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Anno IV - N° 3 - Settembre 2004

Articoli originali



“Le consulenze tecniche di parte nei casi di abuso sessuale infantile: considerazioni etico-deontologiche”

Ugo Sabatello(1)



Sia lode al dubbio! Vi consiglio, salutate
serenamente e con rispetto chi
come moneta infida pesa la vostra parola!
Vorrei che foste accorti, che non deste
con troppa fiducia la vostra parola.
(.....)
Con coloro che non riflettono e mai dubitano
si incontrano coloro che riflettono e mai agiscono.
Non dubitano per giungere alla decisione, bensì
per schivare la decisione. Le teste
le usano solo per scuoterle. Con aria grave
mettono in guardia dall'acqua i passeggeri dl navi che affondano.
(.....)
Certo, se il dubbio lodate
non lodate però
quel dubbio che è disperazione!
Che giova poter dubitare, a colui
che non riesce a decidersi!
Può sbagliare ad agire
chi di motivi troppo scarsi si contenta!
ma inattivo rimane nel pericolo
chi di troppi ha bisogno.
Tu, tu che sei una guida, non dimenticare
che tale sei, perché hai dubitato
delle guide! E dunque a chi è guidato
permetti il dubbio!

Lode del dubbio. Bertolt Brecht




Non è mia abitudine essere assertivo anzi, sono convinto in buona compagnia, con Brecht ad esempio, che del dubbio soprattutto nel nostro lavoro, si debba fare vanto e sistema in quanto, solo dal dubbio, si è tenuti al riparo da convinzioni eccessive che semplificano la realtà e permettono di percepirne solo alcuni aspetti. Trovo che il dubbio sia fondamentale per ogni psicoterapeuta e per ogni perito in ambito psichiatrico forense e, avvalendomi di questa duplice identità che mi appartiene, vorrei esporre una serie di considerazioni, attinenti all'ambito peritale, anch'esse non esaustive ma problematiche.
Sono motivato da discussioni con colleghi, a volte aspre e poco rispettose; dalla pratica di oltre quindici anni di attività psichiatrico-forense associata al lavoro svolto, in ambito istituzionale e libero professionale, nei confronti di bambini ed adolescenti (e le loro famiglie) con difficoltà di tipo psichiatrico; dalla sensazione che il dibattito sul tema sia divenuto sempre più acceso, senza però toccare alcuni aspetti di fondo che mi sembrano significativi.
Quanto esporrò potrà apparire un insieme eterogeneo di considerazioni che spaziano dalla attività peritale, al codice deontologico, ad aspetti inerenti al funzionamento psichico. Tale eterogeneità penso appartenga alla pratica psichiatrico-forense in cui l'articolazione tra mondo interno ed eventi esterni, realtà e fantasia, considerazioni sociali ed intrapsichiche costituisce -a mio avviso- l'oggetto stesso della nostra prassi e della nostra ricerca.
Le CTP (Consulenze Tecniche di Parte) sono consulenze al servizio di una delle parti nell'ambito di un contenzioso giudiziario di tipo civile o penale. In tal senso sono incarichi "di parte" anche quelli affidati dal Pubblico Ministero. Le CTU e le Perizie d'Ufficio, sono invece affidate al professionista dal Giudice e, come sua emanazione, si intendono "super partes", per affrontare e rispondere a quesiti di squisita competenza specialistica.
Il ruolo del Ctp è, a mio avviso, molto più scomodo del ruolo del CTU ma, ciononostante, è un compito interessante sotto diversi punti di vista. In teoria, e a volte spero lo sia anche in pratica, il compito del Ctp è di vigilare sull'operato del Ctu, collaborando con lui alla ricerca di una "verità peritale" ma anche controllando che gli accertamenti avvengano in maniera corretta, con metodiche adeguate, nel rispetto delle parti e, soprattutto, dei bambini. In altri termini il Ctp dovrebbe fornire un ulteriore stimolo al Ctu, attraverso il contraddittorio e la discussione, affinché egli possa e debba svolgere il suo compito nella maniera scientificamente e proceduralmente più corretta, senza per questo perdere di vista la realtà umana delle persone che ha di fronte.
Un altro aspetto, non secondario, del lavoro del Ctp riguarda l'opera di spiegazione, contenimento e consiglio nei confronti della parte rappresentata. In alcune consulenze tale opera assume una importanza fondamentale in quanto il Ctp può spiegare (ed eventualmente aiutare ad accettare) quanto disposto dal Ctu, contenere le ansie che, troppo spesso, ricadono direttamente sui figli ed indirizzare, a volte, ad una terapia individuale. In tal senso il Ctp é realmente un alleato del Ctu e, seppure non riconosciamo alle perizie una valenza terapeutica, riteniamo che un'opera ed un'assistenza di tale genere risponda in modo ottimale alle finalità etiche del medico o dello psicologo.(2)
La mia personale esperienza, forse non condivisa da molti, è di aver perlopiù trovato dei Ctp orientati all'espletamento in questi termini del loro compito e di essermi attenuto ad esso, quando è stato il mio turno di rappresentare una delle parti e non il magistrato nella sua emanazione tecnica. Sicuramente, il Ctp cerca di sostenere le posizioni del suo cliente ma, tutto questo, può anche essere fatto in maniera corretta e nel rispetto della parte avversa e non interferisce, e non deve interferire, con il processo conoscitivo condotto dal Ctu, se non in modo interlocutorio e propositivo.
Come in ogni caso e professione, vi sono le aberrazioni e le interpretazioni devianti del ruolo del Ctp. Vediamo allora consulenti che hanno sposato totalmente, ed a volte a priori, le ipotesi dei loro assistiti appiattendosi su di esse anche di fronte a diverse evidenze cliniche; consulenti che attuano numerose forme di ostruzionismo nei confronti dei Ctu, come dettando note interminabili da mettere a verbale o minacciando di continuo azioni giudiziarie; oppure Ctp che modificano il loro onorario a seconda del risultato processuale, vanificando in tal modo ogni "terzietà" del loro ruolo rispetto al committente, all'avvocato ed al sistema giudiziario
Ma queste preferiamo considerarle delle aberrazioni e, come tali, sperare che vengano a scomparire naturalmente dalla scena di fronte ad una maggiore consapevolezza e cultura dei magistrati e degli stessi avvocati, oltre che degli ordini professionali. D'altro canto, anche i Ctu, molto spesso, sono prevedibili e scontati tanto che, un gioco divertente, ma purtroppo troppo facile, è di anticipare le conclusioni della perizia in base al nome del perito e se appartenga al partito degli "innocentisti" o dei "colpevolisti". Ma torneremo più tardi sui compiti del Ctu, e sulle "querelles" di scuola.
L'attività peritale è una attività professionale e, come già osservava Fornari (1997)(3), retribuita molto male. Non è infrequente, che il perito debba anticipare somme anche importanti (ad esempio per spostamenti aerei) che gli verranno rimborsate solamente dopo mesi o anni; le successive convocazioni del perito, dopo la consegna ed esposizione della sua relazione, non vengono retribuite in alcun modo e può capitare di essere chiamati a testimoniare in sedi diverse dalla propria; il computo delle spese sostenute dal perito (ad esempio di carburante o per alimentarsi) é determinato secondo tabelle ministeriali assolutamente obsolete e non adeguate all'attuale; saremmo lieti di capire il razionale, ma in tanti anni non ci siamo riusciti, di una unità di misura del lavoro peritale quale la "vacazione" espressione misteriosa della forza-lavoro, valutata con criteri altrettanto oscuri(4).
Ho sempre pensato, tra l'altro, al rapporto tra Magistrato e Perito come ad un rapporto fiduciario, in cui l'uno sceglie perché si fida o ha intenzione di farlo in base alla formazione ed ai meriti professionali dell'altro. Pur comprendendo la riluttanza dei Magistrati ad occuparsi di questioni economiche mi riesce difficile capire perché non sentano di dover tutelare il "loro" perito assicurandosi che venga pagato in maniera onorevole. Al contrario, invece, alcuni Magistrati, sempre seguendo le fantomatiche tabelle ministeriali, defalcano liberamente le richieste di liquidazione o non si interessano che il perito venga pagato ad una distanza di tempo accettabile dalla consegna della relazione. Questo aspetto che mi sembrerebbe ovvio, di reciproca tutela, viene invece disatteso, favorendo così le aberrazioni cui abbiamo già accennato.
Come perito mi sento responsabile sia nei confronti delle persone che valuto, sia del magistrato che mi ha affidato l'incarico. Ritengo che la mia correttezza ed abilità professionale siano a lui necessari per capire meglio una situazione e che, una mia eventuale negligenza, oltre a ledere me e la mia onorabilità professionale, vada a ledere il corso della giustizia e l'opera del magistrato. D'altro canto, ho bisogno del suo mandato e della sua autorevolezza per svolgere le mie valutazioni e per risolvere questioni procedurali che travalicano le mie competenze. Posso allora spiegare il disinteresse del magistrato, che per fortuna non c'è sempre, con un procedimento di delega nei confronti del perito sia affidando a lui la responsabilità di una sentenza, sia lasciandolo solo a discutere con liquidazioni e cancellerie. Mi sembra, a volte, si consumi nei confronti del perito una forma di malagrazia, noncuranza e disattenzione (gli atti da fotocopiare personalmente, le marche da apporre per poi doverle includere nella liquidazione, gli orari non rispettati) che disconosce quello che, insisto, dovrebbe essere un rapporto fiduciario tale per cui, preferisco non lavorare più per un magistrato che desideri impormi le sue opinioni o che decida per me l'ammontare del mio onorario.
In realtà, al di là degli aspetti economici, che pur hanno la loro importanza, sono molte le situazioni che vanno a discapito delle CT. Si potrebbe pensare, e certamente in parte é vero, che l'assenza di un albo professionale qualificante, di onorari adeguati, gli ostacoli burocratici e le mille difficoltà fanno parte del panorama sociale che interessa tutte le articolazioni tra sapere tecnico, società civile e potere. Dovremmo però chiederci se non esista una particolare contingenza che insista sul mondo peritale, proprio in ragione delle finalità delle CT. (Foucault: articolazione tra potere medico e giudiziario, iscrizione attraverso la medicina della devianza all'interno di un universo comprensibile e controllato(5).; cfr anche Fornari 1997, op.cit).
Le CTP maggiormente controverse e criticate sono gli incarichi a tutela di un supposto abusante, in cui il perito "difende" chi, a torto o a ragione é accusato di aver compiuto atti di pedofilia. Potremmo, come é vero, affermare che chiunque ha diritto ad una difesa ma preferiamo, piuttosto, sottolineare un altro aspetto delle CTP, che mi sembra necessario per una corretta condotta professionale e che risiede proprio nella possibilità di "vedere l'altro". Cercherò di essere più preciso per evitare fraintendimenti. Ho sempre pensato, e con me molta letteratura specialistica, che un falso abuso (un bambino così manipolato e condizionato, consciamente o meno, dagli adulti da denunciare un abuso inesistente) sia altrettanto dannoso, a volte, di un abuso reale. Sappiamo, e i lavori convincenti sul tema sono ormai numerosi, che le false denunce, soprattutto in caso di separazioni conflittuali, sono molto frequenti. Ritengo anche che la mia sia una professione e non una missione, ovvero, che il lavoro peritale non dovrebbe partire da ipotesi preconcette per cui un "ideale" arrivi a modificare una "verità". Sono anche convinto che, stare dalla parte dei bambini non significhi, sarebbe troppo semplice, assumere come sempre rispondenti alla verità storica le affermazioni di un bambino. Se un bambino afferma di aver subito un abuso, sicuramente ciò è vero ma, non è detto, che si tratti propriamente dell'abuso che, più o meno esplicitamente, viene denunciato.
Le CTP permettono di vedere l'altra parte, ciò che succede nel mondo e nella mente dei supposti o reali abusatori. Sicuramente si possono commettere errori, da parte mia e per mia scelta, mi sono trovato ad accettare compiti di parte solamente quando potessi sostenere in me il dubbio che l'indagato non fosse realmente colpevole ma, può accadere, che la Corte decida per la sua responsabilità. Sono sempre stato felice nel lasciare ai giudici il compito della attendibilità di una prova o della responsabilità di un indagato e così, non percepisco la dimostrazione della colpevolezza di un mio assistito come un dramma personale ma come un errore, a volte doloroso, di valutazione, spesso legato a dati insufficienti (o menzogne, o informazioni non fornite) o all'incredulità che, come afferma Claudio Foti, è il primo sentimento che si prova di fronte alla denuncia di un abuso di un minore ed il primo ostacolo da affrontare. D'altro canto, mi é capitato anche il contrario, ovvero di poter dimostrare, nel corso di una consulenza, l'infondatezza e la poca sostanza di accuse che, come spesso accade, avevano già acquistato molto credito. Penso, in ogni caso, di aver svolto il mio lavoro sempre, da qualsiasi parte mi sia trovato, in modo da sostenere l'opera del perito d'ufficio o, in caso di "parere pro veritate", per chiedere una consulenza d'ufficio, di profilo elevato ed in grado, forse, di dirimere i dubbi.


Le ipotesi integraliste ed i conflitti ideologici.

".....ma so anche che chiunque contesti il verdetto di un inquisitore é lui stesso un eretico."

Il nome della rosa. J.J.Annaud
Potremmo chiederci allora quale sia il problema. Il problema nasce, evidentemente, dalla materia stessa di cui trattiamo, l'abuso, il maltrattamento e il male stesso. In più di una occasione(6) abbiamo segnalato la difficile situazione in cui si trova il perito nei casi di abuso; c'è chi lo considera uno stato paradossale, patologico, capace di condurre ad una sospensione del giudizio o ad una crociata ideologica. E' il dubbio che non si riesce a sostenere. Il timore di ritrovare il male dentro di sé conduce a formazioni reattive, a forme estreme di difesa che tendono a definire il male come estremo, alieno e diverso da noi. Probabilmente per questo il dibattito sull'abuso ha spesso i toni emotivi della crociata e si accompagna a meccanismi massicci di discredito e di offesa dell'altro; chi si trova a difendere, o dirò di più, sceglie di difendere un indagato, spesso é accusato o si accusa lui stesso, di connivenza e, forse, di complicità nel reato stesso, di condivisione del male. E' chiaro che questo possa accadere, che l'avvocato che difende esclusivamente mafiosi (o detenuti per reati politici) probabilmente partecipa della loro ideologia ma, nel nostro caso, é diverso perché i meccanismi di svalutazione e discredito che un partito getta sull'altro (innocentisti contro colpevolisti, chi accetta tali difese da chi, per principio, le rifiuta) sono gli stessi meccanismi di scissione schizoparanoidea e di proiezione che sono alla base dell'abuso nel quale, la realtà del bambino, il suo essere tale, non viene percepita ma piuttosto egli é equiparato e confuso con l'adulto.
I rischi che corriamo, tutti noi impegnati nelle attività peritali, sono molteplici e riguardano sia il funzionamento istituzionale sia la qualità e il valore del nostro lavoro.
Il rischio istituzionale, a mio avviso, si è già compiuto e riguarda proprio l'aver creato dei partiti contrapposti. Dicevo prima del giuoco, senz'altro istruttivo, dell'indovinare, a seconda del perito, il risultato della CTU. Ciò confligge con la libertà del perito, con l'espletamento della giustizia e con i diritti di tutti, oltre a cadere "...nella critica foucaultiana della perizia come "doppione" pseudoscientifico del processo"(7) incontrovertibile e inappellabile proprio in quanto appartenente al discorso della scienza. Sarei spaventato se realmente, accusa che mi sono personalmente sentito rivolgere in udienza, il mio appartenere ad un'associazione, un coordinamento o anche ad un semplice gruppo di colleghi che si occupano di psichiatria forense, mi condizionasse nella pratica privata e nella mia libertà di giudizio. Riterrei tale condizionamento, incompatibile con l'etica professionale e con la pratica del ruolo di medico e di perito (e penso che per gli psicologi sarebbe lo stesso), oltre a rappresentare un illecito. L'aver creato dei "partiti" getta un generale discredito sul lavoro peritale e non ritengo sia vero che i sostenitori dell'esistenza di una posizione preconcetta dei periti appartengano solamente a coloro che "proteggono" i pedofili.
Per chiarire cosa intendo mi si permetta di considerare, senza doverlo ripetere ogni volta, una certa corrispondenza tra mondo esterno e mondo interno. In tale prospettiva il conflitto tra due posizioni estreme, monocromatiche, come "colpevolisti e innocentisti" sta al posto, anzi è la proiezione all'esterno, di un conflitto interiore divenuto intollerabile. In questo caso la "malafede", per usare una espressione della Argentieri (2000)(8), non é dovuta ad una grossolana negazione di aspetti contraddittori interni (ad es: l'uomo apparentemente pio e devoto che abusa, anche sessualmente, dei figli) quanto, piuttosto, ad una ipersemplificazione della propria realtà ed alla ricerca di regole e linee guida esterne che possano, una volta per tutte, evitare il dolore ed il dubbio della scelta. Ritengo che, ogni posizione integralista, nel momento che esclude l'altro e ogni diversa possibilità in se stessa e nel mondo, agisca in tal senso. Mi é parso illuminante, a tale proposito, quanto scrive Naipaul in "Fedeli ad oltranza"(1998): il rapporto diretto con il "vero" cioè con la divinità non permette di percepire nulla del mondo esterno. Il rifugiato politico convinto di essere un eletto o un predestinato, non è in grado di apprezzare la maggiore democrazia del paese che lo ospita, rispetto al proprio. La libertà e le opportunità che gli si offrono sono, infatti, il frutto del suo rapporto speciale con Dio e con la verità e non il risultato di uno sforzo umano, sono quindi autoreferenziali.
Ho l'impressione che l'appoggiarsi ad una verità preconcetta, che si concretizza in una serie di scelte obbligate e limitate, vada a detrimento non solamente dell'integrità del sé ma anche, nel nostro caso specifico, di una gestione più laica e meno ideologica del nostro compito peritale.
Possiamo chiederci per quale motivo si assumano posizioni così estreme. E' evidente che ci troviamo di fronte a meccanismi difensivi le cui radici possono essere molteplici.
Un primo motivo é legato a quanto accennavamo all'inizio, ovvero al tormento legato al dubbio; una posizione preconcetta, infatti, non può che annullarlo. Un'altra motivazione é inerente alla specifica materia che trattiamo, l'abuso, ed all'orrore che ogni ipotesi di connivenza con esso ci induce(9). Abbiamo bisogno di allontanare delle immagini e dei pensieri che ci porterebbero a domande cui è difficile rispondere. Quale é il limite e il distinguo tra una sessualità normale e la perversione? Quali sono i confini tra sessualità e violenza? Quali di questi confini ritengo siano validi per gli altri, ma non per me?
I casi di abuso ci confrontano con questo ed anche con la dinamica della sopraffazione e della violenza e con il ruolo che desidereremmo vivere se dovessimo scegliere se essere una vittima o un persecutore.(10)
Le cose più pregnanti sull'argomento non vengono, forse, dagli scritti psicoanalitici ma da Levi (1986) de "I sommersi ed i salvati"(11). Egli parla della "zona grigia"di connivenza tra carnefice e vittima e della vergogna di tutto questo, la vergogna di essere sopravvissuto, la vergogna del sollievo che quella cosa atroce sia accaduta ad un altro.(12) Per noi, potremmo aggiungere, la vergogna(13) che possiamo provare nel momento in cui riconosciamo, anche nell'atto perverso, la sua parentela con i meccanismi normali dell'eccitazione e della sessualità. Di fronte a questo abbiamo il bisogno di affermare la nostra diversità, la differenza, l'estraneità. Per fare questo perdiamo di vista proprio quanto di più complesso e doloroso esiste nell'abuso, il legame patologico ed ambiguo tra la vittima ed il suo abusatore.

N., 18 anni, viene ricoverato in un reparto degenza psichiatrica per adolescenti a causa dei suoi scoppi di violenza nei confronti dei genitori che, già ad una prima ricostruzione anamnestica, ci appaiono come la restituzione della violenza e dell'abbandono subiti per anni.
N., ha lasciato la scuola, è lo zimbello e "lo scemo" del paese e si fa notare per gli atteggiamenti sessualmente incongrui, equivoci, chiaramente omosessuali. E' l'équipe del reparto a spingere, se non a costringere, i genitori del ragazzo a denunciare quanto veniamo a sapere durante il ricovero e cioè che N., chissà da quanto tempo, condivide una attività sessuale -di tipo omosessuale e masturbatorio- con un vecchio che lo accoglie nella sua casa in campagna e che appare però l'unica figura adulta che offre a N., certamente per un suo tornaconto, tempo e attenzione.
Seppure in un certo senso sollevato dalla rivelazione fattaci, N. reagisce con un aggravamento del suo stato psichico e inondando il reparto con disegni e scritte che celebrano il suo "amore" con l'abusante. Inoltre, N. si impegna in una accentuazione dei comportamenti autolesivi che erano già presenti prima del ricovero quali una bulimia pressoché suicidale e atteggiamenti bizzarri come radersi le sopracciglia, strapparsi le ciglia e radersi poi completamente i capelli.(14)
E' facile per noi capire che, al di là della giustizia e della persecuzione dell'abuso (che era iniziato quando N. era ancora preadolescente), la relazione con il vecchio ha rappresentato per N. l'unico rapporto umano di accettazione, benché perverso, gli sia stato dato di conoscere e che l'interruzione dell'abuso non gli è valsa a ricostruire un ambiente relazionale che per lui non è mai esistito se non nella forma della discriminazione e della violenza.(15)

Se abbiamo così bisogno di posizioni chiare ed apparentemente trasparenti per sfuggire all'orrore, abbiamo anche bisogno di una "verità" che però, purtroppo, spesso non può essere fornita dagli strumenti, pur accurati, della nostra disciplina. Non siamo in grado di dire in che modo ed in che cosa esattamente un abuso si sia realizzato, la maggior parte dei bambini che osserviamo é troppo piccola o troppo danneggiata per dircelo, possiamo al massimo dire se le condizioni di quel bambino, di quella famiglia siano o meno compatibili con una ipotesi di abuso e questo, anche in contrasto con le nostre convinzioni personali.
Mi piacerebbe pensare che, prima o poi, si troveranno degli indicatori certi, nei test o nell'analisi del giuoco o del comportamento infantile, dell'abuso sessuale. Per adesso non è così e l'unica prova certa é, probabilmente, il reperimento di liquido seminale in una cavità corporea.
L'incertezza deriva da molteplici fattori: gli strumenti in nostro possesso, le scale di valutazione, i test, l'osservazione meglio condotta possono, al massimo, condurci alla presunzione di un effettivo reato ma non alla certezza. Inoltre, nessuno di questi elementi, di per se stesso, può essere ritenuto esaustivo ma la probabilità aumenta con l'assommarsi di diversi riscontri che appartengono a diversi ambiti di indagine(16) e che dovrebbero essere corroborati (e viceversa) da altri risultati di indagini svolte in sede giudiziaria. Siamo convinti che la maggior parte degli abusi non venga denunciata e che la maggior parte delle denunce "vere" si concluda con una assoluzione (in dubbio pro reo). Uno dei motivi di tale situazione é, senz'altro, legato alla discrepanza tra convinzione giuridica (ovvero l'attendibilità della prova) e convincimento del perito psichiatra.

A mio avviso il signor G. era sicuramente un pedofilo perverso al confine con la psicosi. Mellifluo, sessualmente ambiguo, fanaticamente religioso e apparentemente inoffensivo, aveva tre figli che portavano su di loro i segni di maltrattamenti ed abusi protratti per anni. Anche la madre, evidentemente psicotica, partecipava assieme al marito alla creazione di una atmosfera folle in cui, come scriveva Meltzer, i valori apparivano completamente invertiti tanto che "...il bene é il mio male". La signora -ad esempio- per evitare la morbosa gelosia del marito, si era fatta estrarre i denti anteriori per imbruttirsi. Fu quindi con estremo malessere che riferimmo al PM che i figli erano oramai così disturbati e danneggiati da non poter essere considerati competenti e credibili quali testimoni dell'accusa. Per assurdo, proprio l'efferratezza dell'abuso, e ciò accade molto spesso, rende il testimone bambino "non attendibile".

Le convinzioni del perito, se é stato così fortunato da poterle costruire dentro di sé, sono, comunque, confrontate con il sistema giuridico, con le sue coordinate e garanzie.
A distanza di anni, dopo esserci misurati con molte situazioni "impossibili", abbiamo cercato di sviluppare, alla luce di casi particolari, il concetto di "competenza relativa".

C, 6 anni, istituzionalizzata per anni ed anche esposta all'affetto profondo e confusivo del padre travestito e di tutta una famiglia promiscua e priva di ruoli definiti, portava nel corpo e nel suo stesso disturbo psicopatologico i segni di un abuso protratto. Di quali atti precisi si sia trattato e cosa concretamente C. abbia subito, non siamo riusciti a farcene una idea definita. I ricordi infantili si cristallizzano in "scene modello" o ricordi di copertura, lo stesso funzionamento cognitivo ripete "scripts" invarianti e rigidi che poco mantengono dell'esperienza vissuta storicamente.
Eppure C., come tanti altri bambini molto danneggiati era lì, con il suo modo di rapportarsi a noi, a testimoniare dell'abuso.

Con lei, come con bambini con deficit intellettivo o con una grave psicopatologia, la competenza non è valida in assoluto ma è il deficit stesso a proporsi come indicatore di abuso. Non sappiamo se questo sia sufficiente per la legge penale, che deve contestare un reato definito, ma è quanto noi, per ciò che possiamo osservare, siamo costretti a dire.
Le situazioni come quella di C. pongono in primo piano il paradosso per il quale più grave e protratto è l'abuso (trauma di II tipo secondo la Terr), meno è possibile identificare un singolo evento abusante. E'il paradosso che fa si che, più piccolo e svantaggiato è il bambino, più è difficile definire la responsabilità e le dimensioni del reato. Il concetto di "competenza relativa" è un éscamotage per affermare che, in ogni caso, qualcosa è avvenuto e deve, almeno da noi, essere riconosciuto.
Non sono solo questi i casi che ci lasciano nel dubbio e che richiedono tutti i nostri sforzi per essere risolti.

B., 9 anni, sembra essere il contrario di C. La sua deposizione nell'incidente probatorio è stata precisa e inequivocabile, ben diversa dalla confusione e contraddittorietà di C.
B. ha parlato di come il padre la portasse a casa di diversi amici dove, sistematicamente, lei ed altri bambini venivano abusati e filmati. Le affermazioni della bambina, apparentemente così univoche, sono apparse poi, nel corso del lavoro peritale, molto più problematiche. Il confronto tra le diverse deposizioni rilasciate a tanti (troppi!) intervistatori, hanno mostrato omissioni, assenza di particolari idiosincratici ed anche mostrato uno stato affettivo così distaccato da poter essere ascrivibile tanto ad uno stato post traumatico che ad una falsa deposizione. Oscuro ci è apparso anche il ruolo della madre, troppo ferita rabbiosa e onnipresente ad ogni affermazione della figlia che pareva quasi prendere le mosse dal dolore e dal disprezzo che la madre provava nei confronti del padre.
Per B. non era la competenza, ma la credibilità ad essere messa in dubbio anche se, la conoscenza della bambina delle questioni, dei termini e degli atti relativi alla sessualità ci è apparsa così impropria (per l'età) ed incongrua (con lo stato di inibizione psichica) per la bambina da segnalare, comunque, che un abuso (ma quale?) era stato lungamente perpetrato nei suoi confronti
.


Un tentativo di risposta personale

A distanza di alcune pagine mi è più chiaro quali siano le omissioni che hanno motivato queste mie riflessioni.
L'omissione non riguarda tanto, o almeno non solamente, l'"altra parte", rappresentata dalle CTP e dalla consapevolezza che, per molti abusi non puniti, vi sono anche molti accusati ingiustamente.
Le cose di cui, solitamente, non si parla penso siano essenzialmente due.
La prima è stata disseminata nel testo ed è l'isomorfismo tra i trauma vissuto da un bambino, i suoi meccanismi difensivi e ciò che avviene nella mente e nell'assetto difensivo del perito. La vergogna porta il bambino a negare o ad ammalarsi attorno al legame perverso e collusivo con l'abusante e quindi a regredire ad una dimensione a-conflittuale e non contraddittoria che potremmo chiamare "malafede" o con Bleger "nucleo ambiguo" per cui elementi contrastanti in maniera stridente come l'essere vittima e il legame con il persecutore, convivono. E' un fenomeno di cui hanno già parlato Ferenczi (1932)(17), Bollas (1995)(18) e tanti altri e che rappresenta il nucleo traumatico più distruttivo dell'abuso.
Il perito, sia che rappresenti la vittima sia il supposto persecutore (e se crede realmente nel suo operato) si trova a gestire dentro di sé contenuti che lo insudiciano, contaminano, rischiano di travolgerlo a meno che, con una operazione che Imbasciati (1983) definiva "autotomica"(19) rispetto al proprio funzionamento mentale, non abolisca dentro di se il dubbio e la sua sofferenza per sposare una tesi, una verità, una certezza che, ritengo, perlopiù non ci è dato di avere. Si creano così i partiti, le fazioni, le tensioni giustizialiste e le posizioni integraliste che poco hanno a vedere con la nostra professione e con i nostri strumenti che, è triste dirlo, appartengono perlopiù ancora all'agone sofistico per il quale, un perito capace, partendo da alcuni dati clinici e osservativi, potrebbe in buona fede sostenere una tesi e il suo opposto o, al contrario, farsi paralizzare da dubbi e infinite indecisioni.
La seconda cosa di cui, non so se per pudicizia o per inconsapevolezza, non si parla, è il dolore e la fatica psichica che un incarico peritale porta con sé. Dolore e fatica legati alla responsabilità, al bisogno di non nuocere ulteriormente ed al desiderio di capire. Capire non significa assolvere, siamo lontani anni luce dalle critiche mosse alla psicoanalisi di essere, nei suoi moti empatici, panassolutoria. Tentare di capire significa, per noi, sostenere una posizione interna di dubbio operante, di revisione critica (e scientifica) di ogni ipotesi e affermazione tale da superare (o tentare di farlo) ogni posizione preconcetta.
Tutto ciò lascia il perito, sia Ctu sia Ctp, solo di fronte a se stesso, al suo sapere (doxa e non episteme), alla sua coscienza professionale ed al suo compito. Non ritengo che tale solitudine possa o debba essere alleviata dall'appartenenza ad un gruppo o ad un'organizzazione o ordine professionale(20) ma penso che le garanzie di un operare possano basarsi solamente sull'unione della pratica peritale e psicoterapeutica con la ricerca di una verità.(21) Tali garanzie, infatti, non possono essere fornite da alcun vincolo esterno per quanto utile, sia esso il confronto con i colleghi o la coercizione del Corpus legislativo.


Note:

1 Ricercatore II Cattedra di NPI, Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche dell'età evolutiva. Università degli Studi di Roma "La Sapienza".
Psicoanalista AIPsI-IPA. Indirizzo per la corrispondenza: ugo.sabatello@uniroma1.it

2 Anche questo aspetto può essere soggetto a forzature al limite con l'illecito. Sappiamo di Ctp che "preparano" i loro assistiti alla valutazione testologica o li invitano, sistematicamente, ad offrire al Ctu una immagine di sé non tanto ottimale, quanto falsa.

3 U.Fornari: Trattato di psichiatria forense. UTET, 1997

4 Il problema assume dimensioni gravi nel caso di perizie su minori e, ancor più, nei casi di abuso. Sono, infatti, situazioni che richiedono numerosi accertamenti peritali, una grande accuratezza e dispendio di tempo ed impegno. Anche in questi casi sembra non si voglia mai discriminare sulla qualità del lavoro svolto ma si appiattisca tutto sostenendo così approssimazione e superficialità.

5 M. Foucault (1999)Gli Anormali. Corso al Collège de France (1974-1975) Ed. Francese Seuil-Gallimard 1999. Edizione Italiana Feltrinelli, 2000

6 Carratelli T.J., Di Cori R., Sabatello U. (1997) "Primum non nocere": La costruzione di una cornice terapeutica nella valutazione del bambino vittima di abuso. Atti del Convegno "Le vittime e gli attori della violenza" - Torino, 7-8 novembre 1997.
Di Cori R., Sabatello U. (1999) Dal silenzio alla trasmissione psichica tra le generazioni: dinamica del trauma nei bambini vittime di incesto. Psichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza, vol 66, n.4, 451-462.
U.Sabatello, R.Di Cori (2001): "L'abuso sessuale infantile: problematiche cliniche e modelli di intervento" Minori e Giustizia 2001; n.2;pag. 15-29.
R. Di Cori, U.Sabatello (2002): "Il clinico tra denunce fondate, false denunce e false ritrattazioni" In: Trattato completo degli abusi e delle dipendenze; a cura di: U.Nizzoli e M.Pissacroia, Vol.I, cap. 11, parte IV

7 S.Ferracuti, G. Scardaccione (2003): "Rischi e possibilità nella perizia sui casi di sospetto abuso sessuale infantile" In corso di stampa.

8 S. Argentieri (2000): Malafede come nevrosi e come crimine. Psicoanalisi, vol.4, n.2, 2000

9 ".... Mi sono considerata testimone, però anche parte in causa, poiché anch'io appartengo, nella mia intima trans-soggettività, all'infame umanità dove queste cose succedono! (S.Amati-Sas: La violenza sociale traumatica: una sfida alla nostra adattabilità inconscia. International Conference "Clinical Sandor Ferenczi" Torino, 18-21 luglio 2002"

10 Conflitti etici e affettivi così fondamentali, la scelta impossibile tra due certezze o due affetti fondamentali per la propria integrità psichica, é alla base dei meccanismi utilizzati nella tortura per annullare la volontà ed il rispetto di se stesso della vittima. Cfr. F. Sironi:(2001) Persecutori e vittime. Feltrinelli

11 Levi P. (1986) I sommersi e i salvati. Einaudi, Torino

12 Cfr. anche e ultime pagine di "1984" di G. Orwell.

13 Silvia Amati Sas (2002):Op. Cit.

14 Non siamo a conoscenza di studi specifici su questo ma abbiamo raccolto, oltre a numerosi casi osservati personalmente, anche altre situazioni viste da colleghi in cui la tricotillomania, lo strapparsi le ciglia e/o il radersi sono comportamenti autolesivi frequentemente osservati nei casi di abuso.

15 Il vero problema, in molte situazioni di abuso, è di poter fornire una alternativa valida e continuativa all'invischiamento della relazione perversa.

16U.Sabatello,R.Di Cori, AM.Caramadre:"Metodologia dell'indagine psichiatrico-forense nei casi di abuso sessuale infantile: proposta di un albero decisionale". In corso di stampa su "Minori e Giustizia".

17 Ferenczi S. (1932) Confusion of tongues between the adult and the child (The language of tenderness and of passion) Int. Journ. of Psycho-Anal. Vol 30, 1949 pp 225-230 (Trad. it. La confusione delle lingue. In Fondamenti della psicoanalisi Vol IV , Guaraldi Ed.)

18 Bollas Ch..(1995): Cracking up. Trad.It. 1996 Raffaello Cortina Editore.

19 Imbasciati A. (1983): Sviluppo psicosessuale e sviluppo cognitivo. Introduzione alla psicologia psicoanalitica. Roma: Il Pensiero Scientifico, 1983

20 Ciò non toglie che una più attenta selezione dei periti e la creazione di un maggiore dibattito scientifico su questi temi sarebbe senz'altro utile. A differenza degli Stati Uniti, in Italia esistono pochissime riviste che si occupano di psichiatria forense ed i tentativi di ricerca e di studi clinici sono, frequentemente, fallimentari per il mancato dialogo tra il mondo della giustizia e quello delle scienze psichiatriche e psicologiche

21 Per "verità" intendiamo non un dato astratto ma una tensione inerente al compito peritale per raggiungere delle convinzioni scientificamente supportate e meno dipendenti da una emotività che, comunque, coinvolge il perito nelle indagini relative ai minori. Non riteniamo di raggiungere una "verità storica" dei fatti, che rimane inattingibile, ma una ipotesi motivata su ciò che realmente è avvenuto, quando ciò sia possibile.



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