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I.S.A.P. - Istituto di Studi Avanzati in Psicoanalisi
Le strutture narrative possono influenzare le opinioni politiche e sociali?

Stefano Di Pietro


L’influenza della comunicazione politica nelle scelte elettorali è al centro di un dibattito che chiama in causa varie discipline e approcci al problema. Lakoff e Johnson s’inseriscono in questa problematica coadiuvando in maniera nitida un approccio in se stesso multidisciplinare proprio perché l’uno linguista e l’altro filosofo. Queste due anime possono essere, unitamente alle scienze cognitive e della mente, strumento efficace per entrare nel problema. Nel mio intervento partendo proprio da queste teorie, cercherò di chiarirne brevemente alcuni dei motivi chiave per poi, esponendo alcuni dei risultati recenti della psicologia sperimentale, cercare di dare una risposta al problema che è poi titolo di questo breve intervento.

Parole-chiave: Lakoff; Metafora; Filosofia; Linguaggio; Comunicazione; Politica; Frames; Narrazioni

Introduzione

Questo intervento si argomenterà in tre parti. Non mi dilungherò sulle teorie che hanno preceduto in ambito filosofico e linguistico la teoria del linguista e scienziato cognitivo George Lakoff, docente a Berkeley, come quelle di Aristotele, Richards e Black (solo alcune delle fonti citate dall’autore). Mi basterà dire che Vico e la nozione di ‘campo metaforico’ del linguista tedesco Weinrich sono contributi imprescindibili in cui si può rinvenire una concezione della metafora affine a quella di Lakoff.

Dunque comincerò dalla teoria della metafora concettuale nel libro Metaphor we live by, tradotto col titolo italiano di Metafora e vita quotidiana, cercando di contestualizzare questo lavoro molto noto e discusso dagli anni ’80 ad oggi, e poi, attraverso una panoramica molto sintetica, giungerò agli studi recenti di Lakoff con un focus particolare su quelli in ambito politico, mio interesse di ricerca primario.

Nella terza e ultima parte, attraverso i lavori di Lakoff ma anche di altri studiosi, cercherò di rispondere alla domanda che è il titolo del mio intervento: le strutture narrative possono influenzare le opinioni politiche e sociali?

  1. Le metafore in cui viviamo

    1. 1. Il contesto di studi di Lakoff

Il contesto di formazione di Lakoff (nato nel 1941) si situa nel periodo in cui si procede al trasferimento del modello dominante della comunicazione, quello di Shannon e Weaver (Shannon 1949), noto anche come modello ingegneristico della comunicazione, a contesti diversi. Questo approccio alla comunicazione, che consisterebbe non tanto nell’elaborazione dei significati quanto alla efficacia della loro veicolazione vede, seguendo la distinzione morrisiana, semantica e pragmatica come fasi logicamente distinte.

Questa concezione, pure se pienamente legittima all’interno del contesto di formazione della teoria, finalizzata a ottimizzare processi ingegneristici, “diventa altamente problematica non appena la teoria venga allargata a sistemi di comunicazione complessi, in primo luogo alle lingue storico-naturali” (Gensini 2008). In questo contesto acquisisce un valore particolare il lavoro di Chomsky, che ne fa suoi i presupposti teorici.

George Lakoff, allievo di Chomsky, si inserisce e acquista un ruolo di rilievo tra coloro che mettono in dubbio questo modello e propongono un paradigma alternativo, proposta che muove da tre obiezioni principali: questo modello

a) si basa su una concezione rigida del codice, che invece non è riducibile a un elenco di corrispondenze fra significanti e significati

b) si basa su una visione omologante e astratta del rapporto fra mittente e destinatario (di qui l’imputazione di linearità);

  1. È incapace di dare conto di fenomeni linguistici specifici come l’ironia e la metafora.

    1. 2. Lakoff nel contesto delle Scienze Cognitive e del linguaggio degli anni ’70

Il distacco di Lakoff dal paradigma allora dominante procede attraverso lo studio di alcuni risultati delle scienze cognitive che saranno parte integrante della disciplina della linguistica cognitiva e della sua teoria più nota della metafora concettuale.

Lo studioso di Berkeley fa particolare riferimento a vari studi: i) la teoria della frame semantics di Charles Fillmore, ii) la nozione di Image Schema di Leonard Talmy e altri, iii) i risultati sperimentali sulla percezione dei colori di Paul Kay, iv) la categorizzazione a livello di base e lo studio sulle categorie prototipiche di Eleanor Rosch e la teoria dei mental spaces di Gilles Fauconnier.

Inoltre, per comprendere la teoria della metafora concettuale di Lakoff risulta utile accennare a un saggio di Michael Reddy uscito nel ’79, a cui Lakoff fa spesso riferimento.

Michael Reddy prende spunto da un articolo di Donald A. Schon, che afferma che nei contesti sociali l’utilizzo di metafore, che lui chiama generative metaphors, possono provocare una sorta di miopia cognitiva, enfatizzando alcuni aspetti di una situazione e opacizzandone altri.

Partendo da questo assunto, Reddy cerca di dimostrare che esiste una sorta di “concettualizzazione metaforica condivisa” della comunicazione: la metafora del condotto (conduit metaphor) ravvisabile in espressioni come: “mi hai dato quell’idea”, “le tue parole arrivano diritte al cuore”, ci spinge a concepire la comunicazione come un “condotto”, attraverso il quale vengono passati degli oggetti (le parole) che viaggiano da un destinatario ad un altro.

Da questa concezione deriverebbero delle implicazioni, come ad esempio che la comprensione venga concepita come un processo che difficilmente fallisce, consistendo metaforicamente in un “passaggio di oggetti”. Sappiamo bene che spesso non è così.

Nello stesso 1980 Lakoff, insieme al filosofo americano Mark Johnson, dà una prima teorizzazione della concezione della metafora concettuale in Metaphor we live by: questo lavoro, completato in soli tre mesi, pur avendo grande valore, a volte risulta carente in precisione e chiarezza, come ammette lo stesso Lakoff.

  • 1.3. Lakoff & Johnson: Metafora e vita quotidiana

Attraverso l’analisi di centinaia di espressioni della lingua inglese, Lakoff trova l’evidenza empirica della pervasività e della pregnanza delle espressioni metaforiche all’interno del linguaggio ordinario, cosa che lo porta a sostenere che “la maggior parte del nostro sistema concettuale è di natura metaforica”. Le espressioni metaforiche da lui individuate possono essere inserite in un determinato “Concetto Metaforico” dotato di una sua struttura sistematica. Pensiamo al concetto “discussione” e alla metafora concettuale “La discussione è una guerra” ravvisabile in espressioni quali:

‘Le tue richieste sono indifendibili

‘Egli ha attaccato ogni punto debole nella mia argomentazione’

‘Egli ha distrutto tutti i miei argomenti’

“La discussione – scrive - è parzialmente strutturata, compresa, eseguita e definita in termini di guerra. Il concetto è strutturato metaforicamente, l’attività è strutturata metaforicamente, e conseguentemente il linguaggio stesso è strutturato metaforicamente”

Un esempio particolarmente chiaro è quello delle metafore di orientamento. Espressioni come: “Mi sento su di morale”, “Mi sento sollevato”, “Tocco il cielo con un dito” etc. sono relative a una mappatura tra la dimensione emotiva e quella spaziale che deriva “dalla costruzione stessa del nostro corpo e del suo funzionamento nell’ambiente fisico che ci circonda”.

Concetti metaforici quali: “La felicità è su” e “la tristezza è giù” e “la sua salute sta declinando” sono legati a una base esperienziale e culturale, infatti le malattie gravi ci costringono a sdraiarci, e quando si è morti si è fisicamente nella posizione giù.

Inoltre, la metafora ontologica “l’inflazione è un’entità”, ravvisabile in espressioni quali:

‘Abbiamo bisogno di combattere l’inflazione’

è per noi molto utile poiché “ci permette di riferirci ad essa, di quantificarla, di identificarne un determinato aspetto, di considerarla come una causa, di agire rispetto ad essa, e forse persino di credere che riusciamo a capirla”.

Questo tipo di metafore servono per la nostra interazione efficace con il mondo, attraverso mappature concettuali che connettono oggetti reali e concreti con concetti astratti, queste metafore rendono possibile la loro “manipolazione” a livello concettuale.

2. I concetti chiave per una teoria della metafora concettuale

    • 2.1. Embodiment

La base del nostro sistema concettuale, in cui si iscrive una teoria della metafora così intesa, viene strutturata da una interazione costante tra esperienza e cultura. Si parte dalla comprensione dei concetti più semplici, chiari e tangibili e si giunge alla complessità dei concetti astratti; dalle relazioni spaziali, come l’orientamento “su-giù” alle emozioni più articolate.

[d]al momento che vi sono sistematiche correlazioni fra le nostre emozioni (come la felicità) e le nostre esperienze senso-motorie (come la posizione eretta), queste formano le basi dei concetti metaforici di orientamento (come contento è su).

    • 2.2. Teoria dei frames

Nel contesto del lavoro di Lakoff è importante la teoria dei frame semantici di Charles Fillmore, uno dei maggiori esponenti della Linguistica Cognitiva, di cui Lakoff fa ampiamente uso.

Un frame è uno schema funzionale alla comprensione di un termine, uno strumento di rappresentazione che permette di integrare i dati provenienti dalla conoscenza del mondo con la conoscenza puramente linguistica, rimandando a una struttura complessa e coerente di concetti collegati tra loro.

Un esempio noto dato da Fillmore è quello del frame del “commercial event”. Attraverso esso risulta possibile comprendere il significato di molte singole espressioni, come “vendere qualcosa”, “comprare qualcosa, “venditore”, “compratore”, “bene”, “valore monetario” e tante altre. Nessuno di questi concetti ha significato al di fuori del frame della “transazione economica”.

Di fondamentale importanza è che ogni volta che un frame è evocato nella mente, tutti i suoi elementi vengono attivati automaticamente come parte del significato. Evocando l’idea “compratore”, automaticamente e non riflessivamente si richiama alla mente l’idea “venditore”, “bene”, etc. Il frame però non permette la comprensione univoca di un determinato concetto, ma sottende una struttura che porta più che altro ad una “specifica interpretazione”. La teoria del frame semantics, infatti, non spiega solo come il linguaggio viene compreso, ma illustra alcune delle motivazioni principali per cui a volte la comprensione non è possibile.

3. Sviluppi recenti

    • 3.1. NTL (Neural Theory of Language)

La teoria della metafora concettuale negli anni ’90 inizia a prendere corpo all’interno di una “teoria neurale del linguaggio” che riceve spinta dalla fondazione dell’ NTL group (Neural Theory of Language) a seguito dell’arrivo a Berkeley nel 1988 di Jerome Feldman, studioso di Sistemi Computazionali e Scienze cognitive, che insieme a Lakoff ha formato un gruppo di ricerca all’ICSI (International Computer Science Institute).

Tra le evoluzioni principali della teoria vi è l’abbandono della tassonomia originale, in cui Lakoff comprendeva metafore strutturali, ontologiche e di orientamento etc. in virtù di una distinzione semplice tra Primary metaphors e Complex metaphor. Le prime si sviluppano nei primi anni di vita su base naturale, e le seconde si sviluppano a partite dalle prime attraverso forme convenzionali e culturali.

Un altro contributo importante alla teoria è stato dato da Naryanan, Regier e Felman stesso, attraverso la creazione di modelli computazionali dell’acquisizione del linguaggio e della comprensione delle metafore concettuali. In questa prospettiva Lakoff, insieme al gruppo del’NTL, ha suggerito che la formazione di una metafora primaria in corrispondenza con l’esperienza corporea possa creare un binding neurale, seguendo il noto Hebbian Principle, il quale poi si stabilizza nella mente e diventa una struttura costante anche in età adulta.

Non mi addentro in un ambito che non è di mia competenza, per un approfondimento di questo punto consiglio di consultare il sito: http://www.icsi.berkeley.edu/projects/ai_p.html

    • 3.2. Evidenze sperimentali

Negli ultimi anni si sono moltiplicate le evidenze sperimentali della teoria di Lakoff. In particolare due studi risultano particolarmente interessanti.

In un articolo recente uscito sulla rivista Science, in tre studi diversi, Chen-Bo Zhong and Katie Liljenquist (2006) hanno evidenziato l’esistenza di quello che hanno chiamato “Macbeth effect”, ovvero il sorgere del bisogno di pulizia fisica in relazione alla sensazione di sentirsi colpevoli di azioni immorali. Questi due domini concettuali risultano essere connessi nella teoria di Lakoff dalla metafora: “La Moralità e pulizia”.

Nel primo studio gli psicologi chiedevano ai partecipanti di ricordare mentalmente un’azione corretta dal punto di vista etico, oppure una che consideravano immorale e di descrivere emozioni e sensazioni provate in quel momento.

Di seguito gli veniva fornito un foglio e gli si chiedeva di completare delle parole che avevano delle lettere mancanti. I partecipanti che avevano ricordato un’azione immorale tendevano a riempire gli spazi mancanti formando parole dal significato afferente al concetto di pulizia; ad esempio, da W - SH, essi tendevano a scrivere wash (pulire) piuttosto di wish (desiderio/desiderare).

In un secondo esperimento veniva chiesto ai partecipanti di scrivere o una storia in cui avevano aiutato un collega o una in cui lo avevano danneggiato, dopo gli veniva chiesto di mettere in ordine di preferenza una serie di prodotti. Anche in questo caso una forte maggioranza di quelli che avevano descritto una operazione immorale situavano gli oggetti relativi alla pulizia come sapone, detersivo etc. nelle posizioni più alte.

Nel terzo studio, dopo aver indotto attraverso una simulazione lo stato precedente, veniva chiesto ai partecipanti di scegliere tra una salvietta antisettica e una matita come souvenir e piccola “ricompensa” per essersi sottoposti all’esperimento. In questo caso il 67% delle persone che avevano descritto un’azione non etica sceglievano la salvietta, contro solamente il 33% di coloro che avevano pensato a un’azione etica.

Inoltre i due ricercatori hanno cercato di indagare se l’effetto della pulizia delle mani potesse avere qualche riscontro nel bisogno di redimersi dei partecipanti che avevano ricordato un’azione non etica simulando una richiesta di aiuto per studiare le reazioni dei partecipanti. Dopo aver fatto pensare a un’azione non etica, si dava il permesso ai partecipanti di lavarsi le mani e al loro ritorno, fingendo che l’esperimento fosse concluso si chiedeva se fossero disponibili ad aiutare un dottorando in difficoltà che aveva bisogno di volontari per un esperimento. Il 74% di quelli che non si erano lavati le mani era disponibile ad offrire aiuto gratuitamente, contro il 41% di coloro che non lo avevano fatto, suggerendo quindi l’evidenza di un effetto retroattivo della pulizia fisica sulla percezione morale del sé.

    • 3.3. Mente Politica

Se confrontiamo questi risultati con l’utilizzo del linguaggio e delle metafore in ambito politico, il risultato sembra essere devastante. L’utilizzo di determinati frames e metafore nel linguaggio politico infatti può influenzare la percezione della realtà e quindi influenzare fortemente le scelte di voto; in effetti, le metafore concettuali sono in grado di “condensare significato” e richiamare strutture cognitive che, dice Lakoff, “lanciano un segnale al cervello” in grado di convincere e influenzare l’elettorato.

In ambito politico infatti vengono utilizzate strutture narrative complesse chiamate da Lakoff cultural narratives, in cui frames e metafore sono scientemente orientati. In questi contesti narrativi infatti i personaggi della politica diventano attori di una storia che risulta credibile proprio perché appare parte di una narrazione spesso eroica che riesce a giustificare un’azione, nascondendo il reale svolgersi degli eventi sotto il pathos narrativo.

La politica infatti, secondo Lakoff, è una battaglia in atto al fine di convincere e a volte anche modificare la “mente politica”.

Tra i vari studi, risulta particolarmente interessante uno dei più recenti (Landau, Sullivan, Greenberg, 2009). In questo lavoro gli studiosi hanno effettuato alcuni esperimenti per testare la differenza nel potere persuasivo di un messaggio se veicolato attraverso espressioni metaforiche oppure con l’utilizzo di espressioni letterali.

In particolare, i ricercatori si sono concentrati sulla concettualizzazione di “Nazione” che risulta essere connessa da una metafora corporea attraverso la mappatura “Nazioni come corpi fisici”, ipotizzando, seguendo la struttura inferenziale della metafora, che la posizione sulla tematica dell’immigrazione possa essere connessa nel nostro sistema concettuale alle influenze esterne che può subire il corpo (ad esempio virus o agenti patogeni).

Per testare questa ipotesi gli studiosi hanno fatto leggere un articolo riguardante la politica interna in cui si descriveva la Nazione all’interno del framing metaforico della “Nazioni come Corpi” e all’altro gruppo invece attraverso espressioni letterali.

Poi si chiedeva di leggere un articolo d’informazione scientifica che parlava di batteri e un gruppo doveva leggerne uno in cui ci si riferiva ai batteri come presenti nell’aria ma assolutamente innocui mentre un altro gruppo doveva leggerne un altro in cui si sottolineava la pericolosità di essi per la salute del corpo. Alla fine i partecipanti dovevano indicare la loro posizione sui temi dell’immigrazione e sul salario minimo. Come risultato una grande maggioranza di quelli che erano nel gruppo in cui i batteri erano indicati come pericolosi erano maggiormente contrari “all’apertura delle frontiere” rispetto a quelli che invece erano nell’altro gruppo.

Il fenomeno si presentava solamente per quelli che si trovavano nel gruppo in cui la Nazione veniva descritta come corpo umano secondo la mappatura “Nazioni come Corpi” e non quando si utilizzava un linguaggio letterale.

Il potere d’influenza del linguaggio così inteso risulta evidente. L’utilizzo di metafore concettuali, richiamando strutture presenti nella nostra mente, può modificare fortemente l’orientamento dell’elettorato su determinate posizioni.

Questo mette in luce certamente la responsabilità che la politica ha nei confronti dell’elettore, e quanto sia importante che i mezzi d’informazione lascino spazio a tutte le parti politiche in modo paritario. L’influenza del linguaggio infatti è forte, molto spesso impossibile da evitare, se si ha una forte esposizione mediatica; come dice Lakoff, “non esiste una comunicazione che sia neutrale”.

Un esempio particolarmente significativo utilizzato da Lakoff è la strategia utilizzata da George Bush Senior per giustificare la necessità della guerra del Golfo:

“[p]er giustificare la Guerra del Golfo, George Bush Senior provò a proporre lo schema dell’autodifesa: Saddam “stava minacciando di toglierci il petrolio che per noi è di vitale importanza”. Gli americani non ci credevano. A quel punto trovò la soluzione vincente, usò lo schema del salvataggio: dovevamo difendere il Kuwait dall’aggressione” irachena. Questa scusa funzionò, ed è ancora la giustificazione più comune per quella guerra”.

In questo caso Bush utilizzò una metafora concettuale ben precisa, simile a quella che abbiamo citato in precedenza, ovvero della “Nazione come Persona”.

Da questa mappatura metaforica la persona che rappresentava la Nazione era posta all’interno di una narrazione complessa e ben presente nella mente degli elettori americani: l’eroe che deve salvare la vittima innocente. Le parole utilizzate nel dibattito pubblico in relazione all’invasione del Kuwait da parte degli Iracheni erano coerenti con questa narrazione: “kidnap” (rapimento) o anche addirittura “rape” (stupro).

Grazie a questa narrazione si generò una forte spinta empatica verso la nazione del Kuwait, per cui l’America, se voleva “rispettare il suo ruolo” (l’eroe), doveva salvare il Kuwait (vittima innocente) dal cattivo (Saddam Hussein). Nel ’91 il consenso del popolo americano alla guerra del Golfo si aggirava tra il 75% e l’80%1.

Attraverso la struttura dei frames, le narrative culturali e le metafore la realtà può essere cancellata mentre i frames rimangono. Per citare Lakoff potremmo dire: “Le metafore sono ovunque”, e quelle politiche, in particolare “possono uccidere”.

 

Bibliografia

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1 Supporto alla guerra del golfo (1991) ABC News: 75% http://abcnews.go.com/US/story?id=90427&page=1

Gallup (società di management consulting, human resources and statistical research services) 80%

http://www.gallup.com/poll/8122/Blacks-Show-Biggest-Decline-Support-War-Compared-1991.aspx




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