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A. M. P.
SEMINARI 1998 - '99
Aldo Rossi

Istinto, apprendimento e memoria


PREMESSA

Gli attuali studi di neurobiologia sono fondati sulle più avanzate conoscenze di biologia cellulare, di biologia molecolare, di elettrofisiologia e stanno velocemente chiarendo i meccanismi che stanno alla base dei modelli comportamentali degli animali e dell'uomo dipendenti dall'istinto, dall'apprendimento e della memoria, espressi dalla struttura unitaria del neurone e della sinapsi nei circuiti nervosi sia dei vertebrati che degli invertebrati.

ISTINTO

In molti animali alcuni tipi di comportamento appaiono stereotipati, in particolare quelli dell'alimentazione e della riproduzione, e sono specifici di ogni specie. Tinbergen nel 1935 affermava che "il comportamento innato o istinto è "un meccanismo nervoso, organizzato gerarchicamente, sensibile a determinati impulsi innescanti, scatenanti e indirizzanti sia interni che esterni, e che reagisce a essi con movimenti coordinati che concorrono alla conservazione dell'individuo e della specie". Una lunga serie di esperimenti hanno dimostrato che il modulo di comportamento stereotipato è un adattamento filogenetico rappresentato da meccanismi centrali di coordinazione (Eibl-Eibesfeldt 1976 pg. 34). Un esempio tipico di questo tipo di comportamento viene manifestato dai ragni della specie Araneus diadematus (McNeil, 1983). I ragni subito dopo la nascita tessono fili disordinati, ma dopo la prima muta costruiscono il loro modello di rete. Mayer (1952) ha allevato i ragni appena nati in tubicini di vetro talmente stretti che essi potevano girarsi ma non tessere i loro fili. Dopo la prima muta ha liberato i ragni ed ha constatato che quest'ultimi sapevano tessere, su minuscoli telai, ragnatele che eguagliavano per bellezza e precisione quelle dei ragni nati liberi. I ragni di questa specie sono uno degli esempi che meglio si adattano alla sentenza di Goethe "Ogni animale è scopo a se stesso: vien fuori perfetto del seno della natura e produce figli perfetti".
La costruzione della ragnatela si attua attraverso un rigoroso programma: il ragno a) tende i fili non collosi prodotti da due ghiandole per una corda di sostegno fra due supporti, quindi b) con i fili delimita una "cornice o telaio" triangolare o pentagonale, c) ritorna al centro della corda di sostegno e tende un filo o "diametro" che raggiunge il vertice del pentagono o del triangolo, d) risale al centro del diametro, forma un "nodo" da dove poi tende i "raggi della ragnatela", e) a partire dal centro incomincia a tessere un filo a "spirale" che viene fissato ai raggi tramite dei nodi; quando è finito il "modello" non colloso, f) il ragno, a partire dalla periferia, ripercorre il "modello" e tende, da raggio a raggio, il filo colloso prodotto da una terza ghiandola, g) dopo aver teso il filo coperto da uno strato liscio di colla, con la zampa lo "pizzica" per farlo vibrare allo scopo di trasformare la continuità della colla in una serie di perle gommose idonee ad imprigionare le prede, h) arrivato al centro della ragnatela, rielabora la rete centrale di fili, formando un "mozzo", la cui forma è specifica della sua specie (Kahn 1954; McNeill 1983). Se una preda o lo sperimentatore rompono una parte della rete già costruita il ragno riprende il lavoro dal punto in cui è stato interrotto e porta a termine il programma senza ricostruire la parte distrutta (Crompton 1953)
Non mancano esempi di comportamento innato nei Vertebrati. Fra questi molto interessanti sono i comportamenti istintivi del piccolo cuculo (Cuculus canorus) nato da un uovo deposto, furtivamente e in tempo utile, dalla madre nel nido dei codirosso (Phoenicurus phoenicurus). Le uova di questi piccoli uccelli canori si schiudono normalmente dopo l'uovo di cuculo: il piccolo del cuculo, subito dopo la nascita, fa rotolare fuori dal nido le altre uova, oppure, se queste si sono schiuse nel frattempo, si carica sul dorso i piccoli nati e, strusciando all'indietro, li sospinge fuori dai bordi del nido (Timbergen 1969). Non vi è alcun dubbio che questo comportamento sia innato nel pulcino del cuculo, perché non è stato appreso né da sua madre, che ha abbandonato l'uovo nel nido dei codirosso, ne dai suoi genitori adottivi che dopo la sua nascita sono stati strenuamente impegnati a sfamarlo. I due esempi citati dimostrano inequivocabilmente che l'istinto è un meccanismo nervoso preformato, geneticamente codificato e che è organizzato gerarchicamente a reagire a determinati stimoli chiave (Thrope 1951).
La gerarchia degli istinti, è stata analizzata (Timbergen 1951) nello spinarello (Gasterosteus aculeatus) un pesciolino di acqua dolce che vive in branchi. In primavera, quando le acque cominciano a riscaldarsi, il maschio entra nel periodo riproduttivo (FitzGerald 1993) e migra pacificamente insieme ad altri maschi, alla ricerca di un territorio in acque basse per formare il nido. Solo dopo la scelta del territorio, che deve contenere alcune piante, il pesce muta il suo comportamento da sociale a quello aggressivo e assume la livrea nuziale che diventa molto evidente (occhi azzurro splendente, dorso verdolino e ventre rosso). Se più maschi catturati nella fase di migrazione vengono messi in una vasca priva di piante, il comportamento sociale (rimanere in gruppo senza mutare colore) persiste fin tanto che sono assenti le piante, perché nessuno di essi è in grado di delimitare il proprio territorio. Ma se in un angolo della vasca vengono collocate delle piante, uno dei maschi si stabilisce in quel territorio, quindi cambierà il colore del ventre e si preparerà alla riproduzione, cioè reagirà agli stimoli di lotta (verso un altro maschio con livrea nuziale), di preparazione del nido, di corteggiamento della femmina e (dopo la deposizione e fecondazione delle uova) di cura della prole.
A sua volta ogni stimolo è seguito da una gerarchia fissa di comportamenti. Il maschio dopo le procedure rituali della costruzione del nido (scava una buca poco profonda togliendo con la bocca la sabbia e depositandola a pochi centimetri di distanza; poi raccoglie delle alghe che comprime nella buca e fissa con la secrezione renale di un liquido simile a una colla; quindi scava un tunnel incuneandosi dentro il mucchietto vegetale costruito sulla buca [Tinbergen 1969]),completa la colorazione della livrea nuziale (il ventre è rosso intenso, il dorso è blu chiaro, gli occhi azzurro splendente), diventa aggressivo verso tutti maschi mentre corteggia le femmine gravide che si avvicinano al nido. A sua volta la femmina gravida che sceglie il nido, assume una postura verticale che induce il maschio a nuotare avanti e indietro verso di lei eseguendo una serie di zig-zag stereotipati. Quando la femmina è pronta per deporre le uova si dirige verso il maschio che entra subito nel nido: la femmina lo segue e depone le uova nel nido dopo che il maschio ne è uscito. Al termine della deposizione, la femmina si allontana, il maschio rientra nel nido, feconda le uova e cambia il suo modello di aggressività. Ora il maschio attacca anche la femmina che ha deposto le uova perché si fa carico delle cure parentali, che consistono principalmente di attivi movimenti delle pinne pettorali per creare un flusso continuo di acqua per areare le uova. Questa attività viene controllata da un complesso sistema di stimoli provenienti dall'ambiente, dal nido e in particolare dalle uova. Il tempo e il ritmo di ventilazione aumenta nel corso degli otto giorni successivi a quello della fecondazione dato che la ventilazione può occupare i 3/4 della giornata. Questo incremento è in parte dovuto ad un crescente stimolo esterno e in parte ad uno stimolo interno. Lo stimolo esterno, sempre più forte, proveniente dalle uova che consumano sempre più ossigeno, mano a mano che lo sviluppo procede: è appunto la richiesta crescente di ossigeno ciò che stimola la ventilazione del maschio. Tra l'ottavo e il nono giorno avviene la schiusa e il maschio riduce fortemente la ventilazione. Lo stimolo interno è stato evidenziato da un interessante esperimento realizzato sostituendo tutte le uova custodite dal padre con altre più mature. Quando quest'ultime si sono schiuse, il maschio ha rallentato la ventilazione senza smetterla del tutto: l'attività presenta anzi un nuovo picco, più basso tuttavia di quello che avrebbe raggiunto se vi fosse stato il prolungato stimolo delle "sue uova" precocemente allontanate dallo sperimentatore dal nido. Questo secondo picco si manifesta dunque, in un momento i cui non è più in rapporto con le sue uova e ciò significa che l'incremento di ventilazione è causato dalla persistenza di stimoli interni (Tinbergen 1969)
Durante il periodo delle cure parentali lo spinarello non ha dunque la possibilità di allontanarsi dal nido per nutrirsi: pertanto mangia una parte delle proprie uova, ma questo cannibalismo ritualizzato, viene compensato dal beneficio futuro espresso come numero di piccoli che sopravviveranno (Parisi 1985). Dopo la schiusa delle uova, il maschio prende cura dei neonati (avannotti): quando i giovani cominciano a nuotare il maschio afferra con la bocca i più intraprendenti e li riporta nel gruppo. Tuttavia vi è un caso (programmato) in cui il genitore non riesce a bloccare l'avannotto che velocissimo raggiunge la superficie dell'acqua per aspirare una bollicina d'aria che, attraverso la prima parte dell'apparato digerente (zona di transizione tra l'esofago e lo stomaco) e lo stretto dotto pneumatico laterale, viene fatta arrivare fino alla vescica natatoria per attivare la produzione autonoma di altro gas. Solo al suo ritorno verso il fondo l'avannotto viene catturato dal maschio e riportato nel gruppo (Tinbergen 1969).
In merito all'aggressività lo spinarello maschio manifesta questo comportamento solo entro l'ambito del suo territorio perché solo da questa zona provengono gli stimoli specifici, cui reagisce in modo innato. La combattività si manifesta per l'aumento del livello ormonale (testosterone) come conseguenza dello sviluppo delle gonadi, sviluppo che dipende a sua volta da fattori ciclici ambientali (allungarsi delle giornate, riscaldamento dell'acqua) che agiscono direttamente sulla ghiandola ipofisaria. Ma la maggioranza dei passaggi di questa articolata catena comportamentale viene eseguita in risposta a specifici stimoli visivi (Luria et al. 1989): la reazione dello spinarello maschio territoriale avviene in risposta a segnali, provenienti dallo spinarello maschio estraneo, in particolare il colore rosso del suo ventre, che si avvicina al suo territorio (Tinbergen 1969).
Esperimenti eseguiti con l'aiuto di modelli stilizzanti (definiti zimbelli) dimostrano che i colori del pesce (bianco dorsale e rosso ventrale) scatenano le reazioni nei due sensi, a seconda che il modello viene presentato dentro o fuori il territorio di reazione degli occupanti. Un modello fedele per grandezza e forma dello spinarello con la parte ventrale bianca, non scatena la reazione aggressiva del maschio territoriale. Diversamente modelli di forma varia e privi di qualsiasi caratteristica morfologica del pesce, colorati di bianco dorsalmente e di rosso ventralmente sono oggetto di attacchi immediati. Se gli stessi modelli vengono capovolti, il ventre bianco non provoca la reazione aggressiva del maschio (Cullen 1960).
Lo spinarello occupante il territorio emette segnali che vengono letti con segnale contrario dallo spinarello che si avvicina al suo territorio. Infatti oltre al colore, anche il modo di comportarsi stimola l'aggressività. Se uno spinarello maschio vede da lontano un maschio confinante, assume subito una posizione di minaccia: innanzitutto si slancia contro l'avversario con le spine dorsali dritte e la bocca aperta, pronta a mordere. Se l'avversario non fugge, si mette verticale, a testa in giù e fa bruschi movimenti, come se stesse per perforare la sabbia con il muso; presenta con il fianco oppure con il ventre rivolto verso l'avversario, con una o entrambe spine ventrali in posizione eretta. Questo atteggiamento provoca la reazione aggressiva dell'altro maschio: si può sperimentalmente intensificare le aggressioni a volontà presentando ad uno spinarello maschio un modello in posizione verticale (Tinbergen 1969). Diversamente lo stimolo visivo e comportamentale di una femmina con il ventre gonfio e con la postura verticale annulla il comportamento aggressivo del maschio e attiva quello del corteggiamento. Si può sperimentalmente scatenare il corteggiamento nel maschio, con semplici modelli che imitano il ventre gonfio e la postura verticale della femmina. Anche gli spinarelli cresciuti in isolamento totale reagiscono correttamente ai segnali dei loro simili, sia dell'uno che dell'altro sesso, e non presentano alcuna differenza in confronto ad animali cresciuti normalmente in natura (Cullen 1960).
I vari comportamenti dallo spinarello - difesa del territorio, costruzione del nido, corteggiamento, deposizione e fecondazione delle uova, areazione delle uova, cure parentali - si devono considerare delle attività innate nel sistema nervoso centrale che possono essere promosse da numerosi stimoli ambientali interni ed esterni. Vi sono prove che l'espressione di queste attività dipendano dall'esposizione del sistema nervoso centrale ad adeguati ormoni, come ad esempio a quelli testicolari. Infatti i comportamenti di aggressività e di corteggiamento declinano o addirittura scompaiono dopo la castrazione e possono essere ripristinati trattando il pesce castrato con testosterone (Gordon 1984).
Tinbergen (1951) ha proposto l'esistenza di una organizzazione gerarchica dei centri dei principali istinti riproduttivi nello spinarello maschio. Gli ormoni agiscono sul più alto centro responsabile della riproduzione (centro migratorio) e scatenano il comportamento appetitivo sotto forma di migrazione (I. livello). La migrazione termina quando il pesce riceve gli stimoli chiave da un biotipo (ambiente naturale scelto sulla base di una serie meccanismi comportamentali innati) adeguato. Gli stimoli chiave agiscono su un meccanismo scatenante innato, che libera il centro territoriale, che fino ad allora era inibito (II. livello). Gli impulsi possono ora fluire fino ai centri subordinati dell'aggressività, della nidificazione, del corteggiamento, della cura della prole (III. livello) Ciascuno centro subordinati è bloccato fino a che stimoli chiave specifici, ad esempio l'apparire di un rivale, non scatenano il comportamento di aggressività. L'avversario deve inviare poi stimoli ancora più specifici per scatenare le reazioni specifiche di lotta (Eibl-Eibesfeldt, 1976).

Nella manifestazione di un'attività istintiva vi sarebbe una prima fase iniziale o fase appetitiva, e una seconda fase basata su un atto di consumazione, che è la componente finale di un dato comportamento, dallo svolgimento rigido e stereotipato. L'esempio classico è la caccia negli uccelli rapaci: una prima fase (appetitiva) è caratterizzata da attività individuali, in cui l'animale vaga e cerca la preda, culmina in una seconda fase (atto di consumazione) stereotipata e fissa in cui il rapace cattura, uccide e mangia la preda (Oliverio 1991).ueast'ultima fase corrisponderebbQ
Gli etologi ed in particolare Moltz (1965), hanno descritto i comportamenti innati come schemi d'azione fissa, che consistono di parecchi elementi indipendenti ma formano tutti insieme una sequenza coordinata controllata dal sistema nervoso centrale e non suscettibili di modificazioni dovute all'ambiente Ogni animale eredita da specifici geni (DNA) gli schemi d'azione fissa, che caratterizzanti il comportamento della specie cui appartiene. Questi geni possono specificare una ben precisa rete di cellule nervose e muscolari interconnesse, che vengono collocate nella loro sede e attivate tutte insieme nel corso dello sviluppo dell'animale. Oltre alla rete, i geni devono specificare gli elementi di controllo, sostanze che eccitano le connessioni specifiche preesistenti in modo rigidamente determinato per generare al momento giusto uno schema d'azione fisso.
Secondo Moltz (1965), gli schemi d'azione fissa si distinguerebbero per alcune caratteristiche, come la stereotipia, la spontaneità e l'indipendenza dall'apprendimento individuale:
- la stereotipia è propria dell'atto di consumazione che richiedono una rigida schematizzazione dei comportamenti dell'animale.
- l'indipendenza da un controllo esterno si evidenzia quando lo schema d'azione fissa viene portato a termine anche se mancano gli specifici stimoli esterni (Ad esempio le oche cinerine spingono un uovo uscito dal nido con continui movimenti del collo dal basso verso l'alto. Questa attività è formata da due componenti, la prima impedisce che l'uovo scivoli verso il petto della madre e la seconda è caratterizzata da leggeri colpi di raddrizzamento da destra a sinistra. La prima componente è uno schema d'azione fissa che perdura anche se l'uovo rotola via dal nido, mentre la seconda componente è un comportamento intenzionale perché non si manifesta se il movimento dell'uovo non devia dalla traiettoria);
- la spontaneità è costituita da una attività a vuoto che l'animale compie, anche in assenza di stimoli esterni, dopo un lungo periodo in cui esso non ha avuto la possibilità di svolgerlo (Ad esempio, se ad uno spinarello maschio si impedisce lo sventolamento le pinne per ossigenare le uova, il pesce eseguirà questo movimento appena verrà liberato, anche in assenza delle sue uova)
- l'indipendenza dall'apprendimento individuale si apprezza quando compaiono alcuni comportamenti in animali allevati in isolamento o subito dopo la loro nascita (Oliverio 1991)

Studiare i modelli di comportamento innato in un Vertebrato è molto arduo, perché tanto più è complesso il sistema nervoso centrale, tanto più elusivo è il rapporto fra una serie di geni e i comportamenti che si possono osservare. Scheller e Axel (1984) hanno individuato nel mollusco del genere Aplysia (gasteropode marino. opistobranco, privo di guscio) un organismo sufficientemente sofisticato che esibisce una serie di interessanti repertori comportamentali, ma anatomicamente abbastanza semplice da poter attribuire singoli comportamenti a grandi neuroni che fanno parte dei "gangli" del sistema nervoso centrale.
Il sistema nervoso centrale di questo gasteropode è costituito da quattro paia di gangli cefalici e da un paio di gangli addominali (D'Ancona 1953; Montarolo e Schacher 1988), complessivamente formati da circa 20.000 neuroni (il cervello di un mammifero ha un milione di volte in più di neuroni !). Tuttavia il corpo cellulare o pirenoforo dei neuroni in Aplysia possono avere un diametro di un millimetro, cioè più di 1000 volte la dimensione di un pirenoforo di un neurone umano. La maggior parte di queste enormi cellule nervose contiene fino a un microgrammo (millesima parte del milligrammo) di DNA (acido desossiribonucleico), cioè parecchie centinaia di migliaia di volte il contenuto in DNA di un tipico neurone di mammifero.

Nota nr. 1

Il DNA dei cromosomi è una molecola formata da due filamenti complementari. Nei batteri la molecola del DNA non si associa a proteine e forma un unico "cromosoma" circolare. Negli Euteri, la molecola del DNA si associa a proteine ed è suddivisa nei cromosomi generalmente a forma di bastoncello: il numero dei cromosomi è specie specifico.
Ogni filamento è costituito da una variabile sequenza di 4 nucleotidi (A adenina, C citosina, G guanina e T timina). Nel punto dove in uno dei due filamenti vi è il nucleotide G, nello stesso punto dell'altro filamento vi è il nucleotide C, e ugualmente al nucleotide A di un filamento corrisponde il nucleotide T dell'altro filamento. Il gene corrisponde ad una specifica sequenza di nucleotidi, disposta lungo ciascun filamento della molecola del DNA. L'informazione genetica è quindi contenuta in codice nella sequenza di nucleotidi che costituisce ciascun gene della molecola del DNA.
Durante il ciclo vitale della cellula, le sequenze di nucleotidi complementari si separano a) totalmente o b) in uno o più punti della molecola. Nel caso a) ogni filamento per azione di un enzima (DNA-polimerasi) stampa un nuovo filamento complementare di DNA (replicazione del DNA). Nel caso b) uno dei due filamenti, per azione di un enzima (RNA-polimerasi) stampa un filamento di RNA messaggero (mRNA o acido ribonucleico messaggero) formato da una sequenza complementare di nucleotidi a quella del DNA con la differenza che al posto della timina (T) vi è l'uracile (U) che si accoppia con l'adenina (A) (trascrizione del DNA). Specifiche sequenze del DNA stampano filamenti complementari per l'RNA transfer (tRNA) e per l'RNA ribosomiale (rRNA).
La molecola del mRNA nel citoplasma viene ordinatamente letta da differenti molecole di tRNA ciascuna delle quali è associata ad uno dei 20 amminoacidi citoplasmatici. La lettura avviene mentre l'mRNA scorre lungo il ribosoma (organello citoplasmatico): in questa sede citoplasmatica l'informazione genetica di una specifico punto della molecola DNA stampata sull'mRNA, viene tradotta in una corrispondente sequenza di amminoacidi che vengono singolarmente associati (dall'enzima peptidiltransferasi) per la sintesi di una specifica molecola proteica (traduzione del DNA). La molecola del mRNA può anche operare la traduzione inversa, ovvero presiedere alla sintesi di un filamento complementare di DNA..


In età adulta gli individui del genere Aplysia sono impegnati nelle attività di alimentazione e di riproduzione. Molti aspetti del comportamento riproduttivo sono marcatamente ritualistici e sono rappresentati da una serie coordinata di schemi stereotipi, che conducono al corteggiamento, all'accoppiamento e alla deposizione di uova fecondate. Aplysia è un vero animale ermafrodito, un organismo che funziona da maschio e da femmina, nella maggior parte dei casi simultaneamente. La fecondazione è interna (ha luogo nel gonodotto), e le uova fecondate vengono deposte in mare in lunghi cordoni che ne comprendono più di un milione. Mentre uno di questi cordoni viene espulso per contrazione dei muscoli del gonodotto, l'individuo rimane fermo ed immobile: L'aplisia afferra quindi con la bocca il cordone di uova e con una serie di caratteristici ondeggiamenti del capo, aiuta ad estrarlo dal gonodotto e ad avvolgerlo in una massa irregolare. Una piccola ghiandola boccale secerne una sostanza mucoide appiccicosa, che si attacca a tale massa. Quindi con un forte ondeggiamento del capo, il gasteropode riesce ad attaccare tutta l'intera massa di uova a un sostegno solido. Questa sequenza di azioni rigidamente coordinate, permettono la migliore protezione per consentire un regolare sviluppo degli embrioni.
Arch e Strumwasser (19..) hanno isolato uno dei fattori attivi delle cellule a sacco (che formano un raggruppamento pari posto dorsalmente al ganglio addominale dell'aplisia) costituito da un piccolo peptide formato da soli 36 amminoacidi, che è stato definito ormone della deposizione delle uova o ELH (egg-laying hormone). Questo peptide iniettato in Aplysia, induce alcuni e non tutti i comportamenti legati alla deposizione delle uova, suggerendo che l'ELH deve esser uno dei diversi fattori che controllano l'intero repertorio comportamentale. Con studi di ibridazione e di immunofluorescenza sull'intero sistema nervoso dell'aplisia, è stato dimostrato che i geni per l'ELH sono attivi molto precocemente negli stadi larvali dello sviluppo del gasteropode e in particolare in una zona di cellule indifferenziate morfologicamente destinate a migrare fino ai centri del sistema nervoso centrale e a diventare neuroni.(Scheller e Axel 1984).
Dato che esiste una relazione lineare tra la sequenza degli aminoacidi di una proteina e la sequenza nucleotidica del gene che la codifica, McAllister, Jacksoon, Schwartz e Kandel (1982) hanno isolato (con la tecnica del DNA ricombinante [Alberts et al. 1995]) dal genoma (cioè da tutto il DNA presente nei cromosomi di questo gasteropode) dell'aplisia, il gene che codifica per l'ELH. Il gene è stato prima clonato (moltiplicato in un numero altissimo di identiche molecole DNA del gene ELH) in grandi colture batteriche: quindi è stato isolato il DNA ed è stato messo in presenza dell'mRNA per l'ELH (previamente estratto in grande quantità dalle "cellule a sacco"). L'esame al microscopio elettronico ha rivelato la presenza di lunga molecola DNA (detto ricombinante) e il sito esatto dove si era ibridata la molecola dell'mRNA per l'ELH (cioè dove i nucleotidi della molecola dell'mRNA si sono uniti con la sequenza complementare di nucleotidi DNA del gene per l'ELH).
Successivamente è stato determinato l'ordine con cui sono disposti i nucleotidi del DNA ricombinante e in base a questa sequenza è stata dedotta la sequenza degli amminoacidi della catena polipeptidica che può essere codificata da quel gene. È risultato che la proteina prodotta dal gene è costituita da 271 amminoacidi, mentre l'ormone ELH è costituito da un piccolo peptide formato da 36 amminoacidi. La spiegazione di questo risultato è che la più grande catena costituita da 271 amminoacidi è un precursore da cui poi viene staccato il peptide dell'ELH.
Poiché appariva strano che l'ormone dell'ELH fosse solo una piccola parte della proteina prodotta dal gene che ne controllava la sua sintesi, è stata esaminata la sequenza degli amminoacidi del precursore alla ricerca di segnali di scissione dove la molecola poteva essere tagliata (da enzimi definiti endopeptidasi) in più piccoli peptidi. In base al fatto che la molecola dell'ELH inizia e termina con un segnale di scissione (rappresentato dalla stessa coppia di amminoacidi, lisina e arginina) sono stati individuati 10 segnali di scissione nella molecola proteica del precursore, corrispondenti ad 11 distinti peptidi (fra questi anche quello dell'ELH) in grado di controllare il comportamento della deposizione delle uova. Fra questi peptidi, sono stati individuati (Mayeri e Rothman 1982) il fattore alfa, il fattore beta e il peptide acido: i primi due, insieme all'ELH, interagiscono sui neuroni del ganglio addominale agendo da neurotrasmettitori (molecole prodotte dal neurone e che a livello della terminazione sinaptica possono eccitare o inibire un altro neurone).
McAllister e collaboratori (1983) hanno constatato che :
- l'ELH agisce localmente come neurotrasmettitore che aumenta il grado di eccitazione del neurone del ganglio addominale, siglato R 15 e distalmente agisce come ormone (molecola che tramite il liquido circolante nei vasi sanguigni raggiunge a agisce sulla funzione di un organo bersaglio) che eccita le cellule della muscolatura liscia del gonodotto, facendole contrarre e provocando quindi l'espulsione delle uova;
- il fattore alfa agisce sia come neurotrasmettitore inibitore dell'attività sinaptica di quattro neuroni del ganglio addominale siglati rispettivamente L 2, L 3, L 4 ed L 6, sia come eccitatore delle cellule a sacco (nelle quali viene sintetizzato come componente della molecola del precursore);
- il fattore beta agisce come neurotrasmettitore che provoca l'eccitazione di due neuroni del ganglio addominale, siglati L 1 ed R 1.
Nella ghiandola atriale(un organo del sistema riproduttore) dell'aplisia. sono stati individuati (Strumwasser e coll. 1980) i fattori che controllano la secrezione dei peptidi dell'ELH, del fattore A e del fattore B. Questi controllori sono rappresentati dal peptide A e il peptide B e (similmente all'ELH) ciascun peptide deriva da una molecola precursore codificata da un distinto gene. I due peptidi A e B iniettati in un'aplisia provocano l'eccitazione dei gruppi di cellule a sacco, inducendo la secrezione dell'ELH e dei peptidi ad esso associati.
È interessante evidenziare che le molecole precursore dei peptidi A, B e ELH, hanno un modello simile di segnali di interruzione che separano peptidi corrispondenti formati da sequenze simili di amminoacidi. Pertanto le molecole precursore del peptide A, e del peptide B, hanno una sequenza di amminoacidi corrispondente ma non del tutto omologa a quella del peptide ELH. Ugualmente nella molecola precursore del peptide ELH vi sono segnali di interruzione che separano sequenze di amminoacidi corrispondenti ma non del tutto omologhe a quelle dei peptidi A e B.
Queste affinità fra le molecole polipeptidiche dei tre precursori lasciano supporre che:
- i tre geni che le codificano costituiscano una famiglia di geni che si esprimono in tessuti diversi
(cellule a sacco e ghiandola atriale) dell'aplisia;
- i tre peptidi A, B e ELH abbiano avuto origine da un piccolo peptide ancestrale comune, codificati
da un gene ancestrale;
- in gene ancestrale si sia successivamente triplicato per generare una proteina più grande composta
da almeno tre peptidi;
- il gene triplicato, si sia nuovamente triplicato dando origine a tre geni indipendenti che si sono
differenziati quando si sono specializzati per soddisfare differenti esigenze funzionali;
- nell'ambito di ciascun gene indipendente vi possono essere state ulteriori duplicazioni di minori
entità (e ciò viene suggerito dall'osservazione che i peptidi beta e gamma, adiacenti nella molecola precursore
dell'ELH, hanno sequenze amminoacidiche che differiscono per un solo amminoacido);
- durante il processo evolutivo, le varie versioni del gene possono essere state trasposte in siti diversi
del genoma e forse in cromosomi diversi (Scheller e Axel 1984).
Concludendo dagli studi condotti a livello molecolare sui comportamenti innati in Aplysia risulta che:
- la deposizione delle uova è dipendente dall'azione di almeno tre geni che codificano per tre distinti polipeptidi precursore, da cui si separano più piccoli peptidi neuroattivi che controllano parti del comportamento riproduttivo stereotipo;
- un unico gene codificante per molteplici peptidi neuroattivi può ordinare una schiera complessa di
comportamenti innati che caratterizzano un complesso schema d'azione fisso come quello della
deposizione delle uova.

Guidare l'automobile o sciare sulla neve non sono comportamenti innati nell'uomo: ambedue attività motorie richiedono un iniziale coordinamento nervoso e muscolare che richiede una particolare attenzione da parte del soggetto che apprende l'uso di questi strumenti meccanici. Successivamente, esercitando una prolungata esperienza sensitiva, psichica e manuale nella guida dell'automobile e nell'uso degli sci, diventano sempre più istintive le reazioni motorie del suo corpo in risposta agli stimoli provenienti dall'ambiente interno e di quello esterno.
Hailman (1970) si è posto il problema se nei Vertebrati gli istinti in parte vengono appresi. Allo scopo di controllare questa ipotesi ha scelto il comportamento nutrizionale del gabbiano. Molte sono le interazioni fra genitore e neonato. Il genitore abbassa la testa e punta il becco verso il basso in direzione del piccolo: quindi fa dondolare dolcemente il becco da una lato all'altro e ciò eccita le beccate del piccolo. Quest'ultimo, con un movimento di beccate complesso ma coordinato, prenderà di mira il genitore, afferrando il suo becco e tirandolo in basso. Dopo ripetute beccate, il genitore rigurgita il cibo parzialmente digerito, in quanto il movimento di beccata del piccolo viene interpretato dal genitore come una forma di richiesta del cibo. Il perfezionamento di questo modello comportamentale viene completato nel piccolo entro l'arco di una settimana.
Hailman, innanzitutto ha analizzato (con profili molto schematici di gabbiano adulto disegnati su cartoncini: quest'ultimi sono stati fatti oscillare ritmicamente davanti al soggetto preso in esame) la precisione della beccata del piccolo fin dal giorno della nascita. I test hanno provato che in media solo un terzo delle beccate del neonato colpiscono il modello. Nel primo giorno della nascita risultano precise più della metà delle beccate. Nel secondo giorno dopo la nascita la precisione raggiunge un livello di oltre il 75 per cento. Se però, durante questo periodo, i piccoli vengono allevati al buio, la mancanza di esperienza visiva riduce notevolmente la precisione della loro beccata: la pratica visiva è quindi necessaria per lo sviluppo di una completa precisione nella beccata.
La mancata esperienza di beccata altera inoltre la parte del comportamento relativa alla rotazione della testa nella beccata. Il piccolo del gabbiano allevato naturalmente, non presenta la componente relativa alla rotazione della testa, ma la acquisisce dopo e la migliora rapidamente con l'aumento della precisione delle beccate. Diversamente i neonati allevati senza esperienze di beccata presentano raramente un miglioramento della componente rotatoria della testa effettuando le beccate.
Molto interessante è l'esame degli eventi temporali necessari al pulcino del gabbiano per riconoscere e beccare il becco del genitore. Con l'uso di modelli del profilo della testa del gabbiano adulto è stato constatato che i neonati di gabbiano comune (Larus ridibundus - testa nera e becco tutto rosso) non sanno distinguere un modello dell'individuo adulto della propria specie da quello di un gabbiano reale (Larus argentatus - testa bianca e becco giallo con una macchia rossa sulla mandibola). I piccoli del gabbiano comune infatti sono attratti sia dal becco tutto rosso tipico della propria specie che dalla macchia rossa situata sul becco mandibolare del gabbiano reale. Anche i neonati del gabbiano reale non sono in grado di distinguere il modello dell'individuo adulto della propria specie da quello del gabbiano comune. È stato osservato inoltre che i neonati e i giovani di gabbiano comune, sottoposti al test nei riguardi di cinque modelli della testa del genitore - fra i quali uno rappresentava il profilo solo del becco rosso e uno solo della testa nera - beccavano soprattutto le immagini del becco del genitore e scarsamente a quella della sola testa. Sembra quindi che il piccoli del gabbiano delle due specie nascano con un innato orientamento verso il bersaglio rosso che caratterizza il becco dell'individuo adulto. La correttezza di questa conclusione è confermata dal fatto che il neonato becca la macchia rossa disegnata sulla parte anteriore del modello della testa dell'adulto mentre ignora il becco lasciato totalmente bianco
Nel complesso schema degli stimoli e dei movimenti fra genitore e neonato, il gabbiano adulto abbassa la testa e punta il becco verso il basso in direzione del piccolo. Nell'ambito di questo specifico comportamento è stato studiato quale sia il movimento del becco del genitore che agisce da stimolo ottimale per provocare le beccate del pulcino. Al neonato è stata presentata verticalmente e poi orizzontalmente un'asta rossa di vari spessori, in posizione statica e in movimento sia in senso verticale che orizzontale. É risultato che lo stimolo ottimale per ottenere la più alta percentuale di beccate è l'asta larga circa otto millimetri in posizione verticale, mossa in senso orizzontale alla velocità di 12 centimetri al secondo. Appare quindi che la preferenza verso la grandezza e il movimento del becco sia innata nel neonato del gabbiano: questa preferenza concorda con la grandezza media del becco (10, 6 millimetri anteriore e 3,1 mm posteriore: media 8 mm) e con i movimenti naturali del capo dell'adulto (che tendo il becco verticale lo fa oscillare in senso orizzontale davanti al suo pulcino alla velocità di 14,5 centimetri al secondo).
Il neonato inesperto inizia il suo rapporto con il genitore beccando prevalentemente il bersaglio rosso del becco ma becca anche altre porti dell'individuo adulto che tra l'altro ha le zampe rosse. La ragione di questa preferenza è stata valutata stimolando la beccata del neonato inesperto verso l'asta rossa che è stata fatta perviene all'altezza del suo occhio, dall'alto e dal basso. La preferenza manifestata dai soggetti sottoposti a questo test è per l'asta che proviene dall'alto: anche questa preferenza appare innata e concorda con il comportamento naturale della testa del genitore quando abbassa il becco verso il piccolo.
I sopradescritti test sono stati effettuati nell'arco di una settimana con i pulcini dei gabbiani comune e reale, allevati dai propri genitori: i neonati all'inizio non sapevano fare una netta distinzione fra i modelli delle due specie, ma successivamente, quanto più a lungo essi avevano vissuto nel nido, più forte risultava la loro risposta verso il modello del genitore e sempre più debole a quello del genitore dell'altra specie. Per analizzare se il cambiamento di percezione sia dovuto al condizionamento provocato dall'esperienza indotta dal genitore che gli dava il cibo, pulcini di gabbiano reale, nati in incubatrice, sono stati suddivisi in tre lotti. I pulcini del gabbiano del primo lotto hanno ricevuto un po' di cibo quando hanno dato un certo numero di beccate al modello del gabbiano comune. Quelli del secondo lotto hanno avuto un po' di cibo quando hanno un certo numero di beccate al modello della proprie specie. I pulcini del terzo lotto (di controllo) hanno avuto cibo senza beccare previamente alcun modello. Al termine del secondo giorno di allenamento, i pulcini dei tre lotti sono stati sottoposti al test di discriminazione dei modelli ed è risultato che ogni gruppo rispondeva maggiormente, al modello con cui era stato allenato. Questo risultato sembra dimostrare quindi che il neonato apprende progressivamente l'immagine mentale del genitore mentre quest'ultimo gli porge il cibo. In natura il piccolo sviluppa un'immagine mentale del genitore molto più specifica: infatti i piccoli di una settimana beccano solo modelli che somigliano strettamente al genitore.
È stato analizzato anche il quesito riguardante la capacita del neonato a riconoscere il cibo. Le esperienze hanno dimostrato che i piccoli possono imparare rapidamente ad identificare il cibo o almeno a riconoscere il luogo dove questo si trova. In natura, la covata del gabbiano è costituita da tre uova e la schiusa dei pulcini avviene ad intervalli di 12 ore. In questo modo quando il primo pulcino ha appena mangiato, nasce l'ultimo pulcino delle tre uova deposte. Quando quest'ultimo becca il becco del fratello più anziano, mentre questi sta mangiando, beccherà anche il cibo e se ne ingoia una parte apprende rapidamente a riconoscere il tipo di cibo idoneo alla sua alimentazione.
Se un gabbiano reale, appena nato in incubatrice, viene messo isolato in un contenitore, perde molto tempo ad individuare il cibo. Questo tempo si riduce se due neonati inesperti vengo messi insieme nella stesso contenitore. La presenza reciproca del compagno inesperto stimola ambedue a muoversi di più e quindi a trovare il cibo più rapidamente di quanto faccia un neonato isolato nel contenitore. Il tempo di ricerca si riduce ancora se un neonato inesperto viene messo insieme ad un pulcino esperto. In definitiva il pulcino del gabbiano, pur non conoscendo né il cibo né il luogo dove trovarlo, lo cerca istintivamente. Su questa base operano gli stimoli visivi, provenienti dal genitore (bersaglio rosso e movimento del becco) e dalla presenza competitiva dei fratelli, che operano a favore del rapido apprendimento gustativo del cibo oltreché della sua principale fonte alimentare.

APPRENDIMENTO

L'apprendimento in molti nei Vertebrati, come ad esempio nei sopradescritti gabbiani, e negli Invertebrati, in particolare negli insetti e nei molluschi, è regolato dall'informazione contenuta nel patrimonio genetico dell'animale. In altre parole lo stesso processo di apprendimento di questi animali è controllato dall'istinto. Vi sono validi motivi per ritenere che questo avvenga anche nel processo di apprendimento del linguaggio umano basato in larga misura su capacità e tendenze innate (Gould e Marler 1987).
La capacità di apprendimento di ogni animale è dipendente dalla complessità e dalla plasticità del suo sistema nervoso. Per complessità s'intende: a) numero e diversità dei neuroni, b) variabilità funzionale delle terminazioni sinaptiche (vedi Mazzi e Fasolo 1977) e c) livelli di evoluzione strutturale del sistema nervoso centrale (gangli cefalici e cordoni nervosi degli invertebrati, cervello e midollo spinale dei vertebrati) e di quello periferico (organi di senso - vedi Mitchel et al 1992).
Per plasticità si intende: d) adattamento dei circuiti nervosi e delle connessioni sinaptiche fra neuroni, in risposta a vari stimoli ambientali e e) capacità di adattamento a compensare morfologicamente e funzionalmente parti asportate o lese del sistema nervoso centrale.

Plasticità del sistema nervoso centrale

L'apprendimento implica delle modifiche anatomiche, biochimiche e quindi funzionali dei centri nervosi del sistema nervoso centrale degli Invertebrati e del cervello dei Vertebrati.
Malacarne (1780 op. cit. Rosenzweig et al. 1970) fece i primi esperimenti su due cani di un stessa cucciolata, su due cardellini e su due tordi, avendo cura di prendere ogni coppia di uccelli dalla stessa covata. Addestrò un animale di ogni coppia per un lungo periodo di tempo, lasciando l'altro animale al di fuori dell'addestramento. Alla fine sacrificò tutti gli animali e ne esaminò il cervello, riscontrando che il cervelletto degli animali addestrati presentava un numero di circonvoluzioni superiore rispetto agli animali non addestrati.
Successivamente, Rosenzweig, Bennett e Diamond (1970) hanno prelevato dalla stessa cucciolata tre maschi di ratto e li hanno distribuiti in tre ambienti: un ratto è stato isolato in una gabbia (ambiente povero di stimoli), un ratto è stato messo in una gabbia standard di laboratorio insieme ad altri due ratti (provenienti da altre cucciolate - ambiente con un moderato numero di stimoli), il terzo ratto è stato messo in un'ampia gabbia spaziosa e attrezzata con una varietà di oggetti giornalmente rinnovati, insieme ad un proporzionato numero [rapporto ottimale fra spazio e numero di individui] di altri ratti (provenienti da altre cucciolate - ambiente molto stimolante).
Dopo variabili periodi di allevamento (da 4 a 10 settimane) nei tre ambienti, il cervello dei ratti è stato analizzato da un punto di vista anatomico. É risultato che i ratti vissuti nell'ambiente molto stimolate avevano una corteccia cerebrale più spessa e di maggior peso rispetto a quella dei ratti che hanno ricevuto meno stimoli. Nella maggior parte degli esperimenti, le principali differenze furono riscontrate nella corteccia occipitale che, nel ratto, corrisponde al terzo posteriore della superficie dorsale dell'emisfero cerebrale. Il maggior sviluppo della corteccia occipitale non è attribuibile ad un maggior sviluppo delle corteccia visiva (Constantine-Paton e Law 1983; Andreoli 1991) perché la corteccia occipitale si è maggiormente sviluppata anche nei ratti cechi o in quelli mantenuti completamente al buio in un ambiente molto stimolate.
I ratti di laboratorio sono stati inoltre allevati (otto esperimenti) per un mese in recinti all'aperto, caratterizzati da un ambiente molto simile a quello naturale e sottoposti al tutte variazioni climatiche. I ratti di laboratorio hanno manifestato un repertorio di comportamenti propri dei ratti selvaggi (come scavare le tane, attività che i loro progenitori non hanno fatto per 100 generazioni in laboratorio) e i loro cervelli hanno conseguito uno sviluppo cerebrale superiore a quello raggiunto dai ratti tenuti in un ambiente artificiale molto stimolante.
Il cervello dei ratti di laboratorio vissuti da 4 a 10 settimane nelle tre gabbie con differenti livelli di stimolo ambientale sono stati esaminati anche da un punto di vista biochimico ed è risultato che la corteccia cerebrale dei ratti vissuti nell'ambiente molto stimolante possedeva, non solo un maggior peso e un maggior spessore, ma anche una maggiore attività acetilcolinesterasica totale.

Nota nr. 2

La cellula nervosa o neurone è formata da un corpo cellulare o pirenoforo, da cui partono numerose propaggini dette dendriti e da un lungo prolungamento detto assone, che a sua volta si suddivide in numerose terminazioni sinaptiche. Ogni terminazione sinaptica o sinapsi è delimitata dalla membrana cellulare e nel citoplasma comprende numerose vescicole (dette vescicole sinaptiche) a loro volta contenenti un neurotrasmettitore, come ad esempio l'acetilcolina.
La terminazione sinaptica (del neurone A o neurone presinaptico) può prendere rapporto con i dendriti, con il pirenoforo o con l'assone di un altro neurone (neurone B o neurone postsinaptico o con il corpo di una cellula non nervosa di un muscolare o di una ghiandola). Nelle zone di contatto intercellulare o sinapsi, la membrana cellulare del neurone A viene chiamata membrana presinaptica e la membrana cellulare del neurone B viene chiamata membrana postsinaptica. Lo spazio extracellurare fra le due membrane viene detto fessura sinaptica.
Quando lo stimolo nervoso passa attraverso la sinapsi,, dal neurone A al neurone B, le vescicole sinaptiche del neurone A aderiscono alla membrana presinaptica e con un processo di esocitosi, versano l'acetilcolina nella fessura sinaptica. Il neurotrasmettitore eccitata la membrana postsinaptica del neurone B. Nella fessura sinaptica è presente l'enzima acetilcolinesterasi che gradua l'eccitazione della membrana postsinaptica, scindendo una parte dell'acetilcolina in acetato e colina.


Dall'esame istologico è risultato che nella corteccia cerebrale dei giovani ratti vissuti in un ambiente molto stimolante:
- il numero dei neuroni per unità di tessuto nervoso non era variato, ma il corpo cellulare e il nucleo
dei neuroni erano più grandi di quelli dei ratti vissuti in ambienti poco stimolanti;
- il numero delle cellule di glia (cellule del tessuto nervoso di sostegno dei neuroni) presenti nella
corteccia cerebrale dei ratti allevati in un ambiente molto stimolante era superiore a quello dei ratti
allevati in un ambiente privo di stimoli.
Le cellule gliari svolgono varie funzioni, come il trasporto di materiale fra i capillari e le cellule nervose, la formazione della guaina lipidica che riveste l'assone e la rimozione del tessuto nervoso morto. Nel citoplasma delle cellule di glia vi è l'enzima colinesterasi, che è presente anche nei capillari sanguigni che circondano i neuroni. Dall'analisi biochimica è risultato che nella corteccia cerebrale dei ratti allevati in ambiente molto stimolante, vi era, come atteso, un'alta attività colinesterasica.
Dall'insieme di questi dati risulta che nel giovane ratto la corteccia cerebrale, in particolare quella occipitale, ha una notevole plasticità perché la sua attività metabolica si adatta all'intensità, alla diversità e alla durata temporale degli stimoli ambientali. La corteccia cerebrale risponde agli stimoli con l'accrescimento dei corpi cellulari dei neuroni e con l'aumento numerico delle cellule di glia che, in parte, giustificano l'aumento ponderale e volumetrico corticale negli individui maggiormente stimolati dalle condizioni ambientali.

Il concetto di plasticità del sistema nervoso centrale viene esteso sia alla capacità di rigenerazione di parti asportate del cervello o del midollo spinale dei Vertebrati sia ai tempi di differenziamento dei neuroni e dell'organizzazione dei centri nervosi, durante lo sviluppo pre- e postnatale degli individui. Un esempio molto interessante riguarda la citoarchitettonica (modello di distribuzione morfologica e funzionale dei neuroni) della corteccia occipitale visiva dei mammiferi che è dipendente dall'esperienza visiva del neonato.

Nota nr. 3

Nei mammiferi le via ottica o visiva inizia nella retina, situata sulla parete interna dell'occhio, e tramite il nervo ottico penetra nel cervello fino ai nuclei genicolati laterali (uno per lato) del talamo. La retina di ogni occhio è collegata sia al nucleo genicolato laterale situato sul lato opposto (controlaterale) del cervello, sia a quello situato sullo stesso lato (omolaterale), Dai due nuclei genicolati la via ottica si proietta, tramite un nuovo grande fascio di fibre nervose, alla lamina IV (il quarto dei sei strati principali) della corteccia cerebrale occipitale.
Nel gatto, a metà gestazione sono in via di formazione le connessioni sinaptiche fra gli assoni provenienti dal nervo ottico (assoni retinogenicolati) e i neuroni dei nuclei genicolati laterali, mentre sono assenti i rapporti fra quest'ultimo e la corteccia occipitale visiva. Alla nascita, ciascun nucleo genicolato risulta strutturato a strati e in questi strati terminano, in modo alternato, gli assoni provenenti rispettivamente dall'occhio sinistro e da quello destro. Gli assoni che originano dai neuroni di questi strati (assoni genicolocorticali) terminano senza grande distinzione sui neuroni relè della corteccia occipitale visiva. Dopo otto settimane di vita, gli assoni genicolocorticali terminano invece in modo separato a secondo dell'occhio di provenienza sui neuroni relè e sugli interneuroni della corteccia occipitale visiva: in tal modo la corteccia occipitale visiva risulta definitivamente strutturata a strati come il nucleo genicolato laterale (Kalil 1992). Nell'area 17 della corteccia visiva vi è un certo numero di neuroni (il 17% nel gatto e il 60% nei primati) che reagiscono agli stimoli provenienti da entrambi gli occhi (neuroni binoculari), mentre i restanti neuroni reagiscono agli stimoli provenienti da un solo occhio (neuroni monoculari) (Hubel e Wiesel 1968).



Hubel e Wiesel (1970) hanno suturato le palpebre di gattini neonati impedendo che la luce raggiungesse la retina dell'occhio. Parecchi mesi dopo la nascita hanno rimosso la sutura ed hanno trovato che era calato il numero dei neuroni della corteccia visiva che reagivano agli stimoli provenienti dall'occhio che era stato occluso. Di conseguenza nell'area 17 della corteccia visiva vi erano solo neuroni monoculari che reagivano esclusivamente agli stimoli provenienti dall'occhio rimasto aperto (spostamento della dominanza oculare) e che il gattino aveva perso l'uso dell'occhio sperimentalmente non vedente. Hubel e Wiesel, hanno osservato inoltre che le cellule della retina dell'occhio che era stato suturato e i neuroni dei nuclei genicolati laterali reagivano normalmente alla luce. Pertanto la via visiva (assoni retinogenicolati) che collega la retina ai neuroni dei nuclei genicolati laterali non era stata modificata dall'oscuramento dell'occhio, perché si era già differenziata nel periodo prenatale. Quindi i cambiamenti visivi che si verificano in seguito all'occlusione monoculare, riguardano il differenziamento (dipendente dall'esperienza visiva) delle connessioni sinaptiche fra i neuroni del nucleo genicolato con i neuroni della corteccia occipitale visiva (Shatz e Stryker nel gatto e Hubel, Wiesel e LeVay nelle scimmie - vedi Kalil 1990). Poiché l'occlusione di un occhio in età adulta non modificava la citoarchitettonica dei neuroni dell'area 17, Hubel e Wiesel hanno dedotto che esiste un periodo di plasticità della corteccia visiva in cui viene progressivamente fissata l'organizzazione a strisce (colonne di dominanza oculare) dei neuroni corticali. Olson e Freemann (autori cit. da Aoki e Siekevitz 1992) hanno studiato sistematicamente l'influenza dell'età dell'animale sul cambiamento indotto dall'occlusione di un occhio, della durata di 10 giorni, sulla citoarchitettonica della corteccia visiva: essi hanno trovato che l'oscuramento visivo praticato a un mese dalla nascita causa modificazioni sostanziali nell'area 17, mentre praticato all'età di quattro - cinque mesi cessa di avere effetto sulla citoarchitettonica corticale. Huber e Wiesel (1970), hanno chiamato periodo critico l'intervallo tra il secondo e il quarto mese dopo la nascita, in quanto solo in questo periodo di tempo la corteccia visiva ha una plasticità tale da poter modificare la propria organizzazione in risposta agli stimoli provenienti dalla retina attraverso il nucleo genicolato laterale.
Cynader (autore. cit. da Aoki e Siekevitz 1992) è riuscito a ritardare l'attivazione del periodo critico per un periodo di ben due anni allevando i gattini neonati al buio. Non appena i gatti ormai adulti sono stati portati alla luce, si sono attivati tutti i cambiamenti nelle connessioni corticali dipendenti dall'esperienza visiva, cambiamenti che nei neonati si attivano rigorosamente entro il periodo compreso tra il secondo e quarto mese dopo la nascita. Questo risultato ha suggerito l'idea che durante tutto il periodo di vita all'oscuro sia rimasto silente un evento biochimico importante per la plasticità della corteccia visiva e che sia stato innescato quando gli occhi dei gatti hanno potuto percepire lo stimolo della luce. Ricerche a livello molecolare hanno evidenziato l'importante ruolo della proteina MAP 2 (ovvero proteina associata ai microtubuli [dei neuroni]). Durante il periodo di allevamento dei gattini al buio, la MAP 2 è inattiva perché la configurazione della proteina è modifica dall'associazione di un gruppo fosfato alla sua molecola. Ma quando la luce comincia a stimolare le vie visive, la MAP 2 viene defosforilata e quindi la proteina assume la configurazione molecolare attiva per formare ponti fra i neurotubuli e i neurofilamenti, ovvero con i componenti principali del citoscheletro e del trasporto assonale dei neuroni (Aoki e Siekevitz 1992; Alberts et al. 1995; Wolfe 1996).

Livelli e meccanismi di apprendimento

Una delle principali proprietà degli organismi viventi, è l'eccitabilità, intesa come capacità di recezione degli stimoli e di elaborazione di appropriare risposte verso l'ambiente. Il paramecio (Protozoi Ciliati - vedi Mitchel 1992) che si muove nel mezzo liquido tramite numerose ciglia, quando incontra lungo il suo percorso uno stimolo ambientale, retrocede, gira su se stesso ed evita la zona di eccitazione; poi riprende la navigazione secondo la nuova direzione assunta fino a che incontra un nuovo stimolo e ripete le soprascritte modalità di inversione di rotta. Sembra che il paramecio faccia così una serie di saggi, correggendo continuamente gli errori precedenti. Jennings (autore cit. da Cotronei 1945) fautore della teoria dei saggi e degli errori, ha sostenuto che le medesime eccitazioni ripetute finiscono per creare delle abitudini, di modo che il protozoo apprende l'ambiente con l'esercizio. Anche nell'uomo l'apprendimento è il processo mediante il quale l'individuo acquista nuova conoscenza mentre la memoria è il processo con il quale viene conservato nel tempo questa conoscenza. Apprendimento e memoria, quindi, sono fondamentali per il nostro senso di individualità (Jervis 1997). L'apprendimento va oltre l'individuo: è la trasmissione di cultura di generazione in generazione; è il veicolo importante di adattamento comportamentale e una potente forza di progresso sociale (Kandel e Hawkins 1992).
Per vivere nell'ambiente, l'animale deve essere in grado di saper riconoscere fra due alternative la situazione a lui ottimale, come ad esempio distinguere la preda dal predatore. Negli animali con cure parentali avanzate quali quelle dei mammiferi superiori, la madre educa i figli alla conoscenza delle fonti alimentari e del territorio, in ambienti naturali anche molto ostili. Questa capacità di adattamento deriva dal fatto che l'esperienza può modificare il sistema nervoso e quindi il comportamento dell'animale. In questo concetto di adattabilità è racchiuso il significato dei termini di apprendimento e di memoria (Montarolo e Schacher 1988).
L'apprendimento quindi è un processo che modifica l'individuo in rapporto a ciò che accade nell'ambiente e a ciò che lui fa nell'ambiente. In sintesi l'esperienza è alla base dell'apprendimento di ogni organismo animale. Dall'esperienza derivano due tipi di apprendimento: l'abituazione e l'apprendimento associativo.
L'abituazione è una delle forme più semplici dell'apprendimento e consente di non reagire agli stimoli irrilevanti (Oliverio 1991). Un fenomeno di questo tipo è stato osservato nelle comunicazioni fra individui di ceropitechi che in natura riconoscono i loro segnali vocali di allarme corrispondenti alla presenza di un pericolo come aquile, leopardi e serpenti. Se uno di questi segnali di allarme registrati (per esempio: presenza del leopardo) viene fatto sentire ad un gruppo (comunità) di cercopitechi, quest'ultimi manifestano la reazione di fuga tra gli alberi. Ma se continuativamente viene emesso lo stesso segnale d'allarme, i cercopitechi a poco a poco smettono di reagire ad esso (abituazione). Se però i soggetti "abituati" a questo stimolo percepiscono un altro stimolo che giudicano diverso, la forza della loro risposta di fuga aumenta nettamente. Questa tecnica definita dell'abituazione-disabituazione, rivela che a) l'individuo in esame (in questo caso il cercopiteco) ha la facoltà di giudicare (coscienza) se due stimoli sono simili o dissimili e che b) l'abituazione è attribuibile al controllo della reazione di paura esercitata dal cervello e non all'eliminazione della memoria emotiva (Seyfarth e Cheney 1993).
L'apprendimento associativo implica che l'organismo impari ad associare due avvenimenti che si verificano simultaneamente e che all'animale risultano concatenati (Oliverio 1991). Nell'ambito dell'apprendimento associativo si fanno alcune distinzioni funzionali (Thorpe 1963) e fra queste il condizionamento classico e il condizionamento strumentale

Nota nr. 4

L'arco riflesso, nell'organizzazione più semplice, è teoricamente (Mazzi e Fasolo 1977) rappresentato da un neurone sensitivo (o recettore) specializzato nel trasformare (trasduzione) lo stimolo ambientale (ad esempio una puntura sulla pelle) in un impulso nervoso da trasmettere a un neurone motore (o neurone effettore) che a sua volta attiva (eccita) un organo effettore (come un muscolo o una ghiandola). I due neuroni dell'arco riflesso semplice sono connessi tramite una sinapsi (riflesso monosinaptico - Mazzi e Fasolo 1977; Gordon 1984). L'arco riflesso diviene complesso, quando fra i due neuroni sono interposti da uno a più interneuroni. Pertanto l'eccitazione di più recettori può attivare un solo organo effettore, come pure, l'eccitazione di pochi recettori può attivare più organi effettori (Eibl-Eibesfeldt 1976).
Per recettore si può intendere sia un neurone sensitivo che con una o più estremità dendritiche riceve direttamente gli stimoli dalla superficie periferica esterna o interna del corpo oppure una o più cellule periferiche riunite in un organo sensitivo [ad esempio un bottone gustativo] che sono in rapporto sinaptico con l'estremità dendritiche di uno o più neuroni sensitivi. Il recettore di ogni arco riflesso è geneticamente preposto al riconoscimento di uno specifico stimolo periferico [ad esempio riconoscimento delle particelle chimiche del sapore da parte delle cellule sensitive del bottone gustativo]: di conseguenza la risposta riflessa del neurone [o della catena dei neuroni] e dell'organo effettore [ghiandola salivare] è obbligatoriamente determinata (ad esempio la salivazione prodotta dalla ghiandola omonima). Lo stimolo che provoca la risposta riflessa viene chiamato stimolo incondizionato (SI) e la risposta viene definita risposta incondizionata (RI). Questo modello di risposta automatica allo stimolo viene definito riflesso incondizionato.
Se [in via sperimentale] allo stimolo incondizionato A [la illuminazione diretta di un occhio, induce il restringimento della pupilla] viene contemporaneamente associato un altro stimolo B [come il suono di un campanello] ripetuto più volte, lo stimolo B alla fine acquista il potere di produrre la risposta [restringimento della pupilla] anche in assenza dello stimolo A. Lo stimolo B viene chiamato stimolo condizionato (SC) e la risposta appresa viene definita risposta condizionata (RC). Questo modello di apprendimento viene chiamato condizionamento classico o riflesso condizionato.
Se fra due stimoli (accensione di una luce e somministrazione di un a debole scarica elettrica) viene associato un elemento dipendente dalla risposta dell'organismo (abbassare una leva), l'animale impara a ricevere una ricompensa (evitare la scarica elettrica). Quando l'animale impara ad evitale la punizione (la scarica elettrica) si ha un rinforzo positivo nel suo apprendimento e aumenta la frequenza delle sue risposte positive. Questo modello di apprendimento viene definito condizionamento strumentale.



Gli studi basati sul comportamento di pazienti cerebrolesi hanno messo in evidenza che le lesioni ai lobi temporali provocano gravi menomazioni a forme di apprendimento e di memoria che richiedono una registrazione cosciente da parte dell'individuo. Questi tipi di apprendimento cosciente sono stati definiti dichiarativi o espliciti (Cohen e Schacter - autori cit. da Kandel e Hawkins 1992). Negli stessi pazienti restano invece intatte forme di apprendimento che non richiedono la partecipazione cosciente dell'individuo e che sono state definite non dichiarative o implicite. Mentre l'apprendimento esplicito è rapido e può verificarsi anche dopo una sola seduta di addestramento, l'apprendimento implicito è lento e si basa sull'accumulo per ripetizione di una serie di molti tentativi e utilizza sistemi di memoria che non si basano sulla conoscenza generale dell'individuo. Nell'uomo l'apprendimento esplicito richiede le strutture dei lobi temporali per fissare la memoria dell'evento appreso, mentre l'apprendimento implicito fa riferimento ad altri circuiti neuronali impegnati nel compito specifico di apprendimento.
Queste due distinzioni neurofunzionali hanno sollevato il problema se a) nel cervello umano esistano due distinti sistemi di circuiti neuronali, ciascuno per uno dei due tipi di apprendimento; b) se i due sistemi a livello cellulare siano guidati dallo stesso insieme di regole di apprendimento; c) se esistano insiemi di regole distinti per ciascun sistema.
Hebb (cit. da Kandel e Hawkins 1992; vedi anche Milner 1993) ha proposto che l'apprendimento associativo sia prodotto da un meccanismo cellulare semplice: "quando l'assone di una cellula A.... eccita la cellula B e prende parte ripetutamente e continuamente alla sua eccitazione, nell'una o in ambedue le cellule si verifica qualche processo di crescita o qualche cambiamento metabolico, così che l'efficacia di A, come cellula che attiva B, viene aumentata". Secondo questa "regola di Hebb", la attività coincidente nel neurone presinaptico e postsinaptico (vedi Nota nr. 2) è fondamentale per il rafforzamento della connessione fra di essi (meccanismo pre-post associativo o coincidenza di attività nei neuroni presinaptico e postsinaptico secondo Hebb). Tauc e Kandel (1963 ; cit. da Kandel e Hawkins 1992), hanno osservato in Aplysia, che la connessione sinaptica fra due neuroni (A e B) può essere rafforzata anche in assenza di attività del neurone postsinaptico (neurone B), quando sul neurone presinaptico (neurone A) agisce un terzo neurone (neurone C), definito neurone modulatore (regolatore): la terminazione sinaptica di quest'ultimo agisce sulla terminazione sinaptica del neurone presinaptico (neurone A) potenziando la liberazione del neurotrasmettitore prodotto da quest'ultimo. Secondo Tauc e Kandel, questo meccanismo può assumere proprietà associative se i potenziali d'azione (vedi Nota nr. 4) del neurone presinaptico (A) coincidono con i potenziali d'azione del neurone modulatore (C) (meccanismo associativo premodulatorio o meccanismo di coincidenza premodulatoria secondo Tauc e Kandel).
Carew, Hawkins e Kandel (1983), Hawkins, Abrams, Carew e Kandel (1983) hanno descritto in Aplysia, il meccanismo associativo premodulatorio dove esso contribuisce al condizionamento classico, una forma di apprendimento implicito. Successivamente Holger, Wigström e Bengt (1986 cit. da Kandel e Hawkins 1992) hanno trovato che il meccanismo pre-post associativo è localizzato nell'ippocampo dei Mammiferi (situato nella parte profonda del lobo temporale) dove è utilizzato per l'apprendimento spaziale, una forma esplicita di apprendimento. La scoperta di queste due distinte regole di apprendimento cellulare, ciascuna con proprietà associative, ha fatto pensare che i meccanismi associativi per l'apprendimento implicito ed esplicito, non abbiano bisogno di complesse reti di neuroni (Kandel e Hawkins 1992)
A) L'apprendimento implicito

Nel gasteropode opistobranco nudo (perché privo del guscio) Aplysia (che ha un sistema nervoso centrale formato da 20.000 neuroni, di cui alcuni sono molto grandi [Scheller e Axel 1984]) sono noti molti riflessi semplici e fra questi quello della retrazione della branchia (Alberts et al. 1995, pag. 1306) che si evidenzia quando uno un lieve stimolo viene applicato in un'altra parte del corpo, come la plica del mantello o il sifone (vedi Montarolo e Schacher 1988). Questo riflesso semplice avviene perché il tegumento del mantello e del sifone è innervato da due distinti gruppi di neuroni sensitivi (neuroni presinaptici) che formano sinapsi eccitatorie (secernono il neurotrasmettitore acetilcolina) sui i neuroni motori (postsinaptici) dei muscoli retrattori della branchia. Se il sifone viene stimolato debolmente più volte, l'animale si abitua e smette di ritrarre la branchia, perché il reiterato stimolo non lesivo induce la progressiva riduzione della quantità di neurotrasmettitore secreto dai neuroni sensitivi, e di conseguenza si indebolisce il potenziale d'azione postsinaptico dei neuroni motori che innervano i muscoli retrattori della branchia.
Nell'aplisia sono stati analizzati (Kandel e Hawkins 1992), i meccanismi di apprendimento implicito nel riflesso di retrazione della branchia, facendo associare al gasteropode: a) un stimolo debole (o condizionato) come un sottile flusso d'acqua sul sifone, seguito da uno stimolo forte (sensibilizzante o non condizionato) come una scarica elettrica sulla parte terminale (coda) del piede muscolare dell'animale e b) uno stimolo debole sul mantello, non seguito dalla scarica elettrica sul piede. Dopo cinque prove per ciascun test (a e b), l'aplisia dimostra di aver associato che lo stimolo debole al sifone è seguito da uno stimolo forte provocato dalla scarica elettrica: infatti la risposta (retrazione della branchia) alla stimolazione debole del sifone (percorso abbinato) è maggiore della risposta alla stimolazione debole del mantello (percorso non abbinato). Lo stesso risultato si ottiene a) stimolando debolmente prima il mantello e stimolando poi elettricamente il piede e b) stimolando solo debolmente il sifone.
Questi esperimenti hanno dimostrano che 1) lo stimolo forte (scarica elettrica) provoca un rafforzamento del riflesso di retrazione della branchia; 2) per ottenere questo rafforzamento è necessario che lo stimolo debole preceda lo stimolo forte; 3) l'intervallo di tempo fra i due stimoli deve essere di circa 0,5 secondi! (Kandel e Hawkins 1992). La spiegazione di questi tre punti chiariscono gli intimi meccanismi dell'apprendimento implicito in Aplysia.

a) Dal punto di vista neuroanatomico la rete dei neuroni coinvolta nell'apprendimento implicito è schematicamente così costituita: I) il neurone motore dei muscoli retrattori della branchia riceve le terminazioni presinaptiche dei neuroni sensitivi sia del sifone che del mantello (arco riflesso della retrazione della branchia) che secernono acetilcolina (neurotrasmettitore); II) le terminazioni presinaptiche dei neuroni sensitivi sia del sifone che del mantello ricevono, a loro volta, le terminazioni presinaptiche dei neuroni facilitanti o modulatori che secernono serotonina (neurotrasmettitore) e III) quest'ultimi ricevono le terminazioni (presinaptiche) dei neuroni sensitivi della "coda" (del piede muscolare).

Nota nr. 5

Il neurone è una cellula nervosa funzionalmente polarizzata, ovvero l'impulso elettrico attivato da uno stimolo si muove lungo la membrana plasmatica nella direzione dendriti-pirenoforo-assone-terminazioni sinaptiche.
La concentrazione extracellulare dello ione sodio è 10 volte superiore a quella dello stesso ione nel citoplasma (o neuroplasma) del neurone. La concentrazione degli ioni potassio nel neuroplasma è invece 10 volte superiore a quella extracellulare. Una proteina integrale della membrana plasmatica del neurone si comporta come una pompa che continuamente scambia gli ioni sodio presenti nel neuroplasma con gli ioni potassio dei liquidi esterni al neurone. La membrana plasmatica di un neurone di grandezza media contiene circa un milione di pompe sodio. La differenza nelle concentrazioni degli ioni sodio (Na+) e potassio (K+) all'esterno e all'interno del neurone danno origine ad un potenziale di riposo cioè ad una differenza di potenziale fra l'esterno e l'interno del neurone di circa -70 millivot. In condizioni di riposo (in assenza di conduzione nervosa) la membrana plasmatica del neurone è praticamente impermeabile agli ioni Na+ mentre gli ioni K+ possono fuoriuscire attraverso pori che ne permettono il passaggio. Questo flusso di ioni K+ verso l'esterno provoca un deficit di cariche positive sulla superficie interna della membrana plasmatica e ciò crea la differenza di potenziale fra l'esterno e l'interno del neurone.
La trasmissione di un impulso nervoso coincide con una modificazione temporanea della permeabilità della membrana plasmatica nei confronti degli ioni sodio e potassio. Durante la propagazione di un impulso si ha il movimento degli ioni Na+ e K+ attraverso altri due tipi di proteine della membrana plasmatica note come canali del sodio e del potassio. Il passaggio di un impulso elettrico lungo la superficie del neurone induce una modificazione della conformazione delle molecole delle due proteine verso la posizione aperta dei due canali (canali a controllo di potenziale).
Un impulso nervoso inizia con una lieve riduzione del potenziale negativo o depolarizzazione a livello dell'inizio dell'assone che provoca l'apertura di alcuni canali del Na+ che a sua volta provoca un'ulteriore depolarizzazione con l'apertura di altri canali del Na+.. Il flusso del Na+ accelera finché una piccola e delimitata zona interna della membrana acquista carica positiva. Quest'ultimo evento determina una inversione di voltaggio che provoca la chiusura dei canali del sodio e l'apertura dei canali del potassio: la fuoriuscita degli ioni K+ riporta rapidamente il voltaggio di quella zona all'originale valore negativo del potenziale di riposo. L'apertura e la chiusura dei due canali a controllo di potenziale si estende lungo tutta la membrana plasmatica e la rapida inversione di voltaggio (detta potenziale d'azione) si propaga lungo la membrana plasmatica fino alle terminazioni sinaptiche dell'assone (Luria et al. 1984).
Nella terminazione sinaptica, il potenziale d'azione induce l'apertura dei canali a controllo di potenziale per lo ione calcio. Il Ca2+, penetrando nel citoplasma, agisce da regolatore della fusione della membrana della vescicole sinaptiche con la membrana presinaptica. Questo processo detto di esocitosi, consente la liberazione del neurotrasmettitore nella fessura sinaptica in specifiche zone della membrana presinaptica topologicamente corrispondenti a quelle dei recettori del neurotrasmettitore situati nella membrana postsinaptica di un altro neurone. L'azione del Ca2+ è regolata dagli ioni K+: lo ione potassio rientrando nel citoplasma riduce il potenziale d'azione della membrana plasmatica della terminazione sinaptica, attiva la chiusura dei canali del Ca2+ e di conseguenza si riduce l'emissione del neurotrasmettitore.
Il legame fra il neurotrasmettitore e il recettore specifico della membrana postsinaptica comporta in quest'ultimo un cambiamento conformazionale che determina l'apertura dei canali sodio e potassio presenti all'interno dello stesso recettore (vedi Alberts et al. 1995, pag. 1280). Dal momento che questi canali si aprono per legame con le molecole del neurotrasmettitore si dice che i canali sono azionati chimicamente, a differenza dei canali dell'assone che sono azionati elettricamente. In seguito al flusso di ioni Na+ la membrana postsinaptica si depolarizza e su questa superficie cellulare (di un altro neurone, o di una cellula muscolare , etc.) si attiva un nuovo impulso elettrico, detto potenziale postsinaptico o PSP.


b) Dal punto di vista funzionale, lo stimolo debole deve precedere lo stimolo forte perché nella terminazione sensitiva presinaptica si deve attivare la seguente sequenza di eventi neurochimici.
Lo stimolo debole, come un flusso d'acqua diretto sul sifone, attiva il potenziale d'azione del neurone sensitivo, potenziale che, a livello della terminazione presinaptica, determina l'apertura dei canali a controllo di potenziale del calcio sia a livello della membrana plasmatica sia a livello delle membrane delle cisterne endoplasmatiche: lo ione Ca2+ (vedi Nota 5 penultimo comma) presente nel neuroplasma promuove l'esocitosi del neurotrasmettitore (acetilcolina) nella fessura sinaptica. La successiva scarica elettrica sulla "coda" del piede muscolare (stimolo rinforzante) attiva il potenziale d'azione del gruppo di neuroni sensitivi (della coda) e quest'ultimi, a loro volta, attivano il potenziale d'azione del neurone facilitante o modulatore che secerne la serotonina, definito primo messaggero. Questo neurotrasmettitore si lega ai specifici recettori situati nella membrana plasmatica della terminazione presinaptica del neurone sensitivo del sifone. Il recettore legato alla serotina, induce la modificazione conformazionale di una proteina di membrana, la proteina G (Montarolo e Schacher 1988) che, a sua volta, attiva l'enzima adenilciclasi. Gli ioni Ca2+ presenti nel citoplasma si legano alla calmodulina una proteina che, modificando la sua conformazione molecolare, si lega e amplifica l'azione dell'adenilciclasi, enzima quest'ultimo che genera molecole di AMP ciclico (adenosinmonofosfato ciclico) dall'ATP (adenosintrifosfato). L'AMP ciclico (definito secondo messaggero) attiva a sua volta la proteinchinasi, molecola che cede un gruppo fosfato (fosforilazione) ai canali del potassio. Quest'ultimi, a seguito della fosforilazione, modificano la loro conformazione molecolare a favore della riduzione del flusso in entrata degli ioni K+ e quindi del mantenimento degli effetti del potenziale d'azione (vedi Nota 5, penultimo comma). Ciò consente il prolungamento del flusso di entrata degli ioni Ca2+ che induce la terminazione presinaptica (dei neuroni sensitivi del sifone) a secernere una quantità di acetilcolina maggiore di quella che viene normalmente secreta per l'eccitazione del neurone motore dei muscoli retrattori della branchia.
In questa complessa catena di attività molecolari, che caratterizzano l'apprendimento implicito, i due tipi di stimolo (debole e forte) sono quindi rappresentati all'interno dello stesso neurone sensitivo del sifone dalla convergenza di due "segnali" diversi, il calcio e la serotonina, sullo stesso enzima adenilciclasi, che determina il rinforzo delle risposte riflesse di tipo difensivo. L'intervallo di 0,5 secondi fra lo stimolo debole (condizionato) e lo stimolo forte (non condizionato o sensibilizzante) essenziale per l'apprendimento del riflesso di retrazione della branchia, può corrispondere all'intervallo di tempo nel corso del quale il calcio entra nella terminazione presinaptica e va legarsi alla calmodulina così da indurre l'adenilciclasi a produrre una maggiore quantità di AMP ciclico in risposta alla serotonina (Kandel e Hawkins 1992). L'apprendimento implicito o sensibilizzazione, una forma semplice di memoria a breve termine persiste per molti minuti od ore, a seconda dell'intensità dello stimolo nocivo subito. Se l'animale viene sottoposto a ripetute scosse elettriche nei giorni successivi, la sensibilizzazione si protrae nel tempo, persistendo per settimane (Alberts et al. 1992, pag. 1305).
Risultati comparabili sono stati ottenuti da Alkon (1983) nell'analisi comportamentale di un altro gasteropode marino "nudo" (cioè privo di conchiglia esterna) della specie Hermissenda crassicornis. Nel suo ambiente naturale e nella fase diurna del ciclo giornaliero, il gasteropode si muove sugli scogli più vicini alla superficie marina alla ricerca di piccoli organismi che si concentrano nell'acqua ben illuminata. In caso di tempesta il gasteropode, per evitare danni al suo corpo creati dalle violenti turbolenza dell'acqua, reagisce allargando la superficie del suo piede muscolare per aumentare l'adesione sulle rocce: di conseguenza riduce la velocità del suo movimento.
In laboratorio, gli individui sono strati addestrati ad apprendere l'associazione fra gli timoli di intensità luminosa e di turbolenza dell'acqua. La forza di trascinamento dei flutti ondosi del mare è stata ottenuta con la forza centrifuga esercitata sugli animali da un piano ruotante, che portava una serie di tubi trasparenti disposti a raggiera. Il lume di tubi (che conteneva acqua di mare) era tale da obbligare il soggetto in esame ad avanzare aderente alla pareti interne del tubo e solo verso la zona centrale di rotazione che poteva essere variabilmente illuminata. Gli individui più volte addestrati a vari livelli di illuminazione e di turbolenza (ovvero di forza centrifuga - altri individui sono stati addestrati alla sola luce, o alla sola forza centrifuga, etc.) sono stati successivamente sottoposti al solo stimolo della luce: è risultato che la velocità di movimento degli individui verso il cento è stata inferiore a 1/3 della velocità misurata prima dell'esperimento. Essi avevano appreso ad associare l'intensità della luce (stimolo condizionante) con la forza di rotazione (stimolo non condizionante). Il condizionamento aveva avuto l'effetto di conformare in misura sempre maggiore la risposta alla luce a quella della rotazione. Tuttavia per ottenere questo modello di condizionamento era necessario che la comparsa della luce precedesse di un intervallo di tempo di circa un secondo l'inizio della massima rotazione del piano. Ulteriori analisi neuroanatomiche dei circuiti e biochimiche a livello cellulare in Hermissenda hanno confermato la sovrapponibilità dei risultati sull'apprendimento implicito ottenuti in Aplysia.

B) L'apprendimento esplicito

Fra le funzioni nervose di un gasteropode e quelle di un essere umano vi è ovviamente un ampio divario. Gli animali con un sistema nervoso semplice, come Aplysia, possono imparare ad associare solo una ristretta gamma di stimoli tramite l'apprendimento implicito. I Mammiferi e in particolare l'uomo, che hanno un cervello strutturalmente e funzionalmente molto evoluto, sono capaci di associare qualsiasi evento tramite la via dell'apprendimento esplicito operante a livello del complesso dell'ippocampo. Le lesioni all'ippocampo interferiscono solo con l'archiviazione dei muovi ricordi, ma l'individuo conserva una memoria abbastanza buona di eventi precedenti alla lesione. L'ippocampo è solo un deposito temporaneo o memoria a breve termine delle informazioni apprese. Il complesso dell'ippocampo elabora le informazioni (per un periodo compreso fra qualche settimana o qualche mese) e quindi le trasferisce in varie aree della corteccia cerebrale, dove si stabilizzano nella memoria a lungo termine.
Il cervello dell'uomo, oltre ad archiviare informazioni sulle esperienze degli oggetti, classifica le informazioni in categorie in modo che gli eventi e i concetti fra loro connessi (come le forme, i colori, le traiettorie nello spazio e nel tempo, i movimenti e le reazioni del corpo) possono essere riattivati insieme (Damasio e Damasio,1992). Per molti anni è prevalsa la convinzione che la memoria sia una singola entità riconducibile ad un'unica struttura o regione del cervello. Progressivamente i neurobiologi si sono resi conto che la memoria dell'uomo è costituita da molteplici componenti imperniate su una rete diffusa di neuroni (Goldman-Rakic 1992).
Bliss e Lømo (1973) nel coniglio hanno trovato che alcune sinapsi dell'ippocampo manifestano cospicue alterazioni funzionali se usate ripetutamente. Se in una delle vie nervose dell'ippocampo vengono somministrati occasionali ed isolati potenziali d'azione, di quest'ultimi non rimane una durevole traccia nel neurone presinaptico. Diversamente reiterate brevi scariche elettriche, ad alta frequenza (Kalil 1990) causano un potenziamento a lungo termine (LTP) nel neurone postsinaptico, tale che successivi isolati potenziali d'azione generano nel neurone postsinaptico una risposta fortemente amplificata. L'effetto dura per parecchie ore in un animale anestetizzato e per giorni o settimane in un animale vigile, in rapporto al numero e all'intensità della raffica di reiterate scariche ricevute. Premesso che ogni neurone postsinaptico del cervello forma numerosissime sinapsi con altri neuroni presinaptici, è stato osservato che il potenziamento a lungo termine si verificava solo a carico delle sinapsi attivate da reiterate scariche di potenziali d'azione. Diversamente nella stessa cellula postsinaptica le sinapsi restate a riposo (cioè non attivate da reiterate scariche di potenziali d'azione) risultavano estranee al potenziamento a lungo termine. Tuttavia se una di quest'ultime capta un potenziale d'azione isolato mentre il neurone postsinaptico sta ricevendo una raffica di scariche di potenziali d'azione, anche questa sinapsi subisce il potenziamento a lungo termine (in un altro momento lo stesso potenziale d'azione isolato inviato a questa sinapsi, non avrebbe lasciato tracce durevoli).

Le principali vie nervose dell'ippocampo utilizzano come neurotrasmettitore l'amminoacido glutammato (primo messaggero) che legandosi agli specifici recettori presenti nella membrana postsinaptica, genera (come era stato ipotizzato da Hebb [1949]) un potenziamento a lungo termine (Lømo 1966, cit da Kalil 1990). La molecola N-metil-D-aspartato o NMDA è un analogo sintetico del glutammato: in condizioni sperimentali il canale si apre quando si lega alla molecola NMDA. Vi sono quindi i recettori del glutammato NMDA e i recettori del glutammato non NMDA. Ai recettori NMDA sono associati i canali per il passaggio degli ioni Ca2+ che:
- sono soggetti ad una forma di controllo dipendente dagli ioni magnesio (Mg2+);
- si aprono solo quando vengono simultaneamente soddisfatte due condizioni:
I) la membrana postsinaptica deve essere fortemente depolarizzata, consentendo 1) il distacco dello ione Mg2+ dal recettore NMDA, 2) il conseguente cambiamento della conformazione molecolare del recettore, 3) l'apertura del canale associato al recettore e 4) il conseguente passaggio degli ioni Ca2+ dallo spazio extracellulare al citoplasma del neurone postsinaptico;
II) il neurotrasmettitore glutammato deve essere legato al recettore NMDA.

I recettori NMDA sono decisivi ai fini del potenziamento a lungo termine. Infatti quando vengono selettivamente bloccati da un inibitore specifico, l'acido amminofosfovalerico o AP5 (Morris et al. 1986), il potenziamento non si verifica, anche se continua la normale trasmissione sinaptica. Un animale trattato con questo inibitore non riesce ad apprendere, in quei settori ritenuti dipendenti dall'ippocampo, ma si comporta sotto ogni altro aspetto in modo quasi normale.
Il potenziamento a lungo termine, ha inizio quando il neurotrasmettitore glutammato, si lega ai recettori non NMDA e promuove la depolarizzazione della membrana postsinaptica. Come sopraddetto la depolarizzazione della membrana postsinaptica annulla il blocco esercitato dallo ione Mg2+ sul canale associato al recettore NMDA e consente l'ingresso degli ioni calcio nel neuroplasma postsinaptico. Gli ioni Ca2+ attivano quindi tre differenti proteinchinasi (secondi messaggeri: calciocalmodulina chinasi, proteina-chinasi C e tirosina-chinasi) che portano all'induzione del potenziamento a lungo termine. Quest'ultimo viene impedito se i livelli di Ca2+ intracellulari vengono artificialmente mantenuti bassi nel neurone postsinaptico iniettandovi un chelante di Ca2+ (come l'EGTA - Alberts at al.1995, pag. 1311).
L'apprendimento esplicito, rispetto a quello implicito, prevede la produzione di un segnale retrogrado che, liberato dal neurone postsinaptico, ha come bersaglio la terminazione presinaptica al fine di mantenere la secrezione del glutammato. Il processo si attiva quando le sopraddette proteinchinasi calcio-dipendenti cedono un gruppo fosforico all'enzima ossido d'azoto sinteasi (NOS). Questo enzima per operare come donatore di elettroni, si lega sia alla calciocalmodulina sia a tre coenzimi (NADPH, FAD e FMN - Goodman e Gilman 1965 pp.1659 e 1657; Snyder e Bredt 1992). La NOS così attivata induce l'arginina (un amminoacido) a scindersi in citrullina e ossido d'azoto (NO - Snyder e Bredt 1992; Kandel e Hawkins 1992). Inibitori (nitroarginina, metilarginina ed emoglobina) dell'NOS bloccano la produzione postsinaptica dell'NO e di conseguenza del GMP ciclico nella terminazione presinaptica (Snyder e Bredt 1992).
Secondo Kandel e Hawkins, l'ossido d'azoto viene subito liberato dal neurone postsinaptico nello spazio extracellulare (probabilmente nella fessura sinaptica senza l'intervento di vescicole) penetra nella terminazione presinaptica e agisce da messaggero retrogrado legandosi al ferro del gruppo eme della guanililciclasi (guanilatociclasi sec. Alberts et al. 1995). L'enzima guanililciclasi attivato dall'NO induce la formazione di GMP ciclico (a partire dal GTP - Snyder e Bredt 1992) il quale mantiene aperti canali calcio. La conservazione del flusso in entrata degli ioni Ca2 conserva il livello di fusione delle vescicole sinaptiche nella membrana presinaptica e la reiterata liberazione del glutammato nella fessura sinaptica (Snyder e Bredt 1992).
Il fattore retrogrado, rappresentato dall'NO, diffonde quindi nelle terminazioni presinaptiche e attiva uno o più secondi messaggeri (come l'enzima guanililciclasi) che intensificano la liberazione del neurotrasmettitore (il glutammato) e in tal modo mantengono il potenziamento a lungo termine. Ma l'NO produce il potenziamento a lungo termine solo se associato all'attività dei neuroni presinaptici (facilitazione presinaptica dipendente dall'attività - Kandel e Hawkins 1992). Il fatto che la facilitazione presinaptica sia dipendente dall'attività (dei neuroni presinaptici), potrebbe essere un metodo per garantire che vengano potenziate solo le vie presinaptiche che sono attive (Kandel e Hawkins 1992).

MEMORIA

Watkins e Evans (1981) e successivamente, Nowak et al. (1984) e Mayer et al (1984), hanno dimostrato che l'ippocampo dei Mammiferi contiene i recettori NMDA sensibili all'azione eccitatoria del glutammato e che questi recettori diventano attivi solo allo stato di depolarizzazione della membrana postsinaptica instaurando il potenziamento a lungo termine. Da quando si è scoperto che il LTP si verifica nell'ippocampo, si è posto il problema se il LTP fosse coinvolto nel processo di archiviazione dei ricordi.
Morris, Garrud, Rawlins e O'Keefe (1982) - sulla base di preliminari studi di Morris (1981 - op.cit da Morris et al. 1982) sulla capacità dei ratti di nuotare in uno contenitore d'acqua - diviso in quattro quadranti orientati secondo i punti cardinali - e di salvarsi rapidamente su una piattaforma, hanno dimostrato che ratti (ceppo Lister) privati bilateralmente dell'ippocampo possono raggiungere :
a) una piattaforma fissa, nel quadrante Nord-Est, ma non visibile dal punto di partenza (perché nascosta immediatamente sotto la superficie dell'acqua resa opaca con il latte) seguendo rotte indirette e molto lunghe rispetto a quelle più dirette effettuate dei ratti di controllo (apprendimento spaziale - prove: 1-28);
b) una piattaforma visibile (perché in parte emergente dall'acqua resa opaca) e fissa in un altro punto del quadrante Sud-Ovest, seguendo una rotta comparabile a quella dei ratti di controllo (apprendimento di riferimento - prove: 30-40). Inoltre hanno osservato che
c) gli stessi ratti privati dell'ippocampo messi nuovamente a nuotare in presenza della piattaforma non visibile posizionata nello stesso punto e nello stesso quadrante Sud-Ovest della precedenti serie di prove (descritte al punto b), a diversità dei ratti di controllo, non ricordano il punto del quadrante dove era stata posizionata la piattaforma visibile ma la raggiungono ugualmente seguendo percorsi più lunghi e indiretti rispetto a quelli più brevi e diretti nuotati dei ratti di controllo (prove: 43-50).
Questo ciclo di addestramento ha dimostrano quindi che:
- i ratti privati dell'ippocampo non riescono a ricordare il punto nello spazio dove è stata lasciata fissa la piattaforma;
- l'asportazione dell'ippocampo danneggia gravemente l'apprendimento spaziale, mentre non influisce sull'apprendimento di riferimento (basato sulla vista) ne sulla motivazione di salvarsi comunque dalla situazione di pericolo.
Successivamente Morris et al (1986) hanno praticato l'infusione continua (tramite minipompe sottocutanee) dell'AP5 (acido amminofosfovalerico) nel ventricolo telencefalico di ratti (ceppo Lister), essendo noto che questo veleno nella configurazione molecolare D,L-AP5 blocca i recettori NMDA. I ratti trattati e quelli di controllo sono stati fatti nuotare nelle condizioni sperimentali sopradescritte con una piattaforma non visibile fissa nel quadrante Nord-Est. I ratti di controllo, entro 15 prove consecutive, hanno imparato ad approdare rapidamente sulla piattaforma. Diversamente, i ratti infusi con D,L-AP5 (continuativamente dal 1o al 9o giorno di prove) hanno percorso rotte sempre più lunghe e indirette verso la piattaforma. In una seconda serie di prove di addestramento i ratti di controllo e quelli con trattamento cronico sono stati fatti nuotare verso una piattaforma visibile. I ratti trattati cronicamente con D,L-AP5, hanno appreso più facilmente il punto di approdo visibile, ma con tempi di nuoto maggiori di quelli impiegati dai ratti di controllo. In una terza serie di esperimenti i ratti infusi con D,L-AP5 e quelli di controllo, sono stati anestetizzati con uretano e quindi posizionati nello strumento stereotassico di Kopf. Un elettrodo a stimolazione bipolare è stato collocato nel giro dentato del complesso dell'ippocampo. Ogni ratto, per 100 minuti, ha subito impulsi a bassa frequenza. Inoltre entro questo periodo ha subito, esattamente al 20o e al 40o minuto, due brevi raffiche di attivazione ad alta frequenza. A differenza dei ratti di controllo, nei ratti infusi continuativamente con D.L-AP5, il veleno ha causato un totale blocco dell'induzione del LTP in vivo.
Questi esperimenti dimostrano quindi che nel ratto i canali NADM dei neuroni postsinaptici dell'ipotalamo regolano l'apprendimento e la memorizzazione della disposizione spaziale degli oggetti e nello stesso tempo evidenziano l'esistenza di ulteriori canali che provvedono alla memorizzazione di altri stimoli, come ad esempio quelli connessi all'apprendimento visivo, provenienti dall'ambiente.

In questi ultimi anni è emerso un coinvolgimento diretto delle caderine (Shapiro et al. 1995) nell'organizzazione strutturale e nei meccanismi funzionali delle sinapsi (Yamata et al. 1955; Fannon e Colman 1996; Uchida et al 1996; Hagler e Goda, 1998) e in particolare quelle dell'ippocampo. Le caderine sono delle glicoproteine transmembrana (Alberts et al. pag. 337) che partecipano all'adesione intercellulare calcio-dipendente fra le membrane plasmatiche di cellule adiacenti. Queste glicoproteine sono presenti nelle giunzioni aderenti (Wolfe 1996, pag. 179) delle cellule epiteliali (caderina E o E-cad), nelle cellule nervose oltre che in quelle del cuore e del cristallino (caderina N o N-cad) e nella placenta e nell'epidermide (caderina P - Alberts et al. 1995, pag 991).
Le caderine E-cad e N-cad (composte pressappoco da 700 residui amminoacidi - Alberts et al. 1995) fanno parte integrante della struttura delle membrane pre- e postsinaptica dei neuroni dell'ippocampo (Tang et al. 1998). Una piccola parte della N-cad è impegnata nel neuroplasma corticale sotto la membrana pre- o postsinaptica (dominio cellulare della caderina) tramite due proteine di collegamento (chiamate caderine á e B) e prende rapporto con i microfilamenti di actina tramite alcune proteine di connessione (Wolfe 1996, pag. 179, fig. 6.12). Si ritiene che il dominio cellulare della caderina nel realizzare l'attacco sul citoscheletro (ovvero con i microfilamenti di actina) svolga un ruolo regolatorio dell'adesione stessa, di cui segnala le variazioni al neuroplasma (Haimann 1988). La prevalente parte della N-cad è invece extracellulare (dominio extracellulare della caderina) ed è costituita da cinque ripetizioni della caderina (EC1-EC5 - di circa 110 residui amminoacidi ciascuno - Hagler e Goda 1998) tenute insieme in maniera Ca2+dipendente (Pokutta et al, 1994; Kock et al. 1997). Il dominio più distale o EC1 (rispetto all'intero dominio extracellulare della caderina emergente dalla membrana presinaptica o da quella postsinaptica) media i meccanismi di adesione con la formazione di legami fra caderine dello stesso tipo ([N-cad-N-cad oppure E-cad-E-cad] Nose et al 1990) e la sua molecola proteica contiene la sequenza amminoacidica relativamente conservata HAV (istidina-alanina-valina).
Studi tridimensionali delle caderine (Tamura et al. 1998; Colman 1997) hanno suggerito che, sulle due sedi pre- e postsinaptica, coppie di monomeri paralleli di caderine dello stesso tipo si uniscano lungo tutta la loro molecola a formare un "dimero intrecciato" e che i dimeri intrecciati della membrana presinaptica e quelli della membrana postsinaptica si incontrino al centro della fessura sinaptica tramite l'adesione EC1-EC1. In questo modo i rispettivi domini EC1 risulterebbero fra loro uniti in modo alternato come i denti di una cerniera tipo "chiusura lampo" (Shapiro et al 1995; Gumbiner 1996)). Il legame a chiusura lampo è dipendente dall'alta concentrazione extracellulare degli ioni calcio (Tang et al. 1998).

Nota nr. 6
La struttura molecolare delle caderine è simile a quella di un'altra grande glicoproteina transmembrana, la N-CAM, che induce l'adesione fra cellule nevose con un meccanismo indipendente dal calcio. È interessante che a sua volta il dominio extracellulare (680 residui amminoacidi) della molecola N-CAM si ripiega in cinque domini omologhi ai domini delle immunoglobuline, caratteristici delle molecole di anticorpo (Alberts et al. 1995, vedi fig. 14.66)


Precedenti ricerche di Luthi et al. (1995) hanno dimostrato che nell'ippocampo di ratto gli anticorpi contro le molecole di adesione cellulare N-CAM possono prevenire il LTP, solo se (gli anticorpi) vengono applicati prima dello stimolo induttivo (del LTP). Successivamente Tang et al. (1998) hanno trattato sezioni sottili d'ippocampo di ratto con anticorpi contro il dominio extracellulare sia delle E-cad che delle N-cad, ed hanno evidenziato che il trattamento riduce notevolmente il LTP (indotto da due stimolatori e rivelato da un elettrodo impiantato nello strato CA1 delle cellule piramidali). Anche l'infusione delle sezioni dell'ippocampo con peptidi HAV (la molecola contiene la sequenza His-Arg-Val ovvero gli amminoacidi istidina-arginina-valina) antagonisti alle N-cad e alle E-cad (perché la sequenza HAV dei peptidi compete con la sequenza HAV delle caderine EC1 di adesione fra caderina-caderina) attenua il LPT quando viene attivato dallo stimolo, mentre non esprimono la loro azione antagonista all'LTP dopo che quest'ultimo è stato attivato.
Questi risultati inducono a ritenere che durante l'induzione del LTP intervengano cambiamenti nell'adesione fra caderine contrapposte e che solo in questo momento i peptidi HAV possono competere per occupare nella sede dalle caderine EC1, ed esprimere un'azione inibitrice sul LTP. Conseguentemente si può ritenere che le proteine HAV non possano esprimere la loro azione antagonista dopo che è stato attivato l'LTP perché si è già ristabilita l'adesione fra EC1 nella configurazione dinamica della cerniera lampo proposta da Shapiro e collaboratori. Solo applicando i peptidi inibitori delle integrine (una famiglia di recettori di membrana [Alberts 1995, pag. 979; Wolfe 1996, pag. 197] localizzati sulla membrana postsinaptica) l'LTP può essere prevenuto immediatamente dopo lo stimolo induttivo (Bahr et al. 1997).
Tang et al. 1998) hanno osservato inoltre che gli effetti inibitori degli anticorpi e dei peptidi sul LTP, vengono bloccati dall'innalzamento della concentrazione del Ca2+ da 2.5 mM a 5 mM e questo dato sperimentale evidenzia che lo stato di adesività delle caderine sinaptiche Ca2+dipendenti può essere altamente sensibile a piccoli cambiamenti fisiologici del Ca2+ extracellulare. La rimozione del Ca2+ dal mezzo comporta una perdita di adesione (Hyafil et al. 1981) e un cambiamento nella struttura delle caderine extracellulari dalla loro originale struttura bastoncellare a una struttura globulare (Pokutta et al, 1994; Kock et al, 1997). Questi risultati lasciano pensare che la dinamica delle caderine extracellulari nel modello a "cerniera lampo", moduli l'induzione dell'LTP. Hagler e Goda (1998) propongono che l'attivazione delle caderine durante l'induzione del LTP dia inizio a riarrangiamenti nelle relazioni fra caderina-caderina e fra caderine-citoscheletro. Nell'ambito di questi cambiamenti, le caderine potrebbero a) modulare la trasmissione sinaptica aumentando o diminuendo l'area di contatto fra elementi pre- e postsinaptici (Lisman e Harris 1995; Tang et al. 1998); b) regolare l'estensione dell'iniziale zona attiva sinaptica seguita da un aumento delle vescicole sinaptiche fuse alla membrana presinaptica e dall'inserzione di recettori del neurotrasmettitore nella membrana postsinaptica (Halger e Goda 1998); c) determinare l'aumento del numero delle sinapsi per suddivisione (splitting) delle iniziali sinapsi (Bertoni-Freddari 1998) o per promuovere la formazione di nuove sinapsi.
Hagler e Goda (1998) propongono, in alternativa, che le caderine possano regolare le vie che conducono il segnale richiesto per l'LTP. Nel compartimento postsinaptico, le caderine attivate potrebbero mediare transsinapticamente il meccanismo del rilascio presinaptico del neurotrasmettitore tramite la via caderine-caderine che forma un ponte fra le membrane pre- e postsinaptica. Questa ipotesi tende quindi a ridurre la necessità di un messaggero solubile retrogrado, come l'ossido di azoto, per attivare i cambiamenti presinaptici che accompagnano l'LTP (Morris et al. 1982, 1986).
Parallele ricerche di Kohmura et al (1998), hanno individuato l'esistenza di un'altra famiglia di caderine associate ai recettori della membrana postsinaptica, chiamate CNR (Cadherin-related Neuronal Receptor). Le CNR hanno omologie intracellulari con le sopradescritte caderine classiche mentre differiscono completamente nel dominio extracellulare che è composto da sei ripetute caderine (invece delle 5 caderine ripetute N-cad e E-cad). Le caderine CNR interagiscono direttamente con Fyn, una proteina enzimatica con attività protein-chinasica coinvolta nella fosforilazione (e quindi nella regolazione dell'attività [Haimann 1998]) dei recettori per il glutammato NMDA (Suzuki e Okumura-Noji 1995; Miyakawa et al. 1997). Grant et al (1993) hanno osservato che ratti carenti in Fyn, sono indeboliti sia nell'induzione del LTP sia nell'apprendimento spaziale. Questo dato indica che l'attività Fyn potrebbe essere una specifica esigenza del LTP. Secondo Hagler e Goda (1998) è possibile che l'induzione del LTP aumenti l'attività del Fyn e questo enzima potrebbe a sua volta modulare l'efficienza sinaptica per azione sulle CNR, causando probabilmente cambiamenti nelle strutture sinaptiche critiche per l'espressione del LTP. Ritengono inoltre che le caderine CNR a loro volta potrebbero modulare le funzioni sinaptiche distinte da quelle N-cad ed E-cad, dato che sono risultate critiche per la riduzione numerica e per la fusione delle vescicole sinaptiche con la membrana presinaptica e per il sequestramento del neurotrasmettitore da parte dei recettori postsinaptici. Perciò, la trasduzione dei segnali (Gumbiner 1996) tramite i membri della famiglia CNR sembra che regoli la funzione del recettore NMDA attraverso l'attività dell'enzima Fyn (Kohmura et al 1998).
In definitiva, nell'ippocampo dei mammiferi si attuano i meccanismi dell'apprendimento esplicito legati ad una prima fase bioelettrica finalizzata al raggiungimento di una memoria a breve termine. L'alterazione dei canali per il passaggio degli ioni calcio associati ai recettori NMDA, della concentrazione del Ca 2+ extracellulare e delle conseguenti interazioni fra caderine extracellulari, determina un'inibizione del LTP necessario all'apprendimento esplicito. La conversione dell'ordinario LTP in una forma durevole chiamata L.LTP o memoria a lungo termine corrisponde ad una seconda fase che fa riferimento ai meccanismi della sintesi proteica. Infatti gli inibitori della trascrizione e della sintesi proteica bloccano il processo di archiviazione dei ricordi (Agranoff e Kliger 1964; Agranoff 1967; Milner et al 1998).

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Roma 12 maggio 1999


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