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PSYCHO - LA PSICOPATOLOGIA ATTRAVERSO IL CINEMA




PSYCHO - LA PSICOPATOLOGIA ATTRAVERSO IL CINEMA

di Elisabetta Marchiori

I film sono come la poesia, arte dell'illusione, con uno specchio adatto,
di una pozzanghera si fa un oceano (Josè Saramago, 1984)

Come cinefili e cultori della psiche andiamo al cinema, parliamo e scriviamo di cinema, con il rischio, sempre presente, di semplificare, manipolare ed utilizzare impropriamente, troppo soggettivamente o in eccessiva conformità alle nostre "deformazioni professionali", una forma d'arte e di comunicazione preziosa.
Secondo Fellini (1980) "non bisognerebbe mai parlare dei film. Prima di tutto perché nella sua vera natura un film è indescrivibile a parole: sarebbe come pretendere di raccontare un quadro o riferire verbalmente di uno spartito musicale. Poi perché, parlandone, si scivola in una serie d'ipotesi imprigionanti vischiose che lo fissano in immagini, strutture, caratteristiche inevitabilmente riduttive".
Questo monito rimane impresso nella mia mente per non cadere nella trappola paventata dal grande regista, che è quella appunto di parlare dei film, invece di parlare con, attraverso i film. Le immagini cinematografiche, specularmente, parlano con noi. Almodovar, attraverso il suo ultimo film "Parla con lei", fa capire bene la differenza che scorre tra parlare di e parlare con qualcuno (o qualcosa).
Mi viene ora in soccorso Winnicott (1971), il quale ha proposto che la sede dell'esperienza culturale, che "comincia con il vivere in modo creativo", sia il "solo luogo dove il gioco può cominciare, un luogo che è al momento continuità-contiguità, là dove i fenomeni transizionali si originano". Non si tratta quindi di riferire verbalmente di un film, ma di viverlo in modo creativo, di poterne fare esperienza, come di un oggetto transizionale. Questo tipo di esperienza appartiene all'ambito della "relazionalità dell'Io" con l'ambiente e all'area del gioco, dove nascono il simbolo e la metafora.
Un film è qualcosa che si riceve ma, soprattutto, che si fa emergere: le immagini prendono consistenza nello spazio dove vengono proiettate e da dove vengono rimandate per essere percepite, introiettate. Lo spettatore è come un faro che esplora, getta lo sguardo sulle immagini che scorrono sullo schermo e questo le riflette per permettergli di afferrarle. L'intensità emotiva che impregna la percezione dipende da come e quanto l'esibizione del mondo, dal più realistico al più fantastico, si incontra con le rappresentazioni mentali di chi guarda e la riproposta di un frammento di vita, dal più archetipico al più stereotipato, risponde ai suoi bisogni profondi. In ogni momento il film spinge le occhiate e le voci che lo popolano verso lo spettatore, nell'attesa di un cenno di risposta (Casetti, 1986). E' appropriato quindi affermare che si assiste alla proiezione di un film, come la levatrice assiste ad un parto: lo spettatore è presente al film nella duplice modalità dell'essere testimone e dell'essere aiutante. Guardando un film gli si permette di nascere e se ne alimenta l'esistenza: è solo grazie allo sguardo che gli si rivolge che rimane in vita (Metz, 1980).
Su questa linea, il cinema si può considerare un territorio "inevitabilmente relazionale", che permette di "riconnettere in una storia dotata di senso i frammenti sconnessi di esperienza contro cui fa cozzare la vita" (Canova, 2001).
Con queste premesse, mi voglio avvicinare al senso di questa sezione, dove il cinema, per usare un'espressione di Brunetta (1995), possa essere "luogo comune, luogo di luoghi", di interazione e scambio con psicoanalisi e psichiatria.
Già molto è stato scritto sul rapporto tra cinema, psichiatria e psicoanalisi. Sappiamo che la psicoanalisi, nata nel 1893, è "gemella" di Musatti, il quale ha definito spiritosamente il cinema il loro "fratellino minore", essendo nato due anni prima, nel 1895 (Musatti, 1986); sappiamo anche che cinema e psichiatria "sono cresciuti insieme", come suona l'incipit del famoso libro dei Gabbard (1987).
Il cinema, in effetti, si presta bene ad essere coniugato con le scienze della psiche, essendo arte e, contemporaneamente, medium, quindi caratterizzato da una dimensione comunicativa peculiare. Come abbiamo visto, le immagini cinematografiche comunicano con il singolo spettatore, a livello conscio e, soprattutto, inconscio. Quindi, per quanto concerne la percezione conscia, ogni film risulta, come afferma Edgar Morin (2001), "l'incarnazione dell'immaginario nella realtà esterna", "lo sdoppiamento dell'universo in un universo riflesso". Per quanto concerne l'inconscio, già Musatti (1961) spiegava come il cinema abbia con esso una comunicazione diretta "giacché l'inconscio ha la capacità di risuonare emotivamente di fronte alle immagini filmiche e questo per la particolare somiglianza che presentano con le fantasie inconsce" e che "per effetto dell'identificazione, lo spettatore è di volta in volta tutti i singoli personaggi, mentre per effetto della proiezione tutti i singoli personaggi sono sempre lo stesso spettatore".
Inoltre, il cinema mette in contatto le persone fra loro, grazie alla possibilità non solo di condividere la visione di un film, ma anche di confrontarsi con una serie di immagini che costituiscono la rappresentazione di mondi (esterni e interni) reali o possibili. L'esperienza visiva è comune, trasmissibile e parlabile, quindi consente e facilita la pensabilità e la comunicazione a vari livelli. Essa è utilizzabile come stimolo di elaborazione ed esplorazione della psiche umana, di fenomeni, comportamenti ed eventi negli ambiti più diversi del mondo in cui viviamo, che possono coinvolgere il singolo individuo così come micro e macro gruppi sociali.
Oggi, nel terzo millennio, con l'avanzare dei nuovi media telematici ed interattivi e della realtà virtuale, il cinema è ancora una risorsa preziosa: come strumento d'espressione, come dispositivo comunicativo, come "luogo privilegiato in cui l'inconscio diffonde a pioggia i propri raggi luminosi per rendere visibile l'invisibile" (Brunetta, 1995). Questo perché da un lato il cinema mantiene intatta la capacità di fornire immagini pregnanti e condivisibili della realtà, di elaborare rappresentazioni utilizzabili per interpretare il mondo; dall'altro lato, il cinema rimane sul terreno della narrazione (più o meno consistente): narra, può essere narrato, permette, tramite la parola, di condurci oltre le immagini, i suoni, i dialoghi, le emozioni e gli affetti che fa esperire. In questo senso le immagini cinematografiche sono metafore, che ci accompagnano in territori inesplorati dei nostri mondi, esterni ed interni. Inoltre, a differenza degli altri media e delle altre espressioni artistiche (fanno eccezione il racconto e la musica) il cinema, nel suo susseguirsi narrativo di immagini, soddisfa il bisogno di confrontarci con lo scorrere del tempo, con il senso della trasformazione e della prospettiva.
Psicoanalisti e psichiatri possono creativamente e produttivamente avvalersi dei propri strumenti conoscitivi per affrontare, attraverso i film, temi di loro competenza.
Storicamente, l'attenzione si è focalizzata sulla rappresentazione nel cinema delle figure di psichiatri e psicoanalisti e su quella della malattia mentale, rilevando come spesso esso contribuisca ad alimentare confusione e distorsioni. La citazione tratta dal romanzo "L'anno della morte di Fernando Pessoa" (1984) di Saramago apre l'orizzonte a tutte le altre infinite potenzialità creative ed elaborative del linguaggio cinematografico.
In questa sezione desidero quindi proporre, attraverso percorsi cinematografici, una serie di riflessioni sui territori, dai confini sfumati, della sofferenza psichica, degli affetti e dei sentimenti, dove normalità e psicopatologia spesso si intrecciano e talvolta si confondono.

Bibliografia

Brunetta, G.P. (1995). Cinema e Psiche. In: De Mari, M, Marchiori, E., Pavan, L. (a cura di) Psiche & Immagine. Incontri culturali sul rapporto tra cinema e psichiatria. Lavia-Kendall, Padova, pp.9-15.

Canova, G. (2001). Presentazione. In: Senatore, I. Curare con il cinema. Centro Scientifico Editore, Torino, pp.VII-IX.

Casetti, F. (1986) Dentro lo sguardo. Il film e il suo spettatore. Bompiani Studi, Milano.

Fellini, F. (1980) Fare un film. Einaudi Tascabili, Milano.

Gabbard, G.O., Gabbard K. (1987). Cinema e psichiatria. Tr.it. Raffaello Cortina, Milano, 1999.

Metz, C. (1977). Cinema e psicoanalisi. Tr. it. Marsilio, Venezia 1980.

Morin, E. (2001). L'identità polimorfa. Tr. it. In: L'identità umana. Raffaello Cortina, Milano 2002.

Musatti C. (1961). Psicologia degli spettatori al cinema. In: Romano, D.F. (a cura di) Cesare Musatti, Scritti sul Cinema, Testo & Immagine, Torino, 2000, pp. 64-71.

Musatti C. (1986). La mia gemella psicoanalisi ha un fratellino maggiore. In: Romano, D.F. (a cura di) Cesare Musatti, Scritti sul Cinema, Testo & Immagine, Torino, 2000, pp. 174-181.

Winnicott, D.W. (1971) Gioco e realtà. Tr.it. Armando Armando, Roma 1974.



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