PSYCHOMEDIA --> HOME PAGE
C.P.A.T. --> HOME PAGE --> N. 39/2003

QUADERNI DI PSICOLOGIA,
ANALISI TRANSAZIONALE
E SCIENZE UMANE

Dal n° 39 - 2003


Il primo sguardo




Io sono figlio della terra negra
ma anche del cielo stellato...
(M. Yourcenar, I doni di Alcippe)

Juergen Teller è un fotografo di moda.
Ritrae modelle e aspiranti modelle.
Ha pubblicato un libro, Go-Sees, Girls knocking at my door, con seicento foto di giovanissime colte dal suo obiettivo nel momento del primo incontro.

Si presentavano sempre più ragazze per lasciarmi le loro foto. Il giorno dopo non riuscivo a riconoscere in quelle espressioni le persone che avevo incontrato. Allora ho iniziato a fare delle foto per memorizzare i loro volti e riguardandole ho capito come erano più belle con i loro vestiti e il trucco di tutti i giorni. Mi sono incuriosito. Così ho pensato di ritrarre per un anno di seguito chiunque si presentasse qui. Senza particolari intenzioni né preconcetti.
Ma con lo stesso rispetto.

Anche il terapeuta degli adolescenti impara a guardare.
Cerca di raggiungere, delle giovani persone che incontra, il volto vero, a volte interdetto, vulnerabile o smarrito, raramente soddisfatto.
È spesso il “primo” volto, più frequentemente ancora il primo sguardo a fissarsi nella memoria, come il colore della voce e più di quello dell’abito.
Sembra che le ragazze e i ragazzi aspettino in qualche modo di essere “ri-conosciuti”.
Dice bene Hillman (1997): «Una delle maggiori seduzioni del primo amore, e della terapia in età precoce, nasce dal desiderio di incontrare una persona che sappia vederci o che crediamo possa vederci, o almeno che sappia fingere di farlo».
Forse, in molti incontri con l’adolescente, lo psicoterapeuta potrebbe essere assimilato al mentore di cui parla Hillman, il mentore essendo una persona speciale che ci vede (e ci sceglie), ci accoglie e ci ascolta, una sorta di figura genitoriale un poco particolare che ci restituisce più chiaramente comprensibili le cose buone e belle di noi e, forse, ci accompagna a sciogliere qualche enigma “patagonico” della nostra storia.
Tra gli enigmi patagonici il più drammatico pare essere proprio il corpo e il suo divenire.
Ciascuno di noi vive nella carne e nello spirito continue trasformazioni fisiche, esistenziali, culturali, ma l’adolescente è egli stesso per intero Sturm und Drang, creatura in tempesta, “corpo mosso” direbbe Marco Rossi (2001):

Mentre da un canto vediamo il nostro corpo nelle forme della sua mortificazione (la noia, la spossatezza, l’uniformità...) e dall’altro le possibilità ancora inesplorate di un corpo “vivo”, lo stato intermedio è, fenomenologicamente, una sospensione del giudizio, che ci tiene, per un attimo, in bilico tra un mondo e l’altro. Trasformandoci dimentichiamo (momentaneamente) la nostra identità, il nostro volto, allontanandoci da noi stessi, in una terra in cui non siamo più ciò che eravamo e non ancora ciò che saremo.

È un trekking d’avventura. Frequenti i punti scoscesi.
Possibile perdersi e non più ritrovarsi.
È meglio, in questo tragitto, essere accompagnati: per superare l’ambiguità tra infanzia e età adulta, tra permanenza e cambiamento, perdita e scoperta, lutto e creatività.
«L’adolescenza illustra una delle verità alle quali io tengo di più: che le proprietà più importanti e le qualità più preziose della vita psichica sono fondamentalmente ambigue. L’adolescenza è positivamente un’età ambigua» (Racamier, 1996).
Il corpo parla di questo. È in attesa. Largo o stretto, sottile o dilatato. Affamato o nutrito.
È un corpo mortale, è un corpo complementare a un altro corpo. Può essere un corpo nemico (Charmet Pietropolli, 2000).

Apparentemente
non fai un gesto.

Sei seduto lì senza muoverti,
guardi le cose distrattamente.

Ma in te
ci sono dei movimenti che tendono

in una specie di sfera
a cogliere, a penetrare,

a dare corpo
a non so quali ondeggiamenti

che a poco a poco diventano parole,
dei pezzi di frase...

(E. Guillevic, Le sorti des mots; trad. it. Ubulibri, Milano 2000)

Quando gli ondeggiamenti si fanno parole, allora nascono (forse) le poesie, un modo per esistere.

Avevo la certezza che le mie poesie fossero buone, prodotti di un diciottenne disperato che sembrava non avere più nulla all’infuori di quelle poesie.
Già a quell’epoca mi ero rifugiato nella scrittura, scrivevo, scrivevo, non so più, centinaia e centinaia di poesie, esistevo soltanto quando scrivevo ... abusavo del mondo intero per trasformarlo in versi, quei versi se pur privi di valore, significavano tutto per me, niente al mondo aveva per me maggiore significato, e io non avevo più niente, non avevo altro che la possibilità di scrivere poesie.
(Bernhard, 1981)

Sono favolosi gli incipit delle poesie adolescenti.

Marco Alberio, sedici anni:

Di fuoco, di luce d’amore la vita mia
Si nutre...
(da I cinque sensi della vita)
A la mia Musa dedicando,
scrivo le strofe fini...
(da La Musa)

Siedo e scruto la fuggevole parvenza,
è un vento torbido e caldo...
(da Profondo)

Ombre, fantasmagoriche parvenze di tenebre;
oblio, infinito baratro di solitudine...
(da Il dramma dell’eterna infelicità)

Io ho passato angoscianti giorni di silenzi,
squarciati da lacrime fredde, lo so.
Duro mi scrutai nel cuore
...
So che l’oscura ombra mi passò dinanzi.
Si, ci pensai, a morte per liberazione,
Ci pensai...

Sylvia Plath, sedici anni (in Plath, 2001):

I write only because
There is a voice within me
That will not be still.

Tu mi chiedi perché mai io passi la vita a scrivere.
Lo trovo forse un divertimento?
Ne vale la pena?
Ma, soprattutto, è ben pagato?
Altrimenti, quale sarebbe il motivo?...
Io scrivo solo perché
c’è una voce in me
che non vuol tacere.

Chiara Lovera, sedici anni:

Cuore piccolo
Stretto nel vestito:
sarai libero, un giorno,
di spogliarti
e cantare nudo?

Quando qualcuno ascolta con attenzione, allora l’adolescente dona le sue poesie, pezzi della sua anima. E un angolo di Patagonia si disvela.


PSYCHOMEDIA --> HOME PAGE
C.P.A.T. --> HOME PAGE --> N. 39/2003