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C.P.A.T. --> HOME PAGE --> N. 34/2001

QUADERNI DI PSICOLOGIA,
ANALISI TRANSAZIONALE
E SCIENZE UMANE

Dal n° 34 - 2001


Editoriale

Susanna Ligabue




La focalizzazione di questo numero dei «Quaderni» sul tema dell’attaccamento prende origine dalla necessità e dal desiderio di connettere, confrontare alcuni aspetti della teoria e della pratica dell’Analisi Transazionale con la teoria dell’attaccamento e i suoi attuali sviluppi. Sempre più spesso, nel resoconto di lavoro con i pazienti vengono utilizzati elementi dei due modelli, in una arricchente integrazione.
L’attaccamento, oggi considerato uno dei determinanti fondamentali dello sviluppo, prende risalto dall’opera pionieristica di John Bowlby, che ha consentito di rovesciare alcuni dei paradigmi teorici di base nella lettura dell’evoluzione psicologica della persona e, conseguentemente, della cura.
Connettendo l’etologia e l’osservazione dei comportamenti di attaccamento con la visione psicodinamica della teoria delle relazioni oggettuali, John Bowlby ha costruito un ponte tra l’intrapsichico e il relazionale.
Le relazioni di attaccamento primarie e i modi delle relazioni attuali sono messi in rapporto tramite i modelli rappresentazionali interni.
Teoria, pratica clinica e ricerca hanno trovato impulso particolarmente dagli anni ’70 in poi nelle prospettive aperte dalla teoria dell’attaccamento, come possiamo rilevare con un veloce sguardo ai contributi più recenti comparsi nella letteratura specializzata.
Nell’ambito della psicologia evolutiva, Daniel Stern, psicoanalista e ricercatore tra i più impegnati e oggi riconosciuti, sottolinea la significatività del lavoro di Bowlby già nel suo testo base del 1985 The interpersonal world of infant (Il mondo interpersonale del bambino, Bollati Boringhieri, 1987).
La teoria dell’attaccamento è oggetto di lavoro e ricerca anche nell’ambito della famiglia e della terapia familiare, come testimoniano alcune recenti pubblicazioni del lavoro di John Byng-Hall, della Tavistock Clinic di Londra: Rewriting family scripts, 1995 (Le trame della famiglia: attaccamento sicuro e cambiamento sistemico, Cortina, 1998) e i numerosi contributi raccolti da Lucia Carli in Dalla diade alla famiglia: i legami di attaccamento nella rete familiare (Cortina, 1999)
E ancora troviamo il lavoro pionieristico di John Bowlby, Mary Main e Mary Ainsworth tra i riferimenti delle ricerche di Fonagy e della Target sulla trasmissione transgenerazionale dei pattern di attaccamento (Attaccamento e funzioni riflessive, Cortina 2001) e del lavoro di Patricia Crittenden sull’Attaccamento in età adulta (Cortina, 1999).
I semi radicati dal lavoro di Bowlby, sulla essenzialità del contatto primario, intimo, nello strutturarsi della persona e dei suoi modi di relazione col mondo, hanno dato frutti significativi e duraturi.
Analoga tensione, e originale evoluzione, possiamo ritrovare nel lavoro di Eric Berne, anch’egli medico e psichiatra, che negli anni ’50, negli Stati Uniti, partendo da una formazione psicoanalitica, è fortemente interessato agli aspetti fenomenologici dell’esperienza e alla relazione tra l’intrapsichico e il relazionale. Esito della sua ricerca è il modello teorico dell’Analisi Transazionale che si propone di trovare un ponte tra l’analisi degli aspetti intrapsichici (gli aspetti strutturali, come li definisce) e di quelli interpersonali, visibili tramite le transazioni comunicative.
Il copione personale, lo script individuale è la matrice su cui la persona fonda il suo piano di vita, i suoi modi di relazione, è il suo programma di vita, elaborato nel rapporto stretto e intimo dell’esperienza con le figure di accudimento primario, negli scambi di relazione precoce.
Il copione è l’interiorizzazione dell’esperienza relazionale del soggetto ne è la trama e insieme matrice delle esperienze successive. Potremmo considerarlo un vero e proprio “sistema di attaccamento”, come suggerisce Anna Rotondo nel contributo che riprende alcuni spunti offerti dall’editoriale. Sistema di attaccamenti che, a partire dalle relazioni primarie, prefigura e modella le relazioni attuali, come possibilità e non necessariamente vincolo.
Berne si interessa alla vicenda dell’evoluzione umana e delle sue relazioni partendo dalla clinica e non dalla ricerca, tuttavia è molto attento agli aspetti motivazionali dello sviluppo. Influenzato dagli studi di Spitz e Harlow, identifica l’essenzialità del contatto sociale e dell’intimità fisica, elaborando il concetto di “fame di stimolo” (stroke, “carezza”, è l’unità del contatto sociale) e di “fame di riconoscimento”, ovvero di quella necessità costante di scambio relazionale e di contatto (di relazione in attaccamento, potremmo dire con Maria Teresa Romanini) indispensabile alla salute fisica ed emotiva, collante dell’identità personale.
In Analisi Transazionale e psicoterapia (1961), inizialmente Berne dice del copione: «Il copione appartiene al regno dei fenomeni di transfert; è un tentativo di ripetere in forma derivata un intero dramma transferenziale [...] Dal punto di vista operativo, il copione è un complesso insieme di transazioni che per sua natura tende a ripetersi ciclicamente».
Nel suo ultimo scritto Berne esamina la struttura del copione dal punto di vista dell’influenza della “programmazione parentale” prendendo in considerazione la “scrittura” del copione dalle influenze prenatali (aspettative e disposizione da parte dei genitori alla relazione col figlio) ai primi anni dell’infanzia fino alle vicende adolescenziali (“prova generale” delle modalità relazionali e delle scelte e decisioni prese nelle fasi precedenti), fino alle ripetizioni dell’età adulta e alle previsioni circa il destino finale.
In tema di copione, molto è stato scritto, sia da Berne nel suo What do you say after you say “hello?”, pubblicato nel 1972, subito dopo la sua morte (Ciao!... e poi?, Bompiani, 1979), sia dai suoi più stretti collaboratori (Claude Steiner, Fanita English, Bob e Mary Goulding, Bill Holloway), particolarmente soffermandosi sui modi dell’interiorizzazione del copione: dalle transazioni familiari alle ingiunzioni, alle decisioni di copione e sugli aspetti di libertà-determinismo che l’idea di copione solleva (Bill Cornell, Richard Erskine, Maria Teresa Romanini).
Nel numero 22 dei «Quaderni di Psicologia, Analisi Transazionale e Scienze umane», del 1997, Copione e poi? curato da Anna Rotondo, ritroviamo nuovi elementi di discussione e visioni diverse in tema di copione. Per Pio Scilligo il copione può anche essere visto come uno “schema personale” (Horowitz, 1991) prendendo le distanze da alcune generalizzazioni empiriche usate in Analisi Transazionale, poco utili alle ricerche scientifiche. «Il copione si può considerare uno schema in continua evoluzione che rappresenta prototipicamente la propria storia di vita.» Scilligo presenta, sempre sul «Quaderno» 22, i materiali di una ricerca dove, facendo riferimento al modello ASCI (SASB di Lorna Benjamin) connette strategie di copione, relazioni interpersonali e relazione terapeutica e ci ricorda che «attraverso l’osservazione di interazioni diadiche, per esempio genitori-figli o terapeuta-paziente, è possibile rilevare informazioni di natura eziologica, prognostica e di progettazione educativa o terapeutica.»
Possiamo ritrovare quindi delle linee di intersezione tra l’esperienza interpersonale e i modelli di relazione interiorizzati e la strutturazione del copione, riscontrabili anche nella relazione terapeutica.
Nella relazione terapeutica la persona è lì tutta intera, le sue modalità relazionali parlano del suo copione, sono l’attualizzazione del copione, il copione in azione. Tramite la relazione terapeutica esperienze relazionali antiche possono essere “aggiornate” nel qui e ora del presente. La relazione, nell’intersecarsi di affetti e cognizioni, permette nuove esperienze, agevola “esperienze correttive”: un vero e proprio rescripting del copione.
La relazione terapeutica, ci ricorda Bowlby nel cap. 8 di A secure base del 1988 non è del tipo «io [terapeuta] lo so; io te lo dico. La posizione che sostengo è tu lo sai, dimmelo. Il paziente [...] con un sostegno e occasionalmente una guida [...] potrà comprendere cosa l’ha condotto a costruire quei modelli ora attivi dentro di lui e sarà così libero di ristrutturarli» e ancora «il lavoro dello psicoterapeuta [...] è di fornire quelle condizioni in cui l’autoguarigione possa meglio avvenire».
Nel modello berniano la relazione terapeutica è una relazione a due voci marcata dal riconoscimento della competenza dei due soggetti nel rispetto di una doppia okness, entro i confini di una relazione contrattuale che agevola e sostiene l’alleanza terapeutica e il percorso di cambiamento con il paziente. Forza guaritrice della persona è la physis, che è compito del terapeuta sostenere e stimolare.
Gli elementi fin qui delineati vogliono offrire degli spunti di riflessione, dei “ponti” per la lettura di due epistemologie e anche essere d’introduzione ai contenuti di questo numero della rivista, offrendo alcuni elementi generali di riferimento ai lettori.

Esaminando da vicino gli articoli contenuti in questo numero, troviamo una varietà di punti prospettici in tema di attaccamento e copione:
Anna Rotondo, in apertura della rassegna di articoli, approfondisce alcuni aspetti del concetto di copione in Berne.

Nell’articolo di Dolores Munari Poda l’attaccamento è visto e riletto con gli occhi di bambini e di giovani pazienti.
Il disegno madre-bambino di Gillespie: uno strumento leggero per parlare di attaccamento è una magnifica galleria di disegni e di ritratti che parlano della vicenda originaria dell’attaccamento. Ogni disegno è un “ponte”, una via d’accesso alla segreta esperienza individuale, racchiude un segmento di vicende antiche, riassume un microcosmo. Ogni disegno diventa occasione di racconto di sé, in relazione a una figura essenziale. Come ci dice l’autrice, i disegni «si animano, diventano una specie di teatro affettivo, aprono alla visione di interni domestici, illustrano attimi di copione in divenire. Sono eco di mondi sommersi, tracce visibili di città invisibili». E sono alcune descrizioni da Le città invisibili di Italo Calvino, che fanno da contrappunto alle parole evocate e scritte nella stanza della terapia: poetica materializzazione controtransferale dell’esperienza condivisa tra l’analista e il suo paziente. Assonanze generate nello spazio “magico” del campo relazionale, specchio di una intimità che consente di guardare insieme l’esperienza, rinominandola.

Antonella Fornaro nel suo contributo La relazione in attaccamento discute la teoria motivazionale dell’attaccamento di Maria Teresa Romanini, che affonda le radici nella filosofia della persona come individualità originale e irripetibile, segnata dal bisogno di attaccamento come motivazione allo sviluppo. L’autrice delinea il percorso che porta all’autoriconoscimento individuatorio della persona, tenendo conto dell’interazione tra il processo di attaccamento e di adattamento nella relazione con le figure di riferimento primarie. Relazione che sottende la costruzione e lo sviluppo degli stati dell’Io e la nascita del colloquio interiore tra le tre istanze dell’apparato della mente.

Pier Luigi Righetti ci introduce con La vita psicologica prima della nascita al punto di vista della psicologia prenatale.
Attraverso l’analisi delle componenti psicofisiologiche si riconoscono al feto precise competenze comunicative ed emozionali nel suo rapporto con l’ambiente, mediato da quello con la madre. Di qui la teorizzazione dell’esistenza di un Io Prenatale, di stati dell’Io Prenatali come “frammenti di tempo psichico”, che racchiudono porzioni di esperienze, sentimenti e cognizioni, che operativamente si traducono in comportamenti relazionali. Queste riflessioni, oltre ad aprire connessioni tra medicina, psicologia e nuove aree di ricerca, incoraggiano a considerare la vita segreta prima della nascita come ambito di sviluppo precoce dei legami di attaccamento e l’evento nascita, come stimolo di programmi di sostegno alla coppia madre-figlio e alla genitorialità. Attraverso la costruzione di nuove narrazioni e rappresentazioni genitoriali sane e realistiche, si possono rinforzare e ridisegnare le strutture dell’Io.

Il contributo di Pamela Levin, figura storica dell’Analisi Transazionale, che ha dedicato molta attenzione ai processi evolutivi e ai cicli di sviluppo (Cycles of power), apre una serie di riflessioni che intrecciano corpo e copione; stress, copione e malattia.
In Il legame tra istruzioni di copione e malattia: un processo sequenziale l’autrice ipotizza una connessione tra sintomi fisici, copione e traumi non risolti: vere e proprie “scene” di copione congelate nel corpo, di cui i sintomi sono tracce.
Le risposte allo stress di ogni persona si organizzerebbero in modo differenziato, con una sequenza ben riconoscibile, a seconda di quali stati dell’Io vengano coinvolti per rispondervi (il Bambino libero, il Bambino adattato, o il Genitore primitivo introiettato: G1). A seguito del trauma, fisico ed emotivo la persona attiva una serie di risposte difensive nel tentativo di fronteggiarlo, legate sia all’intensità del trauma, sia ai significati che la persona attribuisce all’evento. Più in generale, l’autrice sottolinea la necessità di considerare la persona intera e la sua storia, anche quando ci troviamo davanti a ben precisi sintomi fisici, per elaborare interventi sui due piani. Le ipotesi di Pamela Levin, per quanto interessanti, si situano sul terreno, in gran parte ancora sconosciuto, del legame tra fisiologia e psicologia.

Un quesito analogo si pone Pietro Roncato, medico e psicoterapeuta, prendendo in considerazione l’esperienza del dolore muscolare ricorrente e del dolore cronico. Quando il corpo ricorda ipotizza di poter rinvenire una chiave di lettura alla esperienza soggettiva del dolore nelle esperienze relazionali precoci: nelle ingiunzioni primarie che attiverebbero e ri-attiverebbero nel presente automatismi connessi a contrazioni difensive, divenute croniche.
L’autore discute dei contributi attuali delle neuroscienze, su emozioni e memoria, che vanno nella direzione di rendere plausibili queste ipotesi.

Con il contributo di Marica Livio entriamo nel regno dei legami traumaticamente interrotti dall’esperienza della migrazione. Legami con la propria terra, con gli affetti più cari, con la propria identità e la cultura originaria di appartenenza
In Mustafa Terra-Madre-Terra e gli oggetti transferali l’autrice descrive la storia del legame terapeutico con Mustafa e dei suoi attraversamenti. Percorso reso pregnante da brani di poesia che ne evocano i drammi e le tonalità emotive. Con un linguaggio denso di indicazioni operative e di riferimenti teorici, in un cadre transculturale, l’autrice ci conduce su un territorio di confine, dove la relazione è a legame debole, con un setting occasionale, discontinuo, volto a fronteggiare spesso l’emergenza e i bisogni materiali.
Okness, empatia, alleanza di lavoro e transfert facilitante, permettono un riorientamento del paziente e la costruzione di un nuovo legame e di oasi di spazio e di tempo dove è possibile portare le lacrime “sola acqua nel deserto” e depositare immagini di morte, il vuoto e “i rumori nella testa”. Alcuni doni, veri e propri oggetti transferali, segnano il consolidarsi del nuovo percorso interno di Mustafa, mentre riprende in mano alcuni fili della sua vita.

A Brent Mallinckrodt è affidato in questo numero, lo spazio ormai consueto riservato alla ricerca. Brent Mallinckrodt ha ricevuto nel 1996 un riconoscimento della Società per la Ricerca in Psicoterapia (Society for Psychotherapy Research Early Career Award) per il suo rilevante lavoro di ricerca.
L’autore, con rigore scientifico e grande ricchezza di dati, esamina in: Attaccamento, competenze sociali, supporto sociale e processi interpersonali in psicoterapia, attraverso il modello SCIP (Social Competencies in Interpersonal Process) le competenze sociali nel processo interpersonale.
Mallinckrodt parte dal presupposto che il supporto sociale ottenuto dalle relazioni interpersonali sia un moderatore degli eventi stressanti e quindi della possibile insorgenza di sintomi fisici e di disagio psicologico. Per poterne fruire tuttavia è necessaria una esperienza positiva della relazione che consenta di viverla come sostegno e conforto anziché come negatività o disturbo. Questa attitudine personale sembra essere legata a esperienze di attaccamento primarie sufficientemente solide; esperienze che abbiano cioè permesso alla persona di sviluppare una fiducia di base e competenze sociali e relazionali; quelle stesse che rinforzano, in un circolo virtuoso, legami, identità e sostegno personale.
Tra le relazioni significative, quella terapeutica particolarmente può essere fonte di sostegno per la persona e di riapprendimento delle competenze sociali.
Legami parentali, competenze sociali e alleanza di lavoro vengono connesse tramite diverse scale di valutazione, così come vengono esaminati i comportamenti di attaccamento (iperattivanti o deattivanti) in relazione agli stili di attaccamento e ai modelli operativi interni. La consapevolezza degli stili di relazione interpersonale del paziente e del terapeuta permette di far diagnosi, di modulare prossimità e distanza nella relazione terapeutica in modo tollerabile e utile per il paziente. In tal modo la relazione terapeutica diviene stimolo al cambiamento, permettendo la distinzione tra la passata esperienza affettiva con i caregivers e quelle attuali, favorendone l’elaborazione Ð una vera e propria esperienza correttiva Ð e lo strutturarsi di nuove competenze emotive e nuovi comportamenti relazionali.

Simone Filippi in Attaccamento, una prospettiva interpersonale, ci offre un agile contributo, che in estrema sintesi sottolinea il ruolo significativo di Giovanni Liotti nella diffusione, chiarificazione ed evoluzione della teoria dell’attaccamento. L’autore descrive la teoria dell’attaccamento come punto naturale di sintesi tra diversi paradigmi teorici. Ci rammenta come la specificità, la qualità e l’intensità delle emozioni legate alle vicende dell’attaccamento sia connessa alla costruzione dei modelli operativi interni. Questi a loro volta influenzano la lettura e l’esito delle concrete esperienze d’interazione della persona, in quanto “traccia”, memorie di esperienze reali e di processi interpersonali, rappresentazione di sé con l’altro.
La rubrica Linee di tendenza idee, personaggi, occasioni, scritta a più mani, riferisce con grande ricchezza alcuni eventi del 2001.

Infine le recensioni di Simona Arminio sul libro di Rosario Montirosso Il sapere degli affetti. Emozioni, metaemozioni e sviluppo delle competenze relazionali, (edizioni CdG, Pavia 2000); e quella di Marco Mazzetti sul libro Non c’è due senza tre. Le emozioni dell’attesa dalla prenatalità alla genitorialità (Boringhieri, Torino, 2000), di Lara Sette e Pierluigi Righetti, ci consentono di arricchire ulteriormente il quadro della funzione dell’attaccamento nelle primissime fasi della vita e in particolare nella costruzione delle competenze emotive, motore delle abilità comunicative e relazionali della persona.

Alcune poesie accompagnano la lettura tra un articolo e l’altro, aggiungendosi a quelle già generosamente citate dagli autori nei loro contributi.



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