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Anno IV - N° 3 - Settembre 2004

Articoli originali



“Il quarto abuso di Edipo
Abuso, tempi moderni e ruolo della psicoanalisi”


Tito Baldini

Commento a: “Le consulenze tecniche di parte nei casi di abuso sessuale infantile: considerazioni etico-deontologiche”, di Ugo Sabatello.




L'articolo di Sabatello, presentato all'ARPAd, mi ha colpito per profondità e onestà intellettuale. Mi ha toccato anche la complessità delle riflessioni cui avvicina e su queste vorrei pensare insieme.
Mi interrogo spesso sull'attuale scenario di sofferenza psichica di bambini e adolescenti "occidentali", cioè di quella categoria d'individui in età evolutiva che ha diritto al riconoscimento (anche se spesso "a seguito") del vissuto di dolore mentale. Parallelamente, mi domando sull'attuale ruolo d'aiuto della psicoanalisi in tale contesto, riflessione, quest'ultima, che si connette con quella più ampia dell'attuale ruolo della psicoanalisi nella "realtà". Questi primi due ambiti di riflessione hanno una convergenza sul tema: "Tempi moderni e abuso minorile".

L'autore è psichiatra forense e psicoanalista(1) e adopera un'articolazione tra le due discipline per aiutare bambini e ragazzi, nello specifico del vissuto d'abuso. Si avverte che la sua identità psicoanalitica permea il lavoro quando egli enfatizza il dubbio come fondamento epistemologico; quando differenzia tra "verità storica" e verità del vissuto ("affermazioni del bambino"); quando mette in luce l'importanza della dinamica affettiva tra vittima ed aguzzino; quando sostiene che "proprio l'efferatezza dell'abuso (...) rende il testimone bambino non attendibile" e quando parla della solitudine come caratteristica del suo lavoro.
A me pare che egli si allontani dal riferimento interno psicoanalitico quando va alla ricerca di una verità conscia, che alle volte chiama "peritale"; altre volte intende come verità del racconto di un bambino ("se un bambino afferma di aver subito un abuso, sicuramente è vero"); altre ancora raggiunge col pensiero, quando comunica: "Mi piacerebbe pensare che, prima o poi, si troveranno degli indicatori certi, nei test o nell'analisi del gioco o del comportamento infantile, dell'abuso sessuale".
Quindi mi è parso che l'autore, credo anche in maniera internamente combattuta, intenda compiere la manovra di utilizzare la psicoanalisi, ermeneutica del profondo, per arrivare a verità consce. Rispetto a ciò mi chiedo: "Cosa significa per la psicoanalisi la "verità peritale"? Perchè sarebbe "sicuramente vero" - anche se una verità diversa da quella della denuncia - l'affermazione di un bambino di aver subito abuso? Freud non fondò la psicoanalisi quando non credette più alla verità conscia della seduzione?"
Perchè questo ricercare intorno alla "verità" conscia? Certo, una risposta me la do: siamo in ambito peritale e si deve pur "fare giorno", prima o poi, sulla vicenda d'accusa di un torto subito da un minore o da un adulto. Ma che tipo di vicenda è in esame? Non una vicenda clinica, un dolore mentale, una sofferenza anche molto lontana dalla possibilità di cura sul lettino analitico. No, si tratta di una vicenda giuridica. Una vicenda giuridica che spesso ha un solo testimone d'accusa o di difesa per l'indagato-imputato, un solo testimone che può far pendere l'ago della bilancia della giustizia verso il carcere o la libertà, verso l'etichetta di "mostro" o le scuse sociali: il bambino o l'adolescente presunto abusato.
Ecco che il bambino-ragazzo si trasforma, nella mente del sistema di tutela ma anche in quella di adulti perseguiti, in uno strumento di verità, un reperto da rigirare tra le mani, da osservare, aprire come un motore sul banco per capirne l'uso o l'abuso fatto, certo cercando di non danneggiarlo.
L'oracolo di Delfi dovrebbe far dire a Edipo se è vero o no che al crocevia sia stato sodomizzato da Laio? Ma il suo abuso non era già stato consumato con l'atto delegittimante della perdita del proprio ruolo nel regno del padre? Che destino ha Edipo se all'oracolo giudiziale racconta che l'orrore della castrazione è ac-caduto due volte tra lui ed il padre? Chi lo convincerà, dopo l'accusa, che il padre non è morto per l'azione verbosa del figlio ma per la giustizia della Legge? Nessun Edipo con una sola sodomia crederà mai alla storiella della Legge e continuerà a pensare che egli stesso abbia ucciso il proprio padre, o da quella convinzione si difenderà impazzendo come Amleto; figuriamoci se, con due sodomie e un incesto - mettendoci anche l'abuso di Giocasta - non penserà che la colpa della morte dei genitori non è sua. E allora il senso di colpa? Quello di Dostoevskij sarebbe risibile ... Ma l'oracolo deve dire la verità e la deve conoscere da Edipo; cerca il modo di decifrare il corpo e la mente di Edipo per trovare tracce della sodomia paterna o dell'incesto materno, le tracce di sperma di cui parlava Sabatello, o le tracce mnestiche depositate nell'apparato psichico del bambino, spesso difensivamente sepolte in esso. Delfi specula nella mente di Edipo alla ricerca della verità.
Edipo viene così abusato per la quarta volta, quest'ultima in nome del 'vero".

Esperienze lavorative in comunità di tipo familiare accoglienti minori abusati, mi permettono di seguire la vicenda affettiva di bambini e adolescenti nella fase delle indagini.
Vi sono istituzioni che da poco si sono collocate come ammortizzatori tra bambino e giustizia per incrementare nella seconda la compatibilità con l'innocenza del primo. La giustizia vuole sapere se e cosa è successo e chi è stato. Le istituzioni organizzano un percorso per arrivare a delle comunicazioni dirette o indirette, cioè consce e consapevoli oppure inconsce ed emergenti da materiale rappresentativo del bambino. Questo percorso atto ad arrivare alla verità non può non passare per una riapertura del trauma, una sua riattualizzazione, un riattraversamento. Come sappiamo, il trauma non è rappresentabile e non è elaborabile, almeno fuori da un contesto di cura psicoanalitica lenta, delicata e lunga. Quando ci torni, tutto è ancora lì, la scena e il dolore, e tutte le volte che ci torni incrementi il tuo male senza un utile. Non a caso Bion diceva che la cura psicoanalitica dovrebbe in questi casi portare non già al recupero d'elementi inconsci ma a dimenticare, rimuovere, relegare nell'inconscio ciò che dal profondo ci torna su come un rigurgito acido, un vomito nauseante, insopportabile, il fiotto verde dalla bocca dell'indemoniata del film: "L'Esorcista".
Se un bambino o un adolescente non parla, si sta difendendo(2). La sua difesa psichica non viene rispettata quando si dice di volerlo aiutare facendolo parlare, perché in quel modo si tenta di abbatterla. Si potrebbe dire che lo si fa per il suo bene, ma si dovrebbe ammettere di sostenere la teoria secondo cui la causa giustifica il mezzo. Spesso la strategia d'abbattimento passa anche per la seduzione: il rapporto tra chi si vuole che parli e chi deve far parlare è assai intimizzato, confidenziale, para-amicale. Il bambino che fosse stato sedotto in precedenza e poi abusato è sensibile al subire la seduzione e quindi essa "funziona": fin da piccolo egli sa che per ottenere i favori dell'adulto deve dare qualcosa. C'è il rischio che la macchina dell'aiuto usi un analogo sistema per una causa diversa, ritenuta, in buona fede, d'aiuto. L'abbattimento della difesa provoca per definizione la costruzione di difese ancora più profonde: ho visto bambini, in questa fase del procedimento, essere allontanati dalla comunità - dov'erano stati accolti già da anni e dove s'erano per la prima volta sentiti amati in modo ricostruttivo - per il dovere d'esser ospitati nelle istituzioni "ammortizzatore". Successivamente, li ho visti tornare a star male. Mi viene sempre in mente una bambina che dopo il trasferimento ha perso le sopracciglia e le ciglia, poi ha assunto facies e manierismi clinicamente caratterizzati. Visite della comunità alla minore, presso la struttura di tutela per l'abuso che ora la accoglieva, sono state spesso respinte o scoraggiate ("è a pranzo!"; "è provata"; "non so se posso fargliela vedere"). Altre comunità riferiscono che i loro minori sono stati seguiti, diciamo ambulatorialmente, fino alla chiusura delle indagini preliminari; poi i colloqui, che erano nati per arrivare ad una verità, si sono protratti nel tempo e s'è saputo che era in corso una psicoterapia non richiesta né comunicata.
A mio avviso, si rischia in tal modo d'esercitare una sovrapposizione ambigua prima tra strumenti d'indagine e strumenti di cura e poi tra indagine e cura: l'apparato per arrivare all'esposizione fattuale da parte del minore, allo scopo dichiarato di difendere il soggetto, usa strumenti per la conoscenza dello psichismo che ne stravolgono la finalità e l'uso stesso. La finalità degli strumenti è la cura, l'abbassamento della sofferenza mentale, il raggiungimento della possibilità di dimenticare. Il sistema d'indagine definito "protetto" non ha (né potrebbe avere) finalità curative ma indagatorie, ispettive, vuole sapere se e chi sia stato. Però usa strumenti clinici e, esercitandone un uso improprio, si finisce per correre il rischio di farne un uso forzoso, stravolto nelle finalità ... Più che di uso, si rischierebbe di parlare di un loro abuso, celato e rinforzato dall'ambiguità. Può anche avvenire che si scivoli dall'indagine alla cura, cioè che la stessa persona che ha avuto incontri con il minore e ha raggiunto con lui intimità e confidenza per sapere la "verità", poi sia incaricata di curarlo. Dal settembre 1897 ad oggi, la cura orientata in senso psicodinamico si basa sulla totale designificazione del reale, del cronistorico e sulla valorizzazione del solo "vissuto psichico". Come può, chi ha dato importanza, cercato, stanato il reale poi designificarlo? Può, chi ha eroso la difesa di un bambino, esponendolo potenzialmente ad un incremento di sofferenza e rinforzo di difese, occuparsi direttamente della sua cura o far rientrare quella pratica in una pratica di cura? E quanto può egli confondere il bambino, favorendo la convergenza di condizioni antitetiche? Non siamo di fronte al rischio di nuovi abusi sul bambino, seppure a fin di bene?
Il mio punto di vista porta a pensare che il lavoro ispettivo sul bambino possa far male al bambino, anche se è vero che potrebbe cambiargli in meglio la vita favorendo il corso della giustizia.
Una domanda intermedia che mi faccio è:

può il sistema giudiziario, per raggiungere i propri obiettivi, condizionare il primario diritto dei bambini alla tutela e cura psichiche?

Credo anche che la giustizia in sé non abbia in questa vicenda una propria responsabilità, poiché essa non fa che applicare la legge ai violentatori di bambini e restituire ai piccoli e ad eventuali altri innocenti il diritto violato. Mi chiedo quindi se quasi tutta la responsabilità del quadro sopra descritto non ricada su noi tecnici poiché noi sappiamo qualcosa su come funziona, si ammala e si cura lo psichismo e perciò abbiamo la responsabilità professionale, prim'ancora che morale, d'orientare, nei nostri percorsi, altre istituzioni d'aiuto ai bambini.
La domanda intermedia allora si precisa ed estremizza e diviene:

si può, occupandosi di "psi," condizionare a fine di giustizia il primario diritto dei bambini alla tutela e cura psichiche?

E veniamo alla riflessione sui "tempi moderni".
Mi pare che viviamo un periodo storico in cui le coordinate del rapporto umano (compreso quello analitico) di spazio, tempo e presenza siano soggette a processi di designificazione. Si tenderebbe complessivamente ad un indebolimento del legame inteso come condizione strutturante lo psichismo. Dall'autovettura alla coppia coniugale, si preferisce sostituire l'aggiustare con il cambiare. La riparazione, cuore della "fisiologia" dei processi di formazione del mondo interno, viene indebolita: che bisogno c'è di riparare, quando si può cambiare? Il modello di riferimento esterno al sé da introiettare come imago è basato sulla seduzione: tutto è fatto vedere come facile: comprare ("in comode rate"), cambiare, arricchirsi, vivere felici, essere sempre in forma e in compagnia. Uomini e donne bellissimi seducono e si fanno adottare a modelli di perfezione esteriore, cui tendere e con cui identificarsi per sentirsi di essere, con l'illusione di guardare per essere, o guardare per avere. Il voyeurismo viene assunto a condizione non già preliminare del sessuale adulto, ma centrale nella fisiologia della libido. Così vale per tutto ciò che Freud inseriva nella sessualità perverso-polimorfa dei bambini: il livello sociale che si viene sedotti a prendere come riferimento si nutre dell'humus del sessuale infantile.
L'abbattimento delle barriere tra i sessi e le generazioni avanza sinuosamente senza soluzioni di continuità, esponendo per gradi, visivamente e uditivamente i bambini al linguaggio delle passioni, facendo loro "vedere per avere" corpi come concretizzazioni iperrealistiche (al posto delle rappresentazioni) dello psichesoma genitoriale innocentemente, edipicamente desiderato.
La "velina", donna nuda e svuotata, tende a sostituire il femminile nell'immaginario di donne e uomini, senza una frizione tra un "prima" ed un "dopo", solo con il lento scivolamento.
Si scivola verso l'annullamento del "limite" tra l'"al di qua" e l'"al di là", del discrimine tra una cosa ed un'altra, anche ad alti livelli. La politica si fa nelle sedi dello spettacolo e in quelle della politica si opera in modo spettacolistico. Si riducono ammortizzatori sociali e contributi ad Enti locali e s'incrementa la spettacolarizzazione della bontà attraverso gare di beneficenza.
La tecnologia, abusivamente al servizio della deformazione degli affetti, permette di sostituire il controllo al legame. Con gli adolescenti non ci si sta, perché ognuno deve avere mille cosa da fare escluso lo stare insieme. Ma vengono controllati col telefonino, col video-telefonino per essere più sicuri che dicano il vero, e se non ci si fida ancora si mettono microcamere nei loro ambienti, come da ricerche nord-americane. Il valore dello stare insieme, del famoso spazio, tempo e presenza insieme (su cui si fonda il setting psicoanalitico ma prima di quello si fondano i legami umani, gli affetti), viene lentamente designificato dalla possibilità di controllarsi reciprocamente, chiamarsi di continuo. La condizione di separazione, che favorisce la crescita e l'individuazione, viene designificata attraverso un uso della tecnologia mirato non al progresso ma alla svalutazione dei valori umani dello stare insieme e del separarsi: valori chiari, opposti, complementari, indispensabili. Oggi si sta insieme triangolando rapporti familiari con la visione della "tele". Si è intimamente muti, parlando tutti di continuo con commenti su giochi o persone televiste. Si può stare in un posto ed avere l'illusione informatica d'essere ovunque e d'aver parlato con chiunque, e maturare la convinzione d'esser stati tutti insieme quando s'è solo sommata un'altra giornata d'intima solitudine alla precedente. Quanta solitudine coperta dal rumore della tele accesa, quanta assenza di spazi, tempi e presenze porta i bambini nelle lavatrici o in fondo a laghi di montagna, o ad un ultimo risveglio prodotto dal dolore di una lama di coltello decine di volte nella carne? Si va verso la designificazione della distinzione tra fuori e dentro, lontano e vicino, genitori e figli, poveri e ricchi (godono tutti della stessa generosa realtà virtuale), morti e vivi (si prende il sole al mare col cadavere del vicino steso accanto). Anche la barriera tra video e casa è stata abbattuta, e si può partecipare interattivamente a programmi televisivi dalla poltrona del salotto e non per esercizio dialettico ma per affermare arrogantemente, abusivamente, la propria ragione su quella di un altro più debole. Come per lo stare insieme, diviene virtuale anche il separarsi: nessuno si separa più, neanche in vacanza. Non si gode del bello di raccogliere memorie, per poi tornare e condividere. La condivisione è costante, ti mando perfino foto o film in tempo reale dalla cima di un monte al tuo pc. L'esperienza rappresentazionale, tessuto nobile dello psichismo, è disinvestita a favore del 'qui ed ora", del fattuale, del fenomenologico: il concreto usurpa il metaforico.
Si tende a far sì che tutto sia uguale a tutto e nulla significhi: parti ma rimani; rimani ma parti. Abbiamo ancora un po' d'imbarazzo alla domanda dei nostri bambini sul perché le donne della tele siano nude, sul che cosa significhi, ma presto lo supereremo, perché anche loro non domanderanno più o la visione sarà per noi così normale che penseremo "gli "strani" sono loro". Forse più in là dovremo spiegargli perché la donna o l'uomo che amano a loro sembreranno così deludentemente normali. E qui sta il punto: il riconoscimento del reale come deludente, poi estraneo, poi alieno; quindi la scelta inevitabile di "pervertire" il verso delle cose per renderle più illusorie possibile, quasi coincidenti al proprio desiderio allucinato ma senza coincidervi del tutto per non impazzire. Scelta inconscia tra psicosi e perversione, l'hanno chiamata Novelletto e Lombardo Radice: pervertimento del pensiero come mantenimento di un istabile equilibrio tra desideri irrinunciabili e buco nero della pazzia.

Ho cercato, forse con eccessiva drammatizzazione, di descrivere il fenomeno, che riterrei attuale, della graduale legittimazione e sponsorizzazione della perversità come organizzatore del pensiero. Gli elementi che ho descritto possono essere riferiti tutti al concetto psicoanalitico di perversione e, ancora più nello specifico, a quel sottile legame tra perversione e psicosi mirabilmente descritto da Freud nel caso del Presidente Schreber.
Volendo generalizzare senza banalizzare, direi che il pensiero occidentale s'inclina nel senso del perverso, con riduzione delle possibilità di pensiero stesso. Abbattere le differenze, le significanze ed i legami vuol dire ridurre, bloccare o invertire il processo di psichicizzazione dell'apparato psichico, l'evoluzione dello psichismo: Atena non avrebbe più speculi da offrire a Perseo per combattere la rudimentale, mostruosa aggressività dello psichismo primitivo di Medusa.
Non vedo estremamente grave questo - è successo altre volte nella storia, basti pensare alla "banalità del male" come organizzatore di quel pensiero planetario che ha prodotto 50 milioni di morti in 5 anni. Quello che mi pare più preoccupante è la velocità con cui ciò sta accadendo oggi: le trasformazioni recenti avvengono in tempi di troppo inferiori a quelli che caratterizzano il pensiero dell'uomo e la sua adattabilità: ad esempio, attualmente i nostri figli acquisiscono con l'informatica una nuova pedagogia che funziona e che noi non sappiamo insegnare loro, perché non riusciamo a significarla, a digerirla psichicamente. Non ci basta il tempo per modificarci, è tutto troppo veloce. Altro elemento di preoccupazione è dato dal fatto che oggi, a differenza di prima, anche intorno a questi fenomeni, si tenti di non riflettere, di vederli come normali.
In questo clima connotato da incremento di perversità e riduzione di pensabilità, come spesso nella storia, l'umano scinde e proietta il male che sente dentro, ne rinnega la paternità e lo identifica in un altro oggetto o categoria di oggetti: ecco che tanta perversione dominante si riduce ad un pacchetto da addebitare ad una categoria di umani. Nasce il mostro, lo si crea, lo si cerca, lo si caccia, ripudia, uccide, castra, etichetta fin dal primo sospetto. Attacchiamo nell'altro il perverso che sentiamo, e non sopportiamo, in noi. Per questo gli omosessuali sono stati da sempre esposti al pubblico ludibrio: hanno qualcosa che è in tutti noi, che ci fa paura e che per ciò scindiamo, proiettiamo ed attacchiamo in loro, "purificandoci".
Nell'atmosfera descritta, anche per non pensare, riflettere su ciò che accade, si dà la caccia al perverso, al pedofilo - così come all'omosessuale, al terrorista, all'ebreo o al palestinese - senza l'onestà intellettuale di un'analisi più complessa del fenomeno, senza cioè chiedersi: "Dove nasce il fenomeno pedofilia in un mondo che attraversa un ciclo di pervertimento del pensiero e dell'azione?." Il fatto che il pedofilo esista davvero permette l'uso della sua categoria, all'interno di un pensare schizoide, come contenitore del male dell'umano: nessuno vuole le scorie a casa propria.
Tendendo a sostituire legami ed affetti col controllo sadico, si va a cercare sia il pedofilo sia la ricostruzione dell'atto: il film raccontato dal ragazzino protagonista. Tutto il resto non viene preso in considerazione. Cioè il fatto che il pedofilo sia non solum sed etiam la mano malata di un braccio articolato e complesso, la cui inserzione prossimale è nascosta alla vista. Il pedofilo "catturato" è l'anello fragile di una catena che lo identifica per "caduta del più debole". Ciò senza voler indebolire il principio della "responsabilità individuale".
Mi pare che questa visione "interpsichica" della perversione odierna non venga presa in considerazione, un po' come non lo veniva il dubbio di malvagità dell'inquisitore nella controriforma. Quante volte Dostoevskij dovrebbe rimandarci "Il grande inquisitore" per farci riflettere?
Mi pare anche che ci sia una generale corsa al riconoscimento della propria adesione al modo di pensare descritto come se servisse per non esser scaricati, come se si fosse assoggettati alla paura dell'emarginazione dal nuovo sistema normativo che regolamenta il pensiero.

E veniamo al punto successivo: che fa la psicoanalisi nel contesto descritto?
Sembra che anch'essa, in modo certo distinto, risenta di tale scenario. L'impressione, alle volte, è che la psicoanalisi attuale non riesca a porsi contemporaneamente "dentro e fuori" il suddetto campo dei tempi odierni e oscilli tra il cadervi dentro (e assecondarli) ed il rimanerne elettivamente fuori.
Pare infatti che da una parte ci sia una corsa ad un adeguamento ai tempi, vedi ad esempio il dibattito internazionale intorno al tema della riduzione del numero settimanale di sedute, come pure il processo di graduale coscientizzazione concettuale dell'inconscio. Molti analisti sono convinti che, se non si riducesse il numero di sedute non si lavorerebbe più, perché l'impostazione classica non è più proponibile, con i ritmi ed i tempi d'oggi, incluso quello di durata di malattie e cure. Circa il rapporto conscio-inconscio, vedi ad esempio come lo strumento osservativo della relazione madre-bambino, icona della tradizione psicoanalitica infantile, sia ora usato da una certa psicologia, che pure si definisce psicoanalisi, per attuare un controllo conscio sull'inconscio, addirittura preventivo. L'Io di questa psicologia torna ad essere conscio, come prima dello sforzo epistemologico freudiano teso tra l'"Introduzione al narcisismo" e "L'Io e l'Es". Di nuovo un Io conscio e forte controlla un Es debole ed osservabile, mortifero perché dominato dal piacere.
All'estremo opposto mi pare che la psicoanalisi tenda ad arroccarsi in una difesa nel senso della rigidità, una sorta di ritiro nell'ermeneutica e nell'esegesi psicoanalitiche come dentro un fortino medioevale, struttura in cui, protetti da un "fuori" vissuto come minaccioso, gli studiosi rileggono e stilano testi sacri in attesa di tempi migliori. Alle volte teorizzano anche intorno a patologie a forte impatto sociale che però vedono e conoscono quasi esclusivamente dall'interno del setting psicoanalitico e non anche dal fuori di esso, come ad esempio per quanto concerne la patologia "al limite". Sembrano più attenti a criticare chi, riconoscendosi appieno nella disciplina, esplori i confini della psicoanalisi nel rispetto dell'assetto metapsicologico fondamentale che non a dare importanza all'uscire da psicoanalisti nel mondo reale e determinare il contributo della psicoanalisi alla vita sociale, a riprendere il posto di prestigio, ch'è stato della psicoanalisi, al ponte di manovra della sanità pubblica, privata, della pedagogia, del diritto e finanche del costume. Da questo punto di vista rappresentano un'apertura i lavori di chi, nel teorizzare intorno alla trattabilità di patologie "estreme", operi una serena visitazione di risorse e limiti, direi, fisiologici, del pensiero di Freud, in un'ottica positiva, propositiva e radicata nell'ortodossia metapsicologica (3).
Questo in senso molto generale e con tutte le eccezioni del caso.
A me pare che dovrebbe ipotizzarsi una "terza via" e che essa sia già stata tracciata nella storia e nel tessuto stesso della psicoanalisi. Mi sembra che questa terza via sia quella percorsa dagli analisti della prima e della seconda generazione. Che la psicoanalisi dovesse essere osteggiata per definizione era chiaro a Freud fin da subito, dato il suo occuparsi non tanto di sessualità infantile, certo non accettata, quanto d'inconscio e meccanismi di difesa, entrambi rinnegati. Freud però non ha mai migrato né verso il polo dell'assecondare i tempi, non meno duri dei nostri per la vita della disciplina, né verso quello di una rigida chiusura. I suoi libri più importanti, quelli strutturanti il dispositivo e la teoretica psicoanalitici, furono letti da molti perché erano per molti, cercavano di essere convincenti non solo per lo psicoanalista ma per chiunque avesse disponibilità, bisogno, curiosità epistemologica, possibilità d'utilizzo anche in altre discipline. Alcuni erano pensati per neofiti o studenti; il linguaggio era chiaro, il lessico tecnico lungamente spiegato, la struttura era quella della narrativa d'autore. Freud s'interroga sulle questioni del mondo, su personaggi della storia antica e contemporanea, su mitologia e uomini politici, e lo fa da psicoanalista. E che dire del sogno di Abraham di realizzare, nell'Istituto psicoanalitico di Berlino, un ambulatorio pubblico di psicoanalisi? E delle "conferenze per insegnanti e genitori" di Anna Freud? E che dire dell'asse ideologico-epistemologico tra Ferenczi e gli "indipendenti" britannici? L'opera medico-umanitaria compiuta come psicoanalista da Balint? E Bion non s'è forse avvicinato ad "apprendere dall'esperienza" dei gruppi, lavorando con soldati traumatizzati? Cosa dire di Winnicott? Quanto ha scritto da psicoanalista per assistenti sociali, insegnanti, genitori (perfino lettere personali) e quanto s'è dedicato ai bambini accolti in comunità e agli sfollati di guerra? Ai borderline? Quante trasmissioni alla radio? Quanto era forte in lui il concetto e l'uso del counselling psicoanalitico e quanto a lungo è stato in seguito trascurato a favore dell'applicazione diffusa del "metodo classico?" Quanto questi psicoanalisti britannici della seconda generazione erano chiamati a dire la loro dalle commissioni governative per interventi legislativi, come quello del ricovero delle madri in ospedale in caso di ricovero del figlio, modalità poi adottata in tutto il mondo occidentale? Con quale assetto interno Freud diede una consultazione a Catharina sui prati degli Alti Tauri? E Winnicott ad Iiro? Balint a Baker?
Il problema della psicoanalisi nei tempi d'oggi, per quel che mi pare di comprendere, lo definirei una certa perdita di contatto con quella capacità d'essere psicoanalisti dentro e fuori la stanza d'analisi, dentro e fuori la vita fantasmatica, dentro e fuori quella reale, che caratterizzava gli analisti della prima e seconda generazione. Dentro e fuori per cogliere il respiro e il senso dei tempi, senza rischiare di scoprire in ritardo d'aver paura di esser stati lasciati indietro; per intervenire sulle decisioni importanti della società che, come dice Kaes, tanto incidono sulla formazione dello psichismo. Psicoanalisti fuori e dentro la vita fantasmatica e reale, da psicoanalisti, accesi sostenitori della totale supremazia sul conscio da parte di ciò che è inconscio.
Mi pare che la psicoanalisi oggi, parafrasando il pensiero di Freud, tenda a sciogliere il legame tra il "biologico" dell'adduzione al reale-conscio e lo "psichico" della concentrazione sul mondo interno, con una doppia separata migrazione verso il polo del conscio, del concreto, dell'ispettivo, del veloce adattamento ai tempi, dell'affannosa rincorsa dei riconoscimenti ministeriali, da una parte, e verso il polo dello psichismo "asetticizzato", dall'altra. Freud fino alla fine, come si sa, ha sostenuto concettualmente il legame metaforico-metonimico tra biologico e psichico, la presenza trasversale della "teoria dell'appoggio" nell'evoluzione del suo pensiero.

Torniamo ora al problema iniziale del come potrebbe porsi la psicoanalisi nei confronti dell'abuso di bambini e adolescenti, nell'ottica di mantenere un legame tra teoria fondativa, modelli operativi interni ed esterni dei primi psicoanalisti e condizioni dei "tempi moderni".
Molti storici del pensiero ritengono che Freud, avendo trovato nella conoscenza uno dei meccanismi di difesa dietro i quali l'inconscio può scegliere di nascondersi, avendo quindi affermato con criteri scientifici e non filosofici il primato dell'inconoscibile sul conoscibile, abbia creato una "frattura epistemologica" tra il prima e il dopo del suo pensiero; come se dopo Freud non si possa più pensare come si pensava prima, in quanto il pensiero stesso va considerato nella sua componente conscia ed in quella inconscia che relativizza ed ordina la prima. E' noto del resto che l'affermazione del metodo scientifico come strumento di conoscenza e di risoluzione dei problemi dell'umano sia stato messo in crisi non tanto dalla situazione filosofica quanto dalle scienze stesse, basti pensare alla scoperta delle geometrie non euclidee, alla teoria della relatività e al principio d'indeterminazione di Heisenberg.
Se l'enorme portata innovativa della psicoanalisi consiste nella relativizzazione del concetto di verità conscia, di fronte ad un presunto abuso sul minore operato per arrivare a questa verità, tale disciplina non dovrebbe contribuire a rintracciare il conscio mettendo a disposizione, a tale scopo, i propri strumenti idonei per ciò che è inconscio e ciò che è cura. Né dovrebbe rimanerne fuori, ponendosi al di sopra dei fatti. Dovrebbe invece dedicarsi, sulla traccia delle tradizioni, alla ricerca scientifica di un nuovo concetto di "vero" coerente col pensiero moderno post avvento della psicoanalisi. Un "vero" che rispetti il principio della non significanza del vero conscio e che risulti, al tempo stesso, credibile ed utilizzabile per chi opera nel mondo dei fatti concreti. Se si vuole restituire il meritato prestigio alla psicoanalisi, più che "ammodernarla", rendendola "del conscio", o inibirla, affermando la supremazia dell'inconscio "in pericolo", bisogna a mio avviso accettare la sfida lanciata da Freud. Così come egli ha teorizzato la metapsicologia, continuare a teorizzare fino a tracciare un'alternativa alla visione ispettivo-conscia della risoluzione della questione "abuso e colpevolezza". Un'alternativa metapsicologica convincente e utile per psicoanalisti ma anche giudici, assistenti sociali, psicologi, pubblici ministeri, ecc. Questa mi pare la sfida.
In un ottica conclusiva positiva e di speranza, mi sembra che in tale direzione si possano considerare, da noi, lo sforzo di tutta la vita professionale di Adriano Giannotti; l'impegno di Arnaldo Novelletto teso tra purismo analitico interno e apertura alla lettura del bisogno sociale in adolescenza; il recente successo operativo di Paola Carbone di coniugare ricerca scientifica di dati analizzabili, coinvolgimento empatico e vertice teorico psicoanalitico(4); la vicina fatica editoriale di Andreas Giannakoulas sul counselling psicodinamico, coraggiosa e coerente ex-posizione dell'ortodossia psicoanalitica al servizio del bisogno sine ulla conditione(5). In analoga direzione e molto dentro lo specifico trattato si colloca, da oltremanica, l'impegno editoriale di Sandler, Fonagy e colleghi: di fronte al dilagare del fenomeno delle "false accuse" di minori nei confronti delle famiglie, con dolorose e spesso strazianti conseguenze, nel 1994 l'University College di Londra ha invitato a discutere neuropsicologi, cognitivisti e psicoanalisti di fama. Con coraggio i relatori del convegno - che ha visto un interessato afflusso di operatori della salute mentale ma anche di genitori, giornalisti, giudici e politici - hanno focalizzato ed incrociato le loro attenzioni sul complesso sistema della memoria(6). E, da oltralpe, l'impegno passato e quello recente(7) di Raymond Cahn di dimostrare, dalla teoria alla clinica, la possibilità di una psicoanalisi fondata nella metapsicologia ed usata con elasticità per orientare, e per curare, nell'area delle moderne patologie di pazienti e società.

Mi pare che la psicoanalisi, all'interno dei propri parametri tradizionali e della propria straordinaria forza epistemologica, possa aiutare il mondo reale ad affrontare anche la complessità di questi tempi moderni di cui una scoria, non certo moderna(8), è l'abuso di bambini e adolescenti.


Note:

1 Psicoanalista AIPSI, ricercatore e docente universitario.
2 Noterei che mentre l'imputato può esercitare il diritto giuridico di difendersi non parlando, al bambino innocente tale opportunità verrebbe, di fatto, non riconosciuta.
3 Penso, tra altri, al bel volume di Lucio Russo, L'indifferenza dell'anima, Borla, Roma, 1998.
4 Carbone P. (2003) Le ali di Icaro. Rischio e incidenti in adolescenza, Boringhieri, To.
5 Giannakoulas A., Fizzarotti Selvaggi S. (2003) Il counselling psicodinamico, Borla, Roma.
6 Sandler J., Fonagy P. (a cura di) (1996). Il recupero del ricordo di abuso. Ricordi veri o falsi? Franco Angeli, Mi.,
2002.
7 Penso a: Cahn R. (2002) La fine del divano?, Borla, 2004.
8 Vedi a tale proposito il capitolo "Uso e abuso del bambino e dell'adolescente attraverso i secoli", in: Giannakoulas,
Fizzarotti Selvaggi (op.cit.).



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