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I.S.A.P. - Istituto di Studi Avanzati in Psicoanalisi
Giampaolo Lai, L'eternità sulla Piazza del Mercato

Recensione di Sergio Marsicano


Ho per la prima volta incontrato Giampaolo Lai attraverso il libro Gruppi d’apprendimento. Frequentavo allora Psicoterapia Critica di Enzo Morpurgo, negli incontri di psicoanalisi freudiana che si svolgevano nella sala degli Affreschi dell’Umanitaria di Milano, gremita di 100-150 tra psicoanalisti, psicologi, insegnanti, medici, infermieri, filosofi. A metà degli anni ’70, durante un seminario sul primo colloquio, ho conosciuto personalmente Lai, psicoanalista della Società Svizzera di Psicoanalisi.

Alcuni anni dopo ci siamo incontrati di nuovo e dalla fine degli anni ’80 abbiamo periodicamente confrontato il nostro pensiero, ciascuno dei quali prodotto da percorsi culturali differenti.

Lai e Morpurgo avevano in comune, con altri studiosi del pensiero di Freud come Franco Fornari o Jacques Lacan, la convergenza sul paradigma linguistico, che consentisse d’avvicinare le letture disomogenee delle manifestazioni mentali, da parte delle varie scuole psicologiche.

Per questi psicoanalisti, il denominatore comune delle espressioni psichiche è il linguaggio, e le espressioni sono riconoscibili per mezzo di forme prodotte da stampi differenti che modellano la comune sostanza semiologica. Ne sono sortiti esiti importanti che hanno generato scuole diverse nella tecnica, ma tutte con lo stesso obiettivo: leggere i comportamenti umani come si legge un testo.

In tale sistema di coordinate, Lai produce il Conversazionalismo su cui fonda la ricerca effettuata dalla fine degli anni ’80 con i suoi allievi, riuniti nell’Accademia delle Tecniche Conversazionali. Dopo Gruppi d’apprendimento, lo sviluppo del suo pensiero si è snodato attraverso parecchi i libri: da Le parole del primo colloquio (1976) a La conversazione felice (1985), da Disidentità (1988) a Conversazionalismo (1993).

Con L’eternità sulla Piazza del Mercato, Lai produce una sintesi innovativa della sua esperienza e ricerca, arricchendo il campo descrittivo per mezzo di un’allegoria che si propone d’incidere profondamente sul modo di leggere lo scambio linguistico tra due menti e sul modo di valutarne l’andamento da un punto di vista clinico.

Nel libro, i messaggi tra analizzando e analista sono descritti al di là d’un metaforico scambio, che disveli la scena primaria del là e allora, ripristinando il benessere nel qui e ora di chi sta male. La conversazione assume un valore allegorico intrinseco e sostanziale: il commercio di parole. Le comunicazioni tra analizzando e analista sono descritte come “mercato bilaterale di parola … scambio di beni di parola tra due mercanti, convenuti sulla Piazza del Mercato di Parola nelle funzioni rispettive di compratore e di venditore. Il compratore va alla Piazza del Mercato di Parola [lo studio del professionista] spinto da un debito, da una mancanza, da un male.” Egli spera che la Parola del venditore estingua il debito, colmi la mancanza, bonifichi il male o gli consenta perlomeno di comprendere di che si tratta. Se lo scambio va bene, “il mercato è felice”, in quanto i due mercanti ci guadagnano, in altri momenti più frequenti va male, in quanto essi hanno l’impressione di perderci. La perdita catastrofica consiste nell’afasia, in un crollo della borsa di parole, nella fuga dalla Piazza del Mercato (l’interruzione che per Freud era minacciata dal transfert negativo, che spazza via la guarigione come foglie al vento).

Il professionista-venditore offre “beni di parola che incontrino la speranza di guadagno del paziente-cliente-compratore. Le transazioni sono applicabili, fuori dal campo della psicoterapia, alle “professioni conversazionali, psicoanalitiche, giuridiche, forensi, retoriche e prendono le forme d’interpretazioni, suggerimenti, ingiunzioni, domande, somministrazioni d’autobiografia, metafore, paragoni. Nel loro insieme sono accasate nel campo degli incentivi… forme dei beni di parola lanciati dal venditore in occasione del bad trade [il mercato che va male], per contrastare la stagnazione di mercato, per scongiurare un crollo di mercato e il suo abbandono”.

Nel libro, viene sviluppata la teoria generale del Mercato di Parola e poi le situazioni che si possono verificare durante la transazione. 27 esempi registrati e trascritti corredano le elaborazioni teoriche.

Appaiono evidenti gli elementi di un andamento in atto da decenni, diretti a contenere ed evitare le derive spiritualiste, esito di categorie freudiane sottratte al paradigma linguistico psicoanalitico. Freud affermava che gli agenti deformanti le criptiche espressioni del sogno e della nevrosi sono: la simbolizzazione, la rappresentazione, la condensazione (metonimia) e lo spostamento (metafora). Contemporaneo di F. de Saussure, Freud coglieva la distinzione tra i percorsi del significante e del significato, descrivendo la prima topica per mezzo di paradigmi linguistici del campo verbale. Solo con la seconda topica, egli rimedia all’incomprensibilità delle manifestazioni mentali non espresse in un codice verbale condiviso, e così apre al lavoro di psicoanalisti come M. Klein, W. R. Bion, J. Lacan. Questi ultimi sembrano beneficiare del lavoro critico di un linguista continuatore di F. de Saussure, L. Hjelmslev, che sostituisce la distinzione significante-significato col campo quadrifattoriale sostanza-forma-espressione-contenuto, che apre alla comprensione di una possibilità di traslare forme dell’espressione da una sostanza a un’altra, a parità di significazione.

Il lavoro esposto nel libro di Lai si attiene ai riferimenti della prima topica freudiana, al campo del registro simbolico, dominio del logocentrismo. Il Conversazionalismo è in particolare utile per professionisti che parlano spesso per esternazione vocale dei propri pensieri senza “ascoltare” il cliente. In tale modo, i loro messaggi sono spontanei e non sono l’esito di una riflessione, come accade invece se l’“ascolto” dell’altro è empatico. L’allegoria del Mercato di Parola può essere pertanto utile per raffigurare i limiti di una logorrea autocentrata e usata a volte, come afferma Lai, da avvocati, medici, manager non formati all’“ascolto”, la cui parola viene da loro vissuta come un bene necessario agli ascoltatori, in assenza di un adeguato ascolto dell’altro.

Le derive americane della psicologia dell’io hanno prodotto nel registro simbolico la perdita della struttura dell’inconscio ed è decaduta la sua funzione nella formazione delle espressioni umane. Stesso destino hanno subito le pulsioni, che nella psicologia dell’io e nel cognitivismo hanno perso la funzione propulsiva che avevano in Freud.

L’inconscio freudiano e il registro immaginario pongono però interrogativi a una comunicazione terapeutica, descritta da Lai usando come struttura portante quella dell’economia. Sottolineo che i rapporti economici di produzione e commercio sono cambiati nel tempo. Il marketing ha ribaltato, da metà del ‘900, il rapporto economico tra produzione e consumo. Fin a prima della II guerra mondiale, si vendeva il prodotto, mentre dal dopoguerra in poi le tecniche di marketing hanno permesso un notevole aumento dei profitti, per mezzo di un ribaltamento che ha portato a produrre ciò che si sarebbe poi dovuto vendere. Questo ribaltamento diminuiva le scorte e i rischi di non “piazzare” le merci prodotte. Prima di questo cambiamento del rapporto tra produzione e vendita i venditori erano definiti infatti “piazzisti”. Tale ribaltamento ha psicologicizzato il mercato, poiché s’è resa necessaria l’individuazione del bisogno del mercato. O la sua induzione tramite tecniche suggestive pubblicitarie suggerite da ricerche di mercato, per definire le proprietà immaginarie attraverso cui il mercato avrebbe assorbito un prodotto reale, individuato dai consumatori potenziali come soddisfazione del bisogno.

Parafrasando M. McLuhan, le menti individuali sono state asservite agli interessi del produttore-venditore di beni (spesso anche possessore dei mezzi per comunicare, a differenza del consumatore che è privo di questi mezzi). La ricerca riguardante i bisogni da soddisfare, se realizzata in modo eticamente corretto, avrebbe potuto non produrre nefaste conseguenze, ma la rapacità umana ha trasformato in giungla pericolosa il campo dei bisogni, come i recenti avvenimenti dei mercati globalizzati hanno mostrato.

L’inversione produzione-vendita ha generato effetti importanti, illudendo inizialmente che la produzione sarebbe stata venduta come conseguenza dell’individuazione a priori degli oggetti del bisogno-desiderio (non più oscuro). Il venditore diventava l’esploratore del territorio dei bisogni del cliente, per mostrargli che il proprio prodotto soddisfaceva le necessità del cliente (indotte dalla pubblicità). Le parole del venditore, beni di cui il cliente abbisognava per essere felice, incentivavano questi a comprare.

Ben presto questa strategia di marketing ha però presentato difficoltà, poiché solo in alcuni casi il cliente aveva effettivamente un bisogno insoddisfatto, cosicché le tecniche di vendita sono sempre più diventate tecniche di suggestione per far sorgere un bisogno là dove altro non c’era, se non il pozzo senza fondo del desiderio insoddisfatto (e insoddisfacibile in sé, come mostra l’escalation consumistica).

Il venditore usava parole appropriate per far breccia nella diffidenza dei clienti e per far loro credere che si prendeva cura del loro benessere, mentre dal successo o insuccesso dell’operazione dipendeva invece il benessere, economico o narcisistico, del venditore. Nell’atto di vendita, in altri termini, è in gioco innanzi tutto il desiderio-bisogno del venditore.

Gli incentivi per il cliente erano simbolici, mentre gli incentivi per i venditori erano parte della loro remunerazione e della possibilità di carriera (i venditori bancari dei bond Parmalat insegnano).

Il rischio è quindi esito di un doppio ribaltamento, che riporta l’attivismo del venditore a quello tradizionale del piazzista: sedurre con le proprie comunicazioni verbali e metaverbali il cliente, al fine di realizzare la vendita da cui il produttore ricavava profitto mentre il venditore ne ricavava mezzi per la propria sopravvivenza (materiale o narcisistica).

Se passiamo dall’economia alla psicoterapia le parole dello psicoterapeuta godono di un’aspettativa del paziente-cliente come fossero la medicina che guarisce o che rende felici.

Quindi, l’allegoria usata da Lai del mercato di parole trasla le condizioni del mercato (oggi capitalista e globalizzato) in un settore - la psicoterapia - che per struttura e per etica non assomiglia a una compravendita.

Due esempi descrivono pro e contro di questa situazione. Il primo riguarda un sondaggio anonimo condotto alcuni anni fa dall’American Psychoanalytic Association tra i propri membri. Tra le altre domande, si chiedeva se lo psicoanalista si fosse mai trovato in difficoltà personali economiche, al punto d’evitare interpretazioni opportune, per timore di produrre un transfert negativo col rischio di far interrompere l’analisi al paziente. L’8% aveva risposto affermativamente. Nei termini dell’allegoria del Mercato, esiste il rischio che gli incentivi del professionista al fine di determinare le proprie parole risultino più importanti dell’obiettivo di aumento del benessere dei clienti.

Il secondo concerne sempre il transfert negativo del paziente e una definizione del rifiuto del paziente schizofrenico fornita da G. Benedetti. Il rifiuto è l’espressione del transfert negativo dello psicotico, che non è tuttavia un modo per interrompere il rapporto con l’analista ma il suo unico modo di attuare un legame con lui. Rifiuto, oppositività, come legame e non come rottura. Benedetti affermava che, per lavorare nelle psicoterapie con schizofrenici, è a volte necessario che lo psicoanalista si cali nell’immaginario dello psicotico, stando però ben attento a restare saldamente aggrappato al reale. Lasciarsi, cioè, un po’ invadere dal modo psicotico di porsi del paziente, consapevole che il ribaltamento dei ruoli produce nello schizofrenico un sollievo, un avvicinamento all’analista ponendovisi accanto, anche se marcato da una temporanea invasività ed emotività oppositiva. Nei termini del lavoro di Lai, esiste un consistente rischio che le parole denotino qualcosa che non riescono a esprimere, se l’attenzione del professionista è fissata sul canale comunicativo verbale.

Entrambi gli esempi incidono poco sul percorso di ciascun professionista indicato da Lai, dal medico all’avvocato, dal docente al conversante. Invece per lo psicoterapeuta, anche non di scuola psicoanalitica, ciò può rappresentare un serio ostacolo nel percorso di cura., Cura intesa sia come prendersi cura che come guarigione. Gli elementi in cui si nascondono tali marcatori sono di natura metaverbale, che il campo dell’inconscio percorso dalle anarchiche e irrefrenabili pulsioni contiene.

Ma ciò apre il campo agli studi dell’Accademia Conversazionale e dà forse appuntamento in una prossima Piazza del Mercato ove bad trades e good trades siano esterni al principio di non contraddizione, nel senso che possono coesistere se non coincidere, e ove gli incentivi siano orizzonti sorti nel paziente, baluginando penombre di speranza nelle oscurità disperate dell’insoddisfazione pulsionale.

Il libro è un serio sforzo nella direzione di fornire un campo dello studio scientifico delle comunicazioni umane, particolarmente della comunicazione da parte di quella popolazione che fa uso della parola secondo una modalità stereotipata, vuota, autocentrata. La questione è stata sollevata innanzi tutto da Freud e ogni psicologo si impegna seriamente a cercar di produrre un ordine trasmissibile, seppur a livello strutturale e non contenutistico, dei messaggi comunicativi. In questo lavoro non si può che partire dalle parole, perché la cultura occidentale vede nel logos l’elemento creativo delle cose. Esiste tuttavia un complesso campo pre-logos che non è caos, ma ordinata anarchia, secondo codici che non rispondono all’ordine verbale. Anche Freud se ne era accorto, passando alla formulazione della seconda topica, il che non squalificava la prima topica, ma ne sanciva la funzione di apertura.


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