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I.S.A.P. - Istituto di Studi Avanzati in Psicoanalisi
La Psicoanalisi alla Prova del Tempo: L’ultimo Insegnamento di Lacan
Sergio Sabbatini


La topologie et le temps è l’ultimo titolo che Lacan ha dato al suo seminario, nell’anno 1978-1979. Solo la topologia resiste al tempo sembra l’idea che attraversa sette lezioni confuse, oscure, quelle lezioni che Jacques-Alain Miller non riusciva più a seguire, tanto lo turbava l’ombra del grande uomo che restava sulla scena. Lacan riprende il suo grande scritto giovanile sul tempo, Il tempo logico. La topologia dei nodi con le sue configurazioni così difficile da afferrare, è la soluzione di Lacan al problema del tempo?
Premessa

La psicoanalisi alla prova del tempo? A quale prova il tempo sottopone la psicoanalisi? È il tempo dell’usura, della scadenza, dell’erosione, della vita e della morte? Oppure è il tempo del riassorbimento, del nuovo che viene metabolizzato dalla cultura, che ne spunta gli aspetti indigesti e ne fa qualcosa di diverso, di commestibile?
E se invece fosse la psicoanalisi a mettere alla prova il tempo? A non accontentarsi del tempo storico, cronologico, ma a interrogarne altre declinazioni, che il pensiero ha già incontrato e tematizzato, o addirittura a scoprirne di nuove?
Certo lo psicoanalista ha a che fare col tempo: il progresso temporale della cura, la durata della cura, la durata della seduta; la scansione, nel processo, nell’interpretazione;la sospensione, il ritmo del percorso, i rallentamenti, la fretta, l’accelerazione nella seduta a tempo variabile, opposta alla ritualizzazione. E non è stato lo stesso Freud ad opporre l’inconscio atemporale alla coscienza storica, e a isolare il meccanismo della posteriorità (Nachträglickeit) come temporalità invertita?
Freud e il tempo

Sin dall’inizio Freud si sforza di dare un ordine rigoroso, in una temporalità cronologica, ai ricordi dei suoi pazienti: la risoluzione della terapia coincide con il sapere sulle cause che hanno segnato, in certi momenti precisi, la vita del soggetto sofferente. (Freud 1901; 1914).
La temporalità è per Freud uno strumento diagnostico, sin dai primi scritti: la fissazione a una certa fase evolutiva determina la malattia successiva, nevrosi ossessiva, isteria o psicosi (Freud, 1896).
Nel 1896, in una lettera a Fliess, Freud ipotizza l’azione di una temporalità retroattiva nella causalità della malattia: certe esperienze vengono rielaborate e riattivate, dopo un certo intervallo temporale, con effetti sintomatici. È la teoria del trauma, in genere sessuale. Un dato evento viene memorizzato senza danni fino a quando il soggetto ne coglie il significato, alla luce della sua maturazione successiva. Ne coglie il significato vuol dire: si coglie come oggetto del godimento di un Altro maligno. Solo in quel momento appaiono le manifestazioni sintomatiche, spesso precedute da crisi di angoscia. La clinica dell’abuso infantile riscontra spesso il passaggio dal consenso all’orrore: per lo più il paziente non riesce a perdonarsi, con conseguenze disastrose, la partecipazione alla seduzione.

Eppure per Freud l’inconscio non conosce il tempo: l’inconscio non è alterato dal tempo, non ha alcun rapporto con il tempo e l’analista nel suo lavoro deve conformarsi all’inconscio, non deve tener conto del tempo.

Sarebbe ardito misurarsi in una breve esposizione, sulle ragioni cliniche, filosofiche e scientifiche alla base delle tesi freudiane sul tempo e sulle possibili letture che legittima. Certo che l’atemporalità dell’inconscio freudiano sembra implicare una teoria della verità di tipo classico, una verità ‘diamante’ da scoprire, da dissotterare: l’inconscio è il luogo della verità del soggetto, inalterabile, resistente ai camuffamenti e alla razionalizzazioni coscienti, un invariante che si conserva nelle trasformazioni che le peripezie dell’esistenza impongono a ciascuno. Si arriverebbe così a giustificare la critica di Jung a un Freud determinista e riduzionista, incapace di restituire all’anima dell’uomo la libertà di cambiare il suo destino, un’anima schiacciata dal peso delle sue ‘condizioni iniziali’, le esperienze infantili, nucleo della nevrosi dell’adulto, o peggio.

In questa chiave il tema ‘La psicoanalisi alla prova del tempo’ dovrebbe svilupparsi come ricerca delle condizioni di operatività della psicoanalisi di fronte ai cambiamenti sociali, come indagine storica.Una volta garantito lo spazio del setting lo psicoanalista avrebbedi fronte l’inconscio di sempre, da accostare secondo i canoni prestabiliti dalla dottrina psicoanalitica. Eppure l’esperienza del movimento psicoanalitico in più di un secolo testimonia di cambiamenti decisivi nella psicopatologia, con precise conseguenze nella teoria e nella pratica clinica. C’è un consenso diffuso sulla 'docilità' del sintomo psichico, le cui variazioni sembrano riflettere i cambiamenti socio-culturali.
Mi pare che tutte le componenti postfreudiane testimonino di questi mutamenti: un ampliamento del campo delle psicosi, una correlativa riduzione di quello delle nevrosi, la proposta di categorie intermedie: borderline, psicosi bianche, fredde, stati limite, e in ambito lacaniano, la cosiddetta psicosi ordinaria. Per non parlare dei cosiddetti nuovi sintomi tipici di quella che oggi si chiama ipermodernità.

Il tempo, da Freud a Lacan

Messi quindi sul tavolo tre nodi relativi al rapporto tra psicoanalisi e tempo in Freud:
1. Il tempo cronologico della coscienza,
2. L’atemporalità dell’inconscio,
3. Il fenomeno della posteriorità,

provo ora a delineare le proposte di Lacan, fino al suo ultimo insegnamento (Guéguen, 2000 ; Miller, 2000).
Il percorso di Jacques Lacan va letto in constante riferimento, talvolta critico e anche polemico, all’opera di Freud. Lacan si è sempre dichiarato discepolo di Freud. In contrastocon l’allora dominante psicologia dell’Io non ha schiacciato l’opera di Freud su un modello scientista, evoluzionista, ma ha cercato di valorizzarne gli spunti a suo parere più fecondi nel confronto con altri saperi, rispetto ai quali “la psicoanalisi doveva solo riprendere ciò che è suo” (Lacan, 1953a). Così sul problema del tempo. Schematicamente si riconoscono nel suo approccio almeno tre ispirazioni:
1. la filosofia, soprattutto esistenzialista e fenomenologica;
2. l’antropologia francese;
3. la matematica e la fisica contemporanee.

La ricerca di Lacan scopre in Freud due tipi di temporalità: una storica, cronologica e lineare, l’altra che tenta di rispondere alla logica dell’inconscio. Il primo contributo di Lacan sul tempo è uno scritto del 1945, “Il tempo logico e l’asserzione di certezza anticipata”, che si rivelerà essenziale per la pratica lacaniana della seduta a tempo variabile. Non entro nei dettagli tecnici e mi limito a indicare che Lacan propone una logica temporale del soggetto,che in quanto soggetto è in relazione con gli altri, è la relazione con gli altri. “Il collettivo è il soggetto dell’individuale”, dice Lacan già nel 1945: il grande Altro, il simbolico, precede e determina il soggetto.
Nella relazione con gli altri il soggetto si fa tale, decide, in una temporalità a due direzioni, con il futuro che per certi versi determina il presente. Una volta colta una situazione, è ‘l’istante dello sguardo’, ‘il momento di decidere’ anticipa ‘il tempo per comprendere’ che pure dovrebbe precederlo in una temporalità lineare e lo conclude. La logica temporale collettiva si regge sul meccanismo dell’anticipazione-retroazione. Il soggetto comprende il senso del suo atto solo dopo averlo compiuto!
È così preparata la ripresa del concetto freudiano di posteriorità, Nachträglickeit. Abbiamo visto che Freud ipotizza questa inversione temporale sin dal 1896, nell’ambito della teoria del trauma psichico. Lacan ne isola la logica, come retroazione sulle esperienze passate di esperienze successive, un meccanismo di feedback che richiama le ricerche di Shannon e Wiener degli anni 40 sulla teoria dell’informazione.
In un succedersi di costruzioni e di ipotesi che tentano di rendere ragione dell’inconscio freudiano, Lacan inventa il grande Grafo, che ha alla base il meccanismo specifico del tempo logico, l’anticipazione-retroazione e ne fa uno strumento clinico. Nella sua ricerca Lacan siappoggia su uno dei lavori meno apprezzati di Freud, almeno in ambito psicoanalitico, Il motto di spirito e le sue relazioni con l’inconscio, del 1905. Nel Witz è l’effetto sorpresa della battuta riuscita a mostrare il gioco della retroazione nella relazione intersoggettiva: solo la risposta divertita dell’altro, la risata, conferma a posteriori la bontà della battuta e soddisfa libidicamente il narratore. È il cuore del legame sociale.

L’inconscio-soggetto

La posta in gioco di una psicoanalisi è il soggetto: Lacan pensa una temporalità che tenga conto del soggetto, dialoga con Heidegger e Eugen Minkowski, ha un interlocutorenascosto, Jean-Paul Sartre, il cui L’essere e il nulla era stato pubblicato nel 1943. Lacan ne consiglia l’opera per la formazione degli psicoanalisti,ne apprezza l’analisi della temporalità e per certi versi se ne appropria: il soggetto umano non è una pietra o un tavolo. Il soggetto trascende la sua localizzazione spazio-temporale, la sua essenza è subordinata all’esistenza (Sartre, 1946), nella logica del futuro anteriore, del sarò stato, del futuro che definisce a posteriori il mio essere. È il futuro il tempo implicato nella soggettivazione.
Ecco allora che l’inconscio atemporale di Freud deve quindi aprirsi alla sorpresa, alla contingenza, all’incontro. Ma è lo stesso Freud ad aver scoperto nei sogni, nei lapsus, nel Witz l’inconscio strutturato come un linguaggio. È Freud ad aver mostrato l’inconscio nella sua dimensione sociale, abitato dalla fantasia, dal desiderio e quindi dall’alterità. Leggendo Freud, con Hegel, Kojève e Sartre, Lacan può dire che il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro. L’inconscio atemporale in effetti sembra prevedere una concezione determinista del soggetto, farne l’effetto passivo di un processo che lo sovrasta e il cui destino è senza scampo. Come conciliarlo con la dimensione creativa che abita i grandi testi freudiani? È la ripresa, in altri termini, del dibattito determinismo/libertà, rispetto al quale Sartre si era espresso in pagine celebri, contro Freud, a cui preferiva Binswanger: l’uomo è condannato ad essere libero, siamo ‘imbarcati nell’esistenza soli e senza scuse’, senza garanzie ma anche liberi di scegliere e responsabili delle nostre scelte (Sartre, 1943). Per Sartre Freud non coglie la temporalità dell'esistenza umana, mentre il futuro è aperto, il destino non è già scritto.
È stato detto molte volte che il limite della concezione così suggestiva di Sartre è di non aver allora tenuto conto dell’inconscio freudiano. Lacan non condivide la radicalità del suo pensiero, è fortemente polemico con lui, sembra prenderlo di mira:

“… non siamo di quei filosofi recenti per i quali la costrizione di quattro mura non è che un elemento favorevole in più per il massimo di compimento della realtà umana.” (Lacan, 1945, pag. 193).

E però propone una lettura della temporalità in Freud che indubbiamente riprende le analisi sartriane.

“Dimmi da dove vieni.” “No, piuttosto dimmi tu dove vai.”

Insomma, non sarebbe esatto dire che per Freud il riferimento principale è il passato e per Lacan il futuro. Già in Freud sono tematizzate diverse versioni del tempo, che Lacan riprende e rielabora anno dopo anno, per estrarne una struttura.
Nel Discorso di Roma del 1953, come nel primo seminario edito, Gli scritti tecnici di Freud, del 1953-1954, Lacan dà un’applicazione clinica della temporalità psicoanalitica in chiave esistenzialista. L'esistenza non si svolge dal passato verso il futuro, non è solo cronologica, il passato dipende dal futuro. Compito dell’analisi è riscrivere la storia del soggetto, come storia della parola rivolta all’Altro: il peso schiacciante del passato può essere alleggerito, le sue conseguenze non sono irreversibili, si può dare un nuovo senso a ciò che è già stato, lo si può riscrivere come un testo inedito. Lacan parla di assunzione della propria storia: è un processo di soggettivazione che trasforma le tracce del passato. Nell’analisi il soggetto si costituisce nell’orizzonte di un divenire, un avvenire grazie al quale può risignificare ciò che è già stato.
È la logica dell’anticipazione – retroazione coniugata con la filosofia dell’esistenza: il futuro determina il passato; come nella comunicazione l’ultimo termine che chiude la frase ne sigilla il significato, nell’associazione libera la punteggiatura dell’analista interpreta il già detto, è un punto di capitone dice Lacan.

L’ultimo insegnamento di Lacan

In un lavoro del 1996, I paradigmi del godimento, Jacques-Alain-Miller ha logicizzato i passaggi che contrassegnano i diversi momenti dell’insegnamento di Lacan. Ha così isolato sei paradigmi (Khun, 1962): la teoria psicoanalitica, come la fisica, di fronte a fenomeni che il quadro concettuale definito non riesce a cogliere, è costretta a modificarlo, a dotarsi di una nuova assiomatica. È un’operazione sottile, che Lacan non ha affatto esplicitato, anche se la strumentazione, topologica ad esempio, muta palesemente nel tempo, dai grafi ai nodi borromei. Ed è anche vero che su alcuni temi non ci sono soluzioni di continuità nel percorso. I diversi paradigmi si sono succeduti nel tempo: ci si può chiedere quali siano le ragioni di questi passaggi.
Credo che la risposta vada trovata nel contesto proprio alla psicoanalisi, l’ordine simbolico. Che i mutamenti nel tempo dell’ordine simbolico abbiano determinato delle trasformazioni nella psicopatologia è cosa nota; che la psicoanalisi abbia partecipato a questi mutamenti è un tema che è stato più volte affrontato da Jacques-Alain Miller e che qui non riprendo. In questa prospettiva i cambiamenti di paradigma rispondono a quei mutamenti nell’ordine simbolico, quindi nel contesto culturale e sociale, che non sfuggivano all’osservazione del Lacan ricercatore.
Il tema dell’Edipo freudiano è esemplare per mostrare il doppio movimento, del cambiamento del contesto simbolico e il cambiamento di paradigma dal parte di Lacan. E insieme ci permette di riprendere il problema del tempo. Perché in effetti Lacan ha letto le trasformazioni della psicopatologia nel tempo in relazione alla crisi dell'Edipo?

Un passo indietro, “I complessi familiari”

I complessi familiari nella formazione dell’individuo mostrano che già nel 1938 Lacan legge il complesso di Edipo in chiave storico-sociale; il fattore culturale è dominante rispetto a quello naturale. Il dato di cui Lacan vuol rendere conto è il declino sociale dell'Imago paterna (Zafiropoulos, 2001). Lacan si interroga sul fenomeno e lo legge in chiave simbolica. È palese il debito nei confronti della sociologia francese, Durkheim, Mauss, Lévi-Strauss, per la quale le strutture sociali sono essenzialmente simboliche. Non è possibile parlare di individuo prescindendo dalla vita sociale: l’universale del simbolismo è costitutivo della vita individuale e di quella sociale. L’uomo come essere naturale e in quanto uomo è sociale. Il segreto del sociale è il simbolico.
La famiglia moderna per il Lacan del 1938 è l’effetto della contrazione dell’istituzione familiare, ipotesi di Durkheim. Il legame familiare si modifica, si allenta, mentre si degrada la figura paterna, si indebolisce l’autorità simbolica del padre edipico, il Nome-del-Padre (Di Ciaccia, 1999). È il grande tema del padre umiliato, degradato, che ritroverà ne L’uomo dei topi di Freud (Lacan, 1953b). Declino del padre vuol dire instabilità, vacillazione del patto simbolico, del legame sociale, della famiglia patriarcale, insomma del complesso di Edipo. E vuol dire modificazione delle forme del sintomo.

Lacan con Freud

Per Lacan il complesso di Edipo ha valore di mito che mette in scena la verità dell’uomo. Si tratta di estrarne la logica; così tenta di farne, seguendo le suggestioni di Lévi-Strauss, una struttura, un sistema di relazioni tra tre termini: Padre-Madre-Bambino. Un quarto termine, il fallo, si inserisce nella struttura edipica, che già include la teoria del narcisismo. Sono queste le basi psicoanalitiche, che Lacan formalizza nei tre registri dell’esperienza: il simbolico, l’immaginario e il reale.
Il funzionamento dell’Edipo garantisce una equilibrio accettabile al soggetto, al prezzo della rinuncia all’oggetto del desiderio, una rinuncia che apre la strada della civiltà, con la sublimazione. È il padre simbolico, il Nome-del-Padre, che impone la rinuncia e permette la sublimazione. Ogni perturbazione di questo meccanismo elementare comporta un’instabilità che può arrivare alla psicosi.
L’Edipo è la soluzione di un conflitto tra l’esigenza del soddisfacimento pulsionale e l’esigenza della legge, ovvero l’esigenza simbolica di porre un limite alla spinta della pulsione: aldilà delle forme che assume, l’Edipo disegna le linee di forza di qualcosa di radicale, che l'esperienza analitica si sforza di logicizzare. Ma sfugge sempre qualcosa di essenziale: Lacan intuisce presto che il mito dell'Edipo freudiano ha esso stesso un valore sintomatico, di sostituzione di qualcosa di più scabroso (Lacan, 1953a).

Il desiderio di Freud e il tempo

Arriva così il passaggio successivo: Lacan coniuga il complesso di Edipo, mito immortale tramandato da Sofocle, con il mito moderno di Freud, il padre dell'orda di Totem e tabù.
L'assassinio del padre è la condizione di esistenza di una comunità umana, è il lato indecente del simbolico, della legge, velato dal concetto di ambivalenza. Da una parte la perdita di godimento, la rinuncia all’incesto, con il padre pacificatore che autorizza il desiderio e apre alla sublimazione, dall’altra l’orda che continua ad abitare l’organizzazione sociale.La struttura, che si riveste del padre, ‘simbolizza’, tiene insieme i due aspetti inconciliabili, il padre interdittore che è anche il padre che permette, e il padre dell’orda, che è anche il padre morto.
L’idea di Lacan, la grande idea di Lacan è semplicemente applicare alla psicoanalisi i suoi stessi principi: è il desiderio di Freud, il suo credere al padre, che la professione di ateismo non cancella, ad aver prodotto le aporie dell’Edipo. Come se la psicoanalisi, sapere laico, mantenesse una cifra religiosa, incarnata dal mito paterno.
Ecco la chiarificazione del problema del tempo in Freud: la concezione dell’inconscio fuori dal tempo serve a salvaguardare qualcosa di intoccabile, di incommensurabile, di sacro. L’inconscio è fuori dal tempo per custodire, salvare un mito dell’origine, il Padre primigenio. L’inconscio fuori dal tempo cela un segreto, il mito individuale dell’uomo Freud, il legame con Mosé, il suo senso religioso. L’origine, che sia rimosso originario, Urverdrängt, o padre primitivo Urvater, non conosce il tempo, non è soggetta al divenire. Nasce qui il mito del padre primitivo di Totem e tabù e la ricerca che porta avanti, fino alla morte, di Mosè e il monoteismo.

Conseguenze cliniche

Tra il 1963 e il 1964, Lacan comincia il lavoro di ‘purificazione’ della psicoanalisi dal desiderio di Freud:

“Così l’isteria ci mette sulle tracce di un certo peccato originale della psicoanalisi. … il desiderio di Freud, il fatto cioè che qualcosa, in Freud, non sia stato mai analizzato.” (Lacan, 1964)

Negli anni 70 inizia l’ultimo insegnamento di Lacan, la psicoanalisi aldilà dell'Edipo, la psicoanalisi che fa a meno del desiderio di Freud. Sul piano clinico la demitizzazione dell’Edipo comporta una relativizzazione della teoria del Nome-del-Padre, base della teoria classica di Lacan delle nevrosi e delle psicosi. (Lacan, 1958). Il Nome-del-Padre è solo uno dei modi, il più comodo magari, per puntellare la precarietà dell’esistenza umana. La psicoanalisi ne deve rispettare la funzione senza dimenticare che è solo una stampella: arrivare a fare a meno del padre, anzi a servirsi del padre per poterne fare a meno.
Caduto il fondamento del Nome-del-Padre Lacan mantiene l’ispirazione freudiana nell’etica della psicoanalisi che deve favorire il desiderio del soggetto a inventare la sua soluzione singolare, a respingere la nostalgia del padre ideale e le soluzioni comode del godimento autistico dell’oggetto.
È un mondo nuovo, un mondo dopo Freud, dove tutto cambia:
• cade l’entusiasmo dell’interpretazione come mezzo di trasformazione e di ricerca di una verità profonda: in fondo Lacan era d’accordo con buona parte delle critiche rivolte alla psicoanalisi ‘ortodossa’: “La tesi che la conoscenza di sé provochi il cambiamento è inconfutabile, se si desidera che lo sia.”(Haley, 1963).
• Cade l’illusione di una psicoanalisi dialettica che evolva verso un naturale punto di arrivo, che caratterizza quello che Jacques-Alain Miller ha chiamato primo paradigma del godimento (Miller, 1996).
• Cade la pretesa, di fatto meccanicista, di una simbolizzazione del reale senza residui – secondo paradigma del godimento (Miller, 1996; Di Ciaccia, 2009).

Jacques-Alain Miller sin dagli anni ottanta focalizza il suo seminario su questa svolta decisiva del pensiero di Lacan: il confronto con il reale del godimento non si può avvalere di principi trascendentali, l’operazione analitica non è garantita, anzi è avvolta da precarietà, contingenza, instabilità. Dobbiamo operare senza garanzie di verità, guidati da principi di ordine etico anch’essi da ripensare, leggere le peripezie umane senza dover ricorrere all'ombrello del padre edipico, senza sovrainterpretare l’esistenza con categorie preconfezionate.

Napoli, 18.12.2010

 

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