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C.P.A.T. --> HOME PAGE --> N. 37/2002

QUADERNI DI PSICOLOGIA,
ANALISI TRANSAZIONALE
E SCIENZE UMANE

Dal n° 37 - 2002


Editoriale

Laura Pentimalli Vergerio


«Vivere poeticamente significa vivere intensamente la vita, vivere d'amore, vivere di comunione, vivere di comunità, vivere di gioco, vivere d'estetica, vivere di conoscenza, vivere nello stesso tempo di affettività e di razionalità, vivere assumendo pienamente il destino di homo sapiens-demens.»
(Edgar Morin, 2001)

Realizzare le virtualità cognitive, emotive operative e comportamentali inscritte nella persona.
Comprendere il linguaggio delle emozioni.
Comprendere la ricchezza, l'ambivalenza, le contraddizioni, la complessità della persona umana.
Comprendere che non possibile comprendere la complessità dell'individuo e delle relazioni umane frammentando, etichettando, separando, decontestualizzando.
Acquisire la consapevolezza delle illusioni semplificatrici, delle relazioni caratterizzate da sfruttamento reciproco.
Imparare a sognare e a non considerare oggettivo il soggettivo.
Sviluppare la coscienza delle interdipendenze.
Rendere costruttiva l'aggressività, ricercando la cooperazione tra saggezza e follia.
Andare al di là della paura, attraverso la poesia e l'estetica dei rapporti umani caratterizzati da amicizia, amore, intimità.
Pensiamo che queste siano le mete alle quali tende la relazione di counselling, in qualunque contesto. E pensiamo che il counselling abbia una funzione di altissimo valore: «Nell'attuale società multietnica e multiculturale, dove si rischia la disperazione dell'isolamento, l'incapacità di coniugare sviluppo psichico e crescita sociale, di opporre appartenenza a individuazione in un continuo rapporto conflittuale, occorre proteggere, mantenere, costruire spazi e luoghi dove sperimentare e imparare una modalità relazionale di scambio, di mediazione, di incontro, che garantisca l'integrità e il benessere di ogni persona e la sua crescita personale e/o professionale» (Ranci, 2002).
Il counsellor, nella sua funzione di "narratore di storie" (Farina Rossi) che facilita processi di decontaminazione, di ampliamento della visione del mondo e di ricerca di nuovi significati, pu "sostenere la speranza", come ama dire Anna Rotondo.
In se stesso, oltre che nella persona o nel gruppo di persone che chiedono aiuto psicologico.
Al fine di interrogarci sulle possibilità concrete di usare il counselling per imparare a "vivere poeticamente", in reciprocità, continuiamo il dialogo aperto dal numero 32/33 - 2001 dei «Quaderni di Psicologia, Analisi Transazionale e Scienze Umane», curato da Marina Farina Rossi, dal titolo Counseling.

Parlare di counselling contiene contributi teorici di Giampaolo Lai, Sandro Spinsanti, Laura Capantini, Cesarina Tresoldi, James R. Allen e Barbara Ann Allen, accanto a contributi esperienziali di Laura Vergerio Pentimalli, Stefano Morena e Roberta Gobbi. Contiene inoltre la consueta rubrica Linee di tendenza, idee, personaggi, occasioni, curata da Raffaele Mastromarino, Dolores Munari Poda, Emanuela Lo Re e Stefano Agnoletto, e una recensione di Rosangela Pesenti.
Poesie di Wislawa Szymborska, Jorge L. Borges e di Cioran, e brani tratti da L'identità umana di Edgar Morin accompagnano gli articoli, evidenziandone pensieri e suggestioni.

Giampaolo Lai, ne L'etica dei mondi possibili, ci conduce con sapienza ed eleganza lungo i sentieri del "divino che in noi": la parola. E lo fa ragionando su un fenomeno straordinario, il fenomeno dei salti da un mondo attuale ad uno o pi mondi possibili, osservato nel corso delle conversazioni terapeutiche professionali.
Lai ci aiuta a comprendere l'oggetto del suo argomentare con tre esempi di salto da un mondo attuale ad un mondo possibile e con la definizione molto precisa e documentata delle parole che compongono il titolo del suo articolo.
Per esplicitare l'accezione che intende dare ai singoli termini del titolo, ci accompagna in un «periglioso, ancorch appassionante viaggio nei mondi di Aristotele e del Vangelo di Giovanni».
Parole chiave per definire il termine "etica", secondo Aristotele e secondo Lai, sono: "virt", (intesa come perfezione in ogni sorta di essere, atto o funzione, dunque, per quanto ci riguarda, virt della buona conversazione) e "felicità" (da intendersi non come disposizione, ma come realizzazione, riferibile dunque anche alla frase ben formata).
Ogni essere umano tende alla felicità, alla realizzazione.
Ma, come essere felice, data l'onnipresenza del male nel mondo? Come difendersi dall'infelicità quotidiana e, in particolare, dall'infelicità conversazionale? Domanda squisitamente etica. Per Lai e per noi.
Secondo Aristotele, «L'eudaimonia, la felicità, il sommo bene» (Etica Nicomachea, 7. 109b22-23), e «il bene sommo un'attività dell'anima secondo virt» (Etica Nicomachea, 1. 7.109816).
Ci serve dunque dire cosa intendiamo per "anima".
Per Aristotele, l'uomo ha tre anime: l'anima vegetativa, condivisa con piante e animali, l'anima sensitiva, condivisa con gli animali, e l'anima intellettiva, esclusiva dell'uomo, il divino in noi. L'anima il principio primo per il quale viviamo, sentiamo e pensiamo.
Lai, discepolo geniale, va oltre il "maestro di color che sanno". Sostiene che «se è vero che la ragione e l'intelletto sono i cieli nei quali l'uomo ha disteso pi ampiamente di altri animali le sue ali, tuttavia, improprio dire che le funzioni mentali della ragione e dell'intelletto sono prerogative sue specifiche». Rileggendo Giovanni, 1, 14 («In principium erat Verbum et Verbum erat apud Deum et Verbum erat Deus»), con l'ottica del logico-linguista-transazionalista, egli riconosce il discrimine tra l'uomo e gli animali nella "Parola" e battezza, con l'aggettivo locutiva, quella che considera anima specifica degli umani. La felicità dunque «l'attività dell'anima verbale esercitata con eccellenza, cio una buona conversazione».
I termini "mondo" e "possibile" vengono definiti dapprima distintamente, secondo la prospettiva della logica modale contemporanea, quindi composizionalmente, utilizzando la favola contenuta nella terza parte della Teodicea di Leibniz.
Gli esempi di conversazione "felice" mostrano come la parola, in quanto parola, sia divina, dal momento che crea dal nulla i mondi possibili e i suoi abitanti: «...Cecilia, costruendo con la materia delle parole la forma di un possibile ritrovamento del marito scomparso, per un momento, per tutto il momento della conversazione, esce dalla palude dell'immobilità infelice e si immerge nella felicità conversazionale. Come aveva fatto Carlotta, sciogliendo le membra rattrappite dall'artrosi del mondo attuale in gambe leggere che ballano il valzer e vincono il primo premio nel mondo possibile. Come aveva fatto Greta, mutando il pianto irredimibile in un riso divertito alla vista dei Malumorati che aveva creato assieme alle parole del padre una prima volta e che ricrea nel mondo possibile con il Conversante».
é questa l'etica del conversazionalismo.
L'etica dei mondi possibili alimenta la speranza che «... abita il centro della persona, là dove convergono la partecipazione e l'amore e il legame con il futuro» (Lai).
Il counsellor che utilizzi la sua virtù locutiva in modo appropriato dispone dunque di uno strumento "divino" per sostenere la speranza. La teoria dei mondi possibili, infatti, viene applicata dal conversazionalismo: nelle conversazioni terapeutiche professionali; nelle conversazioni professionali non terapeutiche (counselling, assessment e formazione dei quadri aziendali); nelle supervisioni dei terapeuti e dei counsellor; come nelle conversazioni quotidiane.

Sandro Spinsanti, nella sua comunicazione su La convivenza tra mondi etici, ci parla con levità e grande efficacia della pluralità delle convinzioni morali in bioetica e dei modi possibili per la risoluzione di tensioni e conflitti, esaltando la funzione etica del counsellor come mediatore di significati, nelle situazioni conflittuali.
Nella quotidianità, come nelle situazioni estreme riguardanti la vita, la morte e i limiti delle cure, rileviamo diversi orientamenti etici, tanto da poterci considerare "stranieri morali". «Essere stranieri morali significa abitare in mondi morali diversi» (H.T. Engelhardt).
Gli orientamenti etici e i relativi comportamenti possono essere profondamente differenti nella stessa area culturale, anche all'interno della stessa famiglia, come viene confermato da una ricerca condotta alcuni anni fa circa la pratica dei professionisti sanitari rispetto all'informare o no i malati di cancro. Scopo dell'indagine era quello di comprendere i comportamenti e le motivazioni che li ispirano, a partire dal quadro di riferimento dei protagonisti. Si potuto cos rilevare come i diversi orientamenti siano strettamente collegati con le convinzioni esistenziali riguardanti i temi della vita, della morte, della sofferenza, ma siano collegati anche con i modelli educativi e relazionali.
La ricerca evidenzia vistose differenze rispetto al modo di praticare la medicina e rispetto alle giustificazioni delle scelte comportamentali.
La pratica della comunicazione aperta della diagnosi correlata ad una concezione pedagogica e quindi ad uno stile relazionale tendente a promuovere l'autonomia e il controllo del soggetto interessato (narrazione culturale: "autonomia-controllo"), mentre la pratica della non rivelazione della diagnosi viene messa in relazione con un modello paternalistico, oppressivo che perpetua la dipendenza (narrazione culturale: "protezione sociale").
é necessario quindi chiedersi che fare, quando non si condividono le regole di comportamento morale.
I comportamenti possibili sono cinque: la guerra, sotto forma di polemica, derisione, svalutazione o disprezzo; la tolleranza, possibile se ci sono interessi comuni; la regolamentazione, attraverso norme deontologiche, leggi (ma si sa che non basta definire i confini tra liceità e illiceità per incidere sull'atteggiamento e sul comportamento etico); la gestione delle differenze morali, con riferimento ai principi della: a) non maleficità; b) beneficità; c) autonomia; d) giustizia. A questo proposito Spinsanti osserva come ci sia un consenso ampio rispetto ai principi della non maleficità e della giustizia ("minimo morale"), mentre i disaccordi aumentano con i principi di beneficità e autonomia ("massimo morale"), dal momento che implicano il rispetto dell'ordine dei valori della persona.
Comunque, afferma Spinsanti, se vogliamo andare verso il massimo morale, le persone bisogna ascoltarle. E dopo averle ascoltate possiamo conversare.
La conversazione, infatti, la quinta alternativa.
Quando i mondi morali sono diversi, comunque possibile conversare con l'altro, proprio sulle divergenze: «secondo Zeldin, la conversazione fa bene, cioè migliora la vita anche a livello emotivo, forse anche a livello fisico. Mondi morali diversi sono molto importanti, perch ci possono arricchire».
L'arte del conversare permette di gestire in modo costruttivo la pluralità dei punti di vista.
Spinsanti sottolinea una competenza simmetrica e complementare alla parola: l'ascolto. Un ascolto «rispettoso della persona, rispettoso della verità che sta nell'altra persona, della sua autonomia».
Egli definisce il counselling come una «nuova abilità retorica ... che si riduce essenzialmente a essere l per l'altro, a conversare con lui, sapendo che con questa conversazione lui farà le scelte, di cui si assume la responsabilità e il valore morale, e io arricchir il mio mondo morale insieme a lui».

Laura Capantini, con Tra leggerezza e molteplicità, percorsi di orientamento per le "relazioni a legame debole", dà corpo e anima alla speranza di vivere e abitare poeticamente la Terra nei contesti in cui sembra regnare disperazione profonda.
Coniugando il fascino e la potenza evocativa del mito con l'autoconsapevolezza e la consapevolezza dei dati di realtà considerati, Laura Capantini propone percorsi di riflessione sulle possibilità di salvaguardare l'ecologia della mente del counsellor e dei suoi interlocutori, in situazioni "di frontiera".
Lezioni Americane di Italo Calvino le suggeriscono l'analogia tra i valori letterari che Calvino propone di trasmettere agli uomini del terzo millennio e i criteri di orientamento per le relazioni a legame debole, dalla fase della progettazione e realizzazione a quella della valutazione.
Dice Laura: «I problemi, i contesti in cui si trova ad agire un operatore sociale che opera in ambiti destrutturati, in relazioni a legame debole appaiono spesso pesanti come macigni: prostituzione, dipendenze, abusi, sfruttamenti, intolleranze, grave emarginazione, malattia mentale, carcere, illegalità, violenza, adolescenze fortemente sofferenti, silenzi, assenza di prospettive per il futuro; tutto talvolta sembra talmente immodificabile da assomigliare all'inamovibilità e alla fissità delle pietre, ai tempi delle montagne: una burocrazia stagnante, una macchina assistenziale che segue tempi propri, esigenze amministrative, budget, finanziamenti, politica, indifferenza, rinuncia ... Ovunque ci volgiamo: la Medusa, il terribile mostro della mitologia greca, dalla chioma di anguille che trasformava in pietra chiunque osasse guardarla; il suo sguardo blocca la vita, come una fonte di energia negativa che progressivamente minaccia oltre la realtà esterna, anche il nostro mondo interno, la nostra motivazione, la nostra capacità di agire, provare emozioni, pensare con intelligenza ... che ci espone al rischio di burn-out. Tutto sembra finire ogni volta in un vicolo cieco... Come uscirne?».
Leggerezza, riflessione, rapidità, esattezza, visibilità e molteplicità sono le parole chiave che indicano al tempo stesso i valori letterari proposti da Calvino e i criteri di orientamento che un counsellor psicosociale pu assumere, prendendosi cura di s e dell'altro.
Leggerezza, cio «una idealità alta, forse vicina a quella dei voli pindarici, dei sogni; forse una dimensione di vita personale che contempli la leggerezza dei desideri, della passione, della vita interiore; una base sicura personale fatta di "nuvola", che per ciascuno significherà coltivare una propria qualsivoglia dimensione spirituale; la capacit di muoversi con efficacia in quella realt "volatile" e "leggera" delle relazioni informali, dei gruppi di base, degli incontri fugaci che costituiscono il setting proprio del lavoro a legame debole, sia con le marginalit forti che con l'adolescenza».
Riflessione, capacità di trovare la "via dello specchio" che consenta di affrontare problematiche complesse prendendo la giusta distanza, capacit di inquadrare i problemi da prospettive diverse.
Rapidit, capacit di collegare in maniera intuitiva ci che appare disgregato e sconnesso: le relazioni discontinue e fugaci richiedono la capacit di "cogliere l'attimo" per la costruzione di un'esperienza «unica, densa, concisa, memorabile».
Esattezza, come uso attento della comunicazione verbale e non verbale (la "conversazione felice"), e come capacit di progettare e riprogettare gli interventi con precisione.
Visibilit, come capacit di rielaborare i vissuti attraverso le immagini, di utilizzare il pensiero creativo, di vedere il cambiamento, ma anche di rendere visibili i destinatari degli interventi "a legame debole" e lo stesso lavoro svolto nei setting destrutturati, attraverso una documentazione attenta e una maggiore socializzazione.
Molteplicità, forse il valore pi affine alle attuali metodologie di analisi e intervento sociale. «Nell'azione sociale il criterio della molteplicit si traduce: 1. in una rappresentazione dei fenomeni complessi come rete, con nodi che si irraggiano a eventuali risorse, carenze, criticit; 2. in una consapevolezza della frammentariet degli interventi e anche della molteplicit delle possibili risposte a uno stesso problema; 3. in un lavoro di integrazione di competenze e professionalit variegate ... ; 4. in una sorta di enciclopedismo di competenze, nella necessit del contributo di saperi diversi, nella polivalenza dell'operatore stesso ...»
Laura chiude affermando che «la molteplicit di per s inconclusiva...». Un altro pregio di questo scritto.

Cesarina Tresoldi, con Il conosciuto come risorsa e come limite, ci stimola a riflettere sulla necessità di un raccordo tra ricerche svolte in ambiti specialistici diversi, come quello psicosociale e quello organizzativo, e sulla necessit di interconnessione tra linguaggi diversi, ancora separati. "Data la trasversalit dell'azione sia del counselling sia del coaching questo un problema da affrontare e risolvere non solo per una questione, non piccola, di competenze, ma di mappa mentale e di ottica, che tanta parte hanno nel modo di costruire con il cliente il significato della relazione e del contesto."
Ci sembra che anche il suo contributo manifesti una grossa tensione etica: "ridare verginit alle parole", per Cesarina Tresoldi, vuol dire rendere visibile e comprensibile la specificit e la trasversalit di ambiti specialistici diversi, per prevenire pessimi utilizzi e semplificazioni, attraverso una «ricerca di struttura che connette, che richiede disponibilit a verificare e, se necessario, a mettere in discussione linguaggi ed appartenenze».
L'autrice osserva la progressiva attenzione rivolta alla persona da parte di formatori e studiosi dell'organizzazione. Fra gli altri, cita Davide Storni, il quale afferma: «Oggi sono propenso a ritenere che il primo passo verso nuove modalit ... di operare con le persone sia quello di cominciare a riconoscerle "una per una" sviluppando risposte specifiche per ognuno di loro ... costruire degli strumenti partendo dal punto di vista della persona.»
Mette quindi a confronto alcune definizioni di counselling/counsellor e coaching/coach evidenziando, in modo sintetico, segnali di evoluzione della ricerca nelle aree psicosociale ed organizzativa, come indicatori «di un processo di ricerca di struttura che connette (alla Bateson) che richiederà conoscenza, confronto e reciproca comprensione».
Fatti alcuni tentativi di confronto e connessione tra linguaggi, osserva che nell'area formativo-organizzativa il modo di concepire l'intervento ed il rapporto con l'utente, per quanto riguarda l'attenzione alla persona, allo sviluppo della sua intelligenza emotiva, oltre che "razionale", sempre pi vicina, almeno nel dichiarato, a quello della formazione psicosociale. Tuttavia, «a questo mutamento di ottica non segue un confronto significativo di linguaggi». Il confronto e la ricerca rimangono in ambiti iperspecializzati ed in nicchie di sperimentazione. «A difesa di un'area di competenza? Per distanza di conoscenze? Per chiusura in aree che hanno specifiche caratteristiche ed esigenze? Per arretratezza di elaborazione?, di confronto e di conoscenza dell'altro anche nell'area psicosociale? Temo per tutte queste cose insieme ed altre ancora».
La comunicazione si chiude con l'invito rivolto al counsellor a non fermarsi al gi noto: «Ci che conosciamo può diventare il pi grande limite alla ricerca del diverso e del nuovo».

Dopo i primi quattro contributi, così diversi e cos simili nell'evidenziare le potenzialit etiche del counselling e del counsellor, il Quaderno offre tre esempi di possibilit di applicazione della filosofia e delle tecniche dell'Analisi Transazionale nell'area della formazione e del counselling psicopedagogico.
Laura Pentimalli Vergerio, in Counselling: luogo elettivo di "terapia naturale", propone un esempio di counselling inserito in un processo formativo, stimolata dal forte interesse per la riflessione e il confronto sulla specificit e sui confini del counselling, manifestato dagli allievi della Scuola di Counselling Psicosociale di Terrenuove-Centro di Psicologia e Analisi Transazionale di Milano, diretta da Dela Ranci.
L'esempio presentato si riferisce ad un intervento formativo rivolto al personale docente di un Istituto Comprensivo della provincia di Bergamo e mostra come il formatore-counsellor ha facilitato gli innati processi di maturazione e di vitalit delle persone nelle diverse fasi di evoluzione del gruppo.
In particolare viene descritto il contratto, come contenuto, come processo e come esito di un buon lavoro di conduzione e co-costruzione di dialogo generativo tra le diverse componenti della comunit scolastica.
Si dice inoltre come, all'interno di una relazione rigorosamente contrattuale, il formatore-counsellor abbia compiuto, accanto alle operazioni proprie della formazione, un intervento di counselling che ha dato maggiore spessore al processo formativo ed ha favorito il cambiamento di convinzioni patologiche di una partecipante, nel rispetto di quelli che Grégoire chiama "involucri di coerenza": contratto, finalit specifiche, protezione adeguata.
Coerentemente con il pensiero di Cornell e Hine, secondo i quali «un aspetto essenziale dei contratti di counselling basati sull'Analisi Transazionale che essi formino un'alleanza di lavoro con gli aspetti progressivi del funzionamento emotivo», il counsellor, nella situazione descritta, ha dapprima facilitato l'espressione e la gestione delle emozioni della persona motivata ad autorivelarsi, ha poi guidato l'esperienza emotiva verso la conquista di modalità comunicative e relazionali efficaci e soddisfacenti. Nel fare questo, ha fornito la necessaria protezione, prendendosi cura dei sentimenti osservati nelle dinamiche del qui e ora, aiutando la persona interessata ad espandere la sua consapevolezza emotiva, senza provocare regressione.

Stefano Morena, con Quando il counsellor entra in una classe elementare, ci parla delle possibilit di contrattare e realizzare interventi mirati ad affrontare le problematiche del bullismo a scuola attraverso il laboratorio di educazione socioaffettiva.
Nella prima parte del suo contributo richiama alcune definizioni di bullismo e dati statistici tratti dalla recente letteratura sul tema: Genta, Olweus, Menesini.
Nella seconda parte descrive un intervento svolto in una scuola elementare, mostrando come la funzione del counsellor venga attivata sin dalla fase della gestione dei contratti multipli.
Egli utilizza i concetti di Triangolo Drammatico, sentimento sostitutivo, giochi psicologici, passivit, "maschera copionale", Permessi, per la comprensione e il trattamento del fenomeno bullismo.
Frammenti letterari tratti da Rilke, Baricco, Rodari, Canetti, Dickinson, Hikmet accompagnano gradevolmente ed efficacemente le riflessioni di Stefano Morena sul ruolo del counsellor e sul mondo della scuola. Riportiamo una riflessione che ci sembra dica molto bene il senso dell'intervento del counsellor a scuola: «Entrare in questi labirinti di abitudini e legami consolidati accedere alla complessit, tollerarla e credere che ci abbia un senso e un'utilit. é dare credito al dubbio dell'insegnante che teme di essere giudicato, svalutato o sostituito. Dare voce ai bambini che vogliono vivere da attori questa iniziativa ... [laboratorio di educazione socioaffettiva. N.d.r.] é dare cittadinanza alle domande e talvolta alla rabbia di un genitore che non capisce cosa si stia facendo in classe. Pap e mamme talora appesantiti da pensieri calcificati e critici, del tipo che a causa di talune 'mele marce' si debba perdere tempo in chiacchiere, invece che andare avanti con il programma. é stipulare un accordo che trasforma lo scontro in un incontro, che discerne paure realistiche da fantasmi non invitati agli inizi di questo percorso. é passare dall'ostilit all'ospitalit. Un passaggio cruciale, da presidiare, per chiunque provenga dall'esterno». Berne, Bowlby, Stern, Fanita English, Dolores Munari Poda e Petruska Clarkson sono le principali figure di riferimento del pensiero che ha dato direzione all'esperienza descritta. Un'esperienza di uso creativo di immagini, oggetti, teatro, come antidoto alla violenza.
Un'esperienza evolutiva per bambini, insegnanti e genitori.

Roberta Gobbi, in Counselling e formazione: percorsi di cambiamento, intende proseguire il dibattito sulla specificità del counselling, proponendo alcune riflessioni a partire dalle interviste rivolte alle allieve di un training che abilita all'esercizio della professione di Ausiliario Socio Assistenziale.
é partita dall'ipotesi che il "cambiamento", inteso come «trasferimento interiore da un punto noto, spesso non soddisfacente, ad uno spazio nuovo, riconosciuto come pi adatto a s», sia un indicatore del processo di counselling. Ha quindi raccolto le testimonianze delle allieve, dopo qualche mese dalla conclusione del corso, al fine di riconoscere gli elementi di cambiamento e riflettere sui fattori che lo hanno reso possibile.
Ritiene che l'oggetto pi significativo del cambiamento sia stato lo sviluppo della consapevolezza, a cui seguita la ricerca di opzioni e una maggiore capacit di gestire i problemi.
Una delle intervistate, dice: «Parlare con le colleghe del gruppo e con i docenti mi ha aiutata a conoscere di pi me stessa».
Un'altra, che all'inizio del corso aveva dichiarato: «Faccio fatica con le persone nuove a parlare... Pensi sempre di arrivare in un posto dove... come un'arena dove ci sono i leoncini che ti vogliono sbranare...», alla fine del percorso afferma: «... adesso se c'è da parlare parlo. Sono un po' pi sicura...».
Roberta Gobbi riconosce il ruolo del gruppo come catalizzatore del processo di cambiamento di convinzioni copionali, un gruppo che ha accolto l'altro cos come , con la sua fragilit e con le sue potenzialit, in uno spazio di condivisione delle storie personali.
Evidenzia inoltre la funzione della Protezione e dei Permessi dati dal counsellor.
Conclude la sua comunicazione con l'augurio che gli allievi A.S.A. sappiano sollecitare anche nei loro assistiti il cambiamento verso lo sviluppo di competenze e di autonomia.

Chiude la serie degli articoli del Quaderno un articolo di due analisti transazionali clinici statunitensi i quali, fra l'altro, esprimono critiche nei confronti della gestione politica della violenza, a livello locale e internazionale, del loro Paese.
James R. Allen e Barbara Ann Allen, nella prima parte di Violenza: infanzia, famiglia e contesto, analizzano con gli strumenti dell'Analisi Transazionale, della teoria dell'attaccamento e della psichiatria psicodinamica i diversi fattori psicologici e sociali che sono all'origine della violenza; nella seconda parte espongono le loro idee rispetto alle possibilit di fare prevenzione primaria, secondaria e terziaria.
Il loro studio sulle cause della violenza si serve in modo particolare di alcuni parametri: «1. gli attributi attinenti il Bambino Libero; 2. alcune manifestazioni infantili di introiezione e reenactment; 3. la concettualizzazione della svalutaione e della passivit in termini di capacit di affrontare le situazioni (coping); 4. l'interazione tra la fondamentale posizione esistenziale dell'individuo e ci che viene narrato nella societ».
Ci sembra che gli aspetti di maggiore interesse di questo articolo riguardino proprio alcune sottolineature riguardanti le interazioni tra la posizione esistenziale individuale e le "storie narrate nella società".
«Vi sono cinque tipi di storie che si raccontano nella societ che possono essere particolarmente pericolose e sono quelle che narrano di: 1. disumanizzazione; 2. glorificazione e razionalizzazione della violenza come tecnica accettabile per la soluzione dei problemi; 3. vendetta mascherata da giustizia; 4 cospirazione; 5. speranza di un rinnovamento attraverso la rivoluzione.»
Le indicazioni degli Allen per la prevenzione primaria sono, essenzialmente, queste: allevare i bambini in ambiente "sufficientemente buono", che offra cio la protezione e i permessi necessari ma anche l'aiuto ad integrare gli aspetti "buoni" e "cattivi" di s e degli altri. Essere un genitore "sufficientemente buono" significa anche insegnare le capacit di coping e favorire senso morale ed empatia. «Persone con un forte sistema di valori religiosi, politici o etici ma che non hanno sviluppato anche l'empatia possono essere capaci della più abietta violenza, come dimostrano lo spietato fanatismo di alcuni capi politici o religiosi, oppure un adesivo, un tempo esibito sul lunotto di molte auto americane, che diceva "Uccidi un comunista, per Dio"». Si fa prevenzione primaria anche insegnando le tecniche di prevenzione e di gestione della rabbia. «... nelle scuole che conducono programmi specifici riguardanti la violenza verso gli altri, si nota un notevole calo di questi atteggiamenti ... Si noti che attualmente negli Stati Uniti le pene corporali sono accettate in ventiquattro Stati; in questo modo non si fa che sancire ufficialmente l'uso del dolore fisico e della ritorsione allo scopo di cambiare il comportamento di qualcuno e se ne offre un modello agli studenti.»
Per la prevenzione secondaria, Allen & Allen prevedono vari interventi, rivolti all'individuo e alla famiglia, per correggere, o quanto meno migliorare, condizioni psicologiche o biologiche che limitano il benessere (farmaci e, forse, nel ventunesimo secolo, terapia genica).
Per la prevenzione terziaria, messa in atto quando la patologia si gi instaurata, indicano genericamente gli "interventi tesi ad alleggerire i sintomi", senza specificarne la tipologia.

Chi scrive prende spunto da questo articolo per rivolgere ai counsellor psicosociali e clinici l'invito a progettare interventi, magari piccoli, per contrastare l'influenza molto negativa delle "storie" raccontate dalla televisione pubblica e privata a grandi e piccoli.
Con la consapevolezza che non impresa da poco e con l'augurio di buon lavoro.
«Parlare nascere una seconda volta», dice Genouvrier.
Siamo grati alle autrici e agli autori delle "parole di counselling" contenute in questo Quaderno, per averci offerto potenti stimoli di ri-nascita.



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