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Anno III - N° 1 - Gennaio 2003

Editoriale




Verso un nuovo orizzonte epistemologico

La Redazione



Dalla riflessione su questi due anni di esperienza di A e P, ricollegandoci all’editoriale di A. Novelletto del primo numero e avendo nello stesso tempo lo sguardo rivolto al futuro della psicoanalisi dell’adolescenza, ci sentiamo di indicare alcune direttrici di percorso, intese come ipotesi di lavoro. In questo siamo confortati dalla “rilettura” e dalla conoscenza dei recenti contributi di psicoanalisti che hanno fatto dell’adolescenza e degli adolescenti il centro del loro interesse ed hanno conferito loro una collocazione a pieno titolo nella teorizzazione psicoanalitica, non più costretti in uno sfondo tumultuoso e indecifrabile, rispetto all’infanzia e all’età adulta.
La prima ipotesi che intendiamo approfondire e sostanziare si riferisce all’adolescenza come tessuto che può colmare una lacuna nella metapsicologia psicoanalitica. Riteniamo che l’adolescenza possa essere considerata la stagione delle trasformazioni fisiologiche radicali, corporee, emozionali, cognitive, simboliche, e allo stesso tempo periodo di instabilità per eccellenza dello sviluppo, con l’emergere di importanti forme di psicopatologia. Per questo ci sembra che essa rivesta un’importanza decisiva nella dialettica fra il processo di soggettivazione dell’individuo e l’influsso della posteriorità che darà una forma più o meno sana, più o meno disturbata e alterata all’Io adulto in formazione. Questo a partire dalla stessa formulazione di Freud, secondo la quale i ricordi d’infanzia si costituiscono in adolescenza, poiché solo ora trova attuazione il difasismo della sessualità umana, la risessualizzazione puberale, dopo la rimozione, dopo l’amnesia infantile. R. Cahn, da parte sua, sottolinea che la nevrosi infantile si costituisce in adolescenza, sia dal punto di vista evolutivo (diacronico), sia da quello strutturale (sincronico), nel registro nuovo della posteriorità. E se l’ingresso nella pubertà è inibito, ostacolato, stentato? Alcuni Autori invitano esplicitamente a considerare quanto la psicoanalisi degli adolescenti e le conoscenze che ne sono discese abbiano cambiato nei fatti se non teoricamente la pratica psicoanalitica in generale.
La seconda ipotesi riguarda il punto di vista clinico. Anch’essa parte da tesi formulate da Freud (1905-1919) secondo le quali di solito, il mezzo principale di soddisfacimento sessuale dell’individuo assume una forma fissa e prevedibile solo verso la fine dell’adolescenza. Quindi i disturbi della vita sessuale presenti prima che si raggiunga questo limite vanno considerati in modo diverso, rispetto a quelli che possono comparire nell’adulto. Secondo i Laufer, che hanno acquisito una ricca esperienza clinica e una profonda conoscenza come psicoanalisti di adolescenti, è verosimile che anche la psicopatologia in generale e i disturbi dell’orientamento sessuale in particolare si instaurino verso la fine (convenzionale) del processo adolescenziale. Se si tiene presente anche il fatto che i disturbi dello sviluppo e dell’orientamento sessuale in adolescenza sono stati preceduti nell’infanzia da traumi precoci che hanno turbato non poco lo sviluppo pregenitale dei giovani pazienti, un trattamento psicoanalitico in adolescenza può rappresentare realmente una seconda preziosa opportunità. Infatti può ripristinare la crescita con l’attenuare le conseguenze più nefaste di quei traumi precoci e con il prevenire che i loro effetti si integrino nella personalità adulta futura attraverso l’integrazione disturbata del corpo sessuato. Quest’ultima evenienza si configurerebbe come l’ingresso nella psicopatologia dell’adulto, assai più dura da scalfire, come le perversioni insegnano.
La terza direttrice può essere formulata così: gli adolescenti ci costringono a un mutamento radicale del nostro assetto interno di terapeuti, se non vogliamo perdere il contatto reale con essi. Utilizziamo da tempo situazioni come il setting psicoanalitico in senso stretto, il setting psicoterapico individuale o di gruppo, concetti come analizzabilità, trattabilità, che rimangono punti di riferimento fondamentali dell’approccio psicoanalitico. Accanto ad essi riteniamo indispensabile non solo considerare setting multifocali, integrati, nella risposta al disagio giovanile, ma anche pensare a come si possano creare condizioni nelle quali prenda forma un qualche processo utilizzabile come tale da uno psicoanalista, anche al di fuori della stanza d’analisi, nelle istituzioni, nel sociale, a contatto diretto con gli adolescenti, o con figure che raccolgono il loro disagio, come familiari, educatori, operatori dei servizi. In altre parole, pensare a come uno psicoanalista possa porsi come oggetto che può soddisfare una richiesta di aiuto iniziale, magari in forma limitata, magari solo per non disperdere, per orientare un moto di curiosità, un tentativo di comunicare una sofferenza che venga richiesto nei contesti di vita dell’adolescente. Ormai da alcuni lustri veniamo a conoscenza dalle riviste, dai convegni, congressi, dai rapporti con i colleghi di quale ricca esperienza hanno accumulato psicoanalisti impegnati nei consultori familiari, in quelli per adolescenti, nei servizi psichiatrici pubblici, negli ospedali, nelle scuole, nelle carceri, presso il Tribunale dei minori, e così via.
A e P si propone di dare sempre più spazio, sempre più voce a questi fermenti.




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