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C.P.A.T. --> HOME PAGE --> N. 30/2000

QUADERNI DI PSICOLOGIA,
ANALISI TRANSAZIONALE
E SCIENZE UMANE

Dal n° 30 - 2000


E' un privilegio

Giovanni Liotti




E' un grande privilegio aver potuto ascoltare da Joseph Weiss la storia della sua impresa scientifica, un grande privilegio perché ci sono validi motivi per ritenere che il lavoro di Weiss, di Sampson e del San Francisco Psychoterapy Research Group possa costituire una base per la comunicazione e l’integrazione fra diversi modelli di psicoterapia, e dunque per il futuro, necessario sviluppo della psicoterapia in quanto disciplina scientifica.
Probabilmente, quando assistiamo a una scoperta scientifica “in presa diretta”, contemporaneamente al suo delinearsi, non la vediamo nella prospettiva corretta, e non riusciamo a valutarne adeguatamente l’importanza. Tuttavia, il lavoro di Weiss, pur nel suo esserci contemporaneo, sembra davvero aver aperto una strada scientificamente imponente, avendo indicato cosa è essenziale, e cosa accessorio o controproducente, in ogni processo psicoterapeutico, da qualunque scuola di psicoterapia sia ispirato, che abbia successo nell’aumentare la consapevolezza del paziente e nell’alleviarne le sofferenze. Inoltre, la teoria sul processo terapeutico proposta da Weiss, la Control-Mastery Theory, oltre a essere stata edificata sulla base di ricerche empiriche metodologicamente assai pregevoli, permette di riferirsi con assoluta chiarezza ai migliori modelli teorici sulla coscienza e sul comportamento umano di cui oggi disponiamo, nel senso che si adatta perfettamente alle conclusioni di alcuni di questi modelli.

Vorrei argomentare brevemente queste affermazioni dal punto di vista della mia formazione e della mia appartenenza scientifica, formazione e appartenenza che riguardano il cognitivismo clinico da una parte, e la teoria dell’attaccamento dall’altra. Partendo dai modelli concettuali della psicologia cognitivista e della teoria dell’attaccamento, è per me facile concordare con gli assunti fondamentali della teoria che Weiss ha oggi descritto nella sua genesi storica. Già a livello dei tre termini basilari utilizzati nella teoria di Weiss, “piano”, “test” e “credenza patogena”, un cognitivista si sente a casa. Il termine “cognitivismo” si afferma subito dopo la pubblicazione di uno dei suoi testi fondanti, un libro di Miller Galanter e Pribram, pubblicato nel 1960, il cui titolo tradotto in Italiano è Piani e struttura del comportamento. L’idea di “piano” fonda dunque addirittura il cognitivismo nell’opera di Miller Galanter e Pribram, e questa idea ricompare nella Control-Mastery Theory come concetto centrale.
Nel libro di Miller Galanter e Pribram, troverete anche il concetto di “test”: il piano si esprime fondamentalmente attraverso un continuo confronto fra quanto l’organismo conosce e si aspetta da una parte, e quanto l’ambiente gli offre rispetto alle mete del piano; questo confronto viene chiamato appunto “test” nel famoso modello TOTE (Test-Operate-Test-Exit) proposto da Miller, Galanter e Pribram.

L’altro termine chiave del modello di Weiss, “credenze patogene”, è il termine centrale di uno dei primi contributi alle applicazioni cliniche del cognitivismo, la Terapia Razionale-Emotiva di Albert Ellis. Ellis (1962) parla di credenze irrazionali e patogene e le considera come il centro dei disturbi presentati dal paziente in psicoterapia, in modo assai simile a quello descritto da Weiss, anche se i due contributi poi divergono nel considerare quali credenze patogene specifiche siano le più comuni e importanti basi della sofferenza psicopatologica (credenze “doveristiche”, assolutistiche, catastrofizzanti e perfezionistiche secondo Ellis, credenze di colpa abnorme secondo Weiss).

Il mio rilevare queste consonanze fra i termini chiave del cognitivismo clinico e della Control-Mastery Theory credo si allei, nel considerare il potenziale integrativo dell’opera di Weiss rispetto alle diverse psicoterapie, a quanto affermava poc’anzi il professor Sambin in merito alla compatibilità fra il modello di Weiss e l’Analisi Transazionale. Già il nostro essere qui oggi noi quattro Ð Weiss e Migone psicoanalisti, Sambin analista transazionale e io cognitivista Ð a trovare accordi di fondo sulla Control-Mastery Theory illustra in maniera immediata quello che cerco di dire: probabilmente stiamo assistendo, con l’opera del San Francisco Psychotherapy Research Group, alla formulazione di un modello che è in grado di mettere in comunicazione efficacemente fra loro diverse traiettorie, diversi itinerari della psicoterapia.

Qualche parola ora sui rapporti fra teoria dell’attaccamento di John Bowlby e Control-Mastery Theory. La teoria dell’attaccamento è riconosciuta, nelle ultime trattazioni del gruppo di San Francisco, come altamente compatibile con il modello che essi presentano. Aggiungerei che la teoria dell’attaccamento spiega particolarmente bene la centralità della colpa abnorme sostenuta dalla Control-Mastery Theory. Dal punto di vista della teoria dell’attaccamento, la colpa abnorme si verifica sistematicamente quando in un bambino è attivato il sistema motivazionale dell’accudimento, cioè il reciproco dell’attaccamento, il che avviene quando il genitore si mostra fragile e vulnerabile (e spesso anche un genitore violento palesemente lo è), così che il bambino tenta di prendersi cura di chi dovrebbe curarlo. In queste situazioni, si dice che il bambino inverte la relazione d’attaccamento. Ciò è possibile, secondo la teoria dell’attaccamento, perché sia il sistema d’attaccamento sia il sistema d’accudimento sono innati, e dunque sono facilmente attivabili tanto nel bambino che nell’adulto. Il concetto di parental child, possiamo ricordare a questo riguardo, è stato uno dei primi che Bowlby ha proposto nel passare dalla teoria di base alle applicazioni cliniche. Il parental child è un bambino colpevole, un bambino genitorializzato che, in un certo senso, diventa nonno di se stesso. Dovendo fare da genitore ai propri genitori percepiti vulnerabili, e non sentendosi in grado di prendersi cura di loro come il suo innato sistema motivazionale di accudimento lo spingerebbe a fare, si sente colpevole. Esattamente come tutti ci sentiamo colpevoli quando non offriamo cura a qualcuno verso il quale sentiamo la tendenza, il dovere, la disposizione a dar cura.

Uno dei casi presentati dal professor Weiss si presterebbe benissimo a mostrare come la teoria dell’attaccamento, nelle sue applicazioni cliniche, corrisponda pressoché alla lettera alle posizioni della Control-Mastery Theory. é il caso del paziente che presenta all’analista il proprio modello di pensiero ossessivo, e lo fa tanto chiaramente che il suo analista finalmente può accorgersi in dettaglio di come funziona tale modello, e può quindi progettare un intervento a favore del piano del paziente. Il piano del paziente consisteva dunque nel presentare concretamente all’analista quella sua modalità bloccante di pensiero, affinché l’analista potesse tentare di liberarlo. In termini di teoria dell’attaccamento, una tale interazione fra paziente e psicoterapeuta può essere descritta come segue: il paziente arriva in terapia con un modello operativo interno di sé e della figura d’attaccamento. Il terapeuta diventa figura d’attaccamento, cioè il paziente rivolge al terapeuta le sue esigenze di ricevere cura e vicinanza protettiva, esigenze, ricordiamo ancora, la cui base è innata. Questa tendenza innata, questo piano che è l’attaccamento, è accompagnato da qualcosa che è chiamato “credenza patogena” dalla Control-Mastery Theory, e “modello operativo interno della relazione di attaccamento” dalla teoria dell’attaccamento. Entrambi i termini si riferiscono allo stesso “qualcosa”: il modo in cui ci si aspetta che rispondano le figure d’attaccamento. Questo modello operativo interno dell’attaccamento, sviluppatosi nella relazione con i genitori, ovviamente poi si applica al terapeuta su cui la disposizione innata a ricevere cura è andata a indirizzarsi. Per questo il paziente, consciamente o no, si aspetta che il terapeuta risponda come il genitore alle sue eventuali richieste di cura, conforto, aiuto. E nel caso descritto dal professor Weiss, il terapeuta non risponde in modo critico, non risponde in modo insofferente alle monotone ripetizioni del suo paziente ossessivo, non ne appare spaventato, preoccupato, o infastidito, ma neppure le ignora: non mostra dunque nessuna delle tipiche reazioni dei genitori a comportamenti problematici del figlio, capaci di indurre la costruzione di un modello operativo interno di tipo insicuro. Non facendo nulla di tutto ciò, il terapeuta corregge il modello operativo interno del paziente. Nel linguaggio della Control-Mastery Theory, corregge la credenza patogena e accoglie il piano del paziente (che è di ricevere vicinanza protettiva rispetto ai temi che elicitano il suo pensiero ossessivo). La correzione del modello operativo interno così ottenuta probabilmente si generalizzerà ad altre relazioni che cominceranno a funzionare in maniera più adeguata.

Nelle mie competenze riguardanti il cognitivismo, e la teoria dell’attaccamento, riconosco dunque continuamente una consonanza altissima con il modello che Weiss ha proposto. Il professor Sambin, ripeto, diceva all’inizio che lui riconosceva la stessa consonanza rispetto all’Analisi Transazionale. Paolo Migone, probabilmente, ci dirà qualcosa di analogo dal punto di vista di uno psicoanalista. Dato che il professor Weiss è uno dei più grandi esponenti della psicoanalisi contemporanea, non dovrebbe essere difficile il compito di Migone.
Vorrei aggiungere molto brevemente qualcosa su un argomento di cui sono meno competente (rispetto alla teoria dell’attaccamento e al cognitivismo clinico), ma che credo interessante. Il modello di Weiss è compatibile con quella che, secondo me e secondo molti, è la migliore teoria neurobiologica della coscienza e della mente di cui disponiamo oggi: la teoria di Edelman (1989). Ovviamente la Control-Mastery Theory non è nata basandosi sulla teoria di Edelman e, altrettanto ovviamente, Edelman non conosce il lavoro di Weiss. Ma se un premio Nobel per la Medicina come Edelman racchiude gli studi di una vita in una riflessione su cervello e mente, su come cervello e mente si costruiscono nel corso dell’evoluzione, e formula un modello che va dall’analisi delle funzioni dell’ippocampo e del cervelletto e della neocorteccia fino allo sviluppo della relazione sociale, ecco, se un premio Nobel come Edelman fa ciò e alla fine troviamo che il modello di Edelman è compatibile con la Control-Mastery Theory, non pare ancor più evidente che stiamo assistendo alla costruzione di un linguaggio comune, compatibile non solo con le principali scuole di psicoterapia, ma anche con la sintesi migliore della ricerca attuale sulle neuroscienze?
Farò certamente torto alla complessità del lavoro di Edelman provando ora a riassumerlo in pochi minuti. Vorrete perdonarmi, e correggere le mie superficialità con la lettura dei libri di Edelman (1989, 1992). Sostanzialmente Edelman afferma che l’evoluzione costruisce nel cervello la capacità processuale di riconoscere immediatamente ciò che è di valore per l’organismo in termini di adattamento e di sopravvivenza. Per esempio: percepire la presenza di un adulto della stessa specie appena nati significa riconoscere immediatamente che quella presenza è un valore, ed è un valore evoluzionistico cercarne la vicinanza, col pianto, col sorriso, e poi in mille altri modi. é il riconoscimento di questo tipo di valori innati il fondamento dei processi mentali che garantiscono sopravvivenza e benessere. Valori evoluzionisticamente determinati ci portano a scoprire subito che il cibo è buono, che quando c’è sonno è bene dormire, che alcune temperature ambientali sono migliori di altre, che se ci si impegna in una competizione vincere è un po’ meglio che perdere, che è bene rispondere alla richiesta di aiuto di un conspecifico, che l’unione sessuale è desiderabile, che è positivo cooperare alla ricerca di un bene comune, e così via. Per Edelman questi valori innati sono rappresentati in aree del cervello contenute nel cervello antico-mammifero (sistema limbico) e nel tronco encefalico. Il sistema limbico e il tronco encefalico sono chiamati da Edelman “Sé biologico”, perché fondano l’esperienza di sé in relazione al mondo. Questi valori sono, ripeto, dei processi cerebrali a base innata, che potete immaginare come reti neurali facilitate nella loro costruzione dallo stesso genoma umano.
Ora, i “valori” di Edelman corrispondono ai “piani” della Control-Mastery Theory. I due concetti sono in fondo semplici: tendiamo immediatamente a riconoscere le cose buone e a sentirne la mancanza quando le avvertiamo irraggiungibili, e questa tendenza è alla base dell’esperienza che chiamiamo “Sé” (si veda, a questo riguardo, anche l’opera recente di un altro grande neuroscienziato: Damasio, 1999).
I piani innati e i valori, che fondano il Sé, però, non possono operare da soli: la potenza della mente umana, e la capacità di acquisire coscienza, correlate alla presenza della neocorteccia cerebrale, comportano infatti la necessità di categorizzare la relazione del Sé con il Non-Sé. La relazione fra Sé (valori) e Non-Sé (mondo) passa, nel linguaggio di Edelman, attraverso la categorizzazione, cioè la costruzione da parte del cervello di categorie prima percettive poi concettuali. Fra le categorie concettuali costruite nella relazione col mondo ci sono le credenze (che possono essere razionali e sane oppure irrazionali e patogene se includono aspettative indebitamente negative). La relazione fra Sé e Non-sé, per Edelman, si istituisce come memoria valore/categoria, e dunque in sostanza come circuito di attività neurale che connette sistema limbico e tronco encefalico da una parte (valori), e neocorteccia dall’altra (categoria). Come la Control-Mastery Theory, dunque, anche la teoria di Edelman afferma che piano e valore da una parte, categoria e credenza dall’altra, sono realtà congiunte. é per questo che si istituisce la fase di test nella relazione terapeutica: mentre il paziente persegue i suoi valori innati di cui non è necessariamente cosciente (sono precorticali, sono evoluzionisticamente antichi) inevitabilmente incontra l’ostacolo costituito dalle sue credenze patogene, costruite nel tentativo fallito di realizzare quei valori durante lo sviluppo.
Devo fermarmi a questo punto, con la speranza di aver almeno indicato qualche spunto di riflessione sulla compatibilità fra la Control-Mastery Theory e i fondamenti teorici delle neuroscienze, tema su cui il tempo impedisce di argomentare più dettagliatamente.
Nel concludere, voglio ancora una volta ripetere: se un giorno saremo capaci di edificare una disciplina scientifica, in accordo con la ricerca di base sulla mente e sul cervello dell’uomo, una disciplina che potremo chiamare “Psicoterapia” senza aggettivi (così come ci sono “Fisica” senza aggettivi, “Chimica” senza aggettivi, “Biologia” e “Medicina” senza aggettivi), molto dovremo per il successo di questa impresa all’opera di Joseph Weiss. Grazie!


Bibliografia

Damasio A., The feeling of what happens: body and emotion in the making of consciousness, Harcourt Brace, New York 1999.
Edelman G. (1989), The remembered present, Basic Books, New York; trad. it. Il Presente Ricordato, Rizzoli, Milano 1991.
Edelman G. (1992), Bright air, brilliant fire: on the matter of mind, Basic Books, New York; trad. it. Sulla materia della mente, Adelphi, Milano 1993.
Ellis A., Reason and emotion in Psychotherapy, Lyle Stuart, New York 1962.
Miller G. - Galanter E. - Pribram K. (1960), Plans and the structure of behavior, Holt, Rinehart & Wilson, New York; trad. it. Piani e struttura del comportamento, Franco Angeli, Milano 1973.



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