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Anno III - N° 1 - Gennaio 2003

Lavori originali




La psicoanalisi degli adolescenti ha cambiato la tecnica psicoanalitica?*

Giuseppe Pellizzari



Io credo che la psicoanalisi degli adolescenti, come pratica clinica che è andata vieppiù affermandosi durante gli ultimi decenni, abbia senza parere comportato, più nei fatti che nella teoria, un cambiamento del paradigma "classico" della psicoanalisi stessa di considerevole importanza, in maniera analoga a quanto del resto era già successo con l'affermarsi della psicoanalisi dei bambini agli inizi degli anni 40.
La "Cenerentola della psicoanalisi" si appresta così a diventarne la Principessa?
Proviamo ad analizzare le questioni teorico-cliniche che la cura psicoanalitica di soggetti adolescenti tacitamente pone alla concezione classica di tale cura psicoanalitica.
Iniziamo col considerare per un momento la rivoluzione che la pratica della psicoanalisi infantile ha portato nell'edificio teorico psicoanalitico.
Come si sa, la psicoanalisi è stata, fin dai suoi esordi, una cura per pazienti adulti, solo successivamente, e non senza contrasti, si è estesa al mondo dell'infanzia. All'inizio essa si rivolgeva esclusivamente a giovani adulti che manifestavano una patologia nevrotica, o almeno presunta tale, considerata come espressione anacronistica di situazioni traumatiche rimosse risalenti al periodo infantile. Il dispositivo della cura consisteva nello stabilire un collegamento tra la nevrosi infantile pregressa e la sintomatologia attuale attraverso l'artificio del transfert che aveva lo scopo di riattualizzare la nevrosi infantile nella relazione col terapeuta, trasformandola in nevrosi di transfert. I due tempi, il passato e il presente, potevano così riunificarsi ed aprirsi al processo di guarigione.
Possiamo dire che il paradigma di questa cura si fondava su due presupposti imprescindibili, l'assenza dei quali l'avrebbe resa impossibile.
Il primo era l'esistenza nei pazienti di un Io che, parafrasando Winnicott, potremmo definire "sufficientemente normale", vale a dire che non avesse subito eccessive alterazioni, per esempio di tipo caratteropatico, oggi diremmo borderline, o psicotico o perverso o inibitorio. Un Io cioè con cui fosse possibile stabilire un' alleanza terapeutica sancita dal contratto e dall' osservanza relativa della regola fondamentale.
Il secondo consisteva nell'esistenza di una nevrosi infantile pregressa nascosta dalla rimozione e tuttavia rivelata dai sintomi che ne erano la conseguenza. La psicoanalisi, per esempio, non era applicabile alle cosiddette "nevrosi attuali". Insomma per funzionare aveva bisogno di questi due tempi, separati tra loro dalla rimozione. Solo così la scena attuale poteva diventare nel transfert la rievocazione della scena del passato e consentirne la rimemorazione o quanto meno la ricostruzione. Si trattava di un viaggio a ritroso nel tempo reso possibile dalle sue enclave anacronistiche che consentivano un sorprendente punto di contatto attuale con il passato infantile e traumatico. Tali sacche anacronistiche, dove il tempo si era per così dire fermato, erano il prodotto prezioso della singolare facoltà dell'Inconscio di ignorare per l'appunto il tempo, di essere cioè atemporale.
La cura psicoanalitica si basava dunque su questa doppia dialettica del tempo: nevrosi infantile, collocata in un tempo passato e nevrosi di transfert, situata nel tempo presente; tempo dell' Io sufficientemente normale e tempo anacronistico dell'Inconscio. Si veda a tale proposito il concetto di "eterocronia" di A. Green.(Le temps éclaté, 2000)
Come appare evidente in un quadro siffatto la psicoanalisi di bambini appare impossibile.
Non può soddisfare infatti entrambi i presupposti che ho appena illustrato e che costituiscono le condizioni di base della tecnica classica della psicoanalisi.
L’Io infantile è, secondo Freud, "incompiuto e debole"; inoltre è "un soggetto psicologico diverso dall'adulto". Tutto fa pensare che non lo si possa verosimilmente considerare un Io normale, adatto ad un trattamento psicoanalitico propriamente detto. E, come se non bastasse, non è ragionevolmente possibile contare su una pregressa nevrosi infantile, primo tempo indispensabile al lavoro della rimozione e al suo reciproco, il lavoro dell'interpretazione. Siamo infatti ancora immersi in tale tempo dell'infanzia e si potrebbe tutt'al più parlare di nevrosi attuale. Di conseguenza come sarà possibile l'instaurarsi della nevrosi di transfert? Freud ne è consapevole e si limita di fatto a considerare la psicoanalisi dei bambini una "applicazione" della psicoanalisi vera e propria alla pedagogia, ritenendola per questo "un dominio riservato alle donne analiste"...
Tuttavia "ça n'empeche pas d'exister". Sappiamo che le cose sono andate diversamente ad opera soprattutto di M. Klein e, con buona pace di Freud, di un uomo: D.K.Winnicott.
L'affermarsi della psicoanalisi infantile non è comunque stato indolore. Tutti ricordano la famosa controversia londinese tra i seguaci di A. Freud e quelli di M. Klein. Si è trattato di una sorta di grande scisma che ha attraversato tutto l'orizzonte teorico della psicoanalisi. Ebbene si può dire che ha preso le mosse praticamente, clinicamente proprio dalle questioni poste dalla psicoanalisi infantile.
La Klein sosteneva, tra mille polemiche, l'esistenza di un Io precoce in grado fin dall'inizio di una capacità rappresentativa di fare fantasie, suscitando uno scandalo in fondo analogo a quello suscitato da Freud quando sosteneva l'esistenza della sessualità infantile. L'attività fantasmatica veniva così sganciata dalla rimozione, che fino a quel momento ne deteneva il monopolio. Veniva infatti sottolineata l'importanza centrale di meccanismi difensivi più precoci (pensiamo, per esempio, alla scissione, alla proiezione e soprattutto all'identificazione proiettiva) in grado di produrre sintomatologie già accessibili all'interpretazione analitica.
La fantasia inconscia che, secondo il paradigma classico, era strettamente legata alla nevrosi infantile organizzata dal complesso edipico e quindi risultato esclusivo della rimozione, assume una potenzialità assai più vasta e articolata, fino, con S. Isaacs, a coincidere tout court con la stessa attività psichica inconscia che caratterizza il soggetto fin dal suo apparire.
Il paradigma storico-ricostruttivo che aveva caratterizzato fino a quel momento la psicoanalisi, fondato sulla dialettica nevrosi infantile/nevrosi di transfert, viene di fatto sostituito da un nuovo paradigma che pone in relazione nell'attualità, nel famoso "hic et nunc" della relazione terapeutica, la fantasia inconscia e l'azione sintomatica che la rende visibile semiologicamente.
Winnicott inoltre ha evidenziato un nuovo criterio per definire la normalità dell'Io che di fatto abolisce la differenza tra soggetto adulto e soggetto infantile. In "Gioco e realtà" la individua nella capacità di giocare e stabilisce un'analogia tra il lavoro analitico e il gioco simbolico. Come sappiamo i bambini hanno una naturale propensione al gioco, sono gli adulti con il loro "Io normale" che sovente la smarriscono. In tal modo sembra quasi rovesciarsi il preconcetto iniziale della psicoanalisi: i bambini in realtà sono più facilmente analizzabili degli adulti e questi ultimi per poter funzionare davvero in analisi devono riattivare la loro parte infantile, non solo nei contenuti, ma soprattutto nelle modalità.
Questo nuovo paradigma sposta l'asse temporale sull'attualità e pone la fantasia inconscia al centro
dell’indagine analitica, non come reperto anacronistico del passato, ma come operazione attuale dell’Io inconscio sollecitato dalla relazione con l'analista. E quest'ultima non si presenta più come un'edizione aggiornata di una vicenda accaduta altrove in un altro tempo, ma una matrice inedita che consente al fantasma traumatico di prender corpo e forma nella relazione con l'altro. Per usare
la terminologia cara ai francesi, potremmo che la bara che separa l’”avant coup" dall’"aprés coup" non è più di ordine storico, ma di ordine linguistico, in quanto creata dal dispositivo analitico
del Setting.

Possiamo definire tale paradigma linguistico-relazionale. E, come è evidente, comporta conseguenze tecniche di rilievo.
Innanzitutto vi è un ampliamento del concetto di transfert. La figura dell' analista come figura di investimento transferale non si limita più alle sole proiezioni edipiche parentali, ma si offre ad una gamma di proiezioni assai più vasta. A seconda delle situazioni, che possono mutare con grande rapidità, l'analista può rappresentare per il paziente un oggetto interno, un oggetto parziale, un oggetto inanimato, un ambiente anonimo, una parte del corpo o della mente del paziente medesimo secondo una libertà sintattica prima impensabile. La plasticità del transfert diviene molto più complessa e articolata rispetto alla relativa rigidità di un tempo. Non a caso B. Joseph ha sostenuto l'idea di un transfert totale: nella situazione analitica tutto, per il solo fatto di accadere lì, è potenzialmente portatore di un significato inconscio.
In secondo luogo assistiamo alla consacrazione del controtransfert, prima ritenuto un accidente inevitabile da cui guardarsi, a strumento indispensabile di conoscenza. La fantasia inconscia infatti si dà a conoscere solo nella relazione con l'analista che viene così coinvolto fin dal principio personalmente nella sua complessità.affettiva, sensoriale, somatica conscia ed inconscia. L'enfasi posta sull’identificazione proiettiva come veicolo della comunicazione dell’inconscio pone l'uso del controtrànsfert al centro della tecnica analitica contribuendo in maniera determinante al passaggio dal cosiddetto modello strutturale a quello relazionale.
In terzo luogo l'affermarsi di questo nuovo paradigma analitico privilegia come oggetto di indagine e di ricerca il processo di simbolizzazione e il funzionamento mentale. L’Io infantile è infatti alle prese con la nascita del pensiero, della capacità di simbolizzare di creare delle rappresentazioni, cioè di accedere alla comunicazione linguistica con l'altro. Il grande apporto teorico e clinico di W. Bion., che va proprio in questo senso, sarebbe storicamente impensabile senza l'esperienza della psicoanalisi infantile e le novità che tale esperienza ha di fatto comportato nella pratica analitica. E Bion non era uno psicoanalista di bambini. Questo significa che l'"applicazione" della psicoanalisi alla cura di bambini non è storicamente risultata una semplice "applicazione", come pensava Freud, ma una rivoluzione epistemologica in seno alla psicoanalisi stessa, che ha modificato profondamente la sua pratica e la sua tecnica.
A questo punto ci chiediamo: e la psicoanalisi degli adolescenti?
Il ritardo con cui si è sviluppata, non tanto tale pratica, quanto piuttosto la riflessione teorico-clinica su tale pratica, è dovuto al fatto che l'adolescenza è un'età per sua natura instabile e in trasformazione e che quindi mal si adatta a costituire un oggetto di indagine scientifica.
In fin dei conti nella storia della cultura è l'uomo adulto l'oggetto nobile che ha interessato per secoli la riflessione filosofica e scientifica. Già le donne erano viste come qualcosa di scarsamente rilevante da tale punto di vista, figurarsi i bambini e i ragazzini! Il territorio del sapere iniziava sulla soglia della casa degli uomini e non usciva mai da essa. Donne e fanciulli ne erano esclusi.
Solo dopo la rivoluzione illuministica, con la nascita della consapevolezza storica ha potuto svilupparsi un interesse per l'origine, l'evoluzione e la storia dell'uomo e della sua civiltà. Ciò che è immaturo ha cessato di essere disdegnato dal1a riflessione dei sapienti ed ha cominciato a divenire oggetto di scienza. Quando il pediatra Winnicott si interroga su cosa sia una madre sufficientemente buona volta le spalle al sapere accademico che aveva riempito migliaia di libri e si volge a quel sapere pratico, a quella competenza che centinaia di generazioni avevano depositato filogeneticamente, insieme ai fantasmi originari, nei gesti istintivi di accudimento che proprio i soggetti esclusi dalla cultura avevano sviluppato nei secoli e che nessun trattato scientifico aveva mai esplorato.
Tuttavia occorre dire che il bambino appare ancora come qualcosa di plasmabile, di educabile, di controllabile da parte dei genitori e degli adulti in genere. E' fonte di preoccupazione, ma non può costituire un pericolo. I suoi disturbi, per quanto inquietanti, possono ancora essere ricondotti nell'alveo di una "sana" educazione. Freud stesso riteneva più utile agire sui genitori piuttosto che direttamente sui piccoli pazienti. Insomma si è ancora in tempo per correggere la rotta.
All'opposto, nel caso dei pazienti adulti, vi è già una struttura patologica consolidata, che ha una sua forma, una sua identità chiara e distinta su cui è possibile, o impossibile, intervenire con l'analisi.
Ben diverso è il caso degli adolescenti. Da un lato non sono più facilmente raddrizzabili come i bambini, come si suol dire "ormai fanno quello che vogliono"; dall'altro non possiedono ancora un'identità patologica precisa che li possa inscrivere nel registro ufficiale di una diagnosi.
Le antiche civiltà del resto li avevano sempre guardati come un "monstrum" che suscita diffidenza e timore. Chi è costui? Che cosa si appresta a combinare? Per far fronte alla minaccia di tale incertezza avevano inventato i riti iniziatici che consentivano una messa in scena drammatica, ma ritualizzata, di uno sconvolgimento caotico non solo dell'ordine familiare, ma della civiltà intera, un ritorno all’orda primitiva, per poi approdare ad una rifondazione rinnovata dell'ordine civile, con i suoi ruoli tradizionali. Era uno psicodramma istituzionale che sanciva in maniera veloce e ben definita il passaggio perturbante dall’identità infantile a quella adulta.
L’adolescenza era brevissima e drammatica come un tramonto tropicale.
Oggi, come sappiamo, siamo alle notti bianche di Pietroburgo. Lo stato perturbante di immaturità e di non definizione che caratterizza l'adolescente e lo rende un soggetto così difficile da comprendere, si è dilatato nel tempo in modo assai considerevole. Verrebbe da chiedersi se tale cambiamento non abbia qualche relazione col prolungarsi dei trattamenti analitici, che un tempo erano molto più brevi e perentori rispetto alla vaghezza e alla tendenza all'interminabilità di quelli odierni. Il prolungarsi dell' adolescenza ben al di là del fenomeno fisiologico, coincide con l'affermarsi della nuova patologia che caratterizza gli stessi pazienti adulti: il.cosiddetto disturbo narcisistico o di personalità.
Io credo che il dilatarsi dell'adolescenza non sia tanto l'espressione contingente di un disagio sociale, ma il segno di un cambiamento irreversibile dovuto al tramonto dei grandi contenitori culturali e identitari che avevano caratterizzato la storia passata come genitori autoritari.
E' l'umanità in quanto tale che è costretta dalla propria evoluzione, ormai sia in Occidente che in Oriente, a vivere un'adolescenza non desiderata.
Ma torniamo allo schema freudiano della psicoanalisi propriamente detta. Se l'esperienza della psicoanalisi infantile, come abbiamo visto, comportava la necessità di introdurre un nuovo paradigma, che ho chiamato linguistico-relazionale rispetto a quello storico ricostruttivo, la pratica terapeutica con soggetti adolescenti analogamente sembra porre una simile necessità.
L’Io adolescente non è nè un Io adulto nè un Io infantile. Inoltre la valutazione della sua normalità appare ardua, per non dire quasi impossibile, almeno con criteri tradizionali. Anzi, in un certo senso, una certa dose di anormalità, vale a dire di alterazione, è paradossalmente indice di normalità in adolescenza. Il problema di una valutazione diagnostica dell'adolescente non può essere seriamente affrontato con un semplice richiamo alla cautela. E' il concetto stesso di diagnosi che viene posto in discussione. Non a caso T. Senise con la sua "terapia breve di individuazione" ha trasformato la diagnosi tradizionale, in controtendenza rispetto alla protocollarità anonima del DSM IV, in un processo conoscitivo relazionale che mette in gioco fin dall'inizio la soggettività e il controtransfert del terapeuta da un lato e la creatività del paziente dall’altro.
A differenza dell'infanzia e dell'età adulta che rappresentano nell'accezione comune uno stato, l'adolescenza rappresenta un processo, vale a dire, se mutuiamo il termine dalla chimica, un cambiamento di stato, una condizione quindi di fisiologica instabilità.
L'adolescenza come scioglimento della simbiosi che vincolava il bambino all'adulto pone drammaticamente il problema dell'identità e dell'alterità. "Io non mi conosco più", pensa l'adolescente non trovando il rispecchiamento familiare consueto nella relazione con genitori. "Io non ti conosco più" pensa l'adulto guardando l'adolescente allontanarsi sia fisicamente che emotivamente.
Questa traumatica ignoranza di sé e dell' altro, questo emergere del perturbante proprio nel cuore stesso del familiare determina il rinnovarsi dell’area edipica come terreno conflittuale dell'identità.
Il familiare è divenuto straniero, sconosciuto e potenzialmente nemico e i fantasmi del passato si ripresentano all'interno di un nuovo contesto di realtà non più soccorso dall'area protetta dell'infantile. La crisi d'identità del bambino che diviene adolescente si incontra con la crisi d'identità complementare dell'adulto genitore: la messa in discussione storica e fisiologica della sua autorità e del suo potere. E' il giungere a maturazione dell'Edipo infantile, il suo compiersi nel naturale e inarrestabile svolgersi del tempo della generazione. L'ignoranza reciproca tra adulto e adolescente, come un vuoto, subisce la tentazione di essere riempita in entrambi i sensi dalla violenza degli stereotipi, dei preconcetti, dei dogmi, vale a dire degli oggetti parziali non elaborati della storia passata con tutta l'urgenza e l'esasperazione ripetitiva dell'agire coatto.
"lo lo so bene come è fatto mio figlio!" dicono certi genitori. "lo so benissimo come sono i miei!" rispondono simmetricamente gli adolescenti. Questa presunzione maniacale di conoscenza dell'altro, espressione di un blocco scissionale nella conoscenza di sé, nasce dall’incapacità depressiva di tollerarne l’ignoranza, espressIone della propria incompiutezza e irriducibile parzialità. In tal modo il processo conoscitivo dell'altro e di sé, vale a dire il processo di formazione dell'identità nella circolarità ricorsiva sempre aperta dell'esperienza, viene saturato e reso impossibile, favorendo così una deriva narcisistica in vari modi distruttiva che nella sua anonima meccanicità si oppone a ciò che R. Khan, ha chiamato "soggettivazione", appropriazione soggettiva della realtà psichica.
Spesso il 1avoro clinico con gli adolescenti consiste nel riaprire spazi di ignoranza, di dubbio, di incertezza, a partire dall' assunzione da parte del terapeuta di tale ignoranza come propria funzione conoscitiva. L'ignoranza dell'altro, espressione dell'ignoranza di sé, determina uno spazio insaturo che può consentire l'esperienza nella dialettica tra identità e alterità, tra soggetto e oggetto d'investimento. Il trauma di questa ignoranza che rende straniero il familiare, che riecheggia quello della nascita, può divenire così il punto di partenza di una rivoluzione epistemologica del modo stesso di conoscere e di fare esperienza di sé e dell’altro, anche se occorre precisare che tale trauma si mostrerà fecondo Solo quando una familiarità si è instaurata, quando un mondo infantile ha potuto prendere forma e potrà dunque affrontare la sua crisi; se invece nessuna vera familiarità ha potuto nascere nella relazione con i genitori, non vi potrà essere neppure una sua crisi, ma solo una degenerazione del suo fallimento originario con l'effetto moltiplicatore del nuovo contesto di realtà.
Le cosiddette "trasformazioni strutturali" che la cura psicoanalitica si propone di mettere in moto non sono forse riconducibili a quei processi di formazione dell'identità tipici dell'adolescenza ?
Non potremmo consIderare ogni pazIente autenticamente in analisi come strutturalmente adolescente? Se così è si può avanzare l'ipotesi che lo studio dei processi adolescenziali presenti diversi punti in comune con lo studio del processo psicoanalitico in quanto tale.
Al di là delle ovvie considerazioni riguardanti i cambiamenti nel corpo (la sessuazione), nella mente (la nascita del pensiero astratto) e nelle relazioni sociali, cos'è che rende così particolare il processo adolescenziale ? -
L'acquisizione della sessualità innanzitutto comporta, come è noto, una rielaborazione dell'edipo e della posizione depressiva, ma questo non significa solamente un riadattamento dell'io e del Super Io, significa una modificazione rivoluzionaria della percezione stessa della realtà, una rottura epistemologica del principio di realtà. La sessualità infantile era ricca di mostri terrificanti e fascinosi ma veniva protetta dalla sua stessa immaturità che rimandava ad un domani mitico la realizzazione delle imprese, consentendo così lo sviluppo naturale della fantasia e del gioco. La differenza tra il regno della fantasia e la realtà era garantita e sancita dall'autorità genitoriale ed adulta. L'acquisizione della sessualità genitale rompe questa sorta di incantesimo, di sospensione del tempo. Il mitico domani si avvicina improvvisamente senza chiedere il permesso e il possesso di una sessualità adulta immette irreversibilmente nel ciclo delle generazioni, equivale a diventare mortali. Il tempo cic1ico dell'infanzia dove tutto poteva ritornare nel ritmo delle assenze e delle presenze diviene il tempo dell'irreversibilità; il "fort da" del nipotino di Freud spostandosi sull'asse temporale perde la sua reversibilità rassicurante, il rocchetto del tempo una volta gettato non torna più indietro. Il dado è stato tratto.
L'Edipo infantile aveva trovato una tregua vantaggiosa nella latenza che relegava il compito di una sua soluzione nel mitico domani. Con l'adolescenza la tregua viene fatalmente rotta, l'Edipo giunge a maturazione, il suo destino si deve compiere, deve cioè trovare in ogni caso una soluzione. "E' questo il tempo". Le fantasie dei genitori sui loro bambini, fantasie consce ed inconsce, che possono essere più o meno in sintonia con quelle dei figli, sono adesso, insieme a queste, messe alla prova della realtà. "vediamo cosa sai fare davvero. Vediamo chi sei", domanda e aspettativa che può assumere tutte le sfumature dell' affettività superegoica, dalla fiducia incondizionata al disprezzo mortificante, ma domanda che non è più possibile eludere se non rifugiandosi in una patologia che sarebbe comunque anch'essa una forma paradossale di risposta.
Vi è la necessità ineludibile di ancorarsi ad una memoria e ad una storia che diano coesione al processo evolutivo e contemporaneamente la necessità di liberarsi da essa per sancire una discontinuità rivoluzionaria nella fondazione di un nuovo soggetto. Crocicchio conflittuale dove Edipo e Telemaco si incontrano nei loro distinti e per certi versi opposti percorsi. -
Come l’acquisizione della sessualità anche l'acquisizione del pensiero astratto comporta una vera e propria rivoluzione copernicana nella percezione della realtà. Il bambino non è più al centro dell'universo circondato e protetto dagli astri dei genitori, ed anche la sua costellazione familiare è una tra le tante che popolano e hanno popolato la storia. L'adolescente scopre una solitudine che non aveva mai conosciuto prima.
Vi è un nuovo inizio del pensiero che non si fonda più solamente sulla differenza tra rappresentazione e cosa, ma sull'attivarsi di un pensiero personale, unico, separato, espressione di una libertà e di una, responsabilità che ripropongono il conflitto edipico e la relazione con il Super Io e gli oggetti interni dell'infanzia con un nuovo margine di imprevedibilità, di incertezza e di solitudine.
L'organizzazione simbolica dell'infanzia con le sue crepe più o meno grandi viene messa in crisi dal progredire non controllabile del tempo vissuto, come un'entropia improvvisa e inarrestabile. I fantasmi arcaici, edipici e preedipici, escono dallo "zoo" relativamente protetto dell'infanzia e circolano liberamente per le strade della realtà secondo il classico copione di tanti racconti e film dell' orrore, così amati dagli adolescenti come lo erano state le fiabe di paura di un tempo.
La conoscenza è crisi d'identità e parte da un'entropia, un disfarsi, un venir meno di una organizzazione percettiva della realtà, ma anche del soggetto stesso di tale organizzazione.
L’identità cessa di essere una cosa, un ente, una struttura, ma diventa un processo che implica il tempo come sua componente essenziale. L'appartenenza si sposta dal passato, come dato acquisito, al futuro come ignoto.
Vi è un nuovo accesso al simbolico. Se prima consisteva nel distacco dalla presenza materiale e concreta dell'oggetto per giungere alla sua rappresentazione psichica, adesso vi è il compito di un distacco ulteriore: il distacco dalla rappresentazione come oggetto interno per giungere alla funzione riflessiva del pensiero personale che deve conferire senso alla complessità degli eventi interni ed esterni, dell'esperienza attraverso un lavoro di identificazione e di disidentificazione, di legamento e di slegamento dell'investimento pulsionale sugli oggetti i cui risultati hanno la caratteristica della provvisorietà.
Sessualità e pensiero dunque, inscindibili tra loro, assumono una connotazione naturalmente trasgressiva rispetto al contenitore familiare dell'infanzia proprio nel momento in cui irreversibilmente sono collocate nel tempo e nell’ordine delle generazioni. Il gioco infantile che riproduce e rielabora si trasforma in esplorazione di un ignoto che è contemporaneamente dentro e fuori. Il "conosci te stesso" e il "conosci l’altro", in ogni caso divenuti stranieri.
In ciò consiste l'apertura all'esperienza che, secondo me, caratterizza in modo specifico l'adolescenza. Esperienza come apertura consapevole verso un ignoto che non si conosce. E questo ignoto è il tempo, inteso come dimensione della trasformazione, del giungere a maturazione, del compiersi e quindi dell'irreversibilità e dell'asimmetria che rompono ogni illusione di onnipotenza narcisistica, ma, proprio grazie a questo, inaugurano la possibilità stessa dell'esperienza.
L'Io adolescente è dunque essenzialmente un Io in formazione e la sua indefinitezza coincide con l'indefinitezza dell' esperienza stessa.
Insisto sul termine "esperienza" perché contiene quell'elemento insaturo, indefinibile proprio di qualcosa che è in atto, che è nel tempo e che non può essere inquadrato in una definizione, in un'idea, in una struttura, che, come tali, sono fuori dal tempo.
L’"avant coup" è il tempo dell' esperienza, l’"aprés coup" è il pensiero che si illude di prescinderne, di collocarsene in qualche modo fuori. Si dice: "fermiamoci" a riflettere, come se fermarsi fosse possibile al tempo. Time out.
Se il genere letterario e narrativo caratteristico dell'età infantile era la fiaba e il mito, strutture ripetitive che "catturavano" il tempo in uno schema fisso e ritualizzato, in una sorta di liturgia dell'immaginario, ciò che corrisponde all'adolescenza è il romanzo, e in particolare il romanzo di formazione.
A. Green ha sottolineato che le teorie sessuali dell'infanzia costituiscono dei "modelli di spiegazione storica: dicono 'perché', alla maniera dei miti" e aggiunge: " Le teorie sessuali ancorano il corpo
del bambino a quello dei genitori, il romanzo familiare tenta di realizzare il destino dell'eroe allontanandolo dal focolare domestico in cerca di nuove avventure". (L'originaire dans la psychanalyse, 1991, 52). Il passaggio dalla fiaba-mito al romanzo segna il mutamento nella percezione della temporalità.
Anche Freud ha paragonato l'eroe dei romanzi avventurosi a "sua maestà l'Io", contrassegnato dall’invulnerabilità. Tuttavia occorre qui considerare non tanto questo eroe invulnerabile e stereotipato, ma un nuovo tipo di eroe, quello che caratterizza i romanzi di formazione.
Il grande teorico della letteratura Michail Bachtin ha mostrato che nei romanzi tradizionali, quelli a cui si riferiva Freud, l'eroe è "bell'e fatto", è la costante rispetto a tutte le altre grandezze della vicenda romanzesca che sono variabili; nel romanzo di formazione (bildungsroman) invece l'eroe è "l’uomo in divenire" e la vicenda narrata è "il processo di educazione dell'eroe". Questi diviene così un "'unItà dinamica". Dice Bachtin: "Il tempo s'immette nell'interno dell'uomo, penetra nella sua immagine, mutando sostanzialmente il significato di tutti i momenti del suo destino e della sua vita". (L'autore e l'eroe, 208). Nei romanzi tradizionali la realtà è data una volta per tutte, è quello che è, nel romanzo di formazione invece "l'uomo diviene insieme al mondo".
Potremmo tradurre: l’Io adolescente in quanto Io in formazione attraverso l'esperienza modifica la percezione della realtà. Il principio di realtà e la sua "ananke" quIndi non sono capisaldi immutabili, ma sottoposti anch'essi alla trasformazione del tempo che accompagna il processo di formazione dell’adolescenza.
Questo processo di formazione nasce dall'immaturità dell'io, immaturità che Winnicott ci ha insegnato a rispettare come un bene prezioso piuttosto che come un difetto; e si svolge attraverso modalità che non sono definibili in partenza, che si definiscono solo strada facendo nell’accadere del tempo. Anche questa indefinitezza dinamica penso vada considerata alla stregua di un valore prezioso, è lo scontato, il già definito, vale a dire la meccanicità anonima che costituiscono il patologico, l'assenza di soggettività in fieri. Tutto questo pone l'analista di adolescenti in una posizione spiazzata rispetto al suo ruolo tradizionale. Non è infatti chiamato per prima cosa ad utilizzare la nevrosi di transfert come laboratorio per conseguire Quella vantaggiosa alterazione dell'io che è lo scopo precipuo della tecnica classica con pazienti adulti. E non è nemmeno chiamato in primo luogo ad un contenimento trasformativo attraverso la reverie che favorisca la rappresentazione e l'elaborazione dei fantasmi. E’ chiamato ad un compito paradossale (Freud direbbe impossibile). Da un lato deve svolgere la funzione di un appoggio narcisistico all'io in formazione dell'adolescente, dall'altro deve mantenere la distanza della neutralità e dell’astinenza. Deve cioè collocarsi proprio sul confine che- tradizionalmente separa la tecnica psicoanalitica propriamente detta da quella psicoterapeutica.
Ritengo però che tale confine non sia in realtà un compromesso, un adattamento, ma come tutti i confini sia l'indice di una terza via.
Vediamo meglio. L'appoggio narcisistico non è da intendersi come una stampella, una protesi per un Io deficitario, inconciliabile col principio di neutralità e di astinenza del metodo classico. E' invece l'espressione di quello che potremmo definire narcisismo di transfert per distinguerlo dalla nevrosi di transfert. Se quest'ultima è la riedizione di una struttura conflittuale inconscia, il narcisismo di transfert è l'esprimersi nella relazione analitica di una ferita, di un vuoto narcisistico che riattivano l'area traumatica precoce all'interno di una crisi d'identità attuale e fisiologica. La funzione di appoggio si esplica non tanto nel fornire i servigi di un presuntuoso lo ausiliario, quanto nel costituirsi da parte dell'analista come compagno di viaggio competente che guidi e sostenga l'adolescente nel suo viaggio di formazione collocandosi volta per volta a quella giusta distanza variabile che permetta all'adolescente di sentire il suo viaggio come un'avventura protetta, come un atto creativo e non come una forma di controllo o di riabilitazione. Forse mai come nel corso dell' analisi di adolescenti neutralità ed astinenza trovano la loro collocazione ideale. Se possono apparire come una tecnica per favorire l'emergere dell'inconscio, sono in questo caso la posizione naturale dell'adulto con il suo supposto sapere di fronte all'evenienza del farsi adulto di un altro che, per far questo, esce dalla circoscrizione familiare dove l'adulto è contrassegnato dalla sua opposizione all'infantile. Neutralità ed astinenza sono l'espressione naturale di un vuoto identitario dell'adulto complementare rispetto a quello dell'adolescente. "Proprio perché non so chi sei non ti giudico. Proprio perché non so chi sei sono curioso di ascoltarti, perché solo ascoltandoti e conoscendoti nella tua alterità ridefinisco e ritrovo la mia identità".
Questo vuoto complementare, questa concavità narcisistica fungono da polo traente del processo di formazione dell' adolescente.
Sottolineo il fatto che si tratta di un vuoto complementare. Non il vuoto simmetrico espressione di una rinuncia e di un'abdicazione del ruolo adulto, per comodità o impotenza, che tanto spesso osserviamo nel rapporto genitori figli adolescenti e nemmeno il pieno oppositivo di chi pretende di sapere e di insegnare. Il vuoto complementare è quello di chi al contrario vuole imparare dall' altro e solo imparando da lui potrà insegnargli qualcosa. Come diceva Bleguer insegnare deve essere una forma di apprendimento condiviso, non la trasmissione di un sapere.
Il fenomeno dell'adolescenza con le problematiche relazionali che pone a chi voglia conoscerlo mostra con ogni evidenza come la conoscenza sia essenzialmente una crisi d'identità e un processo di formazione e questo non solo da parte dell'adolescente, ma anche da parte dell'adulto. Non vi è processo conoscitivo autentico che non comporti nel suo stesso verificarsi una modificazione profonda dei soggetti implicati in tale processo, e tale modificazione non può essere inquadrata preventivamente in nessuno schema, contiene l'inafferrabile indefinitezza dell'ignoto. La conoscenza è inscindibile dall'esperienza, è essenzialmente avventura.
Ritengo qui si possa individuare un nuovo paradigma che si aggiunge agli altri che abbiamo esaminato. Non è solo un adattamento della tecnica classica, ma una rivoluzione epistemologica all'interno di essa che riproduce la rivoluzione conoscitiva che caratterizza il processo adolescenziale.
Propongo di chiamare tale nuovo paradigma narcisistico-esperienziale. Narcisistico perché rimanda a un vuoto nella coesione del Sè che non è il prodotto di fantasie inconsce, ma l'espressione in atto di un trauma identitario. L'appoggio ad un interlocutore competente è un bisogno naturale non di consigli e di supplenze, ma di una funzione capace di attivare la capacità autonoma di fare esperienza. Ora, come sappiamo, l'esperienza non è insegnabile in quanto tale, si può insegnare solo ciò che è il risultato di un'esperienza. Tuttavia può essere per così dire messa in movimento, avviata dall'incontro con l'altro. Se non fosse un termine connotato tanto negativamente potremmo forse usare la parola "seduzione" per indicare questa funzione analitica di attivazione che trae fuori l'interesse, la curiosità, la passione dell'esperienza come processo conoscitivo di formazione, non attraverso un fare, un dare, un porre, ma al contrario attraverso un aspettare, un chiedere, un levare, vale a dire attraverso la neutralità e l'astinenza che da sempre hanno definito l'ascolto analitico. Come si vede, nonostante le apparenze, restiamo nel classico.
La parola "esperienza" io penso che contenga qualcosa di più e di diverso dalla parola "relazione", a cui siamo ormai da tempo abituati. Introduce infatti il dinamismo della dimensione temporale con le sue caratteristiche di indefinitezza e di imprevedibilità. L'esperienza è un'avventura e come tutte le avventure non si sa come andrà a finire. Ma vale la pena di essere vissuta.
Questo nuovo paradigma comporta naturalmente, come è accaduto con l'analisi infantile, conseguenze cliniche importanti. Proviamo a vederne alcune.
Per prima cosa vi è anche in questo caso un cambiamento nel concetto di transfert.
Fonaguy ha recentemente parlato di "transfert riflessivo" e, in Italia, G. Giaconia di "transfert narcisistico". Non si tratta di un nuovo tipo di transfert che si aggiunga o sostituisca il transfert oggettuale, ma dell'individuazione di una dimensione narcisistica del transfert che l'esperienza di terapia con gli adolescenti ha evidenziato in modo caratteristico.
Il transfert invece di essere concepito unicamente nel suo aspetto proiettivo e ripetitivo viene considerato anche nel suo aspetto naturale di appoggio formativo del processo identitario. Ciò che viene messo in gioco nel transfert non sono soltanto i contenuti dell'investimento pulsionale e le modalità relazionali o gli stili di attaccamento del passato, ma anche un resto insaturo di potenzialità creative in via di formazione, ignote non perché rimosse, scisse o implicite, ma perché ancora non sperimentate.
In secondo luogo vi è un cambiamento nel concetto di Setting.
Con gli adolescenti, proprio per la loro natura in trasformazione, il Setting non può essere un presupposto stabilito in partenza come le regole di un gioco, ma una funzione del pensiero e della relazione da scoprire e creare strada facendo. Il Setting perde la sua staticità istituzionale con le sue forme canoni che e i suoi eventuali adattamenti pragmatici, diviene invece un'entità dinamica, risultato sempre in movimento di due competenze: la nascente competenza riflessiva di un lo in formazione e la ogni volta rinnovata competenza d'ascolto di un interlocutore analitico. Competenze che si attivano e si provocano secondo una modalità complessa e imprevedibile che trova la propria organizzazione nell' accadere dell'esperienza. Al di là della sterile e consunta contrapposizione tra simmetria e asimmetria, possiamo parlare di complementarità dinamica di competenze che si generano reciprocamente. Nel corso, spesso burrascoso, della terapia l'adolescente scopre il Setting come uso ottimale della potenzialità della relazione con l'altro e come spazio riflessivo della propria identità. L'elasticità del Setting che gli adolescenti impongono è dunque l'espressione di una sua specificità costitutiva e non un semplice adattamento.
Infine vi è questa centralità temporale dell'esperienza nel processo di formazione adolescenziale. Oltre il mito dell'atemporalità dell' Inconscio, del determinismo psichico e della coazione a ripetere vi è un posto anche per il tempo dell'avventura, dell'evenienza che non si sa. La neutralità, l'astinenza, la giusta distanza variabile dell' analista si ridisegnano in questo contesto come fattore terapeutico fondamentale di attivazione del processo di soggettivazione in quanto introducono e testimoniano una nuova percezione della temporalità come apertura in contrapposizione perturbante rispetto allo schematismo rigido delle difese di un'identità immaginaria.
Forse potremmo dire che l'adolescenza è 1'entropia di ogni sapere e di ogni identità, entropia che contiene la distruzione, ma contemporaneamente la speranza.

BIBLIOGRAFIA

Bachtin M., (1979) "Il romanzo di educazione" in "L'autore e l'eroe", pag. 208. Einaudi 1988.
Cahn R., (1998), "L'adolescente nella psicoanalisi", Borla 2000.
Freud S., (1932) "Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie)", pag.253. OSF vol. 11.
Green. A., (1991), "L'originaire dans la psychoanalyse" in "La diachronie en psychoanalyse", Parigi 2000.
Green A., "Le temps éclaté", Parigi 2000.

RIASSUNTO ( Relazione di Giuseppe Pellizzari )

In questo lavoro viene proposta la tesi secondo la quale lo sviluppo sempre crescente della psicoanalisi degli adolescenti negli ultimi decenni, abbia comportato, più nei fatti che nella teoria, un cambiamento del paradigma “classico” della psicoanalisi stessa di considerevole importanza, in maniera analoga a quanto era già successo con l’affermarsi della psicoanalisi dei bambini agli inizi degli anni quaranta.
Il paradigma storico-ricostruttivo che aveva caratterizzato fino a quel momento la psicoanalisi, fondato sulla dialettica nevrosi infantile -nevrosi di transfert, veniva di fatto affiancato da un nuovo paradigma, che poneva in relazione nell’ “hic et nunc” della relazione terapeutica, la fantasia inconscia e l’azione sintomatica che la rendeva visibile semiologicamente .
Questo nuovo paradigma viene definito linguistico -relazionale.
Venendo all’adolescenza, questa rappresenta un processo, un cambiamento di stato, una condizione di fisiologica instabilità. Essa, come scioglimento della simbiosi che vincolava il bambino all’adulto, pone drammaticamente il problema della identità e dell’alterità.
Ebbene, non potremmo considerare ogni paziente autenticamente in analisi come strutturalmente adolescente, dato che si trova alle prese con i processi di formazione dell’identità tipici dell’adolescenza?
Così può essere avanzata l’ipotesi che lo studio dei processi adolescenziali presenti diversi punti in comune con lo studio del processo psicoanalitico in quanto tale.
Pertanto viene ritenuto necessario individuare un nuovo paradigma da aggiungere agli altri due, che può rappresentare una rivoluzione epistemologica all’interno della teoria “classica”.
Questo paradigma viene denominato narcisistico -esperienziale .
Narcisistico perché rimanda a un vuoto nella coesione del Sé, come espressione in atto di un trauma identitario. Esperienziale perché chiama in causa un interlocutore competente che eserciti una funzione capace di attivare la capacità autonoma di fare esperienza .

Note:
* Relazione al 5° Convegno Nazionale di Psicoterapia dell’adolescenza “L’adolescente tra contesti naturali e contesti terapeutici” 18 e 19 ottobre 2002-Firenze





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