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C.P.A.T. --> HOME PAGE --> N. 32-33/2001

QUADERNI DI PSICOLOGIA,
ANALISI TRANSAZIONALE
E SCIENZE UMANE

Dal n° 32-33 - 2001


Editoriale

Marina Farina Rossi



Non puoi insegnare qualcosa a un uomo.
Puoi solo aiutarlo a scoprirlo dentro di sé.
Galileo


Questo «Quaderno», dedicato al Counseling, è nato dall’esigenza di offrire un contributo al dibattito più che mai attuale sulla definizione del ruolo professionale del counselor.
La professione di counselor è in via di sviluppo: non ancora riconosciuta istituzionalmente in Italia, è praticata in molti settori (scolastico, di comunità, organizzativo, aziendale, sociosanitario) e si rivela complessa e articolata.
L’utenza che cambia, le “nuove” richieste di aiuto rivolte alla soluzione di problemi specifici piuttosto che alla terapia clinica, talvolta ritenuta eccessivamente dispendiosa, non solo sul piano economico, ma anche dal punto di vista dell’energia personale e del tempo da investire, lo sviluppo delle attività di prevenzione, di orientamento e di sostegno hanno portato molte figure professionali a occuparsi di consulenza.
Innovazioni fino a ieri impensabili, come quelle prodotte dalla realtà virtuale del Counseling on line, ci hanno fatto assistere all’ingresso dei primi siti Internet nelle nostre case, preludendo a un ulteriore ampliamento (anche se non sempre condivisibile!) degli ambiti di consulenza, nonché allo sviluppo di nuove professionalità.
Le diverse comunità terapeutiche si stanno interrogando sui confini tra setting di consulenza e setting clinico e si impegnano a delineare la specificità degli interventi di counseling, con l’obiettivo di pervenire a una definizione del ruolo del consulente e della sua deontologia professionale.
Il compito che ci si pone, non facile, è individuare gli elementi fondamentali del counseling, la sua specificità e i confini, soprattutto per quanto riguarda le metodologie e le tecniche d’intervento.
é quindi comprensibile come a tutt’oggi sia carente una visione condivisa circa una definizione di counseling trasversale alle diverse teorie psicologiche, tranne che per le finalità e gli obiettivi generali che rimandano a concetti quali: sviluppo delle risorse individuali, miglioramento dei rapporti interpersonali, evoluzione individuale verso la realizzazione creativa che ciascuno possiede.

Anche all’interno della comunità degli analisti transazionali la letteratura sul counseling non appare ancora esaustiva e chiarificatrice, pur possedendo dal 1995 la definizione di counseling elaborata dall’EATA:

Il counseling analitico transazionale è un’attività professionale all’interno di una relazione contrattuale. Il processo di counseling permette ai clienti o ai sistemi di clienti di sviluppare consapevolezza, opzioni e capacità di gestione dei problemi e dello sviluppo personale nella vita quotidiana, attraverso l’accrescere delle loro forze e risorse. Il campo del counseling è scelto da quei professionisti che lavorano in ambiti sociopsicologici e culturali. Alcuni esempi sono: assistenza sociale, sanità, lavoro pastorale, prevenzione, mediazione, facilitazione di processo, lavoro multiculturale e attività umanitarie.

Gli articoli del «Quaderno 32-33», pur rifacendosi a tale definizione, ne mettono in luce una certa genericità che ancora una volta sottolinea la difficoltà a dare risposte sicure e univoche.
Proprio questo è, a mio parere, il pregio della nostra riflessione, che ambisce non tanto a creare modelli rigidi o ingabbianti, quanto piuttosto a definire le linee portanti e i criteri di base dell’atteggiamento consulenziale, sia nelle applicazioni psicologiche sia in quelle educative o organizzative.
In tal senso le basi filosofiche e teoriche dell’Analisi Transazionale contribuiscono in modo esaustivo alla definizione di una teoria del counseling.
Quando parliamo di relazione di counseling, pensiamo a tutte quelle situazioni in cui un Tu cliente si rivolge a un Io counselor per la soluzione di un problema, con l’obiettivo di riscoprire e portare alla luce competenze e autonomia, momentaneamente “annebbiate”.
Tra gli approcci al counseling, l’Analisi Transazionale contribuisce a individuare con molta chiarezza l’aspetto intersoggettivo della relazione Io-Tu, attraverso la sua “anima” esistenziale.
Secondo la corrente filosofica dell’esistenzialismo, l’uomo, attraverso la consapevolezza di sé, è responsabile delle sue scelte e del suo progetto di vita.
Nella crisi porta la chiusura, il blocco, significati cristallizzati, un sistema di riferimento difeso e, molto spesso, la percezione di non farcela.
Chiede aiuto al counselor, che non gli fornirà risposte o soluzioni: piuttosto lo accompagnerà per un tratto di strada alla ricerca di opzioni, facilitando il ritrovamento in se stesso delle proprie risorse e competenze.
La relazione di counseling, in quanto basata sul concetto di doppio okness, ben esprime il presupposto filosofico dell’Analisi Transazionale: l’Io e il Tu di persone entrambe adeguate, competenti, dotate di risorse, responsabili entrambe delle proprie scelte.
E ancora: relazione di counseling come rapporto di okness, dove il ruolo paritario counselor-cliente viene continuamente sottolineato da molti momenti di riconoscimento delle rispettive identità.
Relazione di counseling infine come rapporto contrattuale, per cui entrambi, counselor e cliente, mettono in luce, condividendolo, l’obiettivo verso il quale stanno andando.

L’atteggiamento consulenziale prevede dunque che il counselor si metta in gioco in una relazione di reciprocità e apprenda a entrare in relazione con l’altro in maniera empatica, in modo da facilitargli la comprensione dei suoi problemi e muovere le sue energie alla soluzione del disagio.
Il counseling in Analisi Transazionale pone inoltre l’accento - in questo differenziandosi, forse, dalla psicoterapia - sulle esperienze immediate, focalizza i suoi interventi sul qui e ora, più che sul là e allora.
Attraverso il processo di counseling sarà il cliente a dare un nome all’esperienza, a trovare il suo significato.
In questo senso l’approccio fenomenologico si concretizza nella dimensione dell’immediatezza: il counselor esiste come colui che percepisce e riceve l’esperienza dell’altro, per poi fermare e definire il percepito e aiutare il cliente a farne oggetto intelligibile, riconoscibile. Counselor, dunque, come mediatore di significati.
Ecco, allora, delinearsi le caratteristiche del processo di consulenza.
Nella maggior parte dei casi, il counselor lavora sul problema, facilita il cliente a definirlo e a trovare risorse ed opzioni per la sua risoluzione, dichiarandosi per contratto “agente di cambiamento”.
L’atteggiamento consulenziale, dunque, ben riflette l’ipotesi esistenzialista di un Tu cliente competente rispetto al suo problema e capace di scegliere il cambiamento; e riflette anche l’ipotesi fenomenologica secondo cui il compito dell’Io counselor è entrare nel vissuto del cliente, pronto ad accogliere la sua “intenzionalità” di definire la realtà e organizzarla.
Semmai il counselor diventa “narratore di storie”: riconnette alcuni elementi dell’esperienza narrata dal cliente, rispecchiandola in modo diverso, dipanando alcuni nodi, mostrando elementi nuovi.
Questa integrazione diventa molto utile al cliente, in quanto correlata alla capacità di cogliere, confermare o correggere immagini della propria esperienza, spesso contaminate da pregiudizi, ansie, timori.

Nel linguaggio dell’Analisi Transazionale, possiamo dire che la narrazione del consulente funge da elemento di decontaminazione dell’Adulto del cliente che a questo punto si dimostra in grado di sviluppare la propria capacità di insight, entrando in contatto con aspetti finora non riconosciuti della sua esperienza.
La narrazione del consulente porta il processo di counseling a focalizzarsi sull’immediatezza della relazione, introducendo elementi centrali che fungeranno da volano per un cammino di consapevolezza e quindi di cambiamento.
Le basi filosofiche umanistico-esistenziali e quelle teoriche dell’Analisi Transazionale, insieme ai suoi valori e alla sua pratica, contribuiscono dunque in modo determinante a definire l’atteggiamento consulenziale, ponendo da un lato l’accento sull’unicità e la responsabilità del cliente, dall’altro valorizzando gli aspetti di mutualità e contrattualità all’interno della relazione di counseling.
Nella pratica il counselor, in qualunque campo si trovi a operare, saprà comprendere con empatia e partecipazione il problema del cliente - individuo, gruppo o organizzazione - evitando di imporgli dall’esterno schemi prefissati e significati precostituiti e non condivisi.

Pensiamo questo «Quaderno» come occasione di riflessione sullo stato dell’arte del counseling in Analisi Transazionale.
Molti autori hanno contribuito alla creazione di questo numero: ognuno ha portato il proprio contributo, chi di teoria, chi di esperienza, chi di ricerca.
Sono certa che questi preziosi contributi segneranno l’avvio di un dibattito quanto mai ampio e coinvolgente.
Io stessa ho desiderato ampliare l’editoriale con alcune mie riflessioni che riflettono l’obiettivo del «Quaderno».
Non ci siamo preoccupati di pervenire a un unico modello di consulenza, di mettere in bell’ordine tecniche specifiche o di illustrare la particolarità del setting di consulenza e nemmeno di dare risposte all’annoso dilemma di ciò che appartenga al counseling e di ciò che sia più specificatamente clinico.
Non abbiamo insomma voluto proporre un manuale sul counseling.
Abbiamo invece voluto approfondire il ruolo dell’Analisi Transazionale nel campo del counseling e dimostrare come le sue radici filosofiche e le sue basi teoriche contribuiscano a definirne l’approccio consulenziale.
Ciò non significa che il lettore, dai numerosi articoli del «Quaderno», non possa acquisire, noi anzi ce lo auguriamo, elementi di teorie e pratica di counseling; né che sottovalutiamo l’importanza del modello.
Il «Quaderno» muove infatti dalla stigmatizzazione della pratica facile e ingenua, ma ritiene fondamentale la legittimazione epistemologica del modello stesso.
Proprio per questo, il volume può intendersi diviso idealmente in due parti: nella prima compaiono alcuni contributi teorici e di ricerca, nella seconda alcune applicazioni pratiche ed esperienze di counseling.

Apre il «Quaderno» l’articolo di Cornell e Hine sulla formazione di analisti transazionali in counseling.
Pur sottolineando la necessità di individuare linee di demarcazione professionale tra le diverse aree di applicazione dell’Analisi Transazionale, gli Autori avvertono l’esigenza di un «ampliamento» del lavoro del counselor e rivendicano l’opportunità di affrontare emozioni e sentimenti all’interno del setting di consulenza.
Il tema portante della loro riflessione riguarda l’aspetto “progressivo” e non soltanto “regressivo” del lavoro con le emozioni, dagli autori definite «fonte di motivazione, energia e significato» e pertanto leve fondamentali del processo di cambiamento nell’area del counseling.
Ci colpisce dell’articolo, da un lato l’attenzione puntuale degli Autori a fornire codici di lettura delle emozioni, metodologie e tecniche di intervento specifiche nell’area del Counseling, dall’altro la visione di profondo rispetto e di legittimazione del ruolo del counselor, in una prospettiva di sviluppo e crescita professionale.

Uguale ampiezza di prospettiva ritroviamo nell’articolo di José Grégoire, tradotto da Laura Pentimalli Vergerio. L’articolo costituisce un contributo significativo al dibattito sui confini dei diversi campi di applicazione in Analisi Transazionale.
L’autore tende a sottolineare gli elementi comuni dell’Analisi Transazionale nei diversi ambiti, prima delle differenze.
Tutti i campi - dice Grégoire - condividono proprio l’applicazione dell’Analisi Transazionale e dei suoi principi. Ciò che risulta differente è il campo di applicazione.
Ma allora ciò che diviene importante per l’analista transazionale non è tanto interrogarsi sulle “frontiere” esistenti tra i diversi campi - come se certi contenuti dovessero tout court essere ritenuti propri di certi ambiti e non di altri - quanto piuttosto individuare gli involucri di coerenza che li circoscrivono.
é come se, con le sue riflessioni, Grégoire voglia offrire all’analista transazionale, sia esso terapeuta, counselor o formatore, il permesso di assumersi in prima persona la responsabilità dei contenuti e delle metodologie dei propri interventi: all’interno di criteri generali, tra i quali l’orientamento alla specifica finalità del campo, un contratto con essa coerente e l’attivazione di un setting protettivo rispetto all’applicazione.

Laura Pentimalli Vergerio e Ugo De Ambrogio, nel loro articolo, analizzano i risultati di un’indagine promossa dal Centro di Psicologia e Analisi Transazionale di Milano, finalizzata a identificare alcuni indicatori della specificità del counseling secondo l’Analisi Transazionale.
é un’indagine stimolante: il campione intervistato ci offre uno spaccato significativo dei protagonisti, dei modi e degli esiti del counseling.
Ma ciò che soprattutto colpisce dell’articolo sono le considerazioni conclusive degli autori, che, pur individuando alcuni indicatori specifici del counseling, mettono in luce la difficoltà di definirlo in modo puntuale e rigido, sia a causa della forte trasversalità con altri campi d’intervento, sia a causa della sua caratteristica di professione giovane ed emergente.

Milly De Micheli, Marina Farina Rossi e Vittorio Soana ci presentano il modello di formazione del Corso di Counseling a indirizzo analitico transazionale e metodologie umanistiche di Genova, di cui sono docenti.
Dalla lettura dell’articolo percepiamo la dimensione di ricerca e di sviluppo che caratterizza il loro intervento formativo, che si connota per l’attenzione costante a inserire l’apprendimento dell’Analisi Transazionale nei confini del counseling.
La specificità e il valore del Corso consistono infatti nel fornire agli allievi una conoscenza teorico-pratica che sia spendibile in modo concreto e fattibile all’interno della professione.

L’articolo di Marco Sambin, scritto a quattro mani con Diego Rocco, psicologo e psicoterapeuta, apre la parte del «Quaderno» dedicata alle applicazione nell’ambito del counseling.
Ringraziamo gli autori per la precisione con cui illustrano l’attività di consulenza psicologica rivolta agli studenti dell’Università di Padova, svolta presso il SAP (Servizio di Assistenza Psicologica), di cui Marco Sambin è co-fondatore.
Ci piace il loro interrogarsi in maniera approfondita sulla specificità della situazione di consultazione rispetto alla terapia clinica e ci piace soprattutto, in linea con lo spirito del «Quaderno», la loro risposta iniziale volta a mettere in evidenza aspetti e problematiche comuni, più che differenziazioni.
Il loro articolo, come quello di Grégoire, tende quindi ad allargare più che a delimitare i confini del counseling: il criterio distintivo torna a essere riposto nella specificità del contratto, ma consulenza e psicoterapia non si differenziano sul piano delle competenze dell’operatore.

Cesarina Tresoldi, esperta di consulenza e formazione aziendale, discute con noi di formazione nelle organizzazione in un’ottica di consulenza di processo, evidenziandone l’approccio contrattuale del tutto congruente con le basi teoriche dell’Analisi Transazionale.
Il consulente di processo prepara, accompagna e segue l’intervento formativo all’interno di una relazione bilaterale con la committenza, aiutando il cliente a vedere, comprendere e agire sugli eventi.

Ampliano, con il loro contributo, la riflessione complessa e articolata sul ruolo del counseling nelle diverse applicazioni, gli articoli di Maurizio Balboni e Sara Medici, già allievi, il primo della scuola psicosociale del Centro di Psicologia e Analisi Transazionale di Milano, la seconda del Corso di Counseling di Genova.

Maurizio Balboni descrive il percorso di consulenza individuale con Michele, riportando e analizzando secondo il metodo dell’Analisi Transazionale alcuni momenti dei colloqui.
Ripercorriamo con lui le fasi del percorso con Michele e apprezziamo la sua professionalità nell’evidenziare la specificità degli interventi nell’area del counseling.

Con Sara Medici entriamo nel mondo delle persone senza fissa dimora.
Utilizzando la fiaba del Mago di Oz e le teorie di Steiner sul copione, Sara ha perfezionato un metodo diagnostico per leggere in modo semplice il copione degli utenti che incontra e ci ha offerto alcuni esempi applicativi.
Compito dell’operatore è «restituire all’utente gli elementi mancanti (un cervello, un cuore, il coraggio) e individuare con lui gli obiettivi da raggiungere».
Il suo è un contributo creativo, interessante e molto stimolante per quanti, come lei, svolgono la professione di counselor in ambiti estremi dell’esperienza.

Fiorenza Costantini e Anita Saisi, psicoterapeute, nel loro articolo La donna alla scoperta di se stessa, ci offrono un esempio di counseling psicologico nel campo del sociale. Le autrici, che svolgono il loro lavoro all’interno di un consultorio, hanno condotto un gruppo di Evoluzione Personale composto da giovani donne con difficoltà relazionali. Il focus del loro intervento è consistito nell’aver facilitato in queste donne la scoperta dell’autonomia in relazione al proprio ambiente sociale, professionale e culturale.
é interessante come l’esperienza di counseling sia andata oltre il disagio psicologico, per focalizzarsi maggiormente sulla dimensione socio-culturale del cambiamento della condizione femminile in questi ultimi anni.

Susanna Ligabue, nell’ormai consueto spazio dedicato a Eric Berne, traccia un profilo dell’Analisi Transazionale così come Berne l’ha voluta, aperta ai problemi personali ma anche sociali; provvista di strumenti operativi attuali e con una forte filosofia intersoggettiva dell’okness. L’Analisi Transazionale come insieme di strumenti concettuali ed operativi significativi per il counseling.

“Linee di tendenza, idee, personaggi, occasioni”, a cura di Dolores Munari Poda e Simone Filippi e con il contributo di Paola Calcagno, ampliano il nostro dibattito, informandoci sui più recenti convegni di questi ultimi mesi, sia riguardo al counseling che più in generale.

La recensione di Guido Bonomi al libro di Roberta de Monticelli La conoscenza personale. Introduzione alla fenomenologia, conclude bene un «Quaderno» dedicato alla relazione, riportandoci al tema centrale dell’incontro e alle sue basi fenomenologiche.

La scelta di inserire, tra un articolo e l’altro, alcune poesie di E. Dickinson non è casuale. Quando aveva trent’anni, la poetessa prese una decisione definitiva e irrevocabile, richiudendosi nella propria stanza e rinunciando a ogni relazione: si ritirò dalla vita. Fu la poesia a dare un senso alla sua esistenza: come dice Paul Freire, «l’esistenza è individuale, ma si realizza solo in rapporto ad altre esistenze, in comunicazione con esse».

Concludo queste pagine ringraziando tutti coloro che hanno offerto la loro competenza e loro energie per contribuire a questo «Quaderno», nella certezza che le loro riflessioni costituiscano uno stimolo prezioso per la prosecuzione del dibattito sul counseling.
Invito i lettori-counselor a utilizzare gli spunti offerti dal «Quaderno» per sviluppare il loro personale stile di fare counseling, contribuendo in questo modo ad ampliare la prospettiva della ricerca.



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