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Anno III - N° 1 - Gennaio 2003

Recensioni




Il racconto e il legame

“Adolescence”, n. 40, estate 2002, volume n. 20, “Il racconto e il legame”

Recensione a cura di Sabina Lambertucci Mann



“Il racconto e il legame” è il titolo del quarantesimo numero della rivista Adolescence a cui potremmo aggiungere un sottotitolo: “il racconto del legame”, poiché trovo che sia soprattutto del legame e del suo accavallamento con il rapporto con l’oggetto che viene trattato in questa ricca raccolta di articoli.
La materia è trattata in modo molto eterogeneo dagli autori: alcuni articoli più teorici precedono altri in cui la clinica è in primo piano e altri ancora in cui le riflessioni sul “racconto” richiamano delle opere letterarie. A tale proposito volevo ricordare l’articolo di S.de Midolla-Mellor “Sessualità e astrazione” che tratta di problemi di identità a partire dal libro in parte autobiografico di Musil: “I turbamenti del giovane Torless”.
L’articolo di Philippe Jeammet (“I legami, fondamenta del soggetto: dalla costrizione al piacere”) apre questo volume della rivista. In una prima parte l’autore sottolinea l’importanza della qualità degli stadi narcisistici nello sviluppo del bambino. La costituzione del narcisismo non può concepirsi senza richiamarsi alla relazione con l’altro: “per essere sé, bisogna nutrirsi degli altri e, al tempo stesso, bisogna differenziarsi dagli altri”, scrive Jeammet.
Ma se il bambino costruisce degli stadi narcisistici nello scambio con l’oggetto, è certo la qualità della risposta di quest’ultimo che modula nel ritorno, il suo “piacere di funzionamento” e le sua capacità di legame fra il piacere e l’aggressività.
L’interiorizzazione di questa relazione permette al bambino di sviluppare le sue proprie capacità di attesa e, sostenendosi sulle tracce fisiche dell’oggetto, arriva a costituirsi un inizio di rappresentazione mentale di quest’ultimo.
Secondo Jeammet quando i rapporti nell’ambiente sono scadenti , (nel senso di un eccesso o di una mancanza di questi ultimi), il bambino rimpiazza l’assenza o la mancanza dell’oggetto con una ricerca meccanica di sensazioni corporali che hanno una valenza di autodistruzione.
“La sensazione fa contatto, ma non legame - scrive Jeammet - più la relazione è assente, più diventa violenta”. Quando l’equilibrio narcisistico non è assicurato, il bambino (e più tardi l’adolescente) fa ricorso agli oggetti della realtà esterna per lottare contro le sue angosce di disorganizzazione. é in questo tipo di relazione con l’altro che Jeammet riconosce l’inizio di una relazione d’impresa, così come P. Denis l’ha descritta, in cui il funzionamento psichico sarebbe caratterizzato dalla prevalenza di una relazione di dipendenza per lottare contro l’insicurezza interna. é giustamente nell’adolescenza che l’organizzazione della dipendenza costituisce una delle parti più dure del lavoro di elaborazione psichica. La dipendenza dagli oggetti esterni rimanda anche alla problematica della separazione. Affinché la separazione sia tollerabile, essa “richiama uno scarto fra l’oggetto e il soggetto” - scrive Jeammet - e “la permanenza nel soggetto di un riferimento interno che è un rapporto sufficiente con l’oggetto da cui esso si separa senza confondersi con lui”.
La questione dell’articolazione fra due teorizzazioni opposte è attualmente al centro di un grande dibattito fra gli psicoanalisti, i ricercatori e i medici che si occupano dell’infanzia e dell’adolescenza. é questo il punto di partenza di R. Roussillon che, nel suo articolo ricco e chiaro (“il legame, l’attacamento e il sessuale”), cerca di mettere in dialogo la teoria dell’attaccamento con la teoria psicoanalitica (cioè la teoria freudiana della sessualità infantile). Riferendosi anche a Winnicott e al suo augurio di giungere ad una “tolleranza del paradosso”, l’autore ci fa condividere “una terza forma di teorizzazione” che possa tener conto di due posizioni teoriche, quella legata ad una “osservazione dell’esterno” (la teoria dell’attaccamento) e quella legata ad un’osservazione dell’interno (teoria psicoanalitica).
L’autore ritrova la distanza maggiore fra le due concezioni nella diversa importanza data alla sessualità o meglio al sessuale. Sessuale e sessualità sono allora due concetti che Roussillon giunge a spiegare, a mio avviso, in modo estremamente soddisfacente: “La sessualità designa un comportamento, il sessuale un meccanismo psichico, quello del piacere-dispiacere . E’ chiaro - scrive Roussillon - che la denominazione di sessuale deriva dalla sua connessione con la sessualità e, d’altro canto, che sia l’una che l’altro sono questioni d’interpretazioni, di concezione, e non solamente di osservazione’”. Roussillon si riferisce alla sessualità descritta da Freud: cioè, egli sottolinea la differenza fra la sessualità genitale’ e sessualità “nella concezione più ampia che la psicoanalisi gli riconosce” in quanto “livello di sessuale che penetra in tutto il funzionamento psichico anche se non ne è il tutto”.
Ma come arrivare a leggere, ad interpretare la parte osservabile di una relazione, come arrivare a comprendere ciò che ritorna alla sessualità da un legame all’altro?
Evidentemente, non si può tralasciare l’importanza del senso soggettivo che ogni relazione esprime in un modo o nell’altro; ed è proprio questa “esperienza soggettiva” che sembra costituire la parte meno visibile dell’iceberg della relazione con l’altro.
Parlando di legame, è dei primi rapporti madre/bambino di cui stiamo parlando. Il rapporto primario del “trovarsi e del perdersi nello specchio dell’altro e di trovarsi e di differenziarsi dall’altro” costituisce ciò che Roussillon chiama “l’omosessualità primaria copiata, duplicata”, riprendendo e rielaborando il concetto di “omosessualità primaria” di E. Kestemberg.
é nel rapporto primario che il bambino scopre la sua differenza ma ugualmente si sente simile all’altro. La domanda che interessa gli psicoanalisti non è la “realtà” degli scambi madre/bambino, ma l’insieme del “processo d’interiorizzazione”, cioè a dire come il soggetto arriva a dare un senso, a far diventare propria l’esperienza del rapporto?
é così che si arriva a richiamare l’importanza della costituzione della rappresentazione dell’oggetto. Ciò nonostante, dare un senso all’esperienza vissuta nel rapporto con l’altro implica anche degli echi di questo legame sull’oggetto, una “dialettica che va a stabilirsi fra rappresentazione interna e oggetto esterno”.
E Roussillon conclude il suo articolo con la domanda: come poter pensare la realtà psichica senza far appello alla realtà esterna? Ciò significa mettere in rapporto dialettico queste due teorie che sembrano opporsi ma che, invece, si completano e coesistono: la teoria dell’attaccamento e quella della sessualità infantile.
L. Slama, nel suo articolo “I legami pericolosi”, si colloca indirettamente in continuità e in dialettica con i quesiti sollevati da Jeammet e Roussillon a proposito dei legami fra realtà esterna e realtà interna.
Slama, attraverso il racconto di una cura di un’adolescente con atteggiamenti autodistruttivi e violenti, sottolinea come questa paziente, durante la sua infanzia, avesse subito traumi intensi e gravi (aggressioni fisiche da parte di suo padre e un’incapacità totale di sua madre ad avere un ruolo come polo d’eccitazione) che l’avevano, durante l’adolescenza, spinta a trovare come unica difesa efficace l’identificazione con l’aggressore.
Questo meccanismo di difesa si esprimeva con attacchi molto violenti sul proprio corpo che ci ricordano ciò che Jeammet scriveva, nel suo articolo nello stesso numero di questa rivista, sulla “insufficienza dei legami precoci” e la ricerca attiva delle sensazioni fisiche per lottare contro le debolezze o l’assenza dell’oggetto esterno.
La paziente ricercava legami amorosi con persone potenzialmente pericolose, cosa che sembrava raddoppiare i suoi traumi infantili precoci legati a una realtà esterna vacillante.
é ciò che l’autore chiama “i legami pericolosi”, dove la rabbia e la distruttività sono in primo piano come difesa contro il timore della passività e di una dipendenza eccessiva rispetto all’oggetto idealizzato.
Segnaliamo che anche altri articoli clinici arricchiscono questo numero di Adolescence: quello di A. Brun sull’esperienza terapeutica di un laboratorio di scrittura con adolescenti e quello di I. Durand-Pilat e T. Vincent sugli atteggiamenti che i pazienti anoressici hanno nei confronti dell’apprendimento e del conoscere.
Ugualmente interessante è l’articolo di S. Tisseron: “Come aiutare gli adolescenti a non essere condizionati passivamente dalle immagini”; in cui l’autore evoca tre modi impiegati dagli adolescenti per “amministrare” la loro angoscia provocata dalle immagini violente: il linguaggio, le rappresentazioni interiori e le rappresentazioni corporali.

(Traduzione dal francese di Tito Baldini e Marianna Capretti)





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