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Atti del 1°Congresso SI-EFPP - Roma, 6 maggio 2000

"Costanti e Evoluzioni del Setting in Psicoterapia Psicoanalitica"




Trattabilità: luogo d'incontro tra la parola del paziente e l'attenzione del terapeuta

Carla Vitale Massoni



Il tema della trattabilità pare essere un argomento che sfugge alla conoscenza, tanto che può essere utile delimitarlo attraverso l'esclusione di ciò che non è la trattabilità.
Dunque, la trattabilità non è la diagnosi intesa come momento di valutazione oggettiva che permette la rappresentazione di un percorso nella mente del terapeuta, ma non è neppure il momento della conclusione, quando dei dati altrettanto oggettivi forniscono degli indici di cambiamento interno-esterno.
Vuol dire, quindi, che la trattabilità si trova lungo il percorso della relazione, in un momento impreciso quanto improvviso nel suo proporsi, inatteso e insperato, ma forse indotto da una disposizione empatica del terapeuta, tale da permettere una controidentificazione del giovane che avverte lo sforzo e la fatica di chi cerca di aiutarlo e capirlo. E', questo, un momento molto peculiare della terapia dell'adolescente. Il giovane, infatti, non vuole essere aiutato e si difende dal rapporto attaccando la mente del terapeuta, come in famiglia contesta l'operato dei genitori. Ciò non toglie che se il terapeuta tiene, regge all'aggressione, il giovane, quando meno ce l'aspettiamo, cede le armi e si consegna con tutta la generosità che gli è propria. E' questo il momento della trattabilità.
Tempo di restaurazione di un equilibrio economico dato da una circolarità di investimento libidico, che si sovrappone alla crudele legge del mors tua, vita mea.
La trattabilità, dunque, non si potrebbe concepire come la caduta delle resistenze, resistenze che nel giovane si nascondono spesso sotto le vesti dell'opposizione?
L'adolescente sente il bisogno di differenziarsi, di acquisire un suo proprio pensiero, un suo statuto fisico e mentale. Tuttavia, questo bisogno cosi' naturale e auspicabile può avvalersi di strumenti non idonei, come l'opposizione che diventa una modalità di relazione coatta e ripetuta, tale da bloccare la strada del processo di soggettivazione e indurre, al contrario, una chiusura narcisistica alimentata da un falso trionfo.
Trattabilità, quindi, come tempo di ripresa del processo della relazione, ma ancor più dell'organizzazione interna del giovane, dove sembra rompersi quell'assetto difensivo che si è scompensato solo superficialmente con la richiesta di aiuto ma che all'interno blocca le strutture impedendo il lavoro di ristrutturazione, ormai reso indispensabile.
La resistenza nel transfert, argomento del presente lavoro, si oppone alla trattabilità e quindi al lavoro terapeutico; tuttavia si differenzia dall'attacco aggressivo contro la relazione, espressione dell'istinto di morte.
La resistenza nel transfert è una difesa molto forte, perché riattiva nella relazione uno specifico conflitto : il desiderio di essere aiutati ma, al tempo stesso, la relazione sottesa da un bisogno può riproporre un'esperienza traumatica della prima infanzia, esperienza che ha indotto una difesa narcisistica con il ritiro dal rapporto.
Nel caso specifico, la resistenza è una difesa del Sé che si è dovuto adattare alla sperimentazione di affetti spiacevoli quali ansia, vergogna, colpa. E' una difesa alimentata dal timore di disintegrazione qualora ci si affidi nella relazione terapeutica, come in passato è accaduto in famiglia con la conseguente paura di perdere il proprio benessere.
In tali circostanze, il terapeuta ha una particolare funzione: la sua attenzione nei confronti del paziente. L'attenzione è capace di alimentare tutti gli elementi eccitanti presenti nel preconscio che raggiungono un certo grado di intensità e premono verso la coscienza. Tuttavia l'attenzione costituisce, altresi', uno spazio transizionale nel rapporto e ciò garantisce la distanza proteggendo il paziente da una temuta intrusione.
In tale spazio si può verificare il passaggio da sensazioni non verbalizzate e in attesa di essere decodificate, verso la rappresentazione di parola.
Nel caso specifico dell'adolescente, la resistenza nel trasfert rappresenta l'espressione di una difficoltà a trovare un nuovo adattamento in un nuovo contesto relazionale, offerto dalla terapia; ciò pare speculare al disagio che il giovane vive nel gestire i cambiamenti dell'apparato psichico.
Nel caso che sarà presentato qui di seguito, la disarmonia evolutiva (sviluppo prematuro dell'Io, come difesa da un ambiente difficile) porta ad un progressivo, intrapsichico adattamento rispetto le ansie sollecitate dall'ambiente. Ma proprio la successione degli adattamenti vissuti nell'infanzia ha causato un disordine narcisistico del carattere. Betty Joseph (1992) sottolinea il bisogno del paziente di trovare un senso di equilibrio. Cita: "L'Io cerca di mantenere una omeostasi nelle sensazioni".
Con l'arrivo dell'adolescenza, in virtù delle forti spinte pulsionali e delle sollecitazioni esterne diventa sempre più difficile adeguarsi alle richieste familiari, tanto che il giovane si trova ad un bivio: sottrarsi al legame o perpetrare la sottomissione, facendo finta che nulla cambia. Tuttavia quest'ultima soluzione porterà, nel futuro, ad una accettazione passiva agli eventi della vita, con il conseguente pericolo di tratti depressivi causati da una mancata realizzazione della propria identità.
Queste brevi riflessioni sono nate dall'aver ripercorso mentalmente una difficile, coinvolgente terapia, nella quale gli sforzi sono stati lungamente disattesi da una tenace opposizione che improvvisamente si è rotta, rivelando una ricchezza pulsionale che è pur sempre la fonte dello "slancio vitale" del giovane. La trattabilità, quindi, non potrebbe allora essere il momento in cui si crea un ponte tra l'assetto narcisistico e l'assetto oggettuale?

Ecco, dunque il caso.
Emma ha 14 anni quando inizia la terapia in una struttura pubblica. Terapia che durerà cinque anni, con la frequenza di due sedute settimanali per i primi due anni e, successivamente, una volta la settimana.
Piccola di statura, l'aspetto indifeso, scialba nella sembianza, si propone all'attenzione di tutto il personale per il suo pianto disperato, per i suoi singhiozzi accorati, il suo torcere nervosamente i capelli.
Provo un coinvolgimento immediato per la sua sofferenza e angoscia che sembrano non trovare limiti e dilagano per tutto il piano, in virtù delle sue urla disperate. Avverto il dolore che intacca la sua integrità.
Vorrei rendermi disponibile ma le grida della giovane mettono una barriera ai miei intenti, vorrei dire qualcosa ma la mente si offusca e le parole non si legano a dei pensieri coerenti.
Tuttavia, avverto un'autentica disperazione che, lungi dalla teatralità, esprime una richiesta di aiuto da cogliere in modo sollecito.
Il nostro penoso incontro è reso, inoltre, molto difficile dai numerosi zii, cugini, nonni che non riescono a contenere l'emozione e irrompono in seduta per chiedere aiuto, o consegnare un protocollo ricco di dati anamnestici, con continue sovrapposizioni di dati.
A ciò si alternano telefonate, biglietti con espressioni di speranza, lettere cariche di gratitudine per un lavoro appena cominciato.
Un inizio molto burrascoso, direi, dove per prima cosa ho sentito il bisogno di fortificare la mia identità di terapeuta che rischiava di sfilacciarsi, cosi' sollecitata dall'idealizzazione, le false speranze, le troppe illusioni.
Unico dato certo è per me la sofferenza della giovane, e a cosi' tanta sofferenza mi àncoro, per non subire pericolosi sbandamenti.
Posso dire, a posteriori, che questo contro-transfert è stato il filo conduttore di tutta la terapia, legando, grazie l'empatia, le varie sedute, che per la loro frammentarietà attestano il disturbo strutturale della ragazza.
In effetti la storia di Emma è, fin dall'età di un anno, un ginepraio di persone che cercano di prendersi cura di lei.
Nata sotto l'attesa messianica, Emma deve guarire una madre psicotica ed un padre alcolizzato.
Il rapporto con la madre è inaffidabile. In esso si alternano piacevoli momenti di gioco come tra due bambine ed improvvise esplosioni di ira che colpiscono la bambina come una lava incandescente, sollecitando il terrore dell'impotenza.
Il padre non è da meno. Si erige a pedagogo, a psicologo, a educatore della sessualità, ma le lunghe conversazioni al bar dietro un bicchiere di vino, scivolano in una curiosità che ad Emma risuona più morbosa che interessata.
Altrettanto ambigua è la proposta del padre di accompagnarla ai controlli per la vista.
L'ospedale è lontano, quindi il trasferimento sarebbe facilitato da un pernottamento nell'abitazione del padre; ma il dormire nello stesso letto suscita in Emma un disagio alimentato dall'ambiguità: si tratta di premura paterna o ricerca di un contatto fisico?
Ambiguità e discontinuità hanno caratterizzato il suo rapporto di bambina con i genitori e ciò spiega le effrazioni che ha subito il suo scudo protettivo.
Quando Emma comincia la terapia è letteralmente invasa da stimoli esterni e interni che non riesce a legare con delle rappresentazioni.
Tuttavia Emma ha avuto la capacità di difendersi con piccoli giochi quotidiani vissuti in un angolo della casa gelosamente protetto dall'intrusione familiare.
La coltivazione delle piante, simulare la preparazione di pranzi, disegnare paesaggi ideali, sono tutte attività ripetitive e regressive che le permettono un auto-accudimento, atto a ristabilire un sistema para-eccitatorio compromesso. Ciò non toglie che non fidarsi di nessuno diventa una difesa che la protegge, ma la isola.
Appare subito una bambina precoce nel camminare e attenta all'ambiente...ambiente pericoloso, tanto che in uno dei ripetuti tentativi di suicidio della madre viene coinvolta anche lei, bambina di appena due anni.
Miracolosamente salva, viene presa in cura dai nonni materni, vecchi e malandati, e dai numerosissimi zii, con i relativi compagni.
Famiglia generosa, tutti intervengono per aiutare Emma ma ognuno disconferma l'operato dell'altro, creando intorno alla bambina un ambiente confuso e confondente.
C'è, però, un filo che lega tutti i congiunti: la paura che Emma possa diventare psicotica come la madre. Lo spettro della psicosi è suffragato dal fatto che Emma, malgrado la sua intelligenza, ha lasciato il primo anno di liceo classico dopo appena un mese di studio.
La sua età coincide con quella della madre quando questa si è ammalata. Inoltre, una condizione di totale isolamento le accomuna pericolosamente.
L'agitazione motoria, apparsa con la pubertà, si manifesta ora nel funzionamento cognitivo e si vede obbligata ad apprendere le lezioni a memoria, ma ciò alimenta un pericoloso circuito negativo infatti le ore passate alla scrivania accrescono la tensione.
Con il lavoro terapeutico, cerchiamo di dare un senso a cosi' tante angosce. Il setting permette un ambiente affidabile. Ad un livello più arcaico le sue paure vengono collegate alla separazione ma, al tempo stesso, alla paura di essere simile alla madre e quindi inglobata in una depressione che non permette crescita e normalità.
Emma inizia numerose attività, ma tutte si concludono presto all'insegna di una sensazione di inadeguatezza, di paura, di perdita dell'orientamento.
L' "atmosfera" che la circonda è inquinata dalle attese, dalle troppe richieste o, al contrario, dalle delusioni e dai rimproveri per le sue domande spontanee.
Durante un anno di terapia i nostri incontri sopravvivono, malgrado la reciproca sensazione di incomprensione. Da parte mia, il non capire mi turba, non riuscire a lenire la sua sofferenza mi addolora.
Siamo in una posizione perfettamente speculare, di sconfitta reciproca.
I disperati tentativi attuati per essere capita, mettono in luce la paura di essere equivocata nella sua forma di resistenza che non è un attacco aggressivo al lavoro intrapreso, ma una più profonda paura di affidarsi.
Sandler(1969) sottolinea il bisogno del paziente che il terapeuta accompagni i suoi pensieri, sensazioni, fantasie consce o preconsce.
Fin da bambina, Emma ha cercato di adattare il suo apparato psichico alle penose situazioni familiari cercando la soluzione "migliore " con le risorse a sua disposizione. Ma il lavoro analitico suscita nuovi desideri e fantasie, quindi altera l'omeostasi faticosamente raggiunta e le resistenze sono accompagnate da affetti di vergogna e minacce di umiliazione, tuttavia Emma può, ora, condividere le emozioni più terribili come la paura di diventare matta. Stare vicina alle sue emozioni non cura, ma ciò è l'inizio di una futura relazione.
L'angoscia traumatica (collegata alla separazione dalla madre, quando a pochi mesi è stata affidata ai nonni) non si lega ad una idea o rappresentazione ma, espressa con il corpo, viene scissa e proiettata nell'altro: al suo volto inondato di lacrime si contrappone una morsa che attanaglia il mio stomaco.
Improvvisamente, una zia propone alla nipote una terapia mediante l'ipnosi, uno zio pensa di metterla in collegio, il padre, d'autorità, la porta presso un centro psichiatrico dove si effettuano terapie con adolescenti.
Emma salta tre sedute, durante le quali penso a me stessa e a lei come due naufraghi su due zattere che si allontanano. Siamo ad un bivio: l'oblio può cancellare l'esperienza oppure l'assenza può evocare il riconoscimento percettivo dell'esperienza di soddisfazione e la sua rievocazione mnemonica costituisce il desiderio. "Il pensiero dopo tutto non è altro che un sostituto di un desiderio allucinatorio" ( OSF,3:,517).
Tuttavia, la mia attesa è sostenuta da uno stato di fiducia, e quando Emma si presenta alla seduta successiva avverto che il nostro rapporto non è stato indebolito, ma rafforzato, da questa discontinuità.
Questa volta Emma non piange, ma con un piglio sicuro e voce determinata dice: "Ho scelto lei". In questo momento ho capito che la terapia avrebbe preso un nuovo corso e così è stato.
La sua scelta ha, ora, due valenze: in qualità di controagito ripropone le passate opposizioni, ma in qualità di decisione sua personale, da elaborare in terapia, esprime il bisogno di separarsi dalle fantasie dei familiari che la vivono malata e incapace di prendere delle decisioni.
Cosa vuol dire "scegliere" una persona, per questa giovane sballottata dall'ansia di tanti familiari che l'avvicinano con la speranza di salvarla dal contagio pericoloso dei genitori, ma poi, repentinamente, la scaricano, sull'onda della delusione?
Emma, oggetto indifeso, vittima del fato e resa insicura dai continui fallimenti, si vive malata e si sottomette passivamente alle richieste dell'ambiente, o tenta una goffa opposizione che testimonia il fallimento del processo di separazione.
Tuttavia, la sua decisione di proseguire il nostro lavoro sancisce la conclusione della prima fase della terapia, durante la quale io ho svolto una funzione di contenimento e di barriera contro gli stimoli esterni.

Il ritorno di Emma segna il giro di boa e lentamente compare la "rappresentazione di parola".
Le sensazioni che prima si esprimevano con il pianto, le grida, il torcersi le mani, tutta l'energia psichica che tendeva alla scarica con la mediazione del corpo, ora tendono a legarsi con le rappresentazioni.
La seduta diventa un luogo dove terapeuta e paziente possono finalmente incontrarsi, ricostruire la storia di Emma e costruire una continuità nel Sé.
E' il luogo di un cambiamento nella relazione.
Se ammettiamo che la giovane, in un primo periodo della terapia, ha fatto un uso dell'oggetto come "contenitore" nel quale potere difensivamente collocare aspetti dolorosi della rappresentazione del Sé, ne consegue che la relazione è stata modificata dai processi difensivi che producono una distorsione nei desideri inconsci e nelle fantasie che immaginano una relazione con un oggetto gratificante. Tuttavia
in occasione della separazione provocata dall'intrusione dei parenti, la relazione è stata ri-creata da bisogno e dal desiderio di sperimentare la costanza dell'oggetto nel rapporto.
Sembra che la spinta motivazionale precedente la separazione fosse data dall'ansia, da stati di squilibrio nel mondo interno prodotti dalle intrusioni dei familiari. Vi era, forse, un bisogno di prendere le distanze da ciò che veniva avvertito come causa di sofferenza e disagio. Tale stato penoso sembra bene illustrato da un disegno, portato in seduta, dove si vede Emma abitante di un'isola deserta in mezzo ad un mare popolato da squali.
Sappiamo quanto persiste il bisogno di risperimentare aspetti soggettivi delle prime relazioni, specialmente quando le sensazioni di sicurezza sono state disattese. Emma ha, in un primo tempo, ripetuto la passata relazione oggettuale dove l'oggetto deludente e insoddisfacente le ha tolto la fiducia nella relazione, alimentando una modalità difensiva di auto contenimento e auto riduzione dell'ansia.
Il bisogno di un nutrimento per il Sé, una sorta di rassicurazione sulle sue possibilità, sono riusciti a costruire una base di sicurezza.
Possiamo ipotizzare che durante la forzata separazione, Emma abbia progressivamente avvertito la presenza di un oggetto interno capace di fornirle rassicurazione? Ciò potrebbe spiegare la sua nuova capacità di poter fare una scelta e nella scelta c'è sempre la presenza di un moto pulsionale che porta verso l'oggetto.
Lentamente, cambia l'atmosfera delle sedute. Ai pianti senza parole si sostituiscono racconti, sogni, espressioni di affetto o di rancore.
Inizialmente, il suo linguaggio è frammentato, spesso incoerente.
Emma, da sola a casa, ripensa alle sedute e pare esercitarsi in quel dialogo tra sé e sé che è fonte di nuove rappresentazioni, ma l'emergere di una dialettica tra l'Io e il Sé non porta ancora alla ricerca di un oggetto esterno, e io posso solo essere un mediatore rispetto a questa nuova fonte di informazioni.
Emergono comunicazioni sul suo corpo.
Perennemente eccitata, Emma non può stare ferma, si agita per la stanza, cerca sensazioni forti con atti autolesivi, si masturba in modo coatto. Resta ore e ore alla scrivania, ma la sera aumenta l'ansia per i compiti non finiti. Cosi', rimane insonne durante la notte.
Il corpo e tutte le sue vicissitudini diventa un elemento presente e condiviso nelle sedute. Non si piace e non piace ai ragazzi. Vorrebbe modificare il suo aspetto e il suo abbigliamento, ma tutto ciò comporta una lotta senza quartiere con la nonna, che la vorrebbe tutta fiocchi e merletti.
Porta in seduta tanti fogli sui quali ha disegnato, infinite volte, il volto di una bella donna con i capelli lunghi. Ogni volta apporta un impercettibile cambiamento. Emma, in tal modo, cerca di padroneggiare l'ansia per i cambiamenti fisici.
Ancora una volta, il disegno svolge una funzione para-eccitatoria, ma, questa volta, la difesa viene condivisa con la terapeuta e l'interpretazione può legare l'affetto (timore) con la rappresentazione del corpo che cambia.
Il suo netto rifiuto verso i suggerimenti della nonna è l'equivalente del rifiuto per il suo corpo di donna. Essere donna vuol dire farsi carico delle pulsioni e dare loro una rappresentazione.
Lentamente, la definizione di un affetto, il ricordo di una emozione causata dal mondo esterno cominciano a consentire il superamento dell'eccitazione somato-psichica.
Un giorno, Emma porta in seduta una grossa busta piena di tante fotografie confuse. Le dispone sul tavolo e si appresta a ricostruire la sua storia. Questa volta non è più un'arida successione di eventi ma un susseguirsi di fatti ricordati con tonalità affettive, rivissuti con pensieri, giudizi e opinioni sue personali.
Comincia, lentamente, ad essere artefice del proprio destino e dopo tre anni di assenza dalla scuola decide di scegliere un nuovo corso di studi, più idoneo alle sue possibilità e più aderente ai suoi desideri.
Viene trafelata in seduta per raccontare le ricerche fatte in numerose scuole. Capisco, grazie questa giovane paziente, che la gratitudine dell'adolescente non si esprime con le parole ma con il suo sforzo per uscire dalla regressione e avviare una ripresa del processo evolutivo.
Penso che la trattabilità si è giocata, in questo caso, sulla caduta delle resistenze che hanno permesso il passaggio dalla passività intrisa di rappresentazioni dei familiari, all'attività espressa con la ricerca di nuove, più autentiche, autorappresentazioni.
Sempre sullo stesso crinale si colloca il passaggio dalle rappresentazioni di cosa alle rappresentazioni di parola.
Sul piano relazionale direi che il crinale ha segnato il passaggio da un contenimento ad un'attività interpretativa.
Ma allora, questo crinale non potrebbe essere il Preconscio che si attiva nel corso del trattamento, in virtù dell'attenzione costante del terapeuta?
La ripresa della terapia con l'espressione "ho scelto lei", ha segnato il nostro ingresso in uno spazio transizionale percorso da affetti, e qui ci siamo incontrate nel condividere il transfert.
Sono, cosi', quell'oggetto temuto e desiderato che, come la madre, spaventa nei momenti imprevedibili, ma a questi alterna momenti di grande tenerezza.
L'interpretazione ha, in questo caso, una funzione discorsiva che favorisce la costruzione di nuovi significati, facilita l'emergere di nuove rappresentazioni che si legano con affetti dotati di un certo grado di intensità.
Ricapitolando questa esperienza clinica, penso che Emma, al suo ingresso in terapia, presentava una penosa eccitazione fisica che cortocircuitava una amalgama informe di pulsioni, e vissuti di esperienze frustranti, gi oggetti che le hanno sempre negato la pur minima soddisfazione.
In questa prima, lunga fase della terapia il contenimento ha permesso di legare un quantum di affetto con delle rappresentazioni che solo successivamente, grazie all'interpretazione, sono pervenute alla coscienza, con la mediazione della rappresentazione di parola.
Come dice Green: "il quadro analitico si sforza di trasformare l'apparecchio psichico in apparecchio di linguaggio".
La terapia si conclude sull'onda di nuove attività che ora investono la realtà esterna sulla base di più idonee valutazioni del Sé e dell'oggetto.
Emma ha ora diciannove anni, non ha ancora un ragazzo, lo desidera ma ha paura.
Ci lasciamo in questo nuovo passaggio: dal silenzio, causato dal difetto strutturale, siamo, attualmente, alla parola che sottende il conflitto.

Bibliografia
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