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Atti del 1°Congresso OPIFER

"Prospettive relazionali in psicoanalisi"


Presentazione

Daniela De Robertis



In questa sede non vorrei occuparmi delle pur dominanti finalità sociali e istituzionali all'origine di questo primi congresso OPIfer, già toccate nel mio intervento di apertura ai lavori e messe a punto nella ricostruzione della storia dell’OPIfer nella relazione introduttiva di Bacciagaluppi.
Mi pare opportuno in questa presentazione privilegiare la natura dei temi indagati e il senso del discorso scientifico che emerge dai contributi presentati.
Sebbene i lavori propongano posizioni teoriche e cliniche diversificate, in conformità allo spirito dell’associazione ed utili ad un confronto aperto e dialettico, un’immediata considerazione salta agli occhi: la presenza di un background comune che rinvia ad una visione bipersonale della terapia o, quanto meno, ad una matrice “sociale” dell’approccio al paziente. Tutto ciò testimonia in quale misura nell’operare psicoanalitico il protagonismo della pulsione come piattaforma biologica stia arretrando in favore della priorità della relazione come categoria della mente.

Apre i lavori del congresso una prima tavola rotonda, il cui titolo Conflitto e consenso è una dichiarazione d’intenti all’interno della quale la diversificazione delle posizioni piuttosto che essere recinti attivatori di conflitti, possono essere vissute come alternative prospettiche, stimolanti una disposizione di base volta al consenso. Si tratta di una carrellata che ha lo scopo di fornire una panoramica sugli orientamenti teorico- clinici delle associazioni affiliate ad OPIfer, attraverso la presentazione dell’Istituto Erich Fromm di Bologna (Biancoli), dell’AFPN (Associazione fiorentina di psicoanalisi interpersonale) (Cutajar), della Ginestra di Milano (Loriga), e della S.I.P.Re. (Società Italiana di Psicoanalisi della Relazione) di Roma (Minolli).
L’Istituto di Bologna s’informa allo spirito di E. Fromm, contribuendo “a mantenere viva una tradizione di ricerca frommiana” (Biancoli) . Il riferimento alle “regole dell’arte” psicoanalitica di Fromm è vissuta dai componenti del gruppo nel solco della più genuina tradizione: essi ritrovano illegittima la pretesa di codificare un indirizzo frommiano in Psicoanalisi, dal momento che lo stesso Fromm ha accuratamente evitato di scrivere “manuali” di regole applicative, ritenendo che le codificazioni fossero indice di rigidità e soprattutto di distanza dal contesto che le ha generate. Da qui invece la preferenza a perseguire le profonde sollecitazioni di cui si fa veicolo l’umanesimo radicale di Fromm.
L’Associazione fiorentina presenta una fisionomia psicoanalitica vissuta e perseguita come realtà integrata, sulla scorta della considerazione che oggi risulta indebito parlare di “una” Psicoanalisi e che il sempre più articolato panorama psicoanalitico di fatto sconferma il modello monolitico del pur recente passato. L’orientamento interpersonale di Sullivan e le posizione relazionali ad esso vicine caratterizzano “l’atteggiamento pluralistico e non dogmatico” (Cutajar) dell’Associazione, attenta a
Privilegiare nella clinica il concetto di co-costruzione, le dinamiche del Sé, l’esperienza relazionale ,il tema transgenerazionale, tutti postulati che, prodotti dagli attuali studi, stanno modificando le logiche interne della Psicoanalisi.
La Ginestra come rivista persegue l’intento di diffondere la cultura psicoanalitica e come circolo privilegia problemi di clinica con una disposizione di apertura sostenuta dalla convergenza tra scuola freudiana, lacaniana e junghiana.
Il pensiero di Freud, l’analisi di Rapaport e dei postrapaportiani rappresentano le derivate storiche che connotano la S.I.P.Re. e anche l’origine del suo percorso di ricerca. Su questa prima derivazione si sono innestati gli apporti dl postfreudismo, dell’Infant Research e dell’Infant Observation, gli orientamenti interpersonali e quelli della matrice relazionale, che, a loro volta, sono stati integrati negli specifici riferimenti teorico-clinici propri dell’Associazione, come il concetto di organizzazione, di soggetto, di identità e di autocoscienza.
Nella tavola rotonda Il corpo dentro e fuori tre interventi affrontano secondo diverse angolazioni il tema del corpo e le funzionalità psichiche che esso esercita:
il corpo come componente immaginaria e metafora della psiche (Andujar), il corpo come eloquente depositario della comunicazione non verbale (Azzola), il corpo come veicolo delegato “a dire fuori quel che l’individuo tutto intero non riesce a dire dentro” (Tricoli).
Nel panel Nuove letture del soggetto nell’ottica del concetto di relazione tre contributi affrontano l’argomento secondo un punto di vista teorico e clinico. Il primo contributo di De Ponte e Busso presenta la processualità del trattamento attraverso l’esposizione di un caso clinico secondo il modello interpersonale; un modello che attribuisce particolare rilievo al ruolo e alla partecipazione dell’analista alla relazione. In questo lavoro “la persona dell’analista viene messa al centro dell’interazione psicoanalitica”, rendendo “la situazione psicoanalitica (É) profondamente interattiva”. L’esposizione del caso è completata da una riflessione su una serie di rimandi teorici che vanno da Joseph a Bowlby, a Levenson, ecc. e che fondano l’intervento clinico.
L’Incontro con “ l’altro nella psicologia di Jung” di Maffei è un’escursione nel personalissimo e, per così dire , iniziatico mondo della biografia intima di Jung. Qui l’altro è concepito come un’ alterità interna “provvisto di un suo proprio potenziale di sviluppo”, cosicché la vita psichica si scandisce sulla necessità del confronto con questo “altro interno” diverso da se stessi.
In “Gli esiti della Psicoanalisi” Carta vede negli esiti della cura l’asse dell’esperienza relazionale. La meta di tutti gli incontri “ripetuti ma non ripetitivi” non è la ricostruzione di un passato storico-fantasmatico, monopersonalmente affrontato, ma piuttosto la ricerca che chiama in causa l’affacciarsi della coppia analiticasull’abisso dei “loci” nascosti e profondi. L’esito per eccellenza della cura appare dunque l’aprirsi in forma “strutturalmente stabile”, sebbene mai definitiva e sempre potenziale, “della mente cosciente sulle profondità dell’inconscio”.
La sezione dedicata ai Paradigm shifts nasce all’insegna del cross -over , onorando la trasversalità dei vari linguaggi scientifici. Secondo il verdetto autori quali, in ambito nazionale, Bordi, Speziale Bagliacca, De Masi, Borgogno, ecc,, ma anche all’estero , per citare Fonagy e Grossman, la Psicoanalisi avrà un futuro a patto di “mescolare” il suo linguaggio con quello delle discipline affini, creando una partecipazione e un linguaggio socialmente condiviso dalla comunità scientifica che a mio avviso è condizione di base per l’accreditamento della propria scientificità. Sicuramente già in molte aree della psicoanalisi sono individuabili referenti desunti da discipline limitrofe , si pensi agli apporti della neurobiologia, della filosofia della mente, della psicologia cognitiva, delle scienze sociali, ecc.. Un’apertura che oggi sembra riparare un antico torto: la Psicoanalisi per troppo tempo ha fatto per conto suo, chiudendosi alla circolarità della conoscenza in nome di una supposta e immodesta supremazia intellettuale. Questa sezione s’iscrive nel solco di una recente tradizione di apertura, contemplando lavori che importano nella Psicoanalisi sollecitazioni desunte dal codice evoluzionistico, dall’Infant Research e dalla psicoterapia breve.
Il tema del lavoro di Bacciagaluppi (Il paradigma evoluzionistico in Psicoanalisi) propone una revisione dell’asse della filogenesi e dell’ontogenesi freudiana, sulla scorta degli esiti degli studi antropologici e dei contributi di Bowlby, seguiti da tutta la generazione dei postbowlbiani. Con la teoria dell’attaccamento Bowlby ha collegato il potenziale etologico alla ricerca psicoanalitica sui bisogni e i comportamenti primari. Il codice dell’attaccamento, in qualità di modello etologico-evoluzionistico, ha verificato l’improponibilità della pulsione orale come chiave esplicativa di tutti i fenomeni che attengono alla relazione primaria, disconfermando anche la teoria dell’appoggio che legge i legami affettivi come effetti secondari e strumentali rispetto ai bisogni biologici. Ma il merito storico di Bowlby è anche quello di avere introdotto nella Psicoanalisi la pratica sistematica dell’infant observation, evitando le contraffazioni di una visione adultomorfa e patomorfa del bambino. Una visione inverosimile che il riferimento alla clinica degli adulti ha prodotto per lungo tempo, depistando la Psicoanalisi da una lettura più rispettosa dell’infante. Lettura da cui partono le due relazioni di Patrizi e di Rodini che investigano il profilo del “neonato competente” e del “bambino intelligente” con cui l’Infant Research ha da tempo rivoluzionato le coordinate della psicologia dello sviluppo.
Nel lavoro presentato da Patrizi, le nuove ipotesi sulle teorie dello sviluppo diventano uno stimolo per operare una riflessione sulla configurazione del setting. E qui si prospettano due livelli di approfondimento. Se la storia del bambino si struttura in base a parametri quali l’interattività primaria, la competenza nella regolazione del sé e del sé con l’altro, negli scambi reciproci, nella capacità di elaborare informazione e di modificare l’ambiente, la costruzione della storia del soggetto, nella cornice delle sedute, non può non tener conto di questi nuovi parametri. Una nuova concettualizzazione che smentisce il narcisismo primario, gli stati indifferenziati, le fasi simbiotiche, ecc., e che restituisce un ritratto storico del soggetto notevolmente diverso rispetto all’impostazione classica. In secondo luogo, l’origine diadica della mente, l’intenzionalità emotiva precoce alla guida degli scambi affettivi, i processi di sintonizzazione, sono tutti elementi che, importati nell’operare psicoanalitico, sollecitano una revisione del concetto di transfert, di controtransfert , ma anche d’interpretazione, ripensati in favore del concetto di co-transfert e di co-costruzione.
Rodini, a buon diritto, privilegia come spazio conoscitivo la comprensione del bambino perché possiede “un potenziale che cambia il mondo”, influendo sull’educazione e sulla nostra concezione antropologica. L’autore ricostruisce i passaggi storici che negli ultimi decenni hanno rivisitato l’approccio al bambino: da soggetto reattivo, i cui comportamenti vengono letti come risposte, a soggetto primariamente attivo, che interagisce con il mondo. I motori che hanno promosso e accompagnato questo programma di ricerca sono stati oltre all’Infant Research (Sander in testa), il modello dei sistemi complessi non lineari, il paradigma interattivo-costruttivista e non da ultimo l’indagine sui processi e codici presimbolici.
Rientrano nella sagoma dei Paradigm schifts le innovazioni e gli stimoli che altre forme di psicoterapia, peraltro limitrofe, possono fornire alla Psicoanalisi. Con questo intento Osimo presenta il suo lavoro su I contributi della psicoterapia breve alla Psicoanalisi.
Osimo ripercorre i rapporti tra Psicoanalisi e psicoterapia breve a partire dai progenitori di percorsi alternativi rintracciabili in Ferenczi, in Adler e poi in Alexander, French, Balint, fino agli apporti in tempi più recenti di Malam e Davanloo. Il principio attivo della psicoterapia breve è da rintracciare nella condivisione tra la coppia analitica delle emozioni, soprattutto in merito alla rielaborazione del dolore psichico, utile a promuovere in tempi più contenuti i processi mutativi. Come risulta empiricamente verificato, il cambiamento profondo risulta essere variabile dipendente dalla qualità della riattualizzazione dell’esperienza emozionale. Questo è indubbiamente un grosso punto di convergenza che oggi può consentire alla Psicoanalisi e alla psicoterapia breve di parlarsi in modo meno concitato e polemico. Tutto sta che la Psicoanalisi riconosca ( come in realtà sta procedendo) che l’analista entra sempre in gioco nel processo e che invariabilmente ci mette del suo. Questo riconoscimento in atto contribuisce ad abbattere gli steccati di scuola, avvicinando la Psicoanalisi alla psicoterapia breve, che similmente individua “l’essenza dell’analisi nell’atteggiamento del terapeuta” (Malam).
Un panel del congresso è dedicato alla celebrazione della figura di Fromm nel centenario della nascita. Nelle pagine di Bacciagaluppi e in quelle di Biancoli viene restituito a tutto tondo il ruolo scientifico e culturale del Fromm psicoanalista, così preso, diversamente da Freud, dagli interessi verso il sociale, da individuare nelle variabili socio- ambientali il motore dei mutamenti: una sorta di “selezione sociale” che avviene all’interno della dialettica individuo- ambiente.
Inevitabile oggi sottolineare l’attualità di Fromm presente nel concetto di “falsi sé” (“le strutture di carattere improduttive”), di winnicottiano sviluppo, nell’importanza attribuita alle configurazioni familiari, referente di fondo di ogni teoria dell”attaccamento”, e nell’impulso dato a percorsi alternativi all’establishment psicoanalitico, sviluppati poi dai due filoni dell’Indipendent Group e dell’orientamento interpersonale- culturale americano(Bacciagaluppi).
L scritto di Biancoli ruota intorno alla biografia intellettuale di Fromm, che viene iscritto nelle fila dei grandi dissidenti-innovatori insieme a Ferenczi, Reich, e Sullivan.
Viene sottolineato il pregio dell’opera di Fromm, difficilmente inquadrabile in un pensiero codificato, la sua formazione marxista, che è stata motivo di distinzione dall’indirizzo interpersonalista e neofreudiano, il suo riferimento “forte” di stampo esistenzialista, la sua critica all’epistemologia e alla metapsicologia freudiana, la sua psicoanalisi come “arte”, l’estensione del concetto di transfert a tutte le esperienze di relazione.
Insomma la ricchezza del pensiero di Fromm ne fa un crocevia di confluenze culturali e un punto di snodo per ogni intento revisionista e progressista che arricchisce la nostra attualità psicoanalitica.
L’ultimo panel La Psicoanalisi e i suoi risultati presenta contributi di notevole affinità nell’affrontare l’area tematica del rapporto tra epistemologia e Psicoanalisi. Un rapporto che non può essere eluso, pena il decadimento della “qualità” e della “tenuta” scientifica della Psicoanalisi e che alle sue origini e per alcuni decenni non è stato privo di toni polemici e duri da entrambe le parti. Solo negli ultimi tempi, con il mutare di alcuni presupposti storico-scientifici , si può parlare di un dialogo e un avvicinamento maggiore con conseguente reciproco vantaggio e arricchimento. Questo è appunto il tema che sottende la presentazione di questi lavori e da cui parte Longhin (I criteri di attendibilità della Psicoanalisi). Qui l’autore sottolinea la legittimità dell’epistemologia d’investigare il sapere psicoanalitico e , al tempo stesso, l’obbligo della Psicoanalisi di appropriarsi del dibattito epistemico , allo scopo di presentarsi come “sapere rigoroso”, soprattutto in un momento della storia della Psicoanalisi così ricco di mutamenti di paradigma e così vissuto da una pluralità di modelli. Dal discorso di Longhin emerge in che misura oggi la Psicoanalisi può reggere il confronto con l’epistemologia con maggior disponibilità e distensione, proprio per una diversa disposizione metodologica dell’epistemologia che non pretende più di applicare i metodi sperimentali delle scienze a matrice biologica, ma che, nel proporre epistemologie specifiche si mostra rispettosa della specificità dell’oggetto d’indagine e dei metodi esplorativi di ciascuna scienza, Psicoanalisi compresa. Questo diverso approccio consente di utilizzare in Psicoanalisi “la logica della spiegazione teleologica”, come tratto distintivo dell’oggetto psicoanalitico. Ciò significa che l’agire umano è permeato d’intenzionalità e di senso e che questi ultimi vanno trovati anche laddove non si manifestano esplicitamente. Ne consegue che la ricerca delle “ragioni teleologiche”, le ragioni del “render conto”, rappresentano il percorso più rispondente per “cogliere l’intenzionalità e il senso dell’agire umano conscio e inconscio”.
In La Psicoanalisi relazionale e l’interfaccia con le scienze affini e l’epistemologia (De Robertis) l’accento è posto sull’entrata in campo del concetto di relazione nel modello psicoanalitico . Questa operazione ha fornito alla Psicoanalisi un inquadramento scientifico proprio perché ha accorciato le distanze con le scienze affini e l’epistemologia. Inoltre i due orientamenti predominanti del costruttivismo sociale e della svolta sociologistica hanno evidenziato in che misura sia improponibile una teoria psicologica con base puramente individuale. La Psicoanalisi ha fatto propria questa impostazione attraverso la messa in campo di una psicologia bipersonale. E ’opinione dell’autore che la scientificità della Psicoanalisi oggi possa essere guadagnata muovendosi all’interno di un approccio costruttivista alla cui base si articola il concetto di relazione, mentre in tempi meno recenti l’adesione di fondo del freudismo al modello scientista le si ritorceva contro come un boomerang, precludendole quella stessa scientificità che essa andava perseguendo.
Fava (Psicoanalisi e ricerca empirica) si muove all’interno di una posizione genuinamente antiscientista, rispettosa dell’oggetto d’indagine della Psicoanalisi. Fava indaga da un punto di vista metodologico i limiti di sagoma del complesso problema delle prove di efficacia in Psicoanalisi. Fermo restando che l’efficacia e la qualità del trattamento non può scientificamente prescindere dal metodo di verifica, l’autore esamina le condizioni preliminari che permettono la messa a punto del metodo di e la sua applicabilità. Una premessa indispensabile si ritrova nell’impiego di definizioni univoche, e a priori condivise, dei concetti psicoanalitici impiegati in rapporto ai loro significati. una seconda condizione sta nell’ operazionalizzare i concetti., cioè, (come è stato effettuato nel CCRT per il transfert) nell’individuare il legame tra concetto e indicatore osservabile. Riguardo alle variabili sull’efficacia del trattamento il rimando è alla “competenza” dell’analista , non solo in riferimento alla “base teorica”, ma correlata alle sue capacità di mantenere un assetto relazionale coerente e complementare rispetto al paziente. Discorso che mi pare tiri in ballo la disposizione del terapeuta di leggere l’altro e contemporaneamente leggersi nel pieno rispetto della reciproca specularità dell’approccio ralazionale.
Per concludere vorrei sottolineare in che misura questo testo raccoglie contributi aperti alla revisione, attenti ai nuovi stimoli che da più parti la Psicoanalisi va proponendo, solleciti nel coniugare i nuovi referenti teorici alla prassi clinica. Ciò contribuisce a restituire a questa nostra disciplina un volto più creativo, più scientifico e più in linea con l’attualità della ricerca

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