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C.P.A.T. --> HOME PAGE --> N. 50/2008

QUADERNI DI PSICOLOGIA,
ANALISI TRANSAZIONALE
E SCIENZE UMANE

Dal n° 50 - 2008


Lavorare sui sogni mettendo a fuoco la creatività del sognatore

Pio Scilligo (1)




Riassunto

L’autore presenta la propria modalità di lavoro sui sogni evidenziando l’importanza del “significato” che lo stesso sognatore attribuisce al proprio sogno.

Indica una procedura a tre stadi, che tiene conto della lezione di Freud nella rilettura di Solms. Nel primo stadio, che corrisponde a quello della “narrazione espositiva”, il sogno viene raccontato in prima persona come se si svolgesse al presente; segue quello della “narrazione identificatoria” in cui il sognatore drammatizza le parti di sogno come parti di sé, rendendo possibile in tal modo l’emergere nella coscienza di nuove associazioni di natura conscia ed inconscia dedotte dal patrimonio di conoscenze e memorie, che possono rappresentare nuove linee di significato rispetto alla vita di veglia, per giungere al terzo stadio, quello della “narrazione correlativa”, in cui il sognatore, cosciente dei processi di significato e contestualizzazione circa il suo agire, diverrà consapevole delle proprie scelte.

Questo percorso restituisce valore al “significato ed al simbolo” nell’ambito di una ermeneutica contestuale, di contro ad un certo orientamento scientifico che privilegia il segno e gli assunti naturalistici, contribuendo pertanto ad arricchire l’attuale dibattito culturale per una decodificazione sempre più approfondita della realtà psicologica


Abstract

Working on dreams focusing dreamer creativity

The author introduces his way to work with dreams emphasizing the relevance of the “meaning” the dreamer himself ascribes to his dream.

He shows a three-stage proceeding taking into account Freud’s teaching in re-reading Solms. In the first stage, corresponding to the “expositive narration”, dream is being told in the first person as if it took place in the present; there follows the stage of the “identification narration” in which the dreamer plays the dream parts as parts of himself, making it thus possible the rise in the conscience of new associations of an unconscious and conscious nature deduced from knowledge and memories. These may represent new lines of meaning with regard to the awake life. Finally, we reach the third stage, the “correlation narration” in which the dreamer, aware of the meaning and contextualization processes about his acting, he shall become aware of his own choices.

This process gives back value to the “meaning and the symbol” within a context hermeneutics, as opposite to a certain scientific orientation privileging the sign and natural notions, thus contributing to enrich the current cultural debate for an increasingly deep decoding of psychological reality.


Andare oltre le intuizioni di Freud

Presenterò brevemente come procedo nel lavorare sui sogni, premettendo subito che l’orientamento da me seguito dà importanza al significato che il sognatore attribuisce alla propria esperienza onirica piuttosto che all’interpretazione da parte del facilitatore dell’esplorazione del sogno.

Tale modalità nel lavoro sul sogno tiene conto di alcuni aspetti messi bene in evidenza da Solms (2004) nella sua risposta alle critiche di Domhoff (2004) di difendere ad oltranza la sopravvivenza della teoria di Freud sui sogni di fronte alle acquisizioni della ricerca empirica, soprattutto da parte dei neuroscienziati.

Solms (2004, p. 20) insiste su quattro aspetti fondamentali a riguardo dei quali l’intuizione di Freud, presa in senso lato, ha colto nel segno: a) Freud insiste che i sogni hanno significato; b) per cogliere il significato occorre l’interpretazione, nel senso che le immagini oniriche hanno bisogno di decodifica, c) i sogni poggiano su processi motivazionali, cioè gli scenari dei sogni sottendono emozioni e pulsioni; d) i sogni sono disinibiti, cioè non sono dominati dai processi secondari, dalla modulazione esecutiva prefrontale.

Allo stesso tempo ci sono ragioni, derivanti dalle analisi degli esperimenti dei neuroscienziati, che inducono a prendere sul serio la critica di Domhoff che diversi aspetti della teoria di Freud sui sogni richiedono revisione. In particolare oggi la ricerca scientifica non riesce ad avvallare alcuni concetti importanti di Freud. Gli studi di laboratorio indicano che i sogni sono più frequenti, più regolari e più lunghi di quanto previsto da Freud. Inoltre, gli studi sui sogni dei bambini sotto gli otto anni hanno dimostrato che essi sognano di meno degli adulti e tuttavia dormono bene (Foulkes, Hollifield, Sullivan, Bradley, Terry, 1990); ciò va contro la teoria di Freud che il sogno protegge il sonno. Consta che alcune persone non sognano, ma riescono ugualmente a dormire (Solms e Turnbull, 2002). Pertanto non ci sono prove che chi non sogna non riesce a dormire o dorme di meno (Jus, Jus, Villeneue, 1973).

Non è più sostenibile che tutti i sogni siano basati sulla soddisfazione di desideri, salvo alcune eccezioni (Domhoff, 2004). Così pure non è più sostenibile l’idea che i sogni siano una maschera di qualcos’altro e non, piuttosto, una espressione simbolica di processi dell’esperienza quotidiana (Foulkes, 19985, Foulkes, 1999).

Tutto questo messo insieme, tende a indicare che è inutile voler far fuori Freud, come ho già avuto occasione di scrivere a riguardo dei processi inconsci ampiamente studiati oggi dalle teorie socio-cognitive (Scilligo, 2006a, 2006b; Scilligo, Bianchini, 2006), perché ricompare vivo e vegeto vestito a nuovo e rifatto, nonostante la necessità di cambiare alcuni assunti, cosa che lui stesso avrebbe fatto se avesse continuato a vivere oltre i cento anni. Quindi da un lato vedo utile non imbalsamare Freud come se avesse già detto tutto, e dall’altro è importante cogliere i contributi di fondo di Freud lasciando che le scoperte della tecnica ci illumini su nuovi dettagli e su nuovi orizzonti.


I sogni come ampliamento dei significati esistenziali

Le narrazioni personali sono sempre più studiate come strumento di formazione della propria identità (McAdams, Josselson, Lieblich, 2001; Polkinghorne, 1988; Rosenwald, Ochberg, 1992). Per molti studiosi l’identità è una narrazione, una storia con il suo contesto, le sue scene, caratteri, copioni e temi (McAdams, 1996, 1999, 2003). Durante l’adolescenza e la vita adulta le persone ricostruiscono il loro passato personale, la loro esperienza presente e anticipano il loro futuro in termini di storie personali interiorizzate in continuo sviluppo, come narrazione integrata di sé (MacIntyre, 1981).

Concepisco il lavoro sui sogni come una narrazione che esprime l’identità del sognatore che narra e vive il sogno e lo mette nel contesto della propria vita presente, passata e futura attraverso una procedura a tre stadi non diversa da quella proposta da Thorne e McLean (2003):

a) lo stadio della narrazione espositiva, cioè il racconto in prima persona del sogno così come è vissuto e ricordato, come se il sogno si stesse sviluppando qui nel presente;

b) lo stadio della narrazione identificatoria, cioè la narrazione che emerge dal rivivere il sogno impersonando le parti del sogno comeespressione viva di sé;

c) il terzo stadio è la narrazione correlativa, cioè la presa di coscienza attraverso la percezione immediata del collegamento tra la narrazione identificatoria e la narrazione cosciente dell’esperienza emergentenel correlare il dialogo proiettivo con il vissuto quotidiano.

Quando la persona racconta il sogno in prima persona così come lo ha sperimentato, non coglie immediatamente il significato della propria narrazione onirica e non la coglierà attraverso una interpretazione da parte del conduttore dell’esperienza, perché il conduttore ha solo l’informazione che deriva dalla propria esperienza, che è correlata con quella del sognatore solo genericamente. Il simbolismo onirico, nonostante che rappresenti anche esperienze culturali e comunitarie condivise, rappresenta e crea significati legati al contesto culturale e storico della persona; ogni storia personale è unica, laminata con l’esperienza culturale, ma sempre personalmente unica.

L’espansione del significato rappresentato dal simbolismo onirico è operata attraverso il secondo processo del lavoro sul sogno: la narrazione identificatoria. L’uso di tale narrazione poggia sull’assunto che il sognatore mentre sogna sceglie dal suo repertorio di vissuti di vita i simboli che meglio rappresentano la ricchezza della propria conoscenza fatta di memorie coscienti e non coscienti dichiarative di natura descrittiva e imperativa unitamente a contenuti semantici ed episodici e fatta anche di memorie non dichiarative di natura affermativa e deontica a loro volta con contenuti sia episodici sia semantici. Questo repertorio di memorie espresse attraverso simboli verbali ma molto più spesso non verbali, non è caotico; ha un suo ordine creato nell’esperienza di vita e in gran parte non cosciente. Nell’esperienza onirica, sotto gli stimoli dell’esperienza consapevole e non consapevole del vissuto di veglia, il cervello viene svegliato in modi che possono rassomigliare ai processi di priming, cioè di accensione schematica del cervello, dei processi onirici che non escludono in modo radicale i processi cognitivi di ordine superiore (Antrobus, 1978; Antrobus, 2000a, 2000b; Antrobus et al, 1995).

Attraverso la drammatizzazione delle espressioni oniriche, che sono espressioni di sé, la narrazione identificatoria permette l’emergere nella coscienza e provoca associazioni nuove di enorme complessità, di natura conscia e inconscia, che sfociano in significati amplificati della propria coscienza conscia e inconscia secondo modalità interattive che non sono certamente soltanto sovrapposizioni di memorie ma vere e proprie creazioni nel contesto della propria esperienza conscia e inconscia. Il processo della narrazione identificatoria va monitorizzato delicatamente, per non contaminarlo con invasioni di logiche dei processi secondari sia del conduttore sia del sognatore, in modo che possa svilupparsi un graduale espandersi della coscienza attraverso le associazioni libere che si propagano nel cervello secondo percorsi schematici pre-calibrati dall’esperienza, che però lasciano spazio alla creatività della persona. Tali associazioni non sono caotiche se non nel grado in cui la persona che sogna ha vissuto una vita caotica. Possono emergere nuovi orizzonti di significato, che possono dare senso a quanto si fa nella vita di veglia con un certo livello di automaticità non riflessiva.

Dopo il processo narrativo identificatorio, viene stimolata la narrazione correlativa, che, permette al sognatore, attraverso un intuìto rapporto tra il processo proiettivo della narrazione identificatoria, di rendere esplicito il sistema narrativo della propria identità: la persona prende coscienza dei processi di significato e di contestualizzazione conscia del proprio agire. A questo punto la persona è in grado di esprimere un giudizio cosciente di scelta in vista dell’attuazione volontaria della propria libertà responsabile. La persona diventa autrice delle proprie scelte, perché è in grado di contestualizzare con accresciuta coscienza il proprio deposito di saggezza, grazie anche alla conoscenza della propria ricchezza di competenze schematiche di natura automatica e inconscia e grazie alle competenze critiche della propria esperienza di veglia.

Spesso uso la metafora di dichiararci personalità multiple, in quanto deleghiamo molte delle nostre decisioni a processi automatizzati creati in contesti spesso lontani dal presente e dalla competenza complessa del presente, processi che talora diventano gestori di scelte non consapevoli poco sincronizzate con il variare e l’espandersi dell’esperienza di vita, poco accompagnate dalla riflessione e la meditazione integrativa dei nostri processi decisionali.

Attraverso la narrazione identificatoria e la narrazione correlazionale, si limita il rischio di stabilire dei subsistemi di gestione di noi che sono fuori della nostra coscienza da cui vogliamo esercitare la nostra coscienza. La creazione di automatismi controproducenti è un rischio reale nella nostra vita fortemente regolata dall’esterno e sistematicamente proposta con insistenza, che provoca normativi inconsapevoli di controllo della nostra vita.


I processi neurobiologici e l’esperienza esistenziale

Il modo qui presentato di vedere i sogni e di espanderli creativamente è in contrasto con quanto proposto dagli studiosi a forte orientamento neurobiologico. Secondo Hobson, uno degli esponenti più visibili dell’orientamento neurobiologico, il sogno nasce dalla regione del ponte da cui nasce anche il sonno REM, che dovrebbe produrre segnali relativamente caotici che dovrebbero attivare la corteccia cerebrale dei lobi frontali, forzandoli verso una sintesi dall’immissione di segnali dai diversi eventi intermittenti (Hobson, McCarley, 1977).

Egli ha riformulato notevolmente la sua teoria per fare spazio alle scoperte della neuroimaging. Tuttavia ancora recentemente sosteneva che il sogno è una specie di psicosi (Hobson, 2002) caratterizzata da allucinazioni e deliri (pp. 98-99), non tenendo conto di numerosi studi riguardanti il contenuto dei sogni che indicano chiaramente il contrario (ad es. Domhoff, 2005), ma egli li mette da parte asserendo che il contenuto dei sogni non è studiabile scientificamente. Non è questo il luogo per spiegare il significato di tale affermazione, ma certamente echeggia la tendenza a ridurre lo studio dell’uomo alla metodologia naturalistica, nota per la sua preziosità nell’esplorazione della psiche umana e al contempo per la sua debolezza nell’affrontare i problemi tipicamente umani e gestibili scientificamente, almeno per ora, solo attraverso le definizioni operative, che poggiano su logiche deduttive piuttosto che verifiche empiriche.

Miranda Occhionero dell’Università di Bologna è esplicita nel ritenere che il riduzionismo neurobiologico, soprattutto quello di Hobson, vada preso con le pinze quando si tratta di spiegazioni dell’attività del cervello ignorando i risvolti cognitivi. Da un lato la neurobiologia offre contributi di grande valore nell’esplorazione dell’attività del cervello, basta leggere Damasio, ma in alcuni studiosi come Hobson, tende a sopravvalutare la capacità delle tecniche più moderne di esplorazione del cervello attraverso il neuroimaging a fare giustizia dei processi temporali. La Occhionero conclude con acutezza che le tecniche attuali molto avanzate sono in grado di arrivare a elevate risoluzioni spaziali nell’analisi del sistema nervoso centrale e insieme hanno il debole di una bassa risoluzione temporale e quindi di fare i conti con la caratteristica sistemica del cervello e dei processi interattivi; essa afferma letteralmente:

… Il sogno senza dubbio rappresenta una situazione nella quale il sistema nervoso centrale elicita cambiamenti che coinvolgono diverse strutture corticali e subcorticali. Tali cambiamenti avvengono molto rapidamente (nell’ordine di mille secondi). Pertanto, la risoluzione temporale delle tecniche di neuroimaging è un limite molto importante quando si cerca di determinare i correlati cognitivi dell’attività cerebrale, perché si corre il rischio di presentare un’immagine distorta della realtà che Damasio (1994) ha cercato di descrivere (Occhionero, 2004).


Ci troviamo di fronte a due modi di guardare alla realtà psicologica: l’una ad orientamento scientifico, che dà importanza al segno e agli assunti naturalistici (Scilligo, 2004) e l’altro che dà importanza al significato e al simbolo. È possibile una dialettica tra questi due modi di fare scienza. Nei sogni tendo ad accentuare l’aspetto che tiene al significato e usa prevalentemente l’ermeneutica contestuale; da un altro lato è irrinunciabile la verifica scientifica, pienamente consapevoli che la sua tendenza è di isolare i fenomeni nella verifica sperimentale; ciò apre la strada ad un riduzionismo controproducente per la situazione umana nell’assenza di una sana ermeneutica.


Conclusione

Nel lavoro sul sogno, valgono ancora saldi, in linea di massima, alcuni principi di Freud, ma alcuni aspetti della sua teoria devono essere ridimensionati. È stato proposto di considerare il sogno come una narrazione che rappresenta la propria identità. Attraverso la narrazione espositiva, identificatoria e correlativa è possibile ampliare i significati consci e inconsci del ricco deposito delle conoscenze che la persona possiede. Si suggerisce che tale attività sia uno strumento valido di ampliamento dei significati, nonostante l’obiezione di alcuni neuroscienziati che hanno difficoltà ad accettare i risvolti cognitivi dell’attività onirica.


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(1) Pio Scilligo è stato fondatore e direttore delle Scuole di Specializzazione in Psicoterapia dell’IFREP di Roma, Cagliari e Venezia; direttore del Laboratorio di Ricerca sul Sé e sull’Identità, LARSI – IFREP; direttore della rivista Psicologia Psicoterapia e Salute dell’IFREP.


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