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Anno III - N° 3 - Settembre 2003

Lavori originali



Silenzi e agiti: accogliere e trasformare la sfida di un'adolescente ricoverata*

G.Ferrigno**, M. Prelati**, A.M. Rosso***, A. Verde***



Questo lavoro è il risultato delle riflessioni maturate nel corso delle prime fasi del trattamento di una paziente di diciassette anni affetta da disturbo borderline di personalità.
Silvia giunge all’osservazione di una di noi accompagnata dai genitori e inviata da un insegnante. E’ gravemente obesa fin dall’infanzia e frequenta il terzo anno di liceo mantenendo perlopiù relazioni superficiali tranne che con una coppia di compagni di classe che sembrano mossi da motivazioni salvifiche e con un insegnante che accetta per ora di essere subissato di lettere e messaggi telefonici drammatici e allarmanti. Quando incontra l’insegnante a scuola, diversamente da quanto gli comunica scrivendogli, appare serena e risponde con un accanito mutismo ai tentativi dell’insegnante di approfondire con lei il contenuto dei messaggi.
Da alcuni anni si ferisce tagliandosi le braccia e talora si scarifica, e alcuni mesi fa ha messo in atto un tentativo di suicidio con farmaci.
Nonostante Silvia riferisca di desiderare un trattamento psicoterapeutico (propone lei due sedute settimanali), dopo aver riferito nel primo colloquio quanto sente difficile la convivenza con i genitori a causa delle loro continue liti, prosegue i successivi colloqui di consultazione alternando racconti assolutamente banalizzati a silenzi ostinati che producono nella consulente confusione e intensi vissuti controtransferali dominati da seria preoccupazione e perplessità circa la formulazione di un progetto terapeutico.
I genitori al primo incontro non sembrano preoccupati, lamentano le continue bugie di Silvia tese secondo loro ad allarmare tutti i conoscenti. Non riescono a parlare della figlia, nonostante domande precise della terapeuta. Parlano a lungo invece della loro difficile relazione e del loro doloroso passato: il padre è cresciuto in un Istituto in seguito alla morte della madre e la signora ha trascorso lunghi periodi lontana dai genitori in seguito ad una sofferenza asmatica. La terapeuta termina l’incontro con la forte impressione che i genitori siano estremamente bisognosi, non riescano a esercitare una funzione genitoriale e tendano ad una massiccia delega delle cure della figlia. All’incontro successivo Silvia ascolta in silenzio quanto la terapeuta riferisce dell’incontro con i genitori e sembra rifiutare di parlare, dice solo che sarà ospitata per una settimana dai genitori di un’amica . Le continue minacce suicidarie comunicate attraverso il telefonino e l’irriducibile silenzio di Silvia agli incontri con la terapeuta rendono necessario un ulteriore incontro con i genitori dominato da reciproche accuse. La terapeuta consiglia per loro un trattamento di coppia con un collega e un ricovero ospedaliero per Silvia, indicazioni che non vengono rifiutate ma posticipate. A causa di un tentativo di suicidio di Silvia avvenuto a scuola nei giorni immediatamente successivi non possono più rimandare il ricovero ospedaliero di Silvia.
Così ha inizio la nostra esperienza di gestione clinica che vogliamo qui riportare al fine di discutere l’opportunità di contesti differenti di cura , i loro obiettivi e la loro diversificazione.
La minaccia grave per la vita della paziente emersa durante la consultazione rendeva necessario un intervento intensivo e multidimensionale che poteva attuarsi, a nostro avviso, solo in un ambiente ospedaliero. Questo poteva permettere una modifica temporanea dell’ambiente di vita uscendo da rapporti deteriorati, fonte di circoli viziosi patogeni, per entrare in un ambiente protetto che permettesse una diffusione degli investimenti, un impiego difensivo della scissione, con lo sviluppo graduale di investimenti laterali (medici, specializzandi, infermieri ed altri pazienti ricoverati) nonché un approfondimento diagnostico (Muratori 1999).
Durante il ricovero il rapporto con il nuovo ambiente e con l’equipe si è sviluppato in quattro differenti fasi.
I Fase: oppositività, negativismo, scarso spazio alla relazione interpersonale, scarsa capacità di verbalizzare i propri vissuti, agiti autolesivi ripetuti che necessitavano di una sorveglianza attenta, di un adeguato trattamento farmacologico sintomatico e di “un contenimento meccanico” che assumeva anche la valenza di un contatto corporeo. La paziente rispondeva alla protezione, all’accudimento, all’attenzione costante e tenace da parte dell’equipe curante attaccando i “legami” che sembrava instaurare con ulteriori e gravi agiti autosoppressivi. Questo ha comportato la difficile gestione di sentimenti ostili e di sconforto controtransferali che ha comportato riunioni quotidiane con tutta l’equipe curante e, in particolare, con gli infermieri, a contatto prolungato con la paziente.
II Fase: Segue una regressione della paziente che assume un comportamento talora da “bambina piccola”, esigente, insaziabile e tirannica, talora più tenera e desiderosa di contatto fisico. Sembra aprirsi un varco per la relazione. Silvia invia messaggi telefonici alla terapeuta privata che ha sempre condiviso il progetto con i curanti istituzionali. Dopo alcuni incontri settimanali in clinica tra la terapeuta privata e la paziente, Silvia inizia a usufruire di permessi, accompagnata dai genitori, per recarsi alle sedute.
III Fase: Il sintomo somatico (un’appendicopatia) sposta l’attenzione di tutta l’equipe e dei genitori sul corpo, generando non pochi dubbi sul peso della componente di urgenza somatica. Quando si rende necessario un trasferimento in chirurgia l’equipe garantisce la presenza costante di un operatore che non faccia sentire la paziente abbandonata nell’affrontare la malattia fisica, garantendo, nel contempo, una funzione di richiamo alla dimensione psichica.
IV Fase: durante la convalescenza la paziente diventa meno aggressiva e meno pressante sull’urgenza. Seppur ambivalente, inizia a cercare un contatto con altre giovani degenti del reparto. Con i curanti, durante i colloqui affronta i problemi contingenti e riprende un dialogo sui fatti accaduti all’interno del ricovero. I curanti ospedalieri, al momento della dimissione, avvenuta dopo tre mesi di degenza e su insistenze della paziente e dei familiari, hanno concordato con la paziente e i genitori la prosecuzione delle cure farmacologiche presso l’ambulatorio ospedaliero. Silvia si trasferisce dalla zia paterna.
Nel corso della degenza, inizia anche il lavoro con i genitori: entrambi, si diceva, con esperienze di deprivazione e istitutizzazione in infanzia. La madre è figlia di una madre depressa, che ha tentato il suicidio al sesto mese di gravidanza: ricorda di non essere mai stata accarezzata da lei. Il padre soffre di psoriasi e tende a non mentalizzare: si avvertono tuttavia in lui una grande affettività verso la figlia ma anche una grande fatica a esprimere i contenuti affettivi. Silvia, dicono, è stata cercata mettendo insieme il sogno paterno di avere una bambina e la grande ambivalenza della madre verso questa gravidanza. La nascita ha poi fatto sentire la madre stessa esclusa dal rapporto fra bambina e marito, subito molto intenso: passava pomeriggi chiusa in bagno, a piangere, stesa per terra.
Dal lavoro emerge che i due faticano a costruire una coppia genitoriale, a creare uno spazio di pensiero condiviso per la figlia, che ognuno utilizza in base alla propria storia, come ricettacolo per i propri fantasmi. Del rapporto fra il convivente e Silvia la mamma si sente intensamente gelosa, anche se alla coscienza questo arriva per mezzo della difesa della negazione. Traspaiono sentimenti quasi consapevoli di odio per la figlia. Intenso è il risentimento verso il convivente che non ha mai sposato; traspaiono un intenso sadismo e una tendenza alla rampogna nei suoi confronti: come se il convivente fosse anche lui un figlio da assillare con lamentele e brontolìi. A questo trattamento lui reagisce masochisticamente, alzando le sopracciglia e le braccia, e chiudendosi ancora di più nel silenzio: spesso, però, si lascia usare da Silvia, la accontenta in tutti i suoi desideri, in particolare alimentari, come in un’alleanza a danni della madre.
Si tratta, quindi, di tre rapporti diadici, quello fra i genitori intensamente sadomasochistico, e i due di entrambi con la figlia intensamente idealizzati, con l’esclusione del terzo.
Nel frattempo Silvia ha richiesto il trattamento psicoterapico a frequenza bisettimanale ma durante le sedute ha ripreso ad essere mutacica, ha iniziato a cercare ripetutamente la terapeuta telefonicamente a tutte le ore inviandole messaggi telefonici comunicando propositi suicidari, si talora scarificandosi le mani durante le sedute. Le sue modalità fortemente manipolatorie e il suo netto rifiuto ad esplorare i suoi comportamenti hanno convinto la terapeuta che un trattamento psicoterapico poteva essere possibile solo dopo aver concordato con Silvia un contratto. La proposta e la negoziazione del contratto hanno occupato gli incontri successivi.
Repentinamente ha iniziato a pregare i genitori di tornare a vivere con loro e di interrompere il trattamento cercando di convincerli di quanto soffriva sia presso la zia che durante gli incontri con la terapeuta.
L’opposizione dei genitori al rientro in casa ha avuto fine, dopo un tentativo di suicidio che Silvia ha realizzato ingerendo farmaci nell’ascensore della terapeuta prima della seduta, dopo essere riuscita ad impadronirsi dei suoi farmaci eludendo il controllo della zia.
Silvia è stata nuovamente ricoverata in Clinica da cui è riuscita ad essere dimessa ottenendo che i genitori firmassero la richiesta di dimissione contro il parere dei sanitari, dopo pochi giorni di ricovero tumultuoso. Dopo quattro giorni la paziente ed i genitori hanno nuovamente richiesto il ricovero che è tuttora in corso.
Discussione del caso
I meccanismi di difesa primitivi, la diffusione dell’identità e il generale mantenimento dell’esame di realtà che caratterizzano l’organizzazione borderline di personalità (Kernberg, 1984) dominano il funzionamento psichico di Silvia.
L’osservazione clinica ha evidenziato l’uso prevalente e massiccio dei meccanismi di scissione: come nelle fasi precoci della vita, Silvia continua a sperimentare l’altro alternativamente o come buono o come cattivo (in altre parole o gratificante o frustrante). Il mondo interno così diviso non permette lo stabilirsi di un senso unificato della sua identità e di quella degli altri. Le rappresentazioni instabili di sé e dell’altro spiegano i rapidi cambiamenti dell’umore, l’intensa rabbia, la mancanza di un chiaro e stabile senso di sé, la paura dell’abbandono (non esiste una sensazione interna di un altro coerente e stabile), le relazioni interpersonali instabili e intense in particolare con i genitori.
Come affermano Koenigsberg et al. (2000) questo sistema primitivo funziona come una difesa in quanto protegge l’oggetto buono dall’aggressione e dalla rabbia diretta all’oggetto cattivo, così che in momenti buoni può mantenere il senso di un altro perfetto capace di soddisfare tutti i bisogni (idealizzazione). La scissione sostiene cioè la possibilità di un altro perfetto, mentre la maturazione psicologica, come rappresentato dall’integrazione delle rappresentazioni estreme, comporta la perdita (dell’altro immaginato perfetto), perdita descritta dalla Klein (1957) come posizione depressiva.
Dal resoconto clinico è possibile, talora piuttosto chiaramente, individuare il bisogno di Silvia di mantenere diadi scisse di relazioni oggettuali soggette a rapide oscillazioni e la sua necessità di attaccare i legami utilizzando l’odio che può fornirle una tregua temporanea rispetto alla confusione della diffusione d’identità (Clarkin et al., 1999; Koenigsberg et al., 2000).
Probabilmente un trattamento psicoterapico focalizzato sul transfert e quindi sulla tecnica interpretativa potrebbe essere il trattamento d’elezione, ma l’impossibilità di stabilire un contratto condiviso lo impedisce.
E’ probabile che in questo momento Silvia goda ancora molto dei vantaggi secondari che la sua condizione le procura: attraverso il comportamento suicidario e manipolativo Silvia esercita il controllo, cercando di controllare gli oggetti internalizzati pericolosi e odiati proiettati negli altri, ma ottiene anche il guadagno secondario di ricevere attenzione e preoccupazione, il privilegio del ruolo della malata e il raggiungimento di specifici obiettivi nel mondo esterno. Poiché questo per ora le riesce, in particolare con i genitori, il comportamento suicidario è rafforzato e la suicidalità sta diventando uno stile di vita.
Il principale modo di relazione di Silvia attualmente è quello di presentarsi come vittima a un salvatore idealizzato: sembra poter allacciare un contatto solo con chi accetta di entrare in questa relazione di salvataggio (trascorre buona parte del tempo scrivendo lettere e inviando messaggi telefonici allarmanti cambiando i destinatari a seconda della loro disponibilità ad assumere il ruolo di salvatori).
In questa fase della vita e della malattia di Silvia sembrano quindi possibili solo due contesti di cura: quello ospedaliero e la terapia della coppia genitoriale.

Riassunto
Oggetto di questo contributo è l’esposizione di un caso clinico di una grave adolescente borderline, silenziosa nelle fasi dei primi contatti con la terapeuta, ma tendente a ripetuti attacchi autolesivi che hanno portato la ragazza a un ricovero psichiatrico. L’intensità della scissione, le sue rapide alternanze, la collusione con i genitori rendevano infatti impossibile la costruzione di uno spazio psicoterapeutico stabile. E’ stata molto utile, da questo punto di vista, la costituzione di un’èquipe curante sui generis, formata dalla professionista privata che aveva in terapia la ragazza, dall’équipe psichiatrica che gestiva il ricovero, e dal terapeuta della coppia genitoriale, cui i genitori, che contribuivano alla messa in scacco della terapia per le loro dinamiche interpersonali, erano stati inviati. Concludono l’esposizione del caso una discussione relativa alla difficoltà di creare uno spazio contrattuale in cui fosse possibile abbandonare i silenzi e gli agiti, e iniziare il difficile processo della mentalizzazione.

Bibliografia

Clarkin J.F, Yeomans F. E., Kernberg O.F. (1999) Psicoterapia delle personalità borderline
Trad. it. Cortina Editore, Milano 2000

Kernberg O.F, (1984) Disturbi gravi della personalità. Trad.it. Bollati Boringhieri, Torino 1987

Klein M, (1957) Invidia e gratitudine. Trad.it. Martinelli, Firenze 1969

Koesnigsberg H.W.,. Kernberg O.F, Stone M.H., Appelbaum A.H., Yeomans F.E.,Diamond D.,
(2000) Borderline patients: extending the limits of treatability. Basic Books, New York

Muratori A.M., (1999) La relazione psicoterapeutica durante il ricovero ospedaliero: sua importanza per la valutazione prognostica e terapeutica. In Adolescenza, 10-1 pp.61-73

Note:

*Questo lavoro è stato presentato al V Convegno Nazionale di Psicoterapia dell’Adolescenza - Psicoanalisi e Psicoterapia: “L’adolescente tra contesti naturali e contesti terapeutici” , Firenze, Convitto della Calza, 18-19 ottobre 2002
**Clinica Psichiatrica II, Direttore Prof. M. Marcenaro, Università di Genova
*** Istituto per lo studio della psicologia, psicopatologia e psicoterapia dell’adolescenza (I.S.AD.)




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