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C.P.A.T. --> HOME PAGE --> N. 50/2008

QUADERNI DI PSICOLOGIA,
ANALISI TRANSAZIONALE
E SCIENZE UMANE

Dal n° 50 - 2008


Sicurezza stradale tra attaccamento e percezione del rischio

Emanuela Lo Re (1)




Riassunto
Questo articolo propone una lettura psicologica del tema della sicurezza stradale, intesa come un aspetto importante dell'esperienza interpersonale.
In quest'ottica, l'attaccamento viene riconosciuto come luogo significativo di interazione e di origine di alcune competenze necessarie per muoversi sulla strada in modo sicuro: la percezione del rischio, la capacità di auto proteggersi e di rivolgere attenzione agli altri.
La riflessione proposta apre una prospettiva sulle possibili correlazioni fra stili di attaccamento e percezione del rischio che potrebbe offrire contributi nuovi ed alternativi all'attività di prevenzione degli incidenti stradali.

Abstract
ROAD SECURITY BETWEEN ATTACHMENT AND RISK PERCEPTION
This paper provides a psychological reading of road security, meant as an important aspect of inter-individual experience. In this perspective, attachment is being recognized as a meaningful place of interaction and origin of some abilities required to move on the road in a safe way: the risk perception, the ability of self-protection and attention to others.
The reflection proposed opens up a new perspective on possible correlations among attachment styles and risk perception which might offer new and alternative contributions to road accident prevention activities.


Premessa
La sicurezza stradale rappresenta oggi una questione complessa di grande attualità: i dati degli incidenti, definiti spesso dai mass media veri e propri "bollettini di guerra", descrivono un fenomeno che fatica ad arrestarsi e sollecita gli esperti di diverse discipline al confronto e all'individuazione di specifiche strategie di prevenzione e intervento.
L'ipotesi di questo lavoro deriva dalla possibilità di connettere tra loro e far interagire conoscenze psicologiche e conoscenze relative alla sicurezza stradale: infatti parlare di sicurezza stradale in modo "normativo" e all'interno della logica "causa-effetto" non coglie la profondità del problema e limita la ricerca e l'individuazione di adeguate strategie di prevenzione, cura e intervento. Interiorizzare le regole del codice, diventare utenti della strada capaci di rispettare sé e gli altri, confrontarsi con gli incidenti stradali ed elaborarne i traumi, sono processi psicologici complessi, profondi, che si connettono in modo significativo alla storia relazionale ed emotiva di ogni persona, ci parlano del suo mondo interpersonale, perché, come vedremo, è dall'interazione che nasce la capacità di proteggersi, rapportarsi con gli altri, muoversi sicuri sulla strada.

Dai dati ACI-Istat pubblicati nel 2007 si osserva che ogni giorno, nel nostro paese, si verificano in media 652 incidenti stradali che provocano la morte di 16 persone e il ferimento di 912.
Nel 2006 sono stati rilevati 238.124 incidenti stradali, che hanno causato il decesso di 5.669 persone, mentre 332.955 hanno subito lesioni di diversa gravità.
L'analisi dell'incidentalità nel lungo termine mostra una costante riduzione della gravità degli incidenti, evidenziata dall'indice di mortalità (numero di morti ogni 100 incidenti) che si attesta al 2,4 % nel 2006 contro il 2,8% del 2000 e dall'indice di gravità (decessi ogni 100 infortunati) che passa dal 1,9 al 1,7.
Nel Libro Bianco del 13 settembre 20011 l'unione Europea ha fissato un obiettivo ambizioso, ovvero dimezzare il numero di morti sulle strade entro il 2010.
Alla fine del 2005, il bilancio intermedio mostra che solo pochi paesi hanno già ridotto in misura superiore al 25% il numero di vittime della strada; emerge, altresì chiaramente, la difficoltà a ridurre il numero di decessi in Paesi quali la Gran Bretagna che già nel 2000, con 3.580 morti, faceva registrare tassi molto bassi e vicini al cosiddetto "zoccolo duro", difficilmente eliminabile. In Italia, dove alla fine del 2005 si registrava una riduzione del 17,6% nel numero di decessi, è proseguito il trend decrescente anche nel 2006, segnando un ulteriore calo del 2,6%: il decremento complessivo è pari al 19,7%.
Tale risultato, seppur apprezzabile, non è sufficiente per il raggiungimento dell'obbiettivo 2010: permanendo l'attuale trend è presumibile che si arrivi al 2010 con una diminuzione delle vittime pari a circa il 30%. Per raggiungere l'obbiettivo, si dovrebbe, negli anni a venire, ridurre la mortalità ad un tasso medio non inferiore al 9,5% annuo.

Circostanze e cause
Dall'analisi delle circostanze e delle cause degli incidenti stradali avvenuti in Italia nel 2006, emergono le priorità operative su cui concentrare le azioni di sicurezza stradale: il controllo della velocità, il controllo della guida in stato di ebbrezza, la guida distratta, la protezione degli utenti deboli - in particolare pedoni e utenti delle due ruote - l'individuazione e messa in sicurezza delle tratte stradali più pericolose.
Nel 2006, su 182.177 incidenti, il 76,5%, si sono verificati sulle strade urbane, causando 242.042 feriti (il 72,7% sul totale) e 2.294 morti (pari al 44%).
Viceversa sulle autostrade si sono verificati 133.319 incidenti (pari al 5,6% del totale) con 22.646 feriti (pari al 6,8%) e 590 decessi (pari al 10, 4%). L'indice di mortalità mostra che gli incidenti più gravi avvengono sulle strade extra urbane, dove si registrano 6,1 decessi ogni 100 incidenti contro l'1,3 delle strade urbane. Sulle autostrade l'indice di mortalità, pari a 4,4 è più che il triplo rispetto a quanto avviene in città.
Il maggior numero di incidenti, nel 2006, si è verificato a luglio e anche per quanto riguarda il numero di morti questo mese è quello in cui il valore risulta massimo: 585 in valore assoluto e 19 in media giornaliera. Mentre il valore più basso si colloca nel mese di marzo: 380 morti, pari a circa 12 decessi al giorno.
L'indice di mortalità più elevato si registra nel mese di agosto (2,7 morti ogni 100 incidenti), probabilmente a causa del maggior numero di veicoli in circolazione in occasione degli esodi estivi.
Rispetto all'andamento settimanale, il venerdì si conferma il giorno in cui si concentrano il maggior numero di incidenti: 36.574, pari al 15,4% del totale. Le frequenze più elevate di morti si osservano il sabato e la domenica (rispettivamente 991 e 1.004 decessi, pari a 17,5 e 17,7%) mentre il venerdì e il sabato sono i giorni in cui si registrano i valori più alti dei feriti (rispettivamente 49.796 e 50.230, pari a 15,0 e 15,1%).
L'indice di mortalità per giorno della settimana presenta il valore massimo (3,7 morti ogni 100 incidenti) la domenica mentre scende all'1,9% il mercoledì. Complessivamente nel week-end si registra il 25,9% di incidenti ed il 35,2% dei decessi. L'indice di mortalità risulta pari a 3,2 morti per 100 incidenti.


1 La Politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte (COM (2001) 370 def del 12 settembre 2001).
Considerando la distribuzione degli incidenti nell'arco temporale di un'intera giornata si osserva un primo picco tra le ore 8 e le 9 del mattino, probabilmente legato all'elevata circolazione dovuta agli spostamenti casa-ufficio e casa-scuola; un secondo picco si osserva tra le ore 12 e le 13 in corrispondenza dell'uscita dalle scuole e in relazione alla mobilità di coloro che usufruiscono dell'orario spezzato; infine il picco più elevato di incidentalità si registra intorno alle ore 18 quando si sommano gli effetti dell'incremento della circolazione dovuto agli spostamenti dal luogo del lavoro verso l'abitazione, con l'aggiunta di fattori psico-sociali quali lo stress da lavoro e la difficoltà di percezione visiva dovuta alla riduzione della luce naturale non ancora sostituita da quella artificiale.
Rispetto agli incidenti notturni, dai dati statistici si osserva che di notte il numero di incidenti tende a diminuire rispetto alle ore diurne, mentre le conseguenze sono molto più gravi: nella fascia oraria compresa tra le 22 e le 6 del mattino, nel 2006, si sono verificati 36.235 incidenti stradali che hanno causato il decesso di 1.563 persone (pari al 27,6% del totale dei morti) e il ferimento di 57.314.
Gli incidenti del venerdì e del sabato notte sono pari al 44,6% del totale degli incidenti notturni; analogamente, i morti e feriti del venerdì e sabato notte rappresentano, rispettivamente, il 46,1 % e il 47,1%. Gli incidenti notturni rilevati negli altri giorni della settimana (fatta eccezione per il venerdì e il sabato notte) costituiscono complessivamente il 55,4% di tutti gli incidenti della notte.
L'indice di mortalità degli incidenti avvenuti durante la notte è pari a 4,5 decessi ogni 100 incidenti contro il 2,4 della media nazionale. Tale indice assume un valore massimo in corrispondenza della domenica notte (5 decessi ogni 100 incidenti).
Anche per gli incidenti notturni l'area urbana risulta essere il luogo in cui avvengono il maggior numero di incidenti mortali 8,7% contro il 2,5% delle strade extraurbane.
Il 76,5% degli incidenti stradali avviene tra due o più veicoli (scontri frontali-laterali, tamponamenti), mentre il 23,5% riguardano veicoli isolati (fuoriuscita di strada, sbandamento).
L'investimento di pedone rappresenta l'8% degli incidenti: si registrano 19.089 casi in cui hanno perso la vita 723 persone e 21.503 sono rimaste ferite.
Le automobili rappresentano il 66,5% dei veicoli coinvolti in incidente stradale, i veicoli a due ruote motorizzati sono il 21,4% suddivisi tra ciclomotori (8,6%) e motocicli (12,8%). Praticamente tra i veicoli coinvolti in incidente, 1 su 5 è un veicolo a due ruote. I veicoli per il trasporto di merci rappresentano il 6,8%.

Le cause
Le cause accertate o presunte di incidente stradale riguardano i seguenti fattori:
- comportamenti errati di guida (mancato rispetto delle regole di precedenza, la guida distratta, la velocità elevata) che costituiscono il 94,67% dei casi;
- lo stato psicofisico alterato del conducente (guida in stato di ebbrezza, malori, ingestione di sostanze stupefacenti o psicotrope, sonno) che pesa per il 2,00%;
- comportamento scorretto del pedone o stato psicofisico alterato dello stesso che determina il 3,11 % degli incidenti;
- difetti o avarie del veicolo che rappresentano lo 0,23% delle cause del totale degli incidenti

Persone coinvolte
Il 66,1% dei morti ed il 70,4% dei feriti a seguito di incidente stradale è costituito dai conducenti dei veicoli coinvolti, i passeggeri trasportati rappresentano il 20,5% dei morti e il 23,3% dei feriti ed i pedoni, che costituiscono un'utenza debole della strada, risultano il 6,3% dei feriti ma bene il 13,4% dei morti. Nel 2006 l'indice di gravità che mediamente risulta pari a 1,7 si riduce per i trasportati 1,5 e per i conducenti a 1,6, mentre sale a 3,5 per i pedoni.
Tra i conducenti morti o feriti a seguito di incidente stradale i più colpiti sono i giovani. Entrambe le distribuzioni in valore assoluto presentano dei massimi in corrispondenza delle fasce di età fra i 25 e i 34 anni: 452 decessi in valore assoluto tra 25 e 29 anni e 457 tra 30 e 34, mentre i feriti risultano rispettivamente 31.451 e 31.259. Tuttavia dal calcolo dei rapporti per singolo anno di età la classe a pagare il maggior contributo di vite è quella compresa tra 21 e 24 anni.
A partire dai 35 anni di età il numero di conducenti che ha riportato conseguenze in incidente stradale decresce progressivamente in valore assoluto.
Un commento a parte meritano i dati relativi ai pedoni, che come abbiamo visto sono fra gli utenti della strada, i più deboli. Mettendo in relazione questo tipo di utenti della strada e le fasce di età si osserva che il rischio di infortunio causato da investimento stradale è particolarmente alto per la popolazione anziana sia con riferimento ai valori assoluti dei coinvolti, sia rapportando tali valori agli anni compresi nelle classi: la fascia di età compresa tra i 75 e i 79 anni presenta il valore massimo in termini assoluti per quanto riguarda i morti (114) e la fascia di età compresa tra i 70 e i 74 anni per i feriti (1.422). I bambini da 10 a 13 anni coinvolti in investimento sono 797, mediamente 199,3 per ciascun anno della classe. Il rischio di investimento, tuttavia, è maggiore per i ragazzi di 14-15 anni: ne risultano coinvolti 543, cioè in media 271,5 per ciascun anno di età.
Nel complesso la fascia più colpita dalle conseguenza degli incidenti stradali è quella tra i 25 e i 29 anni, con 587 morti e 41.208 feriti in valore assoluto. Con riferimento ai valori medi per singolo anno di ciascuna fascia di età, risultano maggiormente coinvolti i giovani tra 21 e 24 anni (8.665 tra morti e feriti per ogni fascia di età).
I bambini al di sotto dei 10 anni, morti e feriti in incidente stradale, sono 6.544 cioè mediamente 18 al giorno.
Come affermano Lewanski e Tintori (2005) "Non sono numeri, sono persone; ed è un fenomeno sociale di prima grandezza che tocca tutti: una famiglia su tre in Italia ha l'esperienza diretta di un incidente stradale e delle sue conseguenze".

Considerazioni sui dati
Uno sguardo attento ai dati relativi agli incidenti stradali che si verificano nel nostro paese ci porta ad osservare che la maggior parte degli incidenti avviene nel traffico cittadino, nelle strade delle città in cui viviamo tutti i giorni, in quelli che Gallino (2007) definisce "luoghi di attaccamento":
Riteniamo che nelle persone si possa sviluppare un profondo, rilevante attaccamento verso determinati luoghi, indicato come place attachment [...].Tali legami affettivi riguardano in modo specifico, e in gran parte dei casi, i luoghi dell'infanzia, a cominciare dalla propria casa. Ma possono anche manifestarsi nei confronti di luoghi dove si sono vissute particolari esperienze, si sono incontrate persone con cui sono state avviate relazioni importanti, si sono esperite profonde emozioni, di cui permangono ricordi personali intensi (Gallino, 2007, p. 3).

Gli studi relativi alle cause degli incidenti stradali indicano come più frequenti la stanchezza, la distrazione, l'inesperienza, bassi livelli di alcolemia, il non uso del casco e delle cinture; sono queste cause a determinare la gravità delle conseguenze prima ancora della ricerca intenzionale di esperienze eccitanti ed estreme, comportamenti, quest'ultimi, che riguardano persone appartenenti a fasce specifiche di età e di popolazione: adolescenti, persone che abusano o sono dipendenti da alcol e/o sostanze.
La maggior parte degli incidenti stradali, come riporta la letteratura (Carbone, 2003; Dorfer, 2004) è causato direttamente o indirettamente dall'errore umano, la cui dinamica sembra più vicina a quella del lapsus e dell'atto mancato che alla sfida, alla trasgressione.
Accanto ad un rischio che fa "notizia", quindi legato alla ricerca intenzionale del brivido e delle emozioni forti, quando riflettiamo sul fenomeno degli incidenti stradali siamo invitati a guardare anche ad un rischio "silente", al rischiare silenzioso. Questo rischio silenzioso richiama poco l'attenzione, porta a sottovalutare il fenomeno degli incidenti stradali fra le persone, ad alimentare i pregiudizi (Rumiati, Savadori 2005) come ad esempio il considerare gli incidenti stradali soprattutto un problema del sabato sera, della guida spericolata legata all'utilizzo di sostanze, il problema di alcuni piuttosto che un problema di tutti.
Sia il rischio silenzioso sia il rischio che fa "notizia" ci parlano di "compromissione" di alcuni processi psicologici, definiti in letteratura (Sartori, 1997; Bukasa, Dorfer, 1999) "requisiti psicologici alla guida": le capacità percettive, la concentrazione, l'attenzione, la capacità di reagire agli stimoli complessi, la coordinazione visuomotoria, le funzioni mnestiche, l'esame di realtà, la responsabilità sociale, l'autocontrollo, la stabilità psichica, la capacità di controllare i comportamenti aggressivi/distruttivi durante la guida.
Gli incidenti stradali ci parlano di una difficoltà dell'individuo e della società a compiere e mettere in atto scelte sicure, come quelle di un Genitore quando fatica a svolgere la sua funzione protettiva, per esempio decidere di indossare il casco o di allacciare le cinture, mentre è più facile siano attive scelte "incerte", "insicure" come quelle di un Adulto contaminato, da cui deriva una errata percezione dei pericoli e dei rischi della strada, di cui ci parla la letteratura. Si può parlare ad esempio dell'illusione di controllo che si manifesta con l'eccessiva fiducia nella propria capacità di controllare gli eventi, la sottovalutazione della propria vulnerabilità, la sovrastima delle proprie abilità; oppure dell'ottimismo irreale, ovvero la tendenza a sopravvalutare la positività degli eventi e sottovalutare la negatività e a credere che il futuro sia privo di eventi spiacevoli; o ancora dell'ottimismo comparativo, cioè la tendenza a concentrare la percezione degli eventi positivi su se stessi e quella degli eventi negativi sugli altri.

Pericolo e rischio
Considero importante distinguere il concetto di pericolo da quello di rischio; le due parole indicano due tipi di esperienze distinte e implicano l'utilizzo di competenze psicologiche diverse per essere colti, compresi e affrontati.
Pericolo già nella sua stessa etimologia (dal latino periri "fare esperienza e dal greco peira, prova) richiama l'esperire, il contatto diretto della persona con la situazione, con l'evento che porta con sé un danno implicito ma certo; il rischio, invece, si riferisce all'eventualità, rimanda alla teoria della probabilità, la valutazione e l'accettabilità del rischio non costituiscono un dato assoluto, certo come per il pericolo, ma una funzione legata a diversi processi di pensiero, a diversi parametri personali e culturali, come afferma Douglas "il rischio è un prodotto culturale".
La percezione del pericolo e la percezione del rischio sono fondamentali per muoversi sulla strada in modo sicuro, influenzando i tre distinti livelli di guida, di cui ci parlano Michon (1985), Botticher e
Molen (1988), che possiamo estendere a tutti gli utenti della strada (pedoni, ciclisti, motociclisti, automobilisti). Gli autori distinguono: il livello strategico che ha effetti a lungo termine, il livello tattico che si realizza a breve termine e il livello operazionale che si attiva in pochi secondi.
Il livello strategico riguarda la pianificazione, i ragionamenti, gli atteggiamenti le riflessioni, che un conducente può compiere per decidere se mettersi in viaggio di notte o con la nebbia; il livello tattico corrisponde ai comportamenti controllati consapevolmente come la scelta della velocità, della distanza di sicurezza, la decisione o meno di sorpassare o di attraversare un incrocio; infine il livello operazionale coincide con le modalità automatiche di comportamento riguarda la prestazione di guida ovvero i movimenti del volante, l'utilizzo dei pedali.
Gli autori sostengono esista una interazione attiva fra i diversi livelli di guida che porterebbe per esempio le persone anziane a compensare i loro deficit a livello operazionale (rallentamento cognitivo e psicomotorio) tramite adeguate decisioni a livello strategico, evitando per esempio i viaggi pericolosi.
é interessante riflettere su come il nostro mondo, la nostra società così foriera di incertezze, che ci porta inevitabilmente a vivere le incertezze stesse, quindi ad esperire l'incertezza, si confronti con una difficoltà delle persone nel riconoscere ed affrontare in modo adeguato l'incerto, i rischi. Come se, essendo così abituati a vivere nell'incertezza, diventiamo insensibili, quasi anestetizzati, in difficoltà, nel riconoscere il rischio. Come se, pur avendo imparato a convivere con le incertezze e con le emozioni ad esse connesse ne siamo così coinvolti da non riconoscerle adeguatamente per poterle vivere proteggendoci. L'errata percezione del rischio, una sorta di strategia di sopravvivenza, una difesa da un "eccesso" di incertezze.
Il pericolo è certo, il rischio è incerto e probabile. Il pericolo è dato dalla caratteristica di una situazione o di un oggetto che provoca sicuramente un danno se viene a contatto con la persona, per esempio l'urto di due mezzi in velocità; il rischio, invece, è la valutazione della probabilità che la persona entri in contatto con il pericolo e la gravità del potenziale danno. Guidare l'auto è un'attività rischiosa, i cui potenziali effetti negativi derivano sia dai comportamenti di chi guida che dalle condizioni di traffico in cui si svolge la guida e dal veicolo guidato. Ogni rischio sottintende un pericolo.
La capacità di percepire il pericolo è un presupposto indispensabile; imprescindibile la percezione del rischio, competenza complessa che implica la capacità di cogliere le incertezze, le probabilità, di prevedere le conseguenze possibili, di decidere nell'incertezza stessa. Attraversare un incrocio con il semaforo rosso è pericoloso, attraversare un incrocio con il semaforo giallo è rischioso.

Pericolo, rischio, emozioni
Da un punto di vista evolutivo l'acquisizione e la rappresentazione del pericolo, quindi quello comunemente definito "senso del pericolo" precede la più complessa capacità di percepire il rischio (Lis, Venuti, Zennaro, 1994).

Confrontarsi con il pericolo genera paura e viceversa la sensazione di paura di fronte ad una situazione può far considerare la situazione stessa come pericolosa. La paura è il segnale emotivo dell'esistenza di un pericolo esterno o interno.
Trovarsi davanti ad un pericolo attiva il sistema emotivo, genera paura e muove le persone all'azione in modo diretto. Tutti i comportamenti messi in atto trovandosi davanti ad un pericolo sono modalità di risposta volte alla sopravvivenza, alla salvaguardia dell'incolumità fisica, le medesime modalità che ritroviamo nella risposta ad eventi traumatici. Le persone che hanno vissuto un incidente stradale in cui la loro vita e/o quella di un loro caro era in pericolo, raccontano di reazioni e azioni che hanno messo in atto "senza pensare", parlano di "istinto di sopravvivenza", di movimenti automatici, attivati, potremmo ipotizzare, da circuiti di memoria implicita, filogeneticamente appresi. Di fronte ad un pericolo che può venire da un predatore, alcuni animali se non sono in grado di contrattaccare, mettono in atto comportamenti di "fuga attiva", ovvero ricorrono all'allontanamento fisico dalla sorgente del danno (Dixon, 1996). Quando la fuga attiva non è praticabile l'individuo minacciato mette in atto comportamenti di cut off (Chance, 1962), che sono strategie difensive che vengono dette di "fuga bloccata" (Grant, 1963): chiudere gli occhi, girare la testa dalla parte opposta, distogliere lo sguardo, assumere posizioni statiche, o chiudersi in una forma di raggomitolamento, con il dorso ricurvo (crouching), o bloccarsi in un arresto improvviso del movimento, in una posizione qualsiasi che viene detta freezing, congelamento a cui può accompagnarsi un cut off degli organi di senso che impedisce il monitoraggio dell'ambiente circostante.
Ricordo di un ragazzo che era stato coinvolto in un incidente stradale, che mi riferì di aver assunto, durante l'incidente, quella che lui definiva "la posizione fetale", che si rivelò preziosa per la sua sopravvivenza. Come se, attraverso un processo di memoria implicita, la persona di fronte ad un pericolo possa recuperare automaticamente una posizione di protezione e sicurezza.
Diversi e più articolati sono i processi cognitivi ed emotivi suscitati dal rischio e la loro influenza nei processi decisionali. Savadori e Rumiati (2005) affermano che di fronte al rischio la persona può sperimentare paura o rabbia. Per gli autori, la paura genera la sensazione di incertezza e di mancanza di controllo della situazione, importante per una adeguata percezione del rischio e per la scelta di opzioni sicure; mentre la rabbia porta le persone a sentirsi più sicure di sé, aumenta la sensazione di controllo, riduce la percezione del rischio e porta più frequentemente a compiere scelte rischiose.
All'interno di questa riflessione sulle emozioni suscitate dal rischio è interessante considerare il lavoro di Johns (1990) dedicato alla collera. L'autore afferma che dietro ad ogni tipo di collera c'è una paura che la alimenta e può riguardare una minaccia per la propria identità, per la propria autostima, per l'integrità della mente e del corpo, la sicurezza. Quindi potremmo affermare che è la paura l'emozione alla base della percezione e della valutazione del rischio. D'altro canto la psicologia ha approfondito il tema della competenza emotiva; i lavori di Izard et al. (2001) evidenziano come la comprensione e la conoscenza delle emozioni siano risorse individuali correlate al comportamento sociale e all'adattamento. Una consistente mancanza di percezione o l'incapacità di interpretare le emozioni potrebbero seriamente impedire lo sviluppo delle competenze emotive, mediatrici dell'acquisizione della capacità di compiere scelte sicure e di proteggersi.
Nel loro lavoro Savadori e Rumiati (2005) sottolineano l'influenza e l'importanza del sistema cognitivo rispetto a quello emozionale nella valutazione del rischio. Il sistema emotivo così rapido davanti al pericolo reale risulta più lento ad attivarsi nel processo di valutazione del rischio. Sarebbe infatti il sistema cognitivo che, funzionando come un simulatore, permette alle persone di attivare tutto il repertorio di emozioni memorizzate dal sistema emozionale e quindi di valutare il rischio in poco tempo. Gli autori distinguono il sistema cognitivo in due sottosistemi: l'analitico e l'esperienziale.
Il sistema analitico elabora le informazioni in modo logico, seguendo delle regole e delle teorie apprese ed è fondamentale nella soluzione dei problemi logici, ma risulta più lento del sistema esperienziale. Quest'ultimo invece è veloce e "automatico", funziona per associazioni, è in grado di creare immagini mentali, rappresentazioni capaci di evocare emozioni come se la persona si stesse confrontando con un pericolo reale ed imminente. é il sistema dell'immaginazione, del crearsi l'immagine mentale e del sentire, prendendo contatto con le emozioni connesse.

Quanto affermato ci permette di sottolineare come la capacità di rappresentarsi il pericolo e di prendere contatto con le emozioni connesse sia fondamentale per valutare i rischi presenti in una situazione e per compiere scelte volte all'autoprotezione. Diversi studi dedicati alla capacità di creare immagini emotive sottolineano come le persone definite con alta immaginabilità poste davanti ad una informazione su un possibile pericolo percepiscono un rischio più elevato di quelle con bassa immaginabilità.
Abbiamo visto che la capacità di costruirsi una immagine emotiva può influenzare in modo significativo le scelte sicure o rischiose che compiamo come utenti della strada, d'altro canto muoversi sulla strada comporta un continuo incontro, confronto con gli altri utenti, e più in generale con l'ambiente strada, quindi richiede la capacità di interagire, sintonizzarsi con gli altri, tenendo conto delle loro intenzioni, idee, che non necessariamente coincidono con le nostre, stiamo parlando della teoria della mente (Meins, Fernyhough, 1999), da cui derivano scambi interattivi efficaci.
Si tratta, come abbiamo visto, di funzioni psicologiche complesse che sono influenzate dall'evoluzione della mente sia in senso ontogenetico che filogeneticamente. é importante sottolineare che i pericoli e rischi connessi alla strada e alla circolazione sono relativamente recenti da un punto di vista evoluzionistico, come afferma Lupton (1999) questi rischi sono molto diversi da quelli con cui si confrontavano i nostri antenati.

Attaccamento e capacità di proteggersi
Il pericolo e il rischio sono l'ombra della sicurezza, la capacità di valutare i pericoli e i rischi presenti in una situazione è contemporanea alla capacità di valutare gli aspetti relativi alla sicurezza. I modi in cui una persona si confronta con il pericolo e valuta il rischio ci parlano del suo rapporto con la sicurezza, delle sue capacità di autoprotezione, del suo modo di pensare e scegliere per sé.
Lis, Venuti, Zennaro (1994) affermano:
Quello di sicurezza è un concetto complesso che può essere considerato da un punto di vista sia oggettivo che soggettivo. Sul piano oggettivo con questo termine ci si riferisce a una condizione senza pericoli o in cui si è protetti dai pericoli; sul piano soggettivo, alla sensazione interna di avere fiducia, di nutrire certezze. La sicurezza può essere acquisita solo dopo aver vissuto esperienze di relazione con un altro, attraverso cui sia stato possibile sperimentare sensazioni positive di contenimento, alleviamento delle tensioni, calore (Lis, Venuti, Zennaro, 1994).

Gli autori, nella loro ricerca sull'acquisizione del senso del pericolo in età evolutiva, aprono una riflessione sulla relazione di attaccamento: esperienza significativa in cui il bambino può sperimentare il senso di sicurezza e base su cui verrebbe a costruirsi il senso del pericolo.
Il legame fra attaccamento, sicurezza e pericolo è indiscusso, il concetto di attaccamento nasce proprio all'interno della dinamica sicurezza/ pericolo. Per Bowlby nell'individuo è presente fin dalla nascita il sistema dell'attaccamento, un sistema motivazionale a base innata, che ha lo scopo di mantenere in equilibrio le condizioni interne della sicurezza con le condizioni esterne.
Precisa Attili (2007):
La sicurezza è biologicamente fissata nel mantenimento del contatto con la propria figura di attaccamento, in particolare quando l'ambiente è pericoloso. Nel momento in cui il piccolo è per qualche ragione lontano dalla madre, o quando questa non è disponibile o quando è presente un pericolo, il sistema si attiva e vengono messi in atto quelli che vengono detti i comportamenti dell'attaccamento - quali l'aggrapparsi, o il seguire - o vengono espresse le emozioni dell'attaccamento - quali la paura attraverso il piangere, la rabbia - che hanno la funzione di ripristinare la condizione ottimale del sentirsi sicuro (Attili, 2007).

Ainsworth (1970) definisce la relazione di attaccamento come un legame duraturo nel tempo e nello spazio ad una persona specifica a cui ci si rivolge quando ci si sente vulnerabili e bisognosi di protezione dai pericoli. Crittenden (1999) afferma:
Il pericolo è di centrale importanza per l'evoluzione dei processi di attaccamento nella nostra specie e anche per l'organizzazione di specifiche relazioni di attaccamento in ciascun individuo. Di conseguenza ritengo che le informazioni pertinenti alla predizione del pericolo e alla protezione siano alla base della qualità di attaccamento (Crittenden, 1999).

Per Bowlby (1969) l'attaccamento è la propensione innata a cercare la vicinanza protettiva di un membro della propria specie quando si è vulnerabili ai pericoli ambientali per fatica, dolore, impotenza o malattia. Liotti (2005) sottolinea:
Pur essendo attiva per tutto l'arco della vita dell'individuo, la tendenza all'attaccamento opera con massima intensità e frequenza all'inizio dell'esistenza, quando maggiore è la vulnerabilità ai pericoli ambientali, e minore la capacità di gestire da soli situazioni di disagio. [...] anche una breve separazione dalle figure di attaccamento è un segnale di vulnerabilità potenziale ai pericoli ambientali e quindi uno stimolo potente per l'attivazione del sistema motivazionale di attaccamento (Liotti, 2005).

Lo sviluppo della capacità di affrontare il pericolo ovvero di rispondere al pericolo in modo adeguato, autoprotettivo deriva quindi prevalentemente dall'aver vissuto esperienze relazionali in cui la figura di accudimento si è occupata di mettere al "sicuro", proteggere, in una parola è connessa all'aver sperimentato sicurezza all'interno delle prime relazioni affettive significative. Queste esperienze sono all'origine dei Modelli Operativi Interni (MOI), ovvero delle rappresentazioni mentali di se stessi e degli altri. I Modelli Operativi Interni hanno alla loro base le attese su come la propria figura di accudimento reagirà in situazioni di pericolo e di stress. Queste attese, secondo la prospettiva cognitivista, costituiscono il modello della Figura di Attaccamento (FdA) e il modello degli altri, in particolare di quelle persone con cui si creano relazioni significative. Le previsioni su di sé andranno a costituire il Modello del Sé.
In una ottica analitico transazionale, l'esperienza relazionale con le figure di attaccamento, costruisce e struttura, in termini di contenuti e processi, lo Stato dell'Io Genitore (Berne, 1972). Il bambino nel rapporto con i suoi genitori, apprende quali sono i livelli di pericolo e di sicurezza accettabili, impara come si tollera, come si affronta e come ci si protegge dai pericoli. I modi in cui un genitore protegge dai pericoli il proprio bambino diventano i modelli a cui questo si ispirerà, con cui si confronterà quando vivrà esperienze pericolose. Nell'ambito di un progetto di educazione alla sicurezza stradale, che ho curato per anni, presso diverse scuole medie inferiori, e che prevedeva momenti di intervento con i ragazzi, con i genitori e con insegnanti, attraverso l'utilizzo del lavoro autobiografico Io, utente della strada, è emerso in modo evidente come le prime esperienze sulla strada con i propri genitori rimangono nella memoria e influenzano i comportamenti, gli atteggiamenti, le opinioni e le emozioni di una persona anche quando questa cresce, cambia il suo ruolo come utente della strada (es. da passeggero diventa guidatore), è un genitore a sua volta o assolve ad un ruolo educativo. Certamente questa visione apre possibilità di prevenzione e di intervento con le persone che hanno vissuto un incidente stradale, per esempio le teorie e le tecniche di intervento sullo Stato dell'Io Genitore, proprie dell'Analisi Transazionale. Pensiamo ai concetti di parenting, self-reparenting, spot reparenting che donano ampio respiro a questo processo, considerato "in continuo divenire", aprono opzioni, possibilità di cambiamento, tante quante sono le esperienze relazionali significative che si possono vivere nell'arco della vita.

Dalle esperienze relazionali di attaccamento deriva, come abbiamo visto, il modello del Sé, l'immagine che la persona ha di sé, il valore che si attribuisce, la sua autostima. Dice Bowlby (1988):
La caratteristica più importante dell'essere genitori è fornire una base sicura, questo ruolo consiste nell'essere disponibili, pronti a rispondere quando chiamati in causa per incoraggiare e dare assistenza, ma intervenendo solo se necessario. Poter disporre di una madre normalmente attenta che funzioni da base sicura da cui partire per esplorare e a cui fare ritorno nei momenti di turbamento o di spavento è un dato che fornisce al bambino un forte, pervasivo senso di sicurezza (Bowlby, 1988).

Anche Winnicott (1965) sottolinea come l'esperienza di holding - contenimento garantisca al bambino l'acquisizione del sentimento di fiducia in sé e come d'altro canto la carenza di cura e un contenimento inadeguato generino nel bambino insicurezza e angoscia.
Il modello dell'Health Action Model (HAM) di Tones (1995) che deriva dal modello delle credenze relative alla salute (HBM, Healt Belief Model) (Rosenstock, 1966; Becker, 1974) sottolinea l'importanza del concetto di autostima nello sviluppo della capacità delle persone di prendersi cura della propria salute. Secondo questo modello le persone con un'elevata autostima sono più disponili a mettere in atto comportamenti sicuri e sani, pongono maggiore attenzione a non esporsi ai pericoli e sono resistenti alla pressione esercitata dai gruppi sociali. Nella mia esperienza come psicologa della sicurezza stradale nelle autoscuole e nelle scuole medie superiori nell'ambito di diversi progetti di prevenzione degli incidenti stradali, che prevedevano momenti di informazione e di dibattito e confronto, ho osservato una correlazione fra autostima e resistenza alla pressione del gruppo dei pari. I ragazzi che mostravano una scarsa autostima per il modo in cui curavano il loro corpo, si raccontavano dando poco valore alla loro esperienza e al loro pensiero; più frequentemente riferivano di non riuscire a chiedere ai loro amici di "rallentare" o di "non bere alcol prima guidare" quando erano in macchina o in motorino con loro, e anche nei dibattiti in classe faticavo ad esprimere il loro parere ad affermare le loro idee; più facilmente si uniformavano alle opinioni dei compagni che si vantavano di esperienze spericolate.
Da queste considerazioni emerge che se al modello operativo interno di attaccamento corrisponde un senso di sicurezza il bambino darà valore e fiducia a se stesso, sarà in grado di esplorare il mondo, di maturare e di separarsi in modo sano; al contrario, se la relazione di attaccamento è problematica, il modello operativo interno che ne deriva non fornirà al bambino una base sicura e avrà effetti negativi sullo sviluppo dei suoi comportamenti, le sue attitudini esplorative, le interazioni sociali. In sintesi, l'esperienza di attaccamento sicuro, secondo la classificazione della Ainsworth (1970), è un'esperienza determinante la capacità di esplorare l'ambiente, percepire in modo adeguato i pericoli, autoproteggersi, muoversi in modo sicuro sulla strada.

Attaccamento, protezione di sé, attenzione agli altri
Fino ad ora abbiamo considerato "il senso del pericolo", come competenza necessaria all'utente della strada. In realtà, come affermano Rumiati e Savadori (2005), muoversi sulla strada è un'esperienza rischiosa, che richiede un'adeguata capacità di percepire il rischio, quindi richiede competenze psicologiche più articolate ed evolute di quelle necessarie per la valutazione del pericolo; in particolare, la capacità di rappresentarsi gli eventi, di formulare ipotesi, di essere emotivamente competenti, di rapportarsi e prestare attenzione agli altri. La relazione di attaccamento, nella nostra ipotesi, è ancora una volta la base su cui si sviluppano queste capacità.
Come afferma Meins (1997) nel suo lavoro Sicurezza e sviluppo sociale della conoscenza la sicurezza nell'attaccamento spiega conquiste in diversi domini dello sviluppo cognitivo e sociale del bambino. Diversi studi (Siegel, 1999) sottolineano che i tipi di attaccamento che si stabiliscono durante l'infanzia influenzano lo sviluppo di caratteristiche specifiche in termini di regolazione delle emozioni, capacità sociali, memoria autobiografica, funzione riflessiva, processi narrativi.
Come dimostrano i lavori di Fonagy e Target (2001, 2003) nell'ambito delle prime relazioni di attaccamento si acquisisce la "funzione riflessiva".
La funzione riflessiva consente ai bambini di concepire le altrui credenze, sentimenti, atteggiamenti, desideri, speranze, conoscenze, fantasie, simulazioni, piani e così via. Allo stesso tempo, avendo reso sensato e predicabile il comportamento altrui, i bambini sono anche capaci di attivare flessibilmente la rappresentazione del Sé e dell'altro più appropriata al particolare contesto interpersonale in cui si trovano, scegliendola dall'insieme delle molteplici rappresentazioni di relazione in loro possesso. L'esplorazione del significato delle azioni altrui è connessa in modo critico alla capacità del bambino di classificare e trovare sensata anche la propria esperienza. Questa capacità può portare un contributo decisivo alla regolazione affettiva, al controllo degli impulsi, all'automonitoraggio e all'esperienza di self-agency2 (Fonagy, Target, 2001).

La funzione riflessiva è una facoltà fondamentale per l'organizzazione del Sé e la regolazione affettiva e comporta sia una componente autoriflessiva che interpersonale.
Fonagy e Target (2001) sottolineano la connessione fra attaccamento e funzione riflessiva:
La funzione riflessiva è strettamente connessa all'attaccamento.[...]Se pensiamo all'attaccamento sicuro come acquisizione di procedure (memoria implicita) per la regolazione di stati di aversive arousal, è possibile dimostrare che è più probabile che alcune informazioni siano acquisite e rappresentate con coerenza quando lo stato affettivo acuto del bambino è riflesso dal caregiver in modo accurato, ma senza eccessiva intensità. [...] In questo senso, è cruciale la capacità materna di contenere il bambino e rispondergli, in termini di cure fisiche, in un modo che dimostri la sua consapevolezza dello stato mentale del piccolo, ma anche la capacità di farvi fronte con la riflessione. Se l'attaccamento è sicuro è il prodotto si un contenimento efficace, quello insicuro può essere visto come l'identificazione del bambino con il comportamento difensivo del caregiver. Un cargiver distanziante può fallire nel rispecchiare l'angoscia del bambino, mentre uno preoccupato può rappresentare lo stato dell'infante con eccessiva chiarezza. In entrambi i casi il bambino ha perso l'opportunità di interiorizzare una rappresentazione del suo stato mentale. La prossimità con il caregiver è così mantenuta al costo di una compromissione della funzione riflessiva (Fonagy, Target, 2001).

2 "Senso di sé come agente". Si tratta della sensazione di essere in grado di iniziare comportamenti, di provocare risultati, di avere impatto sul mondo esterno.

Numerose ricerche (Fonagy, Bedfern, Charman, 1997; Meins, 1997) illustrano la relazione fra attaccamento e funzione riflessiva ed evidenziano che l'attaccamento sicuro è un buon predittore della capacità metacognitiva nell'ambito della memoria, della comprensione e della comunicazione.
Il tipo e la qualità di attaccamento regola ed integra i vari processi mentali quali attenzione, memoria, percezione, emozione e contribuisce a determinare la flessibilità, l'adattabilità, l'orientamento e l'organizzazione nei comportamenti della persona.
Pensiamo allora alla funzione di attaccamento come ad un insieme di componenti organizzative della mente e dell'esperienza così come il copione, in linea con quanto afferma Rotondo (2001):
[...] sono portata a pensare il copione di cui parla Eric Berne come un vero e proprio "sistema di attaccamento", che il bambino si costruisce a partire dalle prime, significative interazioni con il suo ambiente; sistema di attaccamento che contiene in sé le qualità relazionali e interattive destinate a essere ripetute nelle varie esperienze interpersonali future, diventando "modello" inconsapevole di rapporto con il mondo (Rotondo, 2001).

Per Bowlby l'attaccamento aumenta la probabilità di sopravvivenza negli esseri umani. Gli studi sugli stili di attaccamento ci dicono che l'attaccamento insicuro predispone al rischio di disfunzioni psicologiche e sociali, e che, in particolare l'attaccamento disorganizzato è correlato con i disturbi dell'attenzione, della regolazione emotiva e degli impulsi comportamentali, pensiamo ai lavori di Liotti (2005).
Le considerazioni proposte ci portano ad ipotizzare che lo stile di attaccamento di una persona, il suo copione, possono influenzare il modo in cui percepisce e valuta i rischi presenti sulla strada, i suoi pregiudizi e le sue illusioni sui pericoli presenti, le sue scelte, i suoi comportamenti il suo stile di guida, il suo essere utente della strada. Questo potrebbe aiutarci a comprendere perché i momenti di passaggio, di crescita della vita, di cambiamento e aggiornamento del copione e dell'identità, l'adolescenza per esempio, sono quelli più delicati, quelli che possono esporre in modo importante una persona al rischio. E, ancora potremmo rintracciare in alcuni nodi copionali, nella storia relazionale e di attaccamento della persona il senso delle sue difficoltà di autoproteggersi e di prestare attenzione agli altri.

Conclusioni
é forse approfondendo la correlazione fra stili di attaccamento, copione e percezione del rischio che possiamo trovare una risposta sul significato dei comportamenti rischiosi ricercati e/o messi in atto sulla strada al di fuori della consapevolezza dell'Adulto.
La verifica di questa ipotesi potrebbe orientare l'attività di prevenzione degli incidenti stradali, i programmi di educazione stradale, il lavoro di riabilitazione con le vittime di traumi da incidenti, il driver improvement.
Penso a spazi di ascolto delle esperienze di sicurezza e pericolo della persona, della sua storia e di restituzione di senso al suo modo di percepire e rischi, immaginarli, affrontali, viverli quotidianamente sulla strada. Individuo il gruppo come lo strumento privilegiato, riconoscendolo come luogo dove è possibile costruire relazioni capaci di aggiornare le competenze emotive e di pensiero oltre alle conoscenze delle norme e delle regole del Codice della Strada.
Un lavoro che trova la sua origine e il suo significato nella costruzione di relazioni di attaccamento capaci di stimolare la riflessione, le scelte sicure, la stima e la cura di sé, l'attenzione agli altri, che riconosce e utilizza in profondità la conoscenza dei dati, le operazioni "normative" e propone spazi per la costruzione di un'autentica autonomia, intesa come la capacità umana di darsi da soli (autos) le regole (nomos) come la stessa etimologia di questa parola ci suggerisce.
Un'ottica relazionale, dialogica, alternativa, vitale.


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Emanuela Lo Re, psicologa, psicoterapeuta, analista transazionale didatta e supervisore in formazione, PTSTA-P dell'EATA (European Association for Transactional Analysis) e ITAA (International Transactional Analysis Association); Vicedirettore Scuola di Counselling Psicosociale e docente Scuola di Specializzazione in psicoterapia del Centro di psicologia e Analisi Transazionale di Milano (e-mail: e.lore @libero.it).



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