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C.P.A.T. --> HOME PAGE --> N. 39/2003

QUADERNI DI PSICOLOGIA,
ANALISI TRANSAZIONALE
E SCIENZE UMANE

Dal n° 39 - 2003


Come si arriva a Trapananda?




«Come si arriva a Trapananda?»
«Con pazienza, amico. Con molta pazienza.»
(L. Sepulveda, Patagonia Express)

Come ci si sintonizza con la Patagonia?
Il vescovo Berkeley – ricorda Borges – ha detto che il sapore delle mele non si trova nella mela che non può gustare se stessa, né nella bocca di colui che la mangia. Ci vuole un contatto fra l’una e l’altra (Borges, 2001).
Come si costruisce un contatto?
Non con il tono sermoneggiante (anche se l’adolescente ha bisogno della nostra vena accogliente e nutritiva, chiamata in Analisi Transazionale Genitore Affettivo Positivo, e anche di quella sanamente contenitiva e normativa che viene definita Genitore Normativo Positivo), ma attraverso ciò che ogni adolescente ama di più. Per esempio i suoi piercing, o le sue partite o i suoi fumetti, o i suoi film, o i suoi libri o la sua musica...
Sicuramente il terapeuta ha bisogno di osservare postura, gesti, spostamenti, di ascoltare parole, sospiri, lamenti, tentando di decifrarne il senso, di annusare umori, afrori, odori, profumi, ma – se avrà fortuna – potrà anche, soprattutto attraverso la musica, fruire di un accesso riservato.
È una porta dove bisogna piegarsi in due per entrare, come in certi luoghi di culto.
L’adolescente è geloso della sua musica quasi quanto della sua storia.
A volte certi incontri con i ragazzi somigliano a un viaggio in treno con un viaggiatore seduto davanti a noi. Si sta uno di fronte all’altro per un tempo definito, e ci si “fa un’idea”. Il dirimpettaio dice qualcosa della propria vita, oppure forse solo delle circostanze di viaggio, sfoglia il giornale (“Che starà leggendo?”), tormenta il suo cellulare (“Che messaggio manderà?”), maneggia il walkman (“Che starà ascoltando?”)...
Già, che cosa?
Dice Wim Wenders, in un’intervista, che la musica è il modo migliore per conoscere un posto. Le note prestano la voce ai sentimenti delle persone. «Tutti i miei film cominciano con la ricerca della storia nascosta nei luoghi», con le note dei luoghi.
Anche le terapie, talora.
Il terapeuta si sintonizzerà con il suo giovane interlocutore attraverso l’intonazione della voce (Stern, 1995; Erskine, 1997), con la cura dei movimenti e dei gesti a segnalare passaggi di informazioni, condivisioni di emozioni, restituzioni di senso.

Sono un viaggiatore – dice Wenders, e vale anche per il terapeuta degli adolescenti – che cerca di comprendere l’essenza dei posti che visita. Il turista invece, rimane sempre un ospite di un paese da cui non si sente mai bene accolto. E così si guarda intorno senza farsi coinvolgere da ciò che vede. E poi, quando torna e riguarda le fotografie, si rende conto di quello che si è perso e che in fondo, non si mai allontanato da casa. Io, invece, mi sento un viaggiatore, un archeologo che viaggia per conoscere la storia, per vedere posti dove non è nato, ma dove vorrebbe essere nato. Il viaggiatore è una persona curiosa, capace di abbandonare i pregiudizi, che trae energia dai paesi che visita, che mangia il cibo di altri popoli, capace di ascoltare e capire la loro musica.

Abbandonare i pregiudizi è il primo atto richiesto in un incontro con l’adolescente; d’altronde, sembra questo il senso di una adeguata decontaminazione preventiva da operarsi dal terapeuta su sé medesimo, sempre.
Ci saranno domande, certo.
Brevi, franche, precise, pulite, pertinenti, necessarie per “imparare il ragazzo”, secondo la felice formulazione di un fresco interlocutore.
Serviranno a conoscere usi e costumi, valutare possibili rischi, esprimere interesse e partecipazione, propiziare un’alleanza, generare una relazione, favorire almeno una conversazione.
Tra drammi e turbamenti sarà opportuno mantenere una certa levità di tono per favorire l’espressione dei pensieri difficili aspri o vendicativi, per alleggerire i passaggi vissuti come mostruosi o terribili, per riattraversare, se capita, la nostalgia dell’infanzia.
Ci saranno forse risposte. O forse silenzi. Le une e gli altri avranno bisogno di amorosa attenzione.
Molti possono essere per un adolescente gli adulti significativi, non necessariamente soltanto il terapeuta.
Infatti, ad adempiere a questo ruolo di adulto di riferimento possono concorrere tutti i “grandi” che incrociano l’adolescente lungo i tornanti in salita della sua crescita, genitori, insegnanti, amici, capi scout, allenatori, padri spirituali, zii...
«A volte» osserva Charmet «basta un incontro per ricevere la nomina e restare fotografati per molto tempo nella memoria profonda dell’adolescente, che dedica le proprie imprese al patto segreto stipulato nel breve incontro in cui si è detto e dato tutto» (Charmet Pietropolli, 2000).
Si tratta delle persone che Alice Miller (1988) chiama “testimoni salvanti” (“testimoni soccorrevoli”) quelle che non soffrono di moralismo docente né di rianimazione educativa né di patologizzazione rampante, ma che, attraverso un attento sentire, aiutano l’adolescente a rendere pensabile la propria nuova immagine e a individuare con fiducia le proprie personali risorse.
Thomas Moore (2000) definisce la terapia come “il venir fuori di una vita”, il manifestarsi di un potenziale.
Se la vita è (anche) un insieme di immagini e il ruolo di colui che la vive è farne un’arte, è affascinante pensare che il lavoro della terapia e segnatamente della terapia con l’adolescente, sia un «trattenere, fermare il tempo per un attimo, trattenere il paziente in una stanza per un po’ di tempo, trattenere le immagini, le storie» (Ibidem), permettendo sogni, ricordi, riflessioni, fantasie, perturbazioni.
Il primo segmento della terapia, per l’adolescente, sembra essere “scoprire un modo per restare seduto”, fisicamente e, in seconda battuta, fermare un poco i pensieri per poterne apprezzare la forma, il contenuto, ma anche il colore, la bellezza. Accadrà al terapeuta di focalizzarne qualche specifico punto, di privilegiarne una particolare visione, una metafora, di reagire a paragrafi successivi del racconto in differenti modi, integrando o arricchendo i punti di vista dell’interlocutore.
Racconta Thomas Moore:

Mi tornano alla mente le mie lezioni di composizione musicale, durante le quali l’insegnante guardava la mia partitura e vedeva cose nei confronti delle quali io ero stato cieco. Lui non diceva “Ecco una versione migliore, più corretta”, offriva invece le sue osservazioni, i motivi che vedeva e che sentiva e che il suo allievo non era capace di cogliere. Un’osservazione che mi capitava di ascoltare era: «Vedi che potenziale per una fuga, in queste poche semplici note?». Io guardavo le stesse note, ma non vedevo il motivo che invece il mio insegnante percepiva. Vedendo quello che vedeva lui, io realizzavo qualcosa di significativo per la mia capacità di arricchire le mie composizioni.

Così è anche, in qualche misura, per il terapeuta degli adolescenti che, dal suo punto d’osservazione, scorge talora ciò che il suo interlocutore ancora non può cogliere. Con l’adolescente è inopportuna spesso anche la più acuta delle interpretazioni, vissuta non di rado come arbitraria e impropria.
Hanno invece successo un attento ascoltare, un fedele sentire, insieme a un autentico apprezzamento dell’offerta del racconto, del sogno, della musica, della poesia, del diario, del disegno...
È un problema di acustica.
Nella stanza d’incontro con l’adolescente, l’acustica deve essere generosa e il gesto leggero per dare la giusta eco ai palpiti e ai sospiri, alle sospensioni e alle dissolvenze, al flusso interiore intenso e visionario...


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