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C.P.A.T. --> HOME PAGE --> N. 43/2005

QUADERNI DI PSICOLOGIA,
ANALISI TRANSAZIONALE
E SCIENZE UMANE

Dal n° 43 - 2005


Introduzione all'articolo di James Fosshage
"Le funzioni organizzative dell'attività mentale del sogno"


Paolo Migone




L’articolo di Fosshage del 1997 The organizing functions of dream mentation, in cui approfondisce alcune idee da lui già presentate in un lavoro del 1983, descrive in termini molto chiari un modo di comprendere i sogni e di usarli clinicamente che oggi è sempre più prevalente nel movimento psicoanalitico. Questo modo di utilizzare i sogni si basa su una teoria che è abbastanza diversa da quella concepita dal fondatore della psicoanalisi, e che risente di una più vasta revisione a cui è andata incontro la psicoanalisi contemporanea, a sua volta influenzata dai progressi della neurobiologia e della ricerca accademica sul sogno. Freud aveva fatto l’ipotesi che, tranne alcune eccezioni, i sogni (così come altri comportamenti) fossero essenzialmente motivati dalla soddisfazione di un desiderio (e, per di più, di un desiderio sessuale o aggressivo) che veniva spesso censurato dal “lavoro onirico” con la produzione di un contenuto “manifesto” che nascondeva un messaggio sottostante, parallelo, il contenuto appunto “latente”. Questa censura aveva uno scopo difensivo, per permettere la gratificazione di certi impulsi senza però disturbare il sognatore, infatti il sogno poteva essere considerato il “guardiano del sonno”. Oggi invece molti analisti rivalutano l’aspetto manifesto dei sogni come immagini e narrative che hanno una validità in se stesse, che va rispettata ed eventualmente capita in altro modo. Non si crede più tanto che esista una sorta di teoria del “doppio binario”, cioè che vi siano due racconti paralleli, quello del sogno manifesto (mascherato, censurato, simbolizzato) e quello del sogno latente (il racconto “vero” che risulta dalla interpretazione o traduzione del primo). Le immagini manifeste del sogno possono invece non esprimere affatto qualcos’altro ma avere valore in se stesse, e rappresentare semplicemente un modo di elaborare le informazioni attivo durante il sonno, e anche una specifica modalità di funzionamento cerebrale. I contenuti mentali durante il sonno vengono continuamente rielaborati, e questa è una attività fisiologica che ha pari dignità, potremmo dire, di quella che avviene durante la veglia. Come hanno dimostrato vari ricercatori sia all’interno che all’esterno della psicoanalisi (tra i tanti, si pensi ad esempio alla Bucci [1993, 1997]), non è vero che il “processo primario”, di cui il sogno secondo Freud era la tipica espressione, rappresenta una modalità regressiva di funzionamento e che deve trasformarsi nel “processo secondario” (quello razionale, logico o verbale). Il processo primario deve rimanere tale ed è importante per un ottimale equilibrio psicologico e anche per la sopravvivenza. Non solo, ma in determinati aspetti è ancora più importante di quello secondario, e deve funzionare in sinergia con esso. Assolve semplicemente a funzioni diverse. Sarebbe quindi sbagliato “tradurre” le immagini di un sogno in qualche significato latente dotato di un senso preciso, si rischia in questo modo di ridurne la complessità e distorcere le mille altre sue possibili funzioni.
Ma quali sono allora le funzioni del sogno, secondo Fosshage? Esse sono essenzialmente funzioni adattive, di crescita, riparative, di problem-solving, potremmo dire di ristrutturazione e riorganizzazione dei pensieri diurni allo scopo di favorire sempre un migliore adattamento e funzionamento mentale. Questa visione, che come si può ben vedere è coerente con la Psicologia del Sé alla cui area l’autore appartiene, prevede che il Sé abbia un programma innato di sviluppo, volto alla crescita, all’adattamento e alla socializzazione, in armonia – in condizioni ottimali – con il mondo esterno. Ben diversa era invece la concezione freudiana, che prevedeva un conflitto innato, una sorta di ostilità con la realtà esterna, e un Io che aveva bisogno di scaricare determinate energie pulsionali.
Sappiamo che le idee portanti della Psicologia del Sé non sono altro che riedizioni di alcuni concetti di fondo proposti dalla psicologia umanistica molti anni prima: si pensi solo al concetto di self-actualization di un Rogers, o agli aspetti decisamente fenomenologici di questo tipo di psicoanalisi contemporanea (secondo la quale il livello “fenomenico” – ad esempio il significato manifesto del sogno – non va interpretato ma va accettato in quanto tale e compreso, eventualmente ampliato nei suoi significati). Non a caso Fosshage riprende la nota concezione di self-state dreams di Kohut (1971, pp. 4-5 e 149; 1977, pp. 109-110; ed. or.), cioè dei “sogni sullo stato del Sé”, concezione essenzialmente fenomenologica come del resto fenomenologici possono essere considerati molti aspetti centrali della Psicologia del Sé fondata da Kohut. E giustamente Fosshage rivaluta anche le intuizioni di Jung, che nella sua concezione del sogno ha anticipato molte delle idee qui presentate (si pensi al cosiddetto “sogno premonitore”, col quale il sognatore, rielaborando esperienze passate, anticipa possibili situazioni di vita per prepararsi al cambiamento o nella speranza di migliorare). Il fatto che la “terza forza” del movimento psicoterapeutico, cioè l’area umanistico-esperienziale, oggi entri prepotentemente in molte teorizzazioni psicoanalitiche rappresenta sicuramente un fenomeno di grande interesse per lo storico delle idee della psicoterapia (si pensi solo alle recenti posizioni di Daniel Stern sui now moments [Stern, 2004; Stern et al., 1998] di cui sarebbe interessante discutere, ma non è questa la sede: rimando a Migone, 2003, 2004).
Prima di lasciare il lettore di fronte all’articolo di Fosshage, e anche per dare una idea di alcuni dei problemi teorici sottostanti, voglio solo ricordare un episodio. Pochi anni fa assistetti alla presentazione da parte di Jim Fosshage (2002) di queste sue idee sulla revisione della teoria freudiana del sogno di fronte a un uditorio particolare. Si trattava dell’incontro annuale, a inviti, del Rapaport-Klein Study Group, cioè di un gruppo di autori e ricercatori selezionati, tra i più importanti protagonisti del dibattito psicoanalitico contemporaneo, che hanno il piacere di incontrarsi per tre giorni all’anno proprio per potersi criticare vicendevolmente senza peli sulla lingua. Ebbene, dopo che Fosshage finì di esporre le sue idee, vari colleghi gli dissero che certamente erano molto interessanti, ma l’impianto di tutto il suo discorso si basava su una premessa non dimostrata, e cioè che il sogno avesse uno scopo, una funzione appunto “organizzativa” o ristrutturante, utile all’organismo, e questa premessa teorica poteva considerarsi in un certo senso “ideologica”, cioè derivata dalla appartenenza di Fosshage al movimento della Psicologia del Sé. Come si può infatti dimostrare che il sogno ha sempre questa funzione organizzativa? Volendo anche fare riferimento alla teoria evoluzionista, non tutte le funzioni dell’organismo sono adattive, alcune potrebbero essere rimaste come vestigia di epoche precedenti e non avere più una funzione utile. In altre parole, per un ricercatore (e molti membri del Rapaport-Klein Study Group sono impegnati nella ricerca empirica) bisogna distinguere le ipotesi, spesso suggestive, dai fatti dimostrati, e in linea di principio non si può escludere – sembrava dicessero questi colleghi che criticarono Fosshage – che molti sogni possano essere dovuti semplicemente al caso o comunque a fattori a noi ancora sconosciuti.
Ho voluto ricordare questo episodio per dare l’idea della complessità dei problemi e delle diverse posizioni che tutt’ora si confrontano nel dibattito psicoanalitico sul sogno.


Bibliografia

BUCCI W. (1993), trad. it. Una teoria del codice multiplo della formazione dei simboli, dello sviluppo emotivo, nelle libere associazioni e nei sogni, in «Prospettive psicoanalitiche nel lavoro istituzionale», 11, 2, pp. 157-72.
BUCCI W. (1997), trad. it. Psicoanalisi e scienza cognitiva. Una teoria del codice multiplo, Giovanni Fioriti Editore, Roma 1999.
FOSSHAGE J.L., The psychological function of dreams. A revised psychoanalytic perspective, in «Psychoanalysis and Contemporary Thought», 6, 1983, pp. 641-69.
FOSSHAGE J.L., The organizing functions of dream mentation, relazione presentata il 15 giugno 2002 all’incontro annuale del Rapaport-Klein Study Group, Austen Riggs Center, Stockbridge, Massachusetts. Edizione Internet:
http://www.psychomedia.it/rapaport-klein/fosshage02.htm Una versione precedente, pubblicata su «Contemporary Psychoanalysis», 33, 1997, pp. 429-58, è tradotta nelle pagine seguenti di questo fascicolo.
KOHUT H. (1971), trad. it. Narcisismo e analisi del Sé, Bollati Boringhieri, Torino 1976.
KOHUT H. (1977), trad. it. La guarigione del Sé, Bollati Boringhieri, Torino 1980.
MIGONE P., Riflessioni sulla linea di ricerca di Daniel Stern, in «Il Ruolo Terapeutico», 92, 2003, pp. 54-62. Edizione Internet: http://www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/ruoloter/rt92-03.htm
MIGONE P., Editoriale, in «Psicoterapia e Scienze Umane», XXXVIII, 1, 2004, pp. 6-9. Edizione Internet:
http://www.psychomedia.it/pm/modther/probpsiter/ruoloter/rt97-04.htm
STERN D.N., The Present Moment in Psychotherapy and Everyday Life, Norton, New York 2004.
STERN D.N., SANDER L.W., NAHUM J.P., HARRISON A.M., LYONS-RUTH K., MORGAN A.C., BRUSCHWEILER-STERN N., TRONICK E.Z., Non-interpretive mechanisms in psychoanalytic therapy. The “something more” than interpretation, in «International Journal of Psychoanalysis», 79, 5, 1998, pp. 903-21.
Edizione Internet: http://ijpa.org/archives1.htm


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