmi. Basta scorrere i titoli di alcune relazioni: "Psichiatria darwiniana 2005: addio all'età delle sinapsi e del gene; è il momento dell'analisi funzionale, della selezione sessuale, delle differenze individuali, del comportamento adattativo e della riclassificazione dei disturbi" (M.T. Mc Guire, Los Angeles, USA); "La mente umana: una prospettiva evoluzionistica e neuroscientifica" (M. S. Cazzaniga, Hanover, USA); "L'evoluzione delle strategie sessuali umane" (D.M. Buss, Austin, USA); "L'evoluzione del cervello e del comportamento dei primati: implicazioni per la psichiatria" (T.R. Insel, Atlanta, USA). Biologia evoluzionista ed etologia (accanto alle già sperimentate neuropsicologia e alla psicologia cognitivista) sembrano sostituirsi decisamente alla biochimica dei sistemi recettoriali come discipline e campi di ricerca capaci di fornire le prospettive della psichiatria biologica per il futuro.
Si prende cioè atto della impossibilità di un modello tecnologicamente molto avanzato ma per molti versi ipersemplificato come quello dei neuromediatori cerebrali di fornire un quadro concettuale sufficientemente euristico (al di là degli indubbi meriti relativamente ad una fase di sviluppo della moderna psicofarmacologia): o meglio si scopre che quando di tale modello si rendono evidenti tutte le complesse ramificazioni esso non ha più efficacia esplicativa se non viene collocato in una cornice conoscitiva più comprensiva, come quella fornita dalla biologia evoluzionista e dall'etologia.
In tal senso, gli aspetti più rilevantemente innovativi (dato il contesto disciplinare cui si riferiscono, quello della psichiatria biologica) sono stati la piena valorizzazione della prospettiva temporale -della dimensione storica- sia a livello filogenetico che ontogenetico (con il risultato non secondario del definitivo, seppur tardivo, superamento del modello implicito dell'iniziale stato della mente come tabula rasa) ed il riconoscimento del ruolo centrale della soggettività da un lato e dell'ambiente dall'altro.
Nella stessa direzione mi sembra andare l'editoriale di Alfonso Troisi comparso nel numero di settembre 1998 di questa rivista. Troisi, che nello stesso Congresso, ha condotto, insieme a M.T. Mc Guire, un simposio su "La biologia contemporanea e il concetto di malattia mentale", pone questioni complesse su cui varrebbe la pena di ritornare (ma da quanto detto finora mi sembra risultino evidenti le aree di condivisione). Inoltre, adotta un'impostazione metodologica che credo vada sottolineata: il lavoro di confutazione che egli fa di alcuni assunti di base della psichiatria biologica partendo da posizione evoluzioniste mi sembra avere il senso costruttivo di stabilire, pur confutandoli, dei ponti concettuali con aspetti della psichiatria biologica di stampo nosografico e riduzionista che non possono essere ignorati, ma semmai superati. (2)
Che cosa significa tutto questo per il mondo della psicoanalisi italiana? Credo possa significare in prospettiva la possibilità di una interlocuzione più fruttuosa grazie ad una maggiore convergenza culturale, o perlomeno all'attenuarsi di una divaricazione estrema e reciprocamente svalutante. Certo esiste un problema di capacità di conoscenza reciproca: di psicoanalisi, per esempio, nel Congresso di Napoli si è parlato pochissimo (per quanto chi scrive ha potuto constatare) e quelle pochissime volte a sproposito, mettendo perfino alla prova sperimentale assunti, definiti psicoanalitici, di estrema vaghezza o formulati in maniera tale che nessun psicoanalista oggi riconoscerebbe come propri (3).
La psichiatria biologica oggi sembra comunque accettare e valorizzare idee e concetti che la psicoanalisi frequenta ormai da tempo. Basti pensare, come ha ricordato M. Ammaniti in un articolo su Repubblica, all'opera di Bowlby ed alla teoria dell'attaccamento cui oggi la psichiatria biologica arriva inevitabilmente attraverso un diverso percorso. Questa valorizzazione avviene cioè attraverso una vera e propria ri-scoperta peraltro convalidata da grandi numeri e da apparati sperimentali complessi. Il che fa però pensare che i due mondi, quello dei grandi numeri e degli apparati sperimentali della psichiatria biologica e quello del singolo caso proprio della stanza d'analisi, non siano del tutto incommensurabili: e che l'intensità emotiva e la libertà creativa che la situazione analitica duale permette possano essere anche proficuamente utilizzati per formulare ipotesi da offrire al vaglio di una psichiatria biologica che sia scienza sperimentale "dura" ma non inaccettabilmente riduzionista. Con reciproco vantaggio.

Giuseppe Squitieri, psichiatra, psicoanalista S.P.I.

Bibliografia

Ammaniti M. (1998): Psichiatria, le nuove alleanze, Repubblica del 9/12
Fuss, D. (1989): Essentially Speaking. New York: Routledge.
Migone e Liotti (1998): Psychoanalysis and cognitive-evolutionary psychology: an attempt at integration. International Journal of Psychoanalysis, 79:6.
Slavin M.O. e Krigman D. (1992): The adptive design of the human psyche: psychoanlysis, evolutionary biology and the therapeutic process. New York. The Guilford Press.
Winnicott D.W. (1988): Human nature. London. Free Association Books.

NOTE

(1) E' inutile qui rilevare come il concetto di pulsione, il più biologico dei concetti psicoanalitici, abbia subito nel tempo una progressiva evoluzione che ne fanno qualcosa di diverso dal concetto strettamente freudiano, ma non senza che se ne possa riconoscere la genesi originaria.
(2) Silvana Galderisi nel suo intervento, sempre su questa rivista (dicembre 1998), molto interessante soprattutto dove fa riferimento, citando Bruner, ad una "biologia dei significati", parla di crisi attuale della psichiatria ed in particolare della psichiatria biologica : ma non si tratta di una salutare (ed attesa) crisi di crescita che può aprire prospettive di sviluppo?
(3) Ce n'è qualche esempio nella relazione, pur interessante, di R. Bentall (Liverpool), su "Cognitive functions and social reasoning in psychosis".

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