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Anno III - N° 3 - Settembre 2003

Lavori originali



Il trattamento individuale e di gruppo in Ospedale Diurno: la clinica istituzionale nella patologia medio-grave in adolescenza**

Gianluigi Monniello°, Eleda Spano°°



Premessa
Parlare oggi di contesti terapeutici per l’adolescente non può prescindere dalla valutazione del peso degli altri contesti nei quali egli è inserito. In primo luogo le nuove complesse realtà sociali e culturali, in continuo rapido mutamento; le nuove tecnologie (portatrici tra l’altro di un loro proprio linguaggio), che sembrano avvalorare sempre più le fantasie di onnipotenza; il flusso continuo e indifferenziato di informazioni in tempo reale che dà alla dimensione spazio-temporale una connotazione molto differente da quella delle generazioni precedenti. I tempi dell’attesa, e quelli dell’elaborazione e introiezione sono amputati, così come risulta grandemente trasformata la dimensione spaziale. Messaggi SMS, email, chat-lines annullano la distanza, accrescono la libertà d’espressione alimentando l’illusione di un contatto senza soluzione di continuità con gli altri. Così lo spazio dell’illusione sembra destinato al rischio di non incontrare frustrazioni ottimali.
La famiglia, a sua volta alle prese con trasformazioni di tale portata, non sembra più in grado di svolgere la sua funzione strutturante e contenitiva, così come di offrire quella funzione terza, di referenza esercitata dal ruolo della figura paterna che stabilisce il limite, la norma, la separatezza dei sessi e delle generazioni. I genitori non sono più i detentori del sapere e del potere, del principio di realtà, ma piuttosto disorientati e confusi in una società che stenta a trovare un nuovo assetto e nuovi valori da proporre. Le credenze, le identificazioni, gli ideali, il senso della continuità, sono incessantemente messi in crisi di fronte al compito di aprirsi al nuovo e di integrarlo ciascuno nella propria storia e nel vissuto personale.
Un tale scenario nel mondo esterno comporta evidentemente conseguenze complesse sulla strutturazione del mondo interno, rimettendo in discussione lo statuto del soggetto, nel suo assetto narcisistico come nella qualità delle sue relazioni con l’oggetto.
Inoltre come scrive Kaës (1998): “La realtà psichica si sostiene e trova uno sbocco sublimatorio attraverso i legami e gli oggetti della cultura e, qualora tali sostegni “metapsichici” siano vacillanti, la stessa vita psichica subisce una trasformazione nel suo corso e in taluni è a rischio la sua sopravvivenza”.
Tutto ciò non può che facilitare, negli adolescenti, l’emergenza di un’inquietudine narcisistica sempre più significativa, confrontandoli con le contraddizioni e con l’ambivalenza dei loro desideri e inducendoli a dubitare delle loro capacità e delle loro risorse interne. Non si tratta di poter fare ciò che si vuole ma di constatare che non si sa che cosa si vuole o che si desiderano cose contraddittorie. D’altra parte, una società che
incita all’affermazione personale non può che interrogarsi sulla solidità narcisistica degli individui e delle loro ambizioni. La limitazione dei divieti, associata alla valorizzazione delle competenze, espone il narcisismo, lo sollecita e mette in luce le sue fragilità.
Quali allora le possibili risposte a livello terapeutico a tale condizione dell'adolescente di oggi?

Riferimenti teorici
In questi ultimi anni le esperienze di clinica istituzionale condotta da psicoanalisti, in particolar modo con adolescenti gravemente sofferenti, ha ampliato la ricerca psicoanalitica da un lato verso la riconcettualizzazione del setting e l’ampliamento della dimensione del controtransfert, in particolare, secondo noi, nella direzione dell’autoanalisi da parte dell’analista; dall’altro verso l’attento riconoscimento che il gruppo attiva processi psichici e dimensioni della soggettività specifici, e che la pratica psicoanalitica di gruppo promuove il riconoscimento dei legami intersoggettivi e la costruzione dell’intersoggettività (Kaës,1999).
Per quanto riguarda la psicopatologia dell’adolescenza è da molti sottolineato come essa non si situi solo a livello della relazione narcisistica e oggettuale dell’adolescente con il proprio corpo sessuato, ma anche a livello delle modalità stesse del suo funzionamento mentale. Sono queste disfunzioni del funzionamento mentale a rivelarsi negli investimenti transferali massivi, totalizzanti, talvolta violenti, che osserviamo nella clinica.
Il funzionamento psichico dell’adolescente va complessivamente considerato in funzione non solo delle sue predeterminazioni e delle sue costrizioni strutturali, ma anche dell’imprevisto, della risonanza prodotta dalle eccitazioni interne ed esterne della condizione adolescenziale. In altre parole, le disfunzioni psichiche precoci incidono sulle competenze proprie dell’adolescenza che emergono o dovrebbero emergere e a loro volta ne sono rimaneggiate.
Pertanto è prioritario nella presa in carico fornire all'adolescente altri mezzi che non si limitino al solo ricorso alla pensabilità. In questi pazienti la vita pulsionale, quel qualcosa che vettorializza l'esperienza di sé, è stata poco o affatto introiettata perché è avvenuto qualcosa di fallimentare e destrutturante con l'oggetto nelle prime esperienze, nei primi investimenti, nelle prime integrazioni, dunque al di qua della nevrosi infantile. Nel lavoro strettamente psicoterapeutico, comunque, proprio per questo, l'attenzione va, secondo noi, rivolta soprattutto verso colui che è già adolescente piuttosto che verso il bambino presente nel discorso dell'adolescente. L'infantile potrà essere ascoltato dall'adolescente e sarà quindi disponibile per il processo di cura solo più tardi, quando i processi adolescenti avranno svolto il loro corso (Gutton, 2000). In questo senso il sessuale infantile, sempre presente nell'adolescente, si esprime solo indirettamente nei movimenti tesi a gestire la sua genitalità nascente, nel tentativo di diventare soggetto della propria genitalità. E' il raggiungimento di questa condizione interna che gli renderà poi possibile cogliere l’infantile e il suo valore organizzativo per lo psichismo. L’importanza di trattare primariamente il materiale legato alle vicissitudini dello sviluppo pubertario deriva dall’evidenza clinica che queste ultime “accendono i riflettori” sulle modalità originarie della relazione d’oggetto dell’adolescente. Sappiamo, infatti, che è proprio tutto ciò che appartiene al registro dei difetti precoci ad avere, in adolescenza, effetti particolarmente distruttivi o disorganizzanti sia a livello pulsionale che identificatorio. Effetti misconosciuti dal soggetto nel proprio funzionamento e tuttavia tanto in primo piano nelle sue manifestazioni sintomatiche e comportamentali, e nella ricerca di traduzione al momento dell’incontro con l’ambiente istituzionale di cura. Inoltre, di fronte ai possibili rischi per il suo sviluppo psichico, è essenziale per l’adolescente, lavorare alla costruzione di un proprio sistema referenziale pertinente, esterno a se, al proprio universo duale e narcisistico, la cui forza d'attrazione risulti necessaria e sufficiente alla differenziazione soggettivante. Una delle istituzioni di cura maggiormente investite da queste dinamiche è l’Ospedale Diurno.

Descrizione e aspetti organizzativi dell’Ospedale Diurno
L’Ospedale Diurno di cui parliamo ha iniziato la sua attività nel 1997, come estensione del Servizio Adolescenza, servizio ambulatoriale universitario attivo dal 1982. Pertanto questa esperienza clinico-organizzativa nasce come ampliamento e trasformazione di un approccio individuale che nei casi più gravi segnalava i suoi limiti di offerta di contenimento e di spazio psichico. L’alternativa non poteva essere solo il ricovero ospedaliero. Il Diurno, per definizione, salvaguarda, più facilmente rispetto al ricovero, l’autonomia dei ragazzi permettendo, quindi, una meno temuta e più protetta ripresa degli scambi relazionali. In effetti, grazie alla pluralità delle figure assistenziali e alla presenza degli altri ragazzi, l’adolescente può modulare i suoi investimenti; inoltre le attività occupazionali e ricreazionali costituiscono altrettante mediazioni sia relazionali che simboliche, che non rendono subito necessario l’uso della comunicazione verbale.
In linea con tale obiettivo un gruppo di adolescenti (7-9) è accolto nelle ore della mattina nello spazio del Diurno che comprende: 1 stanza d’attesa, 6 stanze per la psicoterapia, 2 grandi ambienti per le attività, un ampio terrazzo, 1 stanza per la psicoterapia di gruppo, 1 stanza che funge da segreteria e medicheria ed una piccola cucina. Ogni nuovo ragazzo che si presenta, su prenotazione nei giorni prestabiliti per l’attività di accoglienza, inizia una consultazione con il suo terapeuta che valuta, caso per caso, il progetto terapeutico. La consultazione può restare ambulatoriale, anche se le segnalazioni spesso sono già richieste di ricovero in Diurno, o può organizzarsi in una partecipazione settimanale, più o meno intensiva (da 1 a 6 giorni), alla terapia occupazionale e ricreazionale che si svolge con il gruppo degli altri ragazzi e che è coordinata da due figure professionali (educatore e psicologo). Si tratta di attività di tempo libero svolte con l’utilizzo di materiali, giochi, libri, riviste e giornali, presenti nelle stanze ed utilizzabili come altrettanti oggetti di mediazione.
Il Diurno considera diverse forme di intervento. In alcuni casi si tratta di offrire una condizione di contenimento psichico ad adolescenti che presentano una sintomatologia acuta, in altre di gettare le basi per una psicoterapia psicoanalitica individuale o di gruppo che, senza un’adeguata sensibilizzazione e preparazione dell’adolescente e dei genitori sarebbe irrealizzabile; in altri ancora si tratta di utilizzare lo spazio istituzionale di tanto in tanto e “al bisogno” quale deposito di stati di ansia temporanei e reversibili; nel caso di altri adolescenti ancora viene dato inizio ad un periodo prolungato di presenza all’interno del Diurno, senza prevedere, a breve scadenza, una più precisa definizione del progetto terapeutico. Infine, nel caso di un numero limitato di adolescenti è possibile arrivare a svolgere una psicoterapia psicoanalitica individuale o una psicoterapia analitica di gruppo all’interno dell’istituzione.
Molte delle esperienze di Diurno per adolescenti descritte in letteratura riguardano un’utenza di tardo adolescenti con psicopatologie dichiaratamente psicotiche e quindi perseguono fini abilitativi ma soprattutto riabilitativi del disagio psichico. Nel nostro caso il primo obiettivo è quello di contenere e prevenire il consolidarsi di quadri psicopalogici medio-gravi (segni di scompenso psicotico, stati depressivi, disturbi della personalità, del comportamento alimentare, condotte suicidarie), in adolescenti con un’età media di 15 anni. Si tratta di un’età delicata per la presa in carico terapeutica e soprattutto per la messa in opera di una psicoterapia psicoanalitica individuale. E’ noto quanto l’incontro con l’adulto, in questi casi, sia temuto e per lo più sentito o come una forte tentazione fusionale o come un’ulteriore possibile esperienza di intrusione.

La clinica istituzionale in Ospedale Diurno
Il primo dato che ci sembra importante sottolineare è che ci troviamo di fronte ad un numero sempre crescente di richieste di intervento per adolescenti con un tipo di organizzazione a prevalenza narcisistica, “in cui predomina il provato sul pensato, la realtà dell’oggetto sulla sua rappresentazione, le esigenze dell’Ideale dell’Io su quelle del Super io, il ricorso al corpo cortocircuitando i fantasmi, o all’agito nel mondo esterno” (Cahn, 1998).
E’ noto come di fronte a questo tipo di psicopatologia sono proprio le qualità dell’oggetto esterno e della relazione che esso propone ad assumere una rilevanza particolare, contenendo una potenzialità riorganizzante oppure al contrario disorganizzante, nel dilemma paradossale tra la fame di oggetti e la minaccia che essi comportano per il narcisismo e l’autonomia dell’adolescente. Come è noto in situazioni come questa la sola psicoterapia individuale si è rivelata per lo più un dispositivo insufficiente, da un lato per le angosce regressive che una relazione intima duale tende a generare, dall’altro per la difficoltà di questi pazienti ad accedere alle libere associazioni, a sviluppare la capacità immaginativa e a permettere una graduale apertura alla funzionalità del preconscio, prerequisito senza il quale un funzionamento psichico sufficientemente buono è difficile da raggiungere.
L'intervento terapeutico in Diurno non può dunque prefiggersi di lavorare immediatamente alla costruzione dell'identità. La priorità terapeutica riguarda piuttosto il fatto che il contesto della relazione terapeutica sia sperimentato come relazione con una persona e con un ambiente terapeutico esterno che non abbiano bisogno di proporsi in maniera eccessivamente assertiva.
Sul piano operativo non si tratta allora di realizzare dei ben definiti modelli operativi di intervento, intesi come soluzioni di maggiore efficacia, di averli come meta da raggiungere, ma piuttosto di riconoscere e riflettere sul valore del percorso che si sta svolgendo.
Tutto il gruppo dei curanti è mobilitato e al paziente sono proposti interventi distinti nelle loro funzioni, allo scopo di fornire vari punti di riferimento, atti a introdurre quel graduale riconoscimento delle differenze che permette lo sviluppo della personalità. Favorendo l’instaurarsi di transfert laterali e la diffrazione e/o la diluizione degli investimenti su oggetti differenti (sia per ruolo e funzione che per caratteristiche personali), si ha la possibilità di osservare la qualità e la funzione delle scissioni e degli spostamenti operati dall’adolescente, spesso tanto caotici e indifferenziati a misura della sua originaria confusione di senso, limitando al tempo stesso le angosce scatenate dalla sola relazione duale.
A distanza di svariati anni di esperienza clinica istituzionale di psicoterapia individuale e di psicoterapia di gruppo con adolescenti che presentano una psicopatologia medio-grave, in Ospedale Diurno, le nostre riflessioni sono ora meno rivolte a temi peraltro fondamentali come quelli relativi alla possibilità o meno di svolgere una vera e propria psicoterapia in istituzione, alla necessità di integrare il trattamento farmacologico, alla modalità bifocale o trifocale del trattamento o alla necessità del trattamento dei genitori. Piuttosto le nostre riflessioni si sono attualmente focalizzate, sul versante della nostra identità professionale di psicoterapeuti ed analisti, sull'interesse all’autoanalisi, al nostro transfert sull'adolescente, sulla nostra analisi e sulla psicoanalisi; sul versante della nostra esperienza di psicoterapeuti di gruppo, l’attenzione è rivolta al fondamentale legame tra funzionamento di gruppo e funzionamento istituzionale, fra adolescenza e gruppalità (Maltese, Monniello, 2000).
In particolare ricordiamo l’importante osservazione di Käes (2000) per cui il gruppo di per sé sospinge il soggetto adulto, in questo caso gli operatori, in una situazione di “riadolescenza”. Vale a dire lo riporta ad un periodo al quale egli guarda con nostalgia inestinguibile che non chiede altro di attualizzarsi. E’ questa la condizione fortemente esperita anche dal gruppo dei curanti nel corso della sua attività quotidiana.

Osservazioni sul trattamento individuale in Ospedale Diurno
La posizione del terapeuta individuale in un setting istituzionale di questo tipo è particolarmente complessa in quanto il terapeuta è parte di un gruppo ed il suo intervento non è né l’unico né il privilegiato; egli non è il solo oggetto di transfert. Partecipa alla vita del reparto, con tutte le relazioni affettive e gerarchiche, più personali o più inerenti all’istituzione come tale, che possono suscitare in lui, quanto la relazione con il paziente, movimenti controtrasferali non sempre di facile decifrazione. Il paziente riporta in seduta considerazioni e affetti relativi agli operatori del gruppo di attività e viceversa, spesso servendosene per i suoi controinvestimenti. Presenta in gruppo comportamenti e funzionamenti molto differenti da quelli della seduta, tanto che a volte può essere difficile credere che nella riunione del gruppo dei curanti si stia parlando dello stesso ragazzo. Per il fatto stesso di essere contemporaneamente i terapeuti individuali di più ragazzi che sono presenti nella stessa giornata, si diventa presto consapevoli di essere oggetto di confronti, di commenti, di gelosie o di svalutazioni che rimbalzano nella seduta e costringono in una misura maggiore che nel lavoro individuale ad una continua analisi del proprio controtransfert. Nel suo bisogno di esternalizzare il proprio mondo interno e di proiettarne i pericolosi contenuti all’esterno in una messa in scena che tende alla progressiva figurazione (matrice di una possibile futura rappresentazione interna forse finalmente interpretabile), l’adolescente tende a saturare l’ambiente di angosce molto primitive nelle quali tutto il gruppo degli operatori si ritrova immerso e che a sua volta può proiettare (su un collega, sull’istituzione) o mettere in scena. Inoltre, il ruolo richiesto dalla propria figura istituzionale può in vario modo entrare in rotta di collisione con un atteggiamento più spontaneo ed empatico, e il proprio assetto identitario non è mai del tutto definito.
In ultima analisi, però, secondo noi ciò che può permettere al terapeuta di funzionare analiticamente è proprio il fatto di mantenere attivo il lavoro autoanalitico, riflessivo sul proprio funzionamento psichico di fronte alle sollecitazioni dei pazienti, del gruppo dei curanti ed anche dell’intero gruppo istituzionale. Questa condizione soggettiva di continuo lavoro autoanalitico rende possibile il configurarsi dell’Ospedale Diurno come “sito analitico allargato”, parafrasando la metafora proposta da Donnet (1985) di “sito analitico” per figurare l’azione analitica e lo spazio-tempo in cui essa si “situa”. E’ il venir meno di questa condizione autoanalitica a rendere routinario e “a termine” il lavoro istituzionale.
In questo senso già in passato uno di noi ha sottolineato l’importanza che una istituzione sia diretta da uno psicoanalista che possa funzionare come tale (Monniello et al., 2000).

Osservazioni sul trattamento di gruppo in Ospedale Diurno
Va sottolineato come il processo di soggettivazione dell’adolescente interessa e rende più complessa anche la funzione del gruppo in quanto fonte di riferimento identificatorio ma anche in quanto occasione di scoperta della dimensione della gruppalità interna e delle sue potenzialità. Scrive Kaës (1998): “Il lavoro psicoterapeutico di gruppo ha evidenziato quanto la vita psichica “individuale” sia definita e garantita attraverso formazioni metapsichiche sensibili alle strutture profonde della vita psichica sociale e culturale: come ad esempio l’attività preconscia”.
E’ noto poi come la configurazione gruppale permetta il dispiegamento dei diversi momenti identificatori che puntellano la ricerca identitaria di ogni soggetto, e in particolare essa favorisce la regressione necessaria dell’Io dell’adolescente, garantendogli un contenitore e una paraeccitazione valida, indispensabili al mantenimento della continuità psichica sempre minacciata dall’intensità dei rimaneggiamenti psichici in corso. Il dispositivo gruppale amplificando l’effetto di plurivocalismo, sembra permettere più direttamente l’accesso alla gruppalità interna. Ciò che intendiamo sottolineare è che, in adolescenza, è all’opera la trasformazione della gruppalità psichica interna fino ad allora di tipo familiare nella direzione di una gruppalità interna più sociale. Quanto viene segnalato in letteratura è che l’adolescente deve appoggiarsi sul gruppo dei pari come spazio transitorio di autogenerazione, e quindi poter vivere una fantasia provvisoria di autogenerazione (Chapelier et al., 2000).
Scrive Richard (2000): “La situazione gruppale condensa un’unità immaginaria (“l’illusione gruppale” secondo Anzieu) ed il suo contrario, l’accettazione della divisione e della mancanza, in quanto in essa il soggetto è portato a riconoscere il suo plurivocalismo interno e la molteplicità dei suoi riferimenti all’altro. Pertanto la situazione gruppale è suscettibile di favorire il passaggio da una modalità immaginaria del legame all’altro e della relazione oggettuale ad una modalità più simbolica di questo legame e di questa relazione”.
Per quanto ci riguarda, in un periodo iniziale di sperimentazione più empirica delle nostre possibilità reali, e confrontandoci con l’inevitabile frustrazione dei limiti dati, avevamo immaginato lo “spazio delle attività” del Diurno come spazio di osservazione complementare alla possibilità di espletare una psicoterapia individuale o di gruppo; l’esperienza clinica di questi anni ha fornito ulteriori elementi di riflessione e permesso nuove iniziative operative.
In realtà, ci siamo progressivamente resi conto di come i ragazzi che frequentano le attività comuni (le terapie occupazionali e ricreazionali) attingano a due condizioni facilitanti il loro percorso di ricomposizione dello sviluppo: quella dell'appoggio sul gruppo e quella dell’oggetto di mediazione. Il gruppo favorisce la diffrazione del transfert, l’esperienza di universalità, di identificazione orizzontale, di essere spettatore; l’oggetto di mediazione (la musica, le attività artistiche, la lettura, la redazione di racconti) mobilita la figurabilità e l’immaginazione del singolo ed il suo articolarsi e potenziarsi con quella degli altri. Così l’immaginario individuale e quello gruppale trovano un luogo di espressione e di possibilità di rappresentazione. Ciascun adolescente, a sua insaputa, deposita degli aspetti della propria realtà psichica interna e si arricchisce al contempo dei molteplici apporti immaginativi, transferali, rappresentativi degli altri componenti del gruppo delle attività.
Il gruppo e l’oggetto di mediazione costituiscono quindi due elementi fondanti un dispositivo atto a facilitare i processi psichici di legame tra processi primari e secondari, tra conscio ed inconscio, ed è attraverso tali processi di legame che soggetto e gruppo incontrano la simbolizzazione.
Ci sembra particolarmente interessante il vasto lavoro di ricerca sui “gruppi di mediazione” (Chouvier et al., 2002) ed in particolare il contributo di Vacheret sull’utilizzo del “Photolangage”, nei quali l’obiettivo non è un lavoro di costruzione e ricostruzione della storia personale, né la proposta di ipotesi interpretative, ma piuttosto quello di ricreare, attraverso l’uso dell’oggetto di mediazione costituito da fotografie, le condizioni di accesso ai fenomeni transizionali. Ciò che in tali gruppi risulta essere terapeutico sono proprio gli scambi nel gruppo, che hanno una funzione di rispecchiamento per il soggetto e che possono diventare, attraverso la comune condivisione dell’attività immaginativa di ciascuno, vere e proprie occasioni identificatorie. Il gruppo diventa luogo di produzione di immaginari comuni al soggetto e al gruppo, e contenitore di produzioni preconsce che entrano nella catena associativa individuale e gruppale alimentandosi vicendevolmente.
Queste osservazioni ci sono sembrate ben corrispondere a quanto siamo andati osservando man mano che le esperienze con il “gruppo delle attività” (prevalentemente ricreazionali e inizialmente poco o affatto strutturate) si sono andate consolidando ed evolvendo.
Del resto, parallelamente, è risultato evidente come anche nelle psicoterapie individuali e nelle psicoterapie di gruppo gli aspetti legati alla possibilità di fornire un apprendistato alle libere associazioni e al lavoro immaginativo abbia una rilevanza terapeutica essenziale.


Riflessioni attuali di clinica istituzionale
Ciò che idealmente cerchiamo di realizzare è rendere l’Ospedale Diurno un “sito analitico allargato”, come abbiamo detto sopra. Ricordiamo che il sito è definito come “la configurazione caratteristica di un luogo occupato da un insediamento umano, che fornisce le risorse locali necessarie alla vita quotidiana e al suo miglioramento”. Si cerca, cioè, di creare le condizioni di un incontro fra l’adolescente in cerca di soggettivazione e la geografia di un luogo istituzionale che ha la sua storia ed i suoi abitanti, psicoterapeuti, operatori ma anche altri adolescenti il cui controtransfert, ma forse sarebbe più esatto dire transfert, può essere reso funzionale ai possibili movimenti transferali del singolo adolescente.
E' il definirsi di tale sito allargato, luogo dunque di possibile insediamento per lo sviluppo della vita psichica, ad essere l'obiettivo del lavoro dello psicoterapeuta e del gruppo dei curanti. Ciò richiede il loro coinvolgimento, la loro empatica sensibilità all'altro e all’alterità nell'altro, il loro incoraggiamento al piacere del linguaggio rispetto all’esplicito potere della parola, la loro capacità di non decodificare la domanda ma di dipanare i pensieri associati che la animano. Così la capacità immaginativa, il vagabondaggio associativo, una certa negligenza nei confronti del sapere diventano delle condizioni di funzionamento psichico che possono rendere efficace il lavoro clinico con gli adolescenti in difficoltà. Il realizzarsi poi, in alcuni percorsi terapeutici, di una vera e propria "situazione analizzante" può essere una rara, anche se possibile, condizione successiva al silenzioso e continuativo svolgersi della vita psichica, comune ad adolescente, gruppo dei curanti e terapeuta, all'interno del sito analitico allargato, costituito dall’Ospedale Diurno.
La cornice istituzionale, il funzionamento del Diurno in quanto tale, con la sua precisa identità, le sue regole, i suoi limiti, definiscono il sito analitico allargato che svolge sia una funzione di contenimento che una “funzione terza”, tanto per il paziente che per il gruppo dei curanti nel suo insieme.


Note:

** Il presente lavoro è stato presentato al 5° Convegno Nazionale di Psicoterapia dell’Adolescenza, Firenze, 18-19 ottobre 2002.
° Neuropsichiatra Infantile. Dirigente del Day Hospital Adolescenti della II Divisione di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche dell'Età Evolutiva, Università degli Studi "La Sapienza", Roma. Socio fondatore ARPAd, Vice President I.S.A.P.
°° Psicoterapeuta. Day Hospital Adolescenti della II Divisione di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Neurologiche e Psichiatriche dell'Età Evolutiva, Università degli Studi "La Sapienza", Roma. Socio Ordinario ARPAd e SIPSiA


Riassunto
Muovendo da alcune considerazioni sulle attuali caratteristiche prevalenti della psicopatologia adolescenziale gli Autori descrivono i modelli e la filosofia del Day Hospital per adolescenti, il suo funzionamento organizzativo ed i riferimenti teorici psicoanalitici che li hanno guidati. Una particolare attenzione viene data al concetto di gruppalità, che coinvolge sia i pazienti adolescenti e le loro famiglie, che l’intero gruppo dei curanti. Viene teorizzata una condizione definita “sito analitico allargato”, quale obiettivo da realizzare per rendere terapeuticamente efficace la clinica istituzionale. Si sottolinea infine come il lavoro clinico con l’adolescente non possa prescindere dal livello di formazione personale dei curanti e dalla loro specifica conoscenza del funzionamento della mente adolescente.


Bibliografia

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