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C.P.A.T. --> HOME PAGE --> N. 40/2003

QUADERNI DI PSICOLOGIA,
ANALISI TRANSAZIONALE
E SCIENZE UMANE

Dal n° 40 - 2003


Editoriale

Simone Filippi


Scrive Marie Cardinal:

Il dottore sta chiaramente aspettando che mi decida a parlare.
«Dottore, sono malata da molto tempo. Sono scappata da una clinica per venire da lei. Non ce la faccio più a vivere.»
I suoi occhi mi fanno capire che mi sta ascoltando, che devo andare avanti.
Prostrata com’ero, rinchiusa com’ero nel mio universo, come facevo a trovare le parole che sarebbero passate da me a lui? Come facevo a gettare un ponte tra l’agitazione e la calma, il chiaro e l’oscuro, come facevo a saltare la fogna, il fiume straripante di materia in decomposizione, la corrente maligna della paura che ci separava, me da lui, me dagli altri?
(Marie Cardinal, Le parole per dirlo, Bompiani 1975).

Con questa vibrante descrizione Marie Cardinal rammenta il primo incontro della sua vera analisi e con esso il proprio dolore e la ricerca affannosa delle parole per renderlo comprensibile.
Ho scelto questo frammento perché la voce narrante rappresenta simbolicamente la voce di ogni persona che si reca “dal dottore” con un personale fardello di paure e dolori e perché trovando “le parole per dirlo” l’autrice, come ciascuna persona, crea quel ponte necessario ad avvicinarci al suo unico, originale modo di essere. Emerge così una voce, la parola di chi si trova dall’altra parte dello spazio terapeutico.

Parole come opportunità di comunicazione e contatto che ritornano nel contributo di Dolores Munari Poda, insieme a invenzioni, costruzioni, disegni.
Con la consueta prosa poetica Dolores rappresenta la struttura e l’esperienza viva del primo incontro con il bambino Fitzcarraldo, voce solista di un’orchestra polifonica composta da genitori, parenti, insegnanti e altre figure minori. Oltre a offrirci la storia di un incontro unico e della sua successiva evoluzione, l’autrice conduce il lettore a individuare le linee guida estendibili a ogni inizio di rapporto terapeutico con un bambino e la sua famiglia.

Anna Fabbrini ci parla dei primi colloqui con gli adolescenti attraverso la forma originale di una intervista nella quale nulla tralascia del complesso mondo di questi giovani pazienti.
In primo luogo ricorda la necessità del contatto con l’interlocutore, attivato attraverso l’autenticità del rapporto terapeutico, per poi toccare con puntuale profondità l’esigenza di equilibrio tra teoria e prassi, della cura dei rapporti con i genitori e la flessibilità nel gestire i tempi degli incontri. Emerge inoltre la persistenza, a livello sociale e culturale, di una visione dell’adolescenza vissuta e pensata come periodo patologico da tollerare, versione svalutata dell’unicità creativa di questa stagione della vita, indotta da informazioni teoriche divulgate in modo superficiale e diffuse dai mass-media in modo ancor più privo di attenzione.

L’articolo di William Cornell, ancorché apparso sul TAJ diversi anni fa, mantiene inalterate le sue qualità di originalità, semplicità e chiarezza. Ancora, il filo conduttore che lega i contributi di questo «Quaderno», appare evidente, è l’attenzione alla realtà soggettiva di chi inizia un percorso personale di crescita e cambiamento.
Cornell, recuperando e valorizzando l’approccio fenomenologico berniano, tratteggia le tre funzioni fondamentali del colloquio iniziale: l’impegno e la collaborazione, la definizione del canone terapeutico (cosa succederà da ora in poi) e la valutazione dei punti di forza e delle difficoltà del cliente.
L’autore ribadisce con forza la necessità di instaurare una relazione fondata sulla reciprocità, sia attraverso brevi illustrazioni di colloqui reali, sia con indicazioni tecniche succinte ma precise.

Il mio personale contributo offre la semplice possibilità di addentrarsi nelle modalità concrete di lavoro che adottiamo presso il Centro di Milano durante i primi incontri con le coppie, dal primo contatto alla conclusione del colloquio iniziale.

Laura Pentimalli Vergerio apre la sezione dedicata al counselling descrivendo con le qualità del rigore e della fluidità la dimensione del primo colloquio come forma specifica di relazione, contestualizzandola nel rapporto di counselling.
Riesce, inoltre, a evidenziare i nodi intricati del passaggio da un lavoro di formazione con un gruppo d’insegnanti, alla consulenza breve individuale all’interno dello stesso setting; nodi che dipana utilizzando in modo preciso la metodologia contrattuale, del contratto e dell’okness.

Rossella Pedone, attraverso il racconto di un breve percorso di consulenza a una coppia di genitori e al loro bambino, che vede in un setting psicomotorio, condivide con il lettore l’esperienza personale, relazionale e professionale che la coinvolge dal contatto iniziale al raggiungimento dei primi obiettivi contrattuali.
L’autrice riconosce e descrive i fattori umani e gli strumenti tecnici che, passo dopo passo, emergono durante questa esperienza: elementi di controtransfert, tecniche del colloquio, modelli teorici analitico-transazionali che essa utilizza per dare senso alle diverse forme di realtà interpersonale che il setting del counselling contribuisce a far emergere.

Per lo spazio dedicato alla ricerca abbiamo scelto di tradurre un articolo di Roy Salole, apparso due anni fa sul TAJ.
In questo lavoro l’autore mette a confronto il copione come descritto in Analisi Transazionale e la teoria del piano del paziente di Joseph Weiss, allo scopo di individuare il grado di concordanza tra i due modelli relativamente alla formulazione dei casi clinici.
A prescindere dai risultati dello studio e dal rigore attraverso cui vengono tentate le traduzioni tra i differenti concetti delle due teorie, appare importante offrire l’opportunità di sollecitare riflessioni riguardanti l’esistenza di “concetti forti” che attraversano tutti i sistemi psicoterapeutici.

Le consuete “Linee di tendenza”, a cura di Dolores Munari Poda e Susanna Ligabue, ci informano sul convegno Nuovi disagi della civiltà, tenuto a Lavarone dall’11 al 18 luglio 2003, in cui sono stati esplorati i confini tra psicoanalisi, sociologia e antropologia alla luce degli odierni cambiamenti a livello sociale e culturale che coinvolgono le vite di noi tutti.
Il secondo evento riportato è il XLV corso internazionale di Alta Cultura, tenutosi a Venezia dal 20 al 27 settembre 2003 sul tema Infanzia, Mito, Culto, Consumo, evento a più voci interamente dedicato ai molti volti che il bambino offre alle varie discipline che di lui si occupano.
Infine, una breve descrizione del convegno Parlarsi tra analisti transazionali: radici comuni, prospettive diverse, tenutosi a Milano il 21 e 22 novembre 2003 e organizzato dalle Scuole di specializzazione in psicoterapia “Centro di Psicologia e Analisi Transazionale” di Milano e “Seminari Romani di Analisi Transazionale” di Roma.

Chiude il «Quaderno» la recensione di Simona Arminio al bel libro Il caso clinico di Nancy McWilliams, un lavoro che stimola il lettore alla ricerca e all’individuazione dei “focus” personali di attenzione che favoriscono la nascita e lo sviluppo della relazione terapeutica.

Ecco, avevo detto tutto.
Volevo parlare del sangue e invece ho parlato soprattutto della Cosa. Il dottore mi avrebbe mandato via? Non osavo guardarlo. Mi sentivo bene lì, in quello spazio angusto, a parlare di me stessa. Che fosse una trappola? L’ultima? Forse avevo fatto male a fidarmi di lui.
Disse: «Ha fatto bene a non prendere quelle compresse. Sono molto pericolose».
Sentii che tutto il mio corpo si stava sciogliendo. Provai un’immensa gratitudine per quel piccolo uomo. Forse esisteva una via tra me e qualcun altro. Magari fosse vero! Magari potessi trovare qualcuno che mi ascolti veramente!
(Marie Cardinal, ibidem)

Buona lettura.


DA PRINCIPLES OF GROUP TREATMENT

Il primo compito (del terapeuta) è quello di individuare queste aree (di trauma) e valutarne l’estensione in modo da evitarle fino a quando non sia giunto il momento di esplorarle ... Il secondo compito del terapeuta è quello di individuare le aree sane nella personalità di ogni paziente in modo da farle crescere e rafforzarne il potenziale ... Il terapeuta non cura nessuno, ma assicura il miglior trattamento possibile, facendo attenzione a non danneggiare e attendendo che la natura faccia il suo corso di guarigione. Non è questione di fingere umiltà, ma il fatto è che noi li trattiamo, ma è Dio che li cura. Quindi, nella pratica, “curare il paziente” significa “preparare il paziente perché la cura avvenga oggi”.


Eric Berne (1966), Principi di terapia di gruppo, tr. it. Astrolabio, Roma 1986.



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