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I.S.A.P. - Istituto di Studi Avanzati in Psicoanalisi
Sergio Benvenuto

La rappresentazione che Wittgenstein dà di Freud è perspicua?



Versione italiana della relazione tenuta al convegno “Freud and Wittgenstein” alla Jan Van Eyck Academie, Maastricht, NL, 7-9 settembre 2011.

Parole chiave: Seduzione della psicoanalisi – Freud come Cantor – Psicoanalisi che sveglia o che addormenta – Progetto goethiano di Wittgenstein – Critica della Ragione Significante

1.
Per Wittgenstein, è la capacità seduttiva – ovvero, la forza persuasiva – della teoria di Freud ciò che va prima di tutto chiarificato.

"Nella sua analisi, Freud fornisce spiegazioni che molti sono disposti ad accettare, e mette in rilievo come si sia mal-disposti ad accettarle. Ma, se è una spiegazione che si è maldisposti ad accettare, è molto probabile che sia anche una spiegazione che si è disposti ad accettare. Ed è proprio quello che Freud aveva mostrato chiaramente. Prendiamo l’idea di Freud che l’angoscia sia sempre, in un certo modo, una ripetizione dell’angoscia provata alla nascita. [...] E’ un’idea che esercita una forte attrazione. Ha l’attrazione delle spiegazioni mitologiche, per cui tutto è una ripetizione di qualche cosa accaduta prima. E per coloro che l’accettano o l’adottano, molte cose sembrano più chiare e più facili." (Wittgenstein 1966, tr.it. p. 126)

Freud pensava che l’uomo moderno nutrisse forti resistenze contro la psicoanalisi perché la considerava la terza ferita del narcisismo umano, dopo la ferita copernicana e quella darwiniana. Per Wittgenstein, al contrario, il vero problema della psicoanalisi è il suo potere seduttivo – lo stesso Wittgenstein certamente ne era sedotto. E il fatto di essere qui riuniti a Maastricht su Freud è una prova della seduzione intellettuale che questi ancora esercita su di noi, gente del XXI secolo.
Wittgenstein confrontava la teoria-pratica di Freud con la teoria di Cantor dei numeri transfiniti. Secondo Hilbert i transfiniti erano un paradiso per matematici da cui nessun Dio li avrebbe mai cacciati. Per Wittgenstein non esiste questo paradiso, c’è solo il godimento intellettuale della dimostrazione di Cantor. Per Wittgenstein, i paradisi non esistono, i godimenti sì.
Secondo lui, la Prova Diagonale di Cantor era apparsa così convincente per ragioni non diverse da quelle per cui la Prova di Freud appare così convincente: il loro charme intellettuale esercita una straordinaria seduzione sulle nostre menti. Secondo Wittgenstein, Cantor non aveva affatto scoperto l’esistenza di un numero infinito di insiemi infiniti, egli aveva di fatto introdotto un nuovo significato della parola ‘infinito’ in modo tale che ora avesse senso parlare di una gerarchia di diversi infiniti. La questione da porre, per Wittgenstein, non è “esistono questi transfiniti oppure no?”, ma una di ordine pragmatico: “questa aggiunta di un nuovo significato e il cambiamento introdotto nella nostra grammatica sono utili o no?” Analogamente, Freud non ha scoperto una nuova entità chiamata ‘inconscio’, ma ha mutato il senso che avevamo dato alla parola ‘inconscio’ affermando che ci possono essere ‘pensieri inconsci’ e ‘motivazioni inconsce’. Insomma, Freud istituisce un nuovo concetto di inconscio secondo cui esso funziona come una coscienza sui generis. Ma questo inferno interiore che Freud pensa di aver scoperto non esiste, se non come nostro godimento di pensare di avere un inferno. La differenza tra Freud e Cantor è però nel fatto che, secondo Wittgenstein, i cambiamenti grammaticali introdotti da Freud sono utili, quelli di Cantor no. Freud è riuscito là dove Cantor, invece, aveva fallito. Anche se entrambi devono il loro successo alla qualità estetica delle loro dimostrazioni.
Il punto è però: in che senso l’innovazione grammaticale di Freud è utile? E soprattutto, come si articolano utilità e seduzione? Qualcosa che seduce è ipso facto utile? E d’altro canto, ciò che è utile non ci seduce proprio per questo?
Propongo una risposta. La psicoanalisi ci appare convincente – ovvero, seduttiva e utile - perché è una pratica etica del tutto consona all’uomo e alla donna nell’epoca del predominio della scienza e della tecnica. L’uomo e la donna moderni sono stati profondamente sedotti dalla psicoanalisi proprio perché il mondo in cui la scienza e la tecnica ci fanno vivere è per essenza un mondo senza senso, i meccanismi causali escludono il senso; la psicoanalisi scommette sul senso accettando di situarsi nel mare del non-senso. Essa pretende cioè di svelare una significazione regionale in varie parti dell’esistenza umana che sembrano essere abbandonate al caso e alla contingenza, in particolare, a processi fisiologici insignificanti. Sogni, sintomi, angosce, atti mancati, depressioni... tutto questo cela un senso che è possibile svelare. La psicoanalisi, secondo Wittgenstein, seduce perché dà un sapore metaforico, ovvero tragico, ai nostri destini altrimenti scialbi e insignificanti.
Aggiungerei però: a differenza del senso religioso, la psicoanalisi non rinuncia mai al non-senso di sfondo. Come ogni scienza, parte da un assunto metafisico, dal presupposto che l’essere umano sia un animale che vive per desiderare e per godere (come tutte le teorie scientifiche, anche la teoria psicoanalitica, anche se non scientifica, si basa su un assunto metafisico). Ad esempio, alla base della cosiddetta psicologia evoluzionista c’è l’assunto neo-darwiniano secondo cui tutto ciò che è vivente è il risultato di un adattamento ottimale all’ambiente. La metafisica di fondo che invece organizza il sistema interpretativo di Freud si basa sul concetto di die Lust, che significa a un tempo desiderio e piacere. Per Freud die Lust è l’essenza dell’umano, insomma l’essere umano è una bestia erotica pensante (e non una bestia da preda pensante come, in modo analogo ma diverso, pensava Nietzsche). La psicoanalisi è un gioco storicamente perspicuo che mette in rilievo connessioni di senso distrettuali nel continente insensato del mondo.

2.
Nel 1930 Wittgenstein faceva una confidenza alquanto spengleriana al suo amico Drury:

“Stavo passeggiando per Cambridge e passavo davanti a una libreria, e ho visto in vetrina i ritratti di Russell, Freud ed Einstein. Un po’ più in avanti, in un negozio di cose musicali, vidi ritratti di Beethoven, Schubert e Chopin. Paragonando questi ritratti, ho sentito in modo intenso la terribile degenerazione che ha colpito lo spirito umano nel corso di soli cento anni.”


Nel 1930, i tre mostri sacri – Russell, Freud ed Einstein – erano ancora vivi ed erano “uomini di scienza”, mentre la preferenza di Wittgenstein andava a tre musicisti del secolo precedente. Wittgenstein metteva la musica del passato al primo posto nella sua gerarchia spirituale, mentre ha sempre nutrito una certa antipatia per la scienza del suo presente. Tra i tanti suoi aforismi contro la scienza e la tecnica, basti questo: “Per stupirsi, l’uomo – e forse i popoli – deve risvegliarsi. La scienza è un mezzo per addormentarlo di nuovo” (1930, p. 25). Negli ultimi anni, la sua ostilità nei confronti della tecnoscienza era molto più radicale di quella che alla stessa epoca nutriva Heidegger, ad esempio. Ma questo ci fa capire, obliquamente, che in ogni caso Wittgenstein riconosceva alla teoria di Freud la qualità scientifica, anzi, pensava che il limite di Freud fosse proprio nel suo ‘successo scientifico’. Allora anche Freud aveva contribuito a far riaddormentare l’uomo? La sua idea sembra essere che Freud avesse risvegliato gli esseri umani, ma che avesse fornito loro anche uno strumento per riaddormentarsi.
Questo va detto per sgomberare il campo da una serie di studi su Freud ispirati a Wittgenstein, i quali insistono su un punto: che Wittgenstein toglierebbe a Freud ogni credibilità scientifica, che la teoria di Freud sarebbe una semplice mitologia. Molti studiosi di Wittgenstein hanno finito con l’essere conquistati dalle filosofie epistemologiche di Popper o Grünbaum, le quali si interessano alla psicoanalisi solo per valutarne la credibilità scientifica. L’interesse, certo non occasionale, di Wittgenstein per Freud viene ridotto allora alla solita questione della demarcazione, se cioè la psicoanalisi sia scientifica o meno, significante o meno, verificata o meno.

3.
Nel 1931 Wittgenstein elencò gli autori che lo avevano influenzato di più, e cioè: Boltzmann, Hertz, Schopenhauer, Frege, Russell, Kraus, Loos, Weininger, Spengler, Sraffa (Wittgenstein 1977, p. 47). Come si vede, almeno quattro di questi dieci sono più o meno scienziati, il che significa come l’atteggiamento di Wittgenstein nei confronti della scienza in fondo fosse complesso e ambivalente non meno che nei confronti della psicoanalisi. Lui aggiunge che egli non aveva fatto altro che riprendere, riprodurre, quel che questi dieci avevano scritto o fatto. E si chiede quindi – nella stessa nota - se Breuer e Freud non abbiano anche loro riprodotto qualcosa di altri. Breuer e Freud entrano insomma nella lista in modo sghembo, segno dell’ambiguità dell’atteggiamento di Wittgenstein nei confronti della psicoanalisi; non si capisce se siano tra quei pochi che lo abbiano influenzato, o se in qualche modo Breuer e Freud abbiano fatto quel che lui stesso ha fatto: non inventare un nuovo corso di pensiero, ma prendere al balzo quel che altri avevano concepito per svolgere un lavoro di…. Di chiarificazione, Klarheit, nel caso suo, ma nel caso di Freud? Anche la psicoanalisi era per lui un’attività di chiarificazione? La Klarheit non ha nulla a che fare con l’Erklärung (spiegazione), anche se entrambi hanno a che fare con il klar. Insomma, Wittgenstein sembra riservare a Freud una doppia critica contraddittoria che è anche una contraddittoria ammirazione: riconosce a Freud il risultato scientifico, ma la psicoanalisi induce anche un sonno della ragione. D’altro canto, nega che quella di Freud sia un’ipotesi scientifica, ma proprio perché chiarifica in modo più essenziale di quel che ogni Erklärung scientifica potrebbe fare.
Più tardi, quando Wittgenstein svilupperà la sua seconda filosofia, egli dirà chiaramente quale autore è la sua guida: Goethe. Dirà che il proprio pensiero è riassunto dalla frase del Faust: “Im Anfang war die Tat” (“All’inizio era il fare”). Da qui la sua teoria del significato come uso, dei giochi linguistici come esprimenti determinate forme di vita, ecc. Di solito, questo primato del fare e dell’agire viene interpretato come una forma di pragmatismo; per Richard Rorty, il secondo Wittgenstein – il primo non conta per lui, era troppo ontologico – era un pragmatista. Ora, Wittgenstein è stato impressionato soprattutto dalle opere ‘scientifiche’ di Goethe, dal suo studio sui colori e dalla Metamorphose der Pflanze (La metamorfosi delle piante). Goethe tentò, contro la tradizione scientifica newtoniana, di costruire quella che noi chiameremmo una scienza romantica, ovvero una scienza che non isoli delle cause determinabili, ma che aspiri piuttosto a descrivere in modo perspicuo il suo oggetto. Wittgenstein pensa però che la sola scienza possibile sia quella newtoniana ed einsteiniana, che non sia possibile una scienza romantica. Probabilmente avrebbe obiettato a Dilthey che non ci sono Geisteswissenschaften, ma solo Naturwissenschaften. In fondo, Wittgenstein non ha mai creduto nello Spirito Oggettivo nel senso di Dilthey (ma l’inconscio freudiano non è una forma di Spirito oggettivo?). Eppure, lui pensava possibile perseguire una übersichtliche Darstellung, una rappresentazione perspicua di processi legati alle attività umane. Non quindi una scienza dell’essere umano, ma una rappresentazione rivelatrice dell’essere umano.
Freud ha sempre affascinato Wittgenstein nella misura in cui il primo sembrava perseguire proprio qualcosa di simile: non una scienza dell’uomo, ma una rappresentazione perspicua dell’uomo. La psicoanalisi è una Darstellung, un insight, non una Vorstellung del suo oggetto. Si chiedeva se insomma Freud non fosse riuscito a dare dei sogni, atti mancati, deliri, sintomi nevrotici, una descrizione simile a quella che Goethe aveva tentato per le piante: non stabilire rapporti di causa ed effetto tra elementi psichici e nemmeno rapporti di successione genetica, ma descrivere connessioni formali tra di loro. Così, “per il resto della sua vita – scrive Rush Rhees – Freud fu uno dei pochi autori che egli pensava che valesse la pena di leggere. E avrebbe parlato di se stesso… come di un ‘discepolo di Freud’ e di ‘un seguace di Freud’” (Wittgenstein 1967a, p. 123; p. 41).

Questo non toglie che le riflessioni di Wittgenstein su Freud siano anche una critica dell’illusione che la psicoanalisi sia una scienza, ovvero una determinazione di cause. Wittgenstein rimproverava a Freud quel che Habermas (1973) chiamerà il suo “auto-fraintendimento scientifico”. Ma allo stesso tempo egli pensava che Freud “è qualcuno che ha qualcosa da dire”, perché Freud, proprio non essendo uno scienziato, aveva istituito una nuova arte di interpretare-persuadere, una nuova pratica sociale, un gioco linguistico (Sprachspiele) originale. Questo gioco certo include una sorta di sapere, ma non si tratta del tipo di sapere derivante dalla metodologia scientifica di indagine. Una Darstellung, non una Erklärung, dell’essere umano.

4.
Di solito i commentatori ‘epistemologici’ sottolineano questo: che Wittgenstein, pur apprezzando Freud per aver arricchito il significato di sogni, atti mancati e sintomi psicopatologici, ha segnalato come lui non garantisca affatto di aver scoperto le vere cause di sogni, atti mancati e sintomi. Insomma, Wittgenstein presupporrebbe una divisione tra l’ordine del senso e l’ordine delle cause, dato che spiegare da una parte e comprendere dall’altra sono due “giochi” diversi. In altri termini, una cosa è riconoscere le ragioni di un atto, altro è trovare le cause di un comportamento. (La differenza tra un atto e un comportamento consiste proprio nel fatto che cerchiamo le ragioni del primo, e le cause del secondo.)

Prendiamo come esempio il modo in cui Freud interpreta l’oblio della parola latina aliquis da parte di un giovane quando questi, parlando con Freud, cita a memoria un poema di Virgilio. Attraverso le libere associazioni di quest’uomo, Freud fu in grado di connettere questo vuoto di memoria a una preoccupazione di quel giovane: lui era in attesa di liquido (Liquidation, Flüssigkeit), ovvero delle mestruazioni della sua ragazza, aveva paura che lei fosse rimasta incinta; insomma, non si augurava affatto aliquis, il qualcuno che sarebbe emerso, ma piuttosto lo temeva. Che tipo di obiezione Wittgenstein farebbe a questa ricostruzione di Freud, che poi ha sviluppato il filologo Sebastiano Timpanaro (1976)? Che Freud era stato molto bravo nell’ottenere quella confidenza sulle ansie di quel soggetto, ma comunque non aveva provato affatto che la causa di quella particolare amnesia fosse quella particolare preoccupazione. Naturalmente, nel “gioco” della psicoterapia, far emergere con grazia certi ricordi e connessioni a partire da un’amnesia può risultare utile al paziente. Ma in questo exploit non ci sarebbe alcuna realizzazione scientifica. Freud dice che cosa quel lapsus può significare nella vita di un uomo, ma non perché esso è di fatto accaduto. L’interpretazione di Freud – precisa Bouveresse (1973, cap. V) - è piuttosto una “spiegazione estetica”. Ma è proprio questo carattere ‘estetico’ delle ‘spiegazioni’ freudiane a sedurre Wittgenstein. Traumdeutung, l’interpretazione dei sogni, non è affatto una scienza dei sogni. Interpretare un testo – quindi anche di sogni, lapsus, motti di spirito, deliri - è dire la stessa cosa con altre parole, ma che siano le parole giuste; è quel che Lacan ha chiamato bien-dire. Spiegare invece è determinare cause, che per definizione devono essere diverse dai loro effetti. La psicoanalisi non è un sapere, ma un gioco linguistico.
Ora, ci si chiede fino a che punto questa scissione tra causa e senso in Wittgenstein si sovrapponga alla scissione – promossa dal pensiero ermeneutico – tra spiegazione e comprensione. La scienza spiega, le discipline umanistiche comprendono - anche se resta aperta la questione su che cosa sia veramente comprendere una teoria esplicativa. Questa separazione ha avuto una forte influenza sulla psicoanalisi detta “narrativista” (Spence, Schafer, ecc.). Secondo questa tendenza, l’analista non spiega mai veramente, piuttosto egli comprende e propone al suo analizzante una narrazione migliore della propria esistenza. Gran parte della psicoanalisi anglo-americana sempre più abbandona l’ideale scientifico e identifica se stessa come un’attività simile piuttosto alla critica d’arte o letteraria. Ma l’ideale wittgensteiniano di Klarheit non è l’ideale ermeneutico della comprensione interpretante, anche se oggi molti tendono a confonderli.
I critici della psicoanalisi mettono in rilievo certe frasi di Wittgenstein come: “Freud non ha fornito una spiegazione scientifica dell’antico mito – quel che ha fatto è stato di proporre un nuovo mito.” Wittgenstein (1966, p. 47) dice anche: “Dire che i sogni sono soddisfazioni di un augurio è molto importante perché indica il tipo di interpretazione che si richiede – che tipo di cosa sarebbe un’interpretazione di un sogno”. Qui Wittgenstein sembra pensare che la psicoanalisi non sia essenzialmente una comprensione o interpretazione del linguaggio dell’Altro o degli altri: che essa piuttosto prescriva un linguaggio, insomma un gioco. La psicoanalisi non scopre nulla, istituisce un modo di interpretare; ed è per questo che essa è spesso tentata dalla rassicurazione del dogmatismo.
Tutto questo a molti sembra andare verso la demolizione radicale della credibilità della psicoanalisi, per me invece la critica di Wittgenstein va in tutt’altro senso. Questo senso va visto in relazione a quel che poi è stato chiamato Argomento del Linguaggio Privato. Per Wittgenstein, espressioni come “ho mal di denti” non hanno affatto la stessa grammatica di espressioni come “ho i capelli biondi”: Wittgenstein mostra che nel primo caso non si tratta della descrizione di un oggetto mentale che solo io conosco, ma – nella maggior parte dei casi – di un modo linguistico di esprimere il mio dolore. Quello che noi chiamiamo descrizione di stati mentali privati ha piuttosto la natura dell’esclamazione, dell’urlo, del pianto e del riso. Insomma, il mondo privato è qualcosa che esprimiamo, ma che non possiamo conoscere. La posizione di Wittgenstein è antitetica rispetto al cognitivismo, il quale si vuole invece una scienza degli stati mentali.
Quindi, un modo in cui possiamo parlare del nostro intimo è proporre o prescrivere un modo di esprimere il nostro intimo. Il linguaggio tradisce sempre i nostri veri sentimenti; ma, tradendoli, esso rende possibile esprimerli. Ora, Wittgenstein trova che l’interpretazione dei sogni, ad esempio, da parte di Freud sia un buon modo di esprimere sogni. “C’è un lavoro dell’interpretazione che, per così dire, appartiene ancora al sogno stesso” (Wittgenstein 1966, p. 46). Significa questo che nel fondo, grazie a Freud, il sogno continua? Interpretando sogni, continuiamo solo ad articolare quell’interpretazione che il sognare è già di per sé? Von Clausewitz disse che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi; analogamente possiamo dire che l’interpretazione analitica è la continuazione del sognare e del fantasticare con altri mezzi? Quindi, interpretare psicoanaliticamente è continuare a dormire?
La spiegazione esige in effetti una distanza dal proprio oggetto che per Wittgenstein equivale al sonno, mentre svegliarsi significa essere molto vicini al proprio oggetto, accarezzarlo o abbracciarlo, come appunto voleva fare Goethe.

Potremmo dire che, per Wittgenstein, Freud offre un buon vocabolario piuttosto che proposizioni vere su noi stessi. Ma Freud si voleva uno scienziato – voleva enunciare proposizioni vere - quindi, di fatto, Wittgenstein denuncia lo scacco di Freud? Mi chiedo però se lo scacco di Freud nel dimostrare che il significato dei sogni e dei sintomi sia anche la loro causa non sia l’espressione teorica dello scacco di ogni essere umano. Freud, scienziato fallito secondo Wittgenstein – e proprio per questo degno di essere letto - fu un interprete o testimone riuscito del modo in cui siamo impegnati nell’enorme sforzo che ci caratterizza come esseri umani: soggettivare ciò che soggettivo non è, ovvero, dare un senso alla nostra contingenza. Insomma, la psicoanalisi ci piace tanto perché – nel suo tentativo ‘sgrammaticato’ di legare in qualche modo le cause e il senso - riedita un processo costitutivo di ogni soggettività umana. Insomma, la psicoanalisi non spiegherebbe la soggettività, la esprimerebbe perspicuamente. La psicoanalisi opera come ogni essere umano: opera in uno spazio intermedio tra le cause (che la scienza determina) e la Causa alla quale dedichiamo (spesso inconsapevolmente) la vita. La psicoanalisi ha dato nome inconscio a questa twilight zone tra cause e Causa.

5.
Come gioco linguistico, la psicoanalisi è paragonabile alla figura multistabile del coniglio-papero che Wittgenstein riprende da Köhler e dalla Gestaltpsychologie? Potremmo dire che il soggetto nella sua esistenza vede un coniglio, e che poi, grazie all’analisi, d’un tratto vede anche il papero? La psicoanalisi sarebbe un nuovo insight sulla propria vita, che si suppone, si spera, sia più utile del vecchio? Se così fosse, la rappresentazione che Wittgenstein dà della psicoanalisi sarebbe sostanzialmente simile alla re-interpretazione ermeneutica della psicoanalisi: si tratta di passare da un’interpretazione infelice (inutile) a un’altra più felice (utile) della propria esistenza. Se il papero è più utile del coniglio, meglio il papero. Ora però, in questo approccio – sia wittgensteiniano che ermeneutico – ciò che viene bypassato è il rapporto al reale. Sto parlando qui del reale in senso lacaniano, uno dei tre registri?
Non c’è nulla di più problematico del concetto lacaniano di reale – e forse proprio per questa sua ambiguità, esso oggi gode di tanto favore. Non pretendo qui di enunciare definitivamente che cosa dobbiamo considerare reale per Lacan. Evidentemente si tratta di un concetto dialettico di stile hegeliano: il reale non è la realtà oggettiva cui ci riferiamo nella vita pratica e nelle scienze, e nemmeno la Cosa-in-sé kantiana, ma è una sorta di ricaduta della soggettività stessa, quindi del simbolico: è la parte non-soggettiva che ogni soggettività lascia come scotto della propria costituzione. E’ reale tutto ciò che sfugge alla significazione soggettiva, ciò che ogni soggetto è portato a considerare come impossibile. Il reale lacaniano è quindi angolato soggettivamente.
Prendiamo appunto il caso del giovane ebreo che dimentica aliquis. Il giovane cita Virgilio in una patetica discussione sull’antisemitismo: egli si augura che i suoi eredi siano capaci di vendicare il popolo ebraico, cosa di cui questa generazione non è capace. Ma, secondo Freud, la dimenticanza di aliquis segnala che, in discordanza con questo augurio, il Nostro invece non vuole affatto eredi, almeno per il momento. Alcuni hanno fatto osservare: ma quale pensiero inconscio avrebbe prodotto l’oblio di quel termine? Il ritardo delle mestruazioni non è affatto un pensiero inconscio del giovane, è probabile anzi che esso fosse per lui un assillo. Quel che emerge qui, più che qualcosa di inconscio nel senso di ignorato, è una discordanza appunto tra due discorsi: quello pubblico che fa appello alla progenie, e un discorso privato del tutto diverso.
Ma possiamo ridurre questo contrasto tra due discorsi all’alternativa papero o coniglio della figura multistabile? No. Abbiamo qui piuttosto uno stridente contrasto tra quello che chiamerei il “discorso ideale del progetto” e il confronto con qualcosa di reale: con il fatto che, senza volerlo affatto, dopo un coito una donna può restare incinta. Ovvero, ciò che l’analisi di Freud fa emergere è una certa ipocrisia del discorso ideale del progetto, il cozzo con un ordine sgradito e non accolto, in questo caso quello biologico della riproduzione. Non si tratta qui insomma di denunciare la “cattiva interpretazione” che avremmo dato alla nostra vita (come pensa la psicoanalisi ermeneutica), ma di indicare i limiti e in fondo la falsità del nostro discorso ideale e progettuale rispetto al reale.
Le interpretazioni psicoanalitiche interessanti non sono quindi interpretazioni tra altre, non si tratta di preferire le interpretazioni freudiane a quelle junghiane, o kleiniane, o marxiste, o esistenziali, o di altro tipo. Nella psicoanalisi che ci sveglia si tratta – anche attraverso lo stratagemma dell’interpretazione – di indicare un reale aldilà di ogni interpretazione, un reale che le nostre interpretazioni inconsce aggirano e mancano, ma con cui, prima o dopo, occorre fare i conti. Wittgenstein vede bene l’aspetto consolatorio della psicoanalisi (dare un senso alla sofferenza umana), ma non vede l’altro aspetto, la sua direzione verso il reale. Lacan disse una volta che l’analista “è un amateur del reale”; per quanto in modo dilettantesco, la psicoanalisi tende al reale.
Su questa scia, potremmo andar oltre e interpretare in modo diverso l’incommensurabilità tra cause e senso. E’ vero che i sensi di Freud non sono cause, ma in questo naufragio del senso contro la roccia delle cause consiste appunto quel lavoro interpretativo che Freud ha chiamato inconscio. L’inconscio e la teoria dell’inconscio giocano lo stesso gioco.
Freud mette la sessualità in questa posizione di reale, distinguendola così dall’amore; l’amore è la sessualità che ha preso senso e che è diventata discorso ideale del progetto. Non è un caso che Wittgenstein si sia sempre interessato a un’opera che mette la sessualità in una posizione eminente rispetto a ogni interpretazione. Nel senso che l’interpretazione sessuale viene privilegiata proprio perché la sessualità, come la morte, è aldilà di ogni interpretazione.
Si è molto dibattuto sulla vita amorosa e sessuale di Wittgenstein. La conclusione più verosimile cui si è giunti è che Wittgenstein avesse scisso in modo drammatico la dimensione amorosa da quella sessuale, che avesse diviso il senso dal reale. Ovvero, egli ha amato – non sappiamo fino a che punto platonicamente – alcuni uomini, ma l’eccitazione sessuale, con uomini o con donne, è stata per lui sempre una barriera difficile da valicare. La sessualità in quanto tale era insomma una dimensione di reale nel senso che gli è stato impossibile integrare la forza del desiderio sessuale nel registro socio-sintonico dell’amore, dell’idealizzazione, dei progetti erotici e familiari. La vita stessa di Wittgenstein testimonia del carattere irriducibile, reale insomma, della sessualità.

6.
Allora, la rappresentazione che Wittgenstein si fa della psicoanalisi come rappresentazione (forse) perspicua non è del tutto perspicua. Perché non vede il tropismo della psicoanalisi verso il reale. Paradossalmente, l’ostilità che Wittgenstein nutre nei confronti della scienza non gli permette di vedere quanto la psicoanalisi, come la scienza e la matematica, punti in fin dei conti proprio al reale. In effetti, Wittgenstein vede la matematica come una pura costruzione, insomma come un gioco linguistico; per lui, la matematica non designa nulla di reale, è solo pratica. Non diversamente dal gioco degli scacchi, che ha implicazioni formali molto complesse ma non descrive affatto il mondo. Analogamente, il suo disprezzo per la scienza deriva dall’idea che essa, limitandosi a prevedere quel che accadrà nel mondo sulla base di regolarità empiriche assunte come ‘cause’, manca l’essenziale, ovvero le forme di vita che danno luogo alle varie pratiche, di cui quella predittiva della scienza è una. A Wittgenstein non interessava spiegare le cose, ma chiarificare i discorsi.
Il rimando alle forme di vita certamente inserisce Wittgenstein nella tradizione trascendentalista occidentale, che risale a Kant; Wittgenstein, attraverso Schopenhauer, continua un progetto kantiano in senso lato. Possiamo considerare la sua filosofia una sorta di Critica della Ragione Significante. Potremmo vedere le forme di vita come la condizione trascendentale dei giochi linguistici.
Ma l’appello alle forme di vita come condizioni di possibilità del senso e dei giochi linguistici gli fa mancare la prospettiva che chiamo qui ‘del reale’. Ovvero, non considera i giochi linguistici delle strategie pratiche per confrontarsi con il reale, intendendo per reale anche quella parte della vita, la nuda vita, che sfugge al discorso ideale del progetto. Possiamo dire che le varie attività umane – siano esse scienza, arte, religione, filosofia, psicoanalisi – trovano la loro nobiltà non nel loro essere puri giochi linguistici, ma nell’essere ciascuna una attività che mira al reale. Ovvero con qualcosa che si situa al di fuori di ogni discorso regolato come un gioco. In questa prospettiva, la scienza non si riduce solo a costruire modelli predittivi che permettono di controllare tecnologicamente il mondo: anche la scienza si confronta col reale nella misura in cui si lascia deludere dalla natura, nella misura in cui a un certo punto si confronta col puro evento senza causa e senza origine.
In questa prospettiva, quel che distingue la psicoanalisi da ogni altra pratica consolatoria – che garantisce un senso nel mare del non-senso – è la sua pretesa di indicare aldilà del discorso ideale del progetto una dimensione reale che ogni soggetto implica e ignora nella rete dei propri giochi.

 

Benvenuto, S.:
- (1984) La strategia Freudiana. La teoria freudiana della sessualità riletta attraverso Wittgenstein e Lacan. Naples: Liguori.
- (2006) “Wittgenstein and Lacan Reading Freud”, Journal for Lacanian Studies, vol. 4, nr. 1, 2006, pp. 99-120.

Bouveresse, J. :
- (1973) Wittgenstein: la rime et la raison. Science, éthique et esthétique. Paris : Les Editions de Minuit.
- (1995) Wittgenstein reads Freud. The Myth of the Unconscious, tr. by C. Cosman. Princeton, NJ: Princeton University Press.

Cioffi, F. (1969) “Wittgenstein’s Freud” in P. Winch, ed., Studies in the Philosophy of Wittgenstein. London-NY: Routledge & Kegan Paul, pp. 184-210.

Freud, S. (1901) The Psychopathology of Everyday Life, SE, 6. GW, 4.

Habermas, J. (1973) Theory and Practice. Boston: Beacon Press.

Hanly, C. (1972), "Wittgenstein on Psychoanalysis" in A. Ambrose & M. Lazerowitz (eds), L. Wittgenstein: Philosophy and Language. London: Allen & Unwin, pp. 73-94.

Monk, R. (1990) Ludwig Wittgenstein. The Duty of Genius. New York: The Free Press.

Rhees, R., ed. (1984) Recollections of Wittgenstein. Oxford: Oxford University Press.

Timpanaro, S. (1976) The Freudian Slip. London: NLB.

Wittgenstein, L.:
- (1966) in C. Barret, ed., Lectures & Conversations on Aesthetics, Psychology and Religious Belief. Berkeley and Los Angeles: Univ. of Calif. Press. Tr.it. Lezioni e conversaizoni sull’etica, l’estetica, la psicologia e la credenza religiosa, Milano: Adelphi.
- (1977) Vermischte Bemerkungen. Frankfurt-am-Main: Suhrkamp.


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