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INTERVISTE




Prendimi l’anima: intervista a Roberto Faenza

A cura di Roberto Goisis, Elisabetta Marchiori e Massimo De Mari


Prendimi l’anima, l’ultimo film di Roberto Faenza, ha permesso al grande pubblico di conoscere la storia e la persona di Sabina Spielrein, ormai da anni oggetto di scritti di natura scientifica, romanzi e opere teatrali.
Il regista, che già aveva presentato in anteprima un montaggio del film al XII Congresso Nazionale della Società Psicoanalitica Italiana, ne ha accompagnato poi l’uscita nelle sale discutendolo con il pubblico e con psicoanalisti sia di formazione freudiana sia junghiana.
Faenza racconta in modo particolareggiato la storia del film Prendimi l’anima nel libro, pubblicato da arcanafiction (2003), che ne contiene la sceneggiatura. Tutto è cominciato nel 1980, quando il regista si è imbattuto casualmente nel carteggio tra C.G. Jung e Sabina Spielrein.
Questa intervista, che fa seguito alle numerose pubblicate su quotidiani e settimanali mentre il film era ancora in circolazione, è stata proposta a Faenza dopo aver seguito l’evoluzione del successo del film, ora ritirato dalle sale. Per conoscere qualcosa di più dell’incontro non solo tra Sabina e Jung e tra Sabina e la psicoanalisi, ma tra il cinema e la psicoanalisi ed un regista e gli psicoanalisti.
E’ preceduta da due sintetiche schede tecniche, una sul film e una sul regista

Il Film: Prendimi l’anima (The soul keeper, 2002).
Con Iain Glen, Emilia Fox, Craig Ferguson, Caroline Ducey, Jane Alexander, Michele Melega, Daria Galluccio. Coproduzione italo-franco-inglese, Jean Vigo Italia, Les Films du Centaure, Cowboy Films, in associazione con Medusa Film e Leandro Burgay editore; sceneggiatura di Roberto Faenza in collaborazione con Gianni Arduini, Alessandro Defilippi, Giampiero Rigosi, Hugh Fleetwood, Elda Ferri.
Gli sceneggiatori si sono basati su documenti originali (scritti, carteggi, cartelle cliniche) e su testimonianze storiche.
La storia narra la vita di Sabina Spierlrein, nata in Russia da una famiglia colta e benestante d’origine ebrea. Il film si svolge dal periodo in cui Sabina fu ricoverata, diciannovenne, per una grave forma d’isteria, all’Ospedale Burgholzli di Zurigo, fino alla sua morte per mano dei nazisti in Russia. Durante il ricovero Sabine venne da Bleuler affidata a Carl Gustav Jung, che la curò con successo col metodo freudiano.
Il regista racconta la relazione tra Jung e Sabina, che da sua paziente divenne sua amante, sconvolgendone l’esistenza. Jung coinvolse anche Freud nella vicenda, chiedendone il supporto per tacitare lo scandalo. Interrotta l’appassionata storia d’amore Sabina, laureatasi a sua volta in medicina e divenuta psicoanalista, sposò dopo alcuni anni un medico russo e con lui e la figlia tornò in patria. Lì si dedicò all’educazione dei bambini presso l’Asilo Bianco di Rostov ed alla pubblicazione di originali lavori psicoanalitici. Nel film viene intervistato in proposito l’ultimo bambino sopravvissuto ospite dell’Asilo, che conobbe Sabina.

Il regista: Roberto Faenza (Torino, 21 febbraio 1943).
Filmografia: 1968 Escalation; H2S; 1979: Si salvi chi vuole; 1982: Copkiller (L’assassino dei poliziotti); 1989: Mio caro dottor Grasler; 1993: Jona che visse nella Balena; 1995: Sostiene Pereira; 1997: Marianna Ucrìa, 1999: L’amante perduto; 2002: Prendimi l’anima.
Diplomato in regia al Centro Sperimentale di Cinematografia, esordisce nel cinema come regista. Le sue prime opere hanno un taglio politico di stampo “contestatore”. Dopo Copkiller, girato negli USA, per alcuni anni Faenza si assenta dagli schermi, per tornare con un cinema diverso, che racconta storie ispirate a testi altrui, ma sentite ed interpretate con grande coinvolgimento e profondità.

L'INTERVISTA

1) Cos’è che l’ha colpita in particolare del carteggio tra Sabina e Jung, tanto da indurla a condurre più di 20 anni di ricerche per realizzare il film Prendimi l’anima?
La prima cosa che mi ha colpito di quel carteggio sono state le mancanze: mancavano le lettere di Jung, la parte finale del diario di Sabina, troppe cose; ho voluto vedere se riuscivo a trovarle.
Poi sono stato affascinato dal personaggio di Sabina: è una donna che ha attraversato il secolo, ha conosciuto due grandi personaggi come Jung e Freud e con entrambi ha avuto un rapporto molto stretto, poi ha sposato gli ideali della rivoluzione e del socialismo in Russia, ma ha visto e vissuto anche il loro degrado e la loro degenerazione; infine ha lottato contro il nazismo con un coraggio che non le ha impedito di soccombere. Era ebrea. Insomma, è stata l’emblema della donna che si è sempre scontrata con il potere degli uomini, uscendone in ogni occasione a testa alta.

2) Di una storia come quella di Sabina si poteva fare quasi un’epopea.
Poteva venirne fuori un film di dieci ore: credo ci siano ancora tantissime cose da scoprire su di lei. La studiosa del film esiste davvero, si chiama anche lei Spielrein e sta continuando la ricerca, spinta dalla curiosità di scoprire una possibile parentela e altre cose perdute di Sabina. Il bambino sopravvissuto dell’Asilo Bianco di Mosca, dove Sabina aveva lavorato negli anni ’20, anch’esso rappresentato nel film, che abbiamo trovato dopo una ricerca durata quasi due anni, ha in cantina una quantità eccezionale di documenti di cui lui non conosce il valore: lettere tra la madre, che lavorava anche lei all’Asilo Bianco e Sabina, lettere di Stalin al padre, che era un grande scienziato. Possiede un patrimonio culturale di grande valore.

3) Il suo film ha certamente contribuito a recuperare una figura femminile di rilievo per la storia della psicoanalisi; quali sono secondo lei i motivi per cui Sabina è stata in qualche modo “maltrattata” dal mondo psicoanalitico?
Più che maltrattata, direi emarginata. In primis proprio da Jung e da Freud, che forse non ne hanno capito appieno il valore. Del resto, tutta la storia della psicoanalisi è debitrice alle donne della sua stessa esistenza. Che sarebbe della psicoanalisi senza le prime pazienti? Sono state loro, assai più dei maschi, ad aprire le porte dell’indagine sul disagio e sul dolore. E ancora loro a spalancare quelle della passione, forse il solo linguaggio consentito all’universo femminile in quel tempo.

4) Quale è la funzione della coppia di ricercatori nel film? La loro storia d’amore rimane in sospeso, come mai?

I ricercatori sono stati essenziali per raccontare la storia di Sabina. Inconsistenti sul piano “drammaturgico”, sono invece determinanti sul piano narrativo. Non sarei riuscito a descrivere le scoperte sulla vita di Sabina, dopo l’incontro con Jung e dopo il suo ritorno in Russia, scoperte frutto della nostra ricerca. senza mettere in campo i due ricercatori e senza far vedere esattamente come le cose sono andate nel corso di tanti anni. Mi chiedo come mai questa ricerca non sia stata fatta dagli psicoanalisti. Io ho cominciato a lavorare a questa indagine all’inizio degli anni Ottanta. Mentre lo storico di origine scozzese è un personaggio per lo più inventato, la ricercatrice francese, come ho detto, è davvero una Spielrein e sta davvero ancora indagando su tanti aspetti che restano tuttora da scoprire, come la scomparsa dell’ultima parte del diario di Sabina, quello che racconta la sua vita in Russia e che sappiamo aver compilato sino alla fine.

5) Come sono stati scelti gli attori protagonisti?
Il primo interprete che abbiamo scelto è stato Iain Glen nel ruolo di Jung; non è un attore famoso al grande pubblico ma ha già fatto cose importanti; io l’ho conosciuto a Londra dove ha lavorato in teatro a fianco di Nicole Kidman in Blue room, diretto da Sam Mendes, il regista di American Beauty.
Per Sabina avevamo pensato inizialmente ad un’attrice americana molto famosa con cui però non abbiamo concordato la partecipazione perché Hollywood, che era molto interessata alla storia di Sabina, mi poneva condizioni inaccettabili sulla produzione; quando poi mi hanno proposto Emilia Fox, che aveva appena finito di girare Il pianista con Roman Polanski, ho visto la Sabina che avevo in mente. Secondo me Emilia è bravissima e ha fatto un’interpretazione notevole, tanto è vero che l’hanno già scritturata per altri tre film dopo il mio.

6) Prendimi l'anima è un film in cui la psicoanalisi entra prepotentemente, anche se non è un film sulla psicoanalisi. Può parlarci di quello che sa della psicoanalisi, come storia, esperienza, terapia? Ha avuto dei consulenti nello scrivere la sceneggiatura e nel girare?

Della psicoanalisi mi considero un profano “affascinato”. Mi sono imbattuto in questa disciplina - si può chiamare così? - negli anni Sessanta, quando, studente a Torino, Norberto Bobbio mi affidò uno studio sulla violenza in Freud, di cui allora sapevo poco o nulla. A quell’epoca le opere di Freud non erano tutte tradotte, mi procurai gli originali in tedesco e cominciai a leggere i famosi scritti di Freud sulla guerra, il carteggio con Einstein in particolare. Per assolvere l’incarico, presi contatto con Franco Fornari, che indagava in quel periodo i confini della violenza e della guerra, e poco a poco mi trovai immerso a leggere le opere di Freud, che subito mi rapirono per il fascino delle “storie” raccontate, i cosiddetti casi clinici, che più propriamente chiamerei casi umani. A mio avviso, Freud è uno dei più grandi romanzieri che abbia mai letto e i suoi libri un serbatoio immenso di storie appassionanti. Negli anni Settanta ho poi avuto la necessità di imbattermi nella psicoanalisi per il trattamento di un doloroso caso clinico: una persona a me molto vicina che soffriva di anoressia. In quella occasione ho conosciuto sia in America che in Italia alcuni tra i più importanti specialisti di quella malattia, che mi hanno ulteriormente affascinato. Quanto al film Prendimi l’anima, mi sono avvalso di numerosi consulenti, sia di scuola freudiana che junghiana, uno dei quali ha collaborato in veste di co-sceneggiatore alle ultime stesure della sceneggiatura. Devo però precisare che, pur nel rispetto dei suggerimenti dei consulenti, mi sono preso non poche licenze poetiche, in quanto il mio interesse era di raccontare una grande storia d’amore (quella di Sabina, e non solo per Jung), anziché un caso clinico.

7) Il film porta inevitabilmente l’attenzione su un tema psicoanalitico fondamentale, quello del transfert-controtransfert, reso come rapporto d’amore tra analista e paziente. Come le sembra abbiano reagito gli psicoanalisti a questa interpretazione?
Molto bene perché hanno capito che questo lavoro non era solo di fantasia ma aveva delle basi storiche solide, anzi devo a loro in buona parte il successo anche commerciale del mio film. Io ho fatto riferimento in particolare ai saggi di Johann Cremerius (“Il potere non ha ali candide”) e Bruno Bettelhaeim (“La Vienna di Freud”), che confermano la relazione sentimentale tra Sabina e Jung. Alcuni mi hanno accusato di ridicolizzare la figura di Jung, io invece lo trovo molto più umano e interessante così che non su un piedistallo. A suo onore va detto innanzitutto che ha guarito Sabina e poi che è stata la prima volta che uno psicoanalista si è trovato di fronte a questo aspetto del transfert e del controtransfert, lo deduciamo dalle lettere che scrive a Freud, cui all’inizio mente sulle caratteristiche del suo rapporto con Sabina. Solo dopo che uno psichiatra dell’ospedale Burgholzli aveva scritto a Freud per denunciarlo Jung si è dimesso e ha scritto a sua volta al suo maestro ammettendo la verità. Solo allora Freud accetterà di incontrare Sabina che poi diventerà una sua allieva e ambasciatrice della psicoanalisi in Russia.

8) Il fatto che Freud compaia solo come presenza virtuale ed il limitarsi ad accennare agli studi psicoanalitici di Sabina è una scelta o una casualità?
Nel film la presenza di Freud avviene per assenza, che mi sembra il modo migliore per sottolineare come, nella vicenda tra Sabina e Jung, egli sia stato appunto più che altro nell’ombra. Non dimentichiamo che all’epoca delle prime lettere tra questi tre personaggi, né Sabina né Jung lo avevano mai incontrato. E’ proprio questa sua presenza “immanente”, oggi diremmo virtuale, che ho voluto sottolineare.

9) Pare che Jung abbia avuto altri problemi oltre a quello con Sabina e che sia stato molto male a seguito di quest'amore burrascoso; nel film la moglie sembrerebbe assumere una specie di valenza terapeutica per Jung. Può dirci qualcosa in proposito?

Da quello che so e leggendo le memorie di Jung, in quel periodo l’uomo soffriva di vari “turbamenti”. Sempre in quegli anni, è noto, avvicinandosi il dissidio con Freud, Jung temette addirittura di doversi far ricoverare. Sono convinto che la storia della psicoanalisi andrebbe per lo meno rivisitata alla luce della vicenda Spielrein. Nel senso che una delle principali ragioni della rottura tra i due pionieri va trovata proprio in quella relazione. Per parecchio tempo Jung, scrivendo a Freud, non ebbe il coraggio di ammettere la vera natura del rapporto con la sua paziente e quando il maestro fu messo al corrente della verità cominciò a dubitare della lealtà dell’allievo eletto. Allo stesso modo l’allievo, ammettendo poi la “colpa”, non poteva non vedere nel maestro una sorta di super-io o comunque una presenza fortemente critica. E’ proprio Sabina a ripetere sino alla fine dei suoi giorni che i due grandi uomini erano stati divisi più da motivi personali che scientifici. A questo proposito, credo che gli storici della psicoanalisi abbiano sinora più meno consapevolmente operato delle belle censure sul caso Spielrein. Se ne può capire il perché, ma da quella vicenda, pur con tutte le attenuanti del caso, del pionierismo di allora, ecc., sia Jung che Freud ne escono, sul piano umano, piuttosto malconci. Quanto alla moglie di Jung, non so se quanto si dicesse di lei, cioè che fosse l’autrice delle lettere anonime alla famiglia Spielrein, corrispondesse al vero. Io l’ho ritratta come una donna pronta a tutto pur di preservare intatto il proprio nucleo familiare. E difatti, mi pare che nel tempo abbia persistito in tale atteggiamento, protettivo e al tempo stesso possessivo.

10) Nel film è resa con grande efficacia l'atmosfera del "manicomio" e sono descritti molto bene i rapporti, a quei tempi, tra medici, infermieri e pazienti difficili, così come il rischio di avventurarsi, da parte del terapeuta, in territori oscuri e misteriosi della psiche. E' solo intuizione o c'e' dell'altro?

L’ospedale in cui viene ricoverata Sabina me lo sono immaginato soggettivamente, anche se ne ho prima studiato in ogni particolare la realtà. Anche qui, mi sono concesso varie licenze (per esempio dipingendo Bleuler più “conservatore” di quanto non fosse; anzi non lo era affatto). Principalmente, mi interessava rappresentare l’ospedale come “visto” da Sabina. Di qui, l’idea di alternare momenti gioiosi (la scena del ballo) a momenti di intensità drammatica (il periodo della regressione nella malattia quando Jung viene richiamato militare).

11) Nel suo cinema appaiono spesso i bambini; il rapporto tra Sabina ed il piccolo russo è uno dei momenti più efficaci e commoventi del film. Ci può raccontare qualcosa di più di questa sua predisposizione nei confronti del mondo dell'infanzia?

Ho cominciato a occuparmi di bambini con il mio film del ’94 Jona che visse nella balena. Da allora, ho maturato la convinzione che l’infanzia e i bambini siano la realtà più bella che c’è al mondo. Di qui, il mio amore per loro. Se potessi, farei solo film con i bambini. So che Freud aveva un’opinione particolare sull’infanzia, quando parlava dei bambini perversi polimorfi. Ma anche se è verosimile, nulla cambia della loro meravigliosa unicità.

12) Ora che ha avuto modo di conoscere molti psicoanalisti di varie scuole e che ha sentito le loro opinioni sul film, che idea si è fatto della psicoanalisi attuale e degli psicoanalisti? Ci sono state idee, spunti, che l’hanno particolarmente colpita? E' cambiato il suo approccio al nostro mondo dopo il film e le discussioni e le varie presentazioni e dibattiti?

Credo che gran parte del successo di Prendimi l’anima, sia dovuto proprio all’interesse dimostrato dagli psicoanalisti e dai loro pazienti, ovviamente più numerosi. Per cui sono a entrambi grato e riconoscente. Sarà buffo, ma da quando frequento gli psicoanalisti, e in questo periodo ne ho incontrati davvero tanti, ho cominciato ad essere soggetto ad attacchi di panico. Vorrà dire che hanno smosso qualcosa nel mio profondo che se ne stava acquattato?

13) Durante le presentazioni del film, come ha trovato le reazioni "del pubblico", ce ne sono state che l’hanno particolarmente colpita?

Non mi era mai successo di trovarmi di fronte a un pubblico tanto coinvolto come per questo film. Anche Sostiene Pereira e Jona che visse nella balena sono stati film di “successo”, ma quello che abbiamo registrato con questa storia è ben più forte. Direi travolgente. Ho visto gente uscire sconvolta dalla proiezione, altra applaudire nel finale, insomma reazioni non usuali e che certo non mi aspettavo. Non credo che il merito sia mio. Ma tutto di Sabina, una donna che ci ha preso davvero l’anima.

14) Per finire...come ha vissuto e vive il successo (forse non del tutto previsto) del suo film?

Con inquietudine. Il successo, diceva Pasolini, fa male. Mi preoccupano le tantissime persone che ora mi scrivono o mi contattano in vari modi per propormi le loro storie, che ovviamente non potrò realizzare. So che rimarranno delusi e deludere fa sempre male.



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