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A. M. P.
SEMINARI 1998 - '99
Maria Antonia Ferrante

L'uso della metafora nelle psicoterapie


  Strada

Cento cavalieri in lutto,
dove andranno,
nel cielo giacente
dell'aranceto?
Né a Cordova né a Siviglia
giungeranno.
Né a Granada che sospira
per il mare.
Quei cavalli sonnolenti
li porteranno,
al labirinto delle croci
dove trema il canto.
Da sette ay trafitti,
dove andranno,
i cento cavalieri andalusi
dell'aranceto?

F. G.Lorca (1)


  Siccome la lingua naturale non è mai denotativa, ma plurivalente, vivere sotto la minaccia costante della metafora rappresenta uno stato normale, è una condizione della "condizione umana".

A. J. Greimas (2)


"E' nel linguaggio che possediamo lo strumento tangibile reale e storico dell'evoluzione e della conservazione del significato pratico. Il linguaggio fornisce una testimonianza pertinente e adduce la prova della concordanza fra il giudizio sociale e quello personale. Attraverso il linguaggio il significato sinnomico, giudicato appropriato, diviene sociale e, come tale, viene generalizzato e riconosciuto". (3)
La metafora è una figura retorica. "Il termine figura sembra essere stato usato, in primo luogo, a proposito dei corpi, o anche dell'uomo e degli animali considerati fisicamente e per quanto concerne i limiti della loro estensione. Il discorso non è un corpo, eppure c'è nelle diverse maniere di significare e di esprimere, qualcosa di analogo alle differenze di forme e di aspetti che troviamo nei veri corpi. E' a partire da questa analogia che si sono indicate con il termine metafora le figure del discorso". (4)
La metafora indica il trasferimento di un termine, al quale propriamente si applica, ad un altro che con il primo condivide una somiglianza. E' imparentata con l'analogia, con l'esempio, con il paragone, ma si distingue da essi.

Egli è forte come un leone, è una similitudine; egli è un leone, è una metafora.
La metafora è definita, come afferma Ricoeur, in termini di movimento, di cambiamento di posizione, come indicano il prefisso "meta "e il termine "fora ".In latino era detta anche traslatio, la Retorica classica la considerò una smilitudo brevior,.oggi diremmo una similitudine condensata o ellittica, in cui è sottaciuto l'elemento di comparazione.
La rappresentazione grafica della metafora risulterebbe, pertanto, la seguente:

(FIGURA 1)

Dove i due termini A e B presentano una zona di intersezione o di interferenza S che è costituita dal sema o dai semi comuni ai due termini; tale zona può essere più o meno ampia a seconda della somiglianza e della vicinanza dei due termini. La metafora e la metonimia presuppongono, per quanto afferisce alla loro natura simbolica, una relazione immediata. (5)

L'uso della metafora è essenziale al linguaggio umano in quanto consente di trasmettere pensieri e concetti altrimenti difficili da comunicare. Lo stato d'animo di un paziente depresso si visualizza in metafore comuni quali: "sono giù"; "il mio morale è basso"; "mi sento a terra" ecc.
La metafora è nata, come elemento di studio, di approfondimento e d'uso, all'interno della Retorica, l'arte antica del bel parlare e della capacità di persuadere. Il suo uso, inizialmente poetico e persuasivo, si è esteso, nel tempo, a tutte le discipline, da quelle filosofiche a quelle politiche, da queste a quelle scientifiche, all'arte poetica, alla Religione, all'arte dell'insegnamento ed all'uso più o meno sistematico nella cura dei disturbi psichiatrici.

Di Retorica, e pertanto della metafora, si sono interessati retori e filosofi del passato, quali Gorgia di Leontini, Isocrate, Aristotele, Cicerone, Sant'Agostino, per citarne solo alcuni, e poi molti filosofi moderni, linguisti e psicolinguisti, scienziati, poeti, psicopatologi e psicoterapeuti, sotto diverse angolature e secondo il modello utilizzato da ognuno.
Nella metafora sussistono, come evidenziato nel grafico, due coppie di elementi collegati non da una uguaglianza di tipo matematico, ma da una proporzione, un'assimilazione "il cui scopo è quello di chiarire, di strutturare e valutare la prima coppia detta Tema (o Tenor, secondo Richards) grazie a ciò che si sa del Foro ( o Vehicle, secondo Richards ), la seconda coppia, il che implica che il Foro appartiene ad un ambito eterogeneo in quanto meglio conosciuto del Tema. (6) "La fusione metaforica, che tende ad assimilare l'ambito del Tema a quello del Foro, soprattutto allo scopo di creare un'emozione poetica, consente di realizzare, in modo più soddisfacente dell'analogia, questo va e vieni in cui il Tema e il foro divengono, per così dire, indissociabili". (7)

"Giovanni è un leone", è più pregnante ed incisivo di "Giovanni è forte come un leone".
L'uomo, forse da sempre, facendo riferimento al corpo ed allo spazio, coordinate rintracciabili soprattutto nelle metafore intramontabili, ha fatto ricorso al linguaggio metaforico, in quanto è considerato, addirittura, essenziale all'esistenza degli individui.
"L'uomo è un lupo". Il focus, cioè il termine lupo, funziona non sulla base del suo significato corrente, quanto piuttosto in forza del suo sistema di luoghi comuni associati (8).

La metafora, secondo Ricoeur è spesso "una impertinenza predicativa flagrante";. Mallarmè dice: "Il cielo è morto", il predicato "è morto" conviene soltanto agli individui che fanno parte della categoria degli esseri viventi. Le metafore nascono e muoiono, ne vengono formulate sempre di nuove, anche se alcune di esse si confermano per divenire patrimonio comune. Si potrebbero considerare invecchiate metafore quali, ad esempio "le gambe del tavolino", "i piedi della sedia", metafore altamente antropomorfizzate. Le metafore nuove, quelle vive, "le metafore in festa", come le definisce Ricoeur, sono frutto dell'attività creativa, appropriate allo scopo, comprensibili, fantasiose ma pertinenti, frutto di una vivace immaginazione.

Le metafore che resistono al tempo sono, ad esempio, le grandi metafore religiose, le metafore ontologiche che riguardano l'Essere, le metafore, aggiungerei, che rinviano agli archetipi.
La Bibbia utilizza un linguaggio spiccatamente metaforico. I concetti del Bene e del Male sono posti secondo una narrazione metaforica. Dicasi altresì dei grandi poemi epici, dell'Iliade e dell'Odissea, della Divina Commedia, solo per citarne alcuni.

Intorno agli anni cinquanta, gli studi circa la metafora si sono amplificati riconoscendo ad essa nuovi attributi e nuove funzioni. Si è convenuto, prima di tutto, che la metafora non è solo un ornamento del discorso, ma un elemento essenziale del linguaggio. Max Black, all'interno di questa corrente di studi, riconosce che fra il Tema e il Foro si stabilisce un grado di interazione per cui fra i due poli della metafora si realizza una identificazione reciproca, una fusione, poiché l'un termine si adatta o cerca di adattarsi all'altro e viceversa.

Hanno contribuito a consolidare queste nuove acquisizioni, Lakoff, Johnson, Davidson (9), intorno agli anni ottanta. Ricoeur (10), dal canto suo, sottolinea l'importanza dell'apporto immaginativo e di quello emozionale connessi al grado di interazione del Tema e del Foro. Varela, a sua volta, si sofferma sulle operazioni cognitive sottostanti ai processi mentali metaforici.
Le metafore aprono nuove possibilità alla conoscenza, esse non solo aderiscono alla realtà - e pertanto non sono prive di senso - ma ne dilatano gli orizzonti, permettondo di accedere a nuovi significati, dove la parola non è più dominata, ma ci domina.

In ambito terapeutico, la metafora può essere utilizzata come strumento elettivo, come mezzo fondamentale di comunicazione fra paziente e terapeuta. Ad essa si può far ricorso sporadicamente, a seconda degli accadimenti della seduta. Alcuni terapeuti, per una loro particolare attitudine immaginativa, la inseriscono frequentemente nel colloquio, altri solo in casi eccezionali. L'uso, naturalmente, è correlato al modello al quale si attiene il terapeuta. A questo va aggiunto che la metafora può essere più efficiente nei confronti di alcuni pazienti e meno nei confronti di altri; l'utilizzazione è oltretutto in relazione anche al tipo di disturbo del malato. La metafora del terapeuta può essere sollecitata dalla metafora posta dal paziente: alcuni malati - soprattutto gli psicotici - si rivelano spesso tramite la metafora. E' compito di chi cura rendersi conto di come rispondere al discorso metaforico del proprio paziente.

I modelli scientifici, come afferma Ricoeur, sulla scia di quanto detto da Max Black nel suo saggio Modelli, archetipi, metafore (11), si aprono a nuove interpretazioni quando quelle già usate risultano inadeguate. Il modello è uno strumento euristico, ma dalle vie sempre aperte verso la ri-descrizione. Esso deve tendere verso acquisizioni inedite tramite un metodo che sia razionale, sostenuto da canoni e principi propri.
Con quanto detto vorrei introdurre l'argomento circa la metaforicità di alcuni modelli curativi, psicoanalitici e non. Uno dei pilastri della Psicoanalisi è il Transfert. "Ma che altro è questo Transfert Ð si chiede Quintavalle - se non una trasposizione di relazioni, cioè di una struttura da un oggetto primario di investimento pulsionale all'oggetto di volta in volta simbolizzato come metaforicamente significante il primo?" (12).

I modelli terapeutici si avvalgono abbondantemente di metafore spaziali per localizzare, metafora nella metafora, "gli oggetti" da trattare. In Psicoanalisi, il "rimosso" occupa uno spazio interno inaccessibile se non tramite l'analisi che presuppone uno spazio esterno. La Psicoanalisi è "strumento", esso "fa emergere" l'inconscio ecc.
Poiché, come asserisce Bateson (13), gli esseri umani pensano generalmente "per storie", all'interno di queste la metafora diventa continuata, cioè una metafora si collega ad un'altra nell'insieme di intere strutture narrative e discorsive. E' quanto constatiamo nelle fiabe, nei racconti, nella poesia, nei drammi, nei sogni, nei modelli scientifici, nelle narrazioni dei pazienti in psicoterapia. Il paziente narra, racconta, ma anche il terapeuta narra e racconta. Spence (14) afferma che il paziente si avvale del Sé narratore per organizzare la propria visione del mondo e la propria esperienza umana mentre è trattato psicoterapeuticamente. I maestri orientali hanno educato i loro allievi principalmente attraverso la narrazione metaforica. Essi, invece di utilizzare il pensiero logico che spesso attiva le difese o risulta insufficiente a sollecitare emozioni adeguate, preferivano ricorrere alla favola e alle storie, oppure, per quanto riguarda i maestri del Buddhismo zen, agli enigmi paradossali, inaccessibili alla logica, detti Koan. "Dimmi il suono di una sola mano che batte". Questo è un esempio di Koan.

Per più di mezzo secolo Milton Erickson (15) ha proposto ai suoi pazienti storie metaforiche che a quanto sembra hanno sortito buoni risultati. Erickson, all'inizio della sua attività, mirata soprattutto all'uso dell'ipnoterapia e delle tecniche suggestive, non formulò una teoria circa il perché dell'efficacia delle storie metaforiche. Fu allorché collaborò con lo psicologo Ernest Rossi e in virtù dei più recenti studi sul funzionamento dei due emisferi cerebrali, che si delinearono le tracce per legittimare l'uso delle metafore nella pratica psicoterapeutica.
Sembra che esista un nesso fra metafora, sintomi e intervento terapeutico. L'emisfero cerebrale destro sarebbe il luogo del linguaggio metaforico e contemporaneamente l'emisfero dei disturbi psicosomatici. Pertanto, esso si predisporrebbe, più di quello sinistro, alla elaborazione della metafora. Ernest Rossi definisce la tecnica ericksoniana: comunicazione a due livelli. Mentre si dà alla mente conscia un messaggio che la tiene occupata, si invia, di nascosto, alla mente inconscia, un altro messaggio di tipo terapeutico, nel nostro caso, metaforico. L'insight del paziente sarebbe sollecitato dall'invio di stimoli tramite, fra l'altro, la metafora e l'analogia che risveglierebbero nuovi livelli di coscienza.
Un esempio clinico dell'uso della metafora nella comunicazione a due livelli ci è dato da una seduta fatta da Erickson con un malato di tumore in fase terminale. A Joe, questo è il nome del paziente, viene raccontata la storia di un seme di pomodoro interrato con la speranza che darà molti frutti. All'interno del racconto, il terapeuta inserisce termini quali: pace, benessere, dormire, speranza ecc., che sottolinea modulando adeguatamente la voce. Anche se non è possibile affermare scientificamente che questo racconto metaforico abbia contribuito al miglioramento psicologico di Joe, secondo Erickson ha, tuttavia, attivato circuiti associativi e reattivi inconsci.
Questo schema sintetizza il processo di attivazione del livello inconscio.

(FIGURA 2)

R. Gardner ha messo a punto, all'interno di questa tecnica, la cosiddetta narrazione reciproca. Il Sé narratore del bambino inventa una storia e la comunica. Il terapeuta la modifica nei punti necessari allo scopo e la rinvia al bambino. Nella psicoterapia dei bambini sono riconosciuti validi mezzi di cura i giochi, la visione di cartoni animati, le favole e le forme di drammatizzazione che veicolano messaggi metaforici (16).
Molti pazienti psichiatrici, soprattutto quelli che soffrono di malattie psicosomatiche, spesso esprimono la loro sofferenza tramite metafore relative al corpo e allo spazio: "sono a pezzi, mi sento giù" e così via.
La Teoria Generale dei Sistemi enunciati da Ludwig von Bertalanffy e utilizzati in ambito terapeutico dagli studiosi della comunicazione umana, Bateson, Watzlawick, Haley, Jackson ed altri, considera la famiglia come sistema in relazione, o relazionale, nel senso che il cambiamento in una unità del sistema provoca il cambiamento nelle altre unità del sistema stesso. Il successivo cambiamento nella prima unità genera un nuovo cambiamento nelle altre e così via (17).

I terapeuti relazionali sono attenti a decifrare il linguaggio metaforico di un paziente singolo o di un gruppo e a rispondere considerando che spesso il messaggio comunicato direttamente nasconde un problema che non può essere detto in maniera esplicita. Nella terapia della coppia, il terapeuta può avvalersi di prescrizioni metaforiche. Maurizio Andolfi (18) cita un suo caso clinico, per l'appunto la terapia di una coppia affetta da problemi sessuali da addebitare ad una modalità di rapporto in cui lui è sempre il vincente e lei sempre la perdente. La prescrizione prevedeva che giocassero tutte le sere a carte, prima di andare a letto, per dieci minuti, ma con la regola che il marito dovesse risultare sempre vincente. Ciò, allo scopo di evidenziare il nesso analogico fra la situazione di coppia, sclerotizzatasi,e la regola fissa del gioco.

Se è vero che i pazienti psichiatrici comunicano la loro sofferenza tramite metafore, soprattutto spaziali e corporee, è ancora più vero che sono gli psicotici ad utilizzare messaggi metaforici, sia verbali, sia non verbali.
Bruno Callieri, psicopatologo e psichiatra, da sempre si interessa al linguaggio schizofrenico riconoscendolo come carico di senso che, seppure ambiguo, è meritevole di decodificazione. A questo riguardo egli dice: "E' possibile servirsi del disturbo stesso della comunicazione per cogliere i processi di ridondanza e di abbreviazione, di ellissi, di metafora ecc. Lo scopo del terapeuta è quello di sciogliere il nodo dell'ambiguità di senso presente nel discorso mediante il meccanismo della polisemia. E' allora perentorio qui, nell'antropologia dell'incontro, domandarsi se il linguaggio metaforico dello schizofrenico si limiti a rifiutare la realtà come è, oppure possa aprire nuove dimensioni. Si sarebbe tentati di mostrare la legittimità di tali linguaggi. La possibilità di decodificare in modo adeguato i messaggi degli schizofrenici non è davvero privo di importanza; a parte l'efficacia del feed-back di ritorno, con il richiamo, sia pure parziale, a una realtà duale e dialogica. Tale decodificazione può aumentare l'autocoscienza dell'altro." (19)

Di certo, la polisemia alla quale fa ricorso lo psicotico è una polisemia speciale, ma ha le sue regole non del tutto divergenti da quelle che sottendono ad un linguaggio, diremmo, non patologico.
Come afferma Ricoeur "La polisemia viene definita sulla base del rapporto nome-senso; essa significa che per un nome si dà più di un senso. Una lingua senza polisemia contravverrebbe al principio di economia, infatti estenderebbe all'infinito il vocabolario" (20).
Eugene Minkowski, psicopatologo e psichiatra russo, riconosce che le metafore più comuni contenute nel linguaggio schizofrenico sono metafore capitali relative al sensoriale. Sono immagini del microcosmo personale (21). Una di queste è la metafora della casa come corpo, molto spesso crollata, distrutta o in via di distruzione. La casa, oggetto altamente antropomorfizzato, ci rappresenta nella sua antica struttura architettonica. Il ponte, l'albero, il vaso, il viaggio e il cammino si metaforizzano nella comunicazione per indicare il corpo, il processo terapeutico, la madre.
E' superfluo ricordare che Jung trattava i suoi pazienti utilizzando i miti, le favole e le leggende. LI proponeva ai pazienti cogliendone i riferimenti simbolici e metaforici. Attraverso le analogie e i confronti cercava di accedere all'inconscio del malato come in un viaggio a due il cui traguardo era segnato dalla conquista dell'individuazione, del sano riconoscimento di se stessi. Le grandi figure archetipiche sono esse stesse metafore fondamentali utilizzabili ai fini terapeutici: il Sole e la Luna, l'Uomo e l'Ombra, il Vecchio Saggio.

Nell'ambito del modello kleiniano e di conseguenza, anche se con le dovute differenze, in quello bioniano, sono riscontrabili riferimenti metaforici non solo per la definizione stessa di alcuni aspetti del modello, ma anche per l'uso della metafora come tecnica terapeutica. Qui non agiscono la suggestione e la trance, ma l'interpretazione come mezzo elettivo per comunicare con il paziente e per poter rendere riconoscibile l'inconscio. Bion utilizza la metafora alimentare come modello dell'apparato del pensiero. Termini quali: contenitore, contenuto, veleno del pensiero, idee evacuate, oggetti parziali, oggetti bizzarri, rientrano nel linguaggio figurato utilizzato dalla Klein e da Bion. Nella tecnica analitica con i bambini, la Klein si avvale dei giocattoli e dei giochi, quali significanti di altri significati, par accedere al mondo dei fantasmi infantili, un mondo reificato snodantesi come narrazione metaforica.

Riporto lo stralcio di una seduta tenuta da Bion con un suo paziente psicotico.
P. "Ho strappato una pellettina dalla bocca e ho provato un senso di vuoto."
A. "La pellettina è il suo pene; lei lo ha strappato e così se n'è venuto via tutto l'interno suo."
Il giorno dopo, lo stesso paziente comunica
"Non posso neanche comperarmi un vestito nuovo. Ho i calzini che sono tutto un buco."
A. "Strappandosi la pellettina, ieri, s'è bucato tanto gravemente da non potersi comperare neanche un vestito; dentro al buco non c'è niente e lei non può comperare niente".
"Sia il materiale di questa seduta, afferma Bion, che quello delle sedute successive confermano che egli sentiva di aver mangiato, con il pene, ogni cibo appetitoso esistente al mondo e che perciò era rimasto solo un buco" (22).
Il corpo è implicato nella comunicazione con tutte le sue valenze dolorose. "La comunicazione significante esiste solo in virtù del peso del corpo, della carne che veicola, in base alle zone erogene o dolorose del corpo da cui proviene o a cui tende, in base ai vissuti corporei, e poi psichici, che evoca". (23)

Per quanto riguarda le psicoterapie di gruppo analitiche è il caso di premettere che il gruppo, a certi livelli della comunicazione, sia essa verbale, sia essa non verbale, diventa metafora del corpo, o di una cavità protettiva o di una madre accogliente o minacciosa.
Per Bion, il gruppo funziona come contenitore, una mente dove inizialmente si dispiegano le forze degli assunti di base prima che il gruppo diventi gruppo di lavoro. In Gruppoanalisi, allorchè la comunicazione tocca livelli profondi, il gruppo diventa metafora del corpo, di una cavità protettiva, ma anche minacciosa.

A questo riguardo trascrivo l'esperienza condotta da un gruppoanalista argentino, Raul Usandivaras con alcuni suoi collaboratori (24). Il gruppo decise di provare a viaggiare, con l'immaginazione, nel fondo del mare. Furono necessarie alcune sedute durante le quali il livello di regressione dei membri divenne sempre più profondo. Le comunicazioni ruotarono intorno alle sensazioni relative al sentirsi nell'acqua, all'interno di cavità sotterranee. Nelle notti fra una seduta e l'altra, alcuni portarono sogni relativi all'esperienza della regressione. Alla chiusura della prova , con l'apporto di tutti, fu disegnato un grande pupazzo battezzato Blitz-Bunsen, un pupazzo bisessuale, un'opera comune nella quale ognuno espresse, graficamente, il significato della propria metafora.

In Gruppoanalisi è frequente il fenomeno che Foulkes chiama della "carambola". Un paziente introduce un tema: un sogno, un avvenimento, una fantasia e gli altri, sulla scia di questa comunicazione, rispondono allo stesso livello di significato.
Riporto la parte di una seduta di un mio gruppo di giovani in cui la carambola è sollecitata da una metafora spaziale.
Daniela: "Ho sognato che la mia famiglia aveva adottato un bruco. All'inizio io ero piuttosto indifferente nei confronti di questo animaletto, poi, però, mi affeziono a lui e resto molto male quando mi accorgo che entra in una specie di astuccio cilindrico dove muore divenendo una sostanza rossa."
Stefania: "Io ho sognato la gabbianella di quel recente cartone animato che, oltretutto non ho nemmeno visto. Era caduta in un tombino, ma io l'ho salvata. La stessa notte ho sognato una grande casa vicina al mare dove tutta la mia numerosa famiglia si era riunita. Però il giorno dopo in questa casa vennero i ladri."
Francesco: "Io ho sognato una casa dalle stanze vuote per le quali nessuno transitava."
Lucia: "Io, non so perché, in questo momento, ho pensato ad una cassa da morto".

Ai sogni ed alle fantasie fanno seguito associazioni circa le case dell'infanzia, le case che non ci sono più , ma che continuano ad evocare nostalgie, memorie, rimpianti e angosce insieme.
Il gruppo stesso riesce ad interpretare il senso di questa catena di metafore. In essa si evidenzia non solo la condizione psicologica di ogni paziente, ma la condizione universale del nascere e del morire e del ritorno alla vita in senso metaforico. Il cilindro, il tombino, la casa bella vicino al mare, la casa vuota e la cassa da morto sono metafore che indicano transizione, passaggio, movimento e mutamento, inizio, fine ed un nuovo inizio. Ho preferito che i pazienti, dopo la narrazione dei sogni, delle fantasie e delle memorie, ne individuassero il significato. A mia volta, ho sottolineato i tratti comuni delle comunicazioni per interpretarli come metafore relative allo spazio-corpo che tanta rilevanza rivestono nelle sedute gruppoanalitiche.

Poiché tutte le tecniche psicoterapeutiche, comprese quelle analitiche si avvalgono in un certo qual modo dei poteri della suggestione, posso supporre che il sano ed adeguato uso della metafora aiuti il terapeuta anche nella cura dei disturbi alimentari nei quali tanta importanza rivestono la corporeità e la spazialità. Personalmente, ho constatato che le fanciulle affette da anoressia, propongono "la mela" quale cibo privilegiato che garantisce la magrezza. Poiché più di una me ne ha parlato con enfasi, addirittura disegnandola in diverse versioni, ho supposto che essa possa essere una metafora fondamentale, un modo di dire dell'anoressica che va decodificato.

Riporto una parte della seduta avuta qualche anno fa con una ragazza all'inizio dell'insorgenza di un grave problema alimentare. Figlia unica, carina, anni diciassette, all'improvviso, senza chiari segni premonitori, decise di diminuire di qualche chilo. Raggiunto lo scopo, si convinse che doveva dimagrire ulteriormente per avere un margine di sicurezza. Durante il primo incontro volle spontaneamente descrivermi il suo menù nel quale le mele, tre al giorno, costituivano il cibo preferito.
Brava in disegno, me la propose in più versioni: con un buchino dal quale usciva un bruco, con il picciolo ornato di fiocchetti, a mo' di viso umano. Poi, ripensandoci, la completò facendola diventare una bambina. Alla fine, compiaciuta, disse: "Vede? Io sono la mela". A quel punto la invitai a trovare insieme a me le storie che conosceva relative alla mela. Iniziò, come supponevo, con il frutto proibito del peccato originale, e continuò con la favola di "Biancaneve e i sette nani", con la favoletta, da lei inventata, del bruco che un giorno decise di uscire fuori per osservare il mondo e poi elencò i vari tipi di mele presenti sul mercato ortofrutticolo. "Ha visto che bei nomi hanno le mele? Melinda, Ranetta, Deliziosa, nessun altro frutto ne ha di così belli".

Teresa, identificandosi con la mela trasmise messaggi che mi portarono abbastanza velocemente alla comprensione del suo problema. Per alcune sedute ci soffermammo a parlare di mele per capire chi fosse e che cosa cercasse il bruco, chi fosse la matrigna che avvelenò la mela mangiata da Biancaneve, come potevamo decodificare l'errore di Eva e via dicendo. Essendo trascorsi molti anni dalla conduzione di questo caso, non ricordo con quali metafore io abbia risposto, di certo ne ho inserita qualcuna nella comunicazione, nata, forse, nel contesto della seduta.
Sono del parere che le metafore terapeutiche non costituiscano una panacea sicura e garantita, ma se sono comprensibili, adeguate al conflitto del paziente e vengono proferite al momento giusto, possono sollecitare, soprattutto a livello inconscio, nessi ed associazioni.

(1) Poesie, trad. it. di N. von Prellwitz, Milano 1995, p. 85.
(2) A. j. Greimas, Semantica strutturale, Milano 1968.
(3) J. M. Baldwin, Thought and Things. A Study of the Development and Meaning of Thought od Genetic Logic, London 1906-11, vol. II, p. 260.
(4) P. Fontanier, Les figures du discours, Paris 1968, p. 63
(5) G. Quintavalle, La comunicazione intrapsichica. Saggi di semiotica psicoanalitica, Milano 1978, p. 89.
(6) Ch. Perelmann, Il dominio retorico. Retorica e argomentazione, Torino 1981, p. 126.
(7) Ibid.,
(8) I. A. Richards, The Philosophy of Rhetoric, Oxford 1936, p. 40.
(9) D. Davidson, Che cosa significano le metafore, in Id. Verità e interpretazione, Bologna 1994, pp. 337-360.
(10) P. Ricoeur, La metafora viva, Milano 1986.
(11) M. Black, Modelli, archetipi, metafore, Parma 1983.
(12) G. Quintavalle, La comunicazione intrapsichica, cit., p.
(13) G. Bateson, Perceval's Narrative. A Patient's Account of his Psychosis, Stanford 1961.
(14) D. Spence, Verità narrativa e verità storica, Firenze 1987.
(15) M. H. Erickson; Ernest Rossi, Ipnoterapia, Roma 1982.
(16) Cfr. C. Joyce; R. J. Crowley, Metafore terapeutiche per bambin, Roma 1988, pp. 31-33.
(17) Cfr. P. Watzlawick; J. H. Beavin; D. D. Jackson, Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi delle patologie e dei paradossi, Roma 1971.
(18) M. Andolfi, La terapia con la famiglia, Roma 1977, pp. 113-114.
(19) B. Callieri, Percorsi di uno psichiatra, Roma 1993, pp. 270-271.
(20) P. Ricoeur, La metafora viva, cit., pp. 153-154.
(21) E. Minkowski, La schizofrenia, Torino 1998.
(22) W. Bion, Analisi degli schizofrenici e metodo psicoanalitico, Roma 1979, p. 53.
(23) D. Anzieu, Psicoanalisi e linguaggio, Roma 1980, p. 7.
(24) R. Usandivaras, Del labirinto al mito, Buenos Aires 1991.


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