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Anno III - N° 1 - Gennaio 2003

Recensioni




Omosessualità

Adolescence, n. 37, primavera 2001, volume 19, “Omosessualità 2”.

Recensione a cura di Sabina Lambertucci Mann



Questo numero è nato dalla riflessione di un gruppo di lavoro incentrato sulla questione dell’omosessualità nell’adolescenza, e fa seguito al convegno del 15 gennaio 2000, organizzato dall’UNESCO a Parigi (sempre dalla rivista Adolescence) e intitolato “Emergenza dell’omosessualità nell’adolescenza”.
L’interesse di questa pubblicazione consiste nella molteplicità degli interventi sull’argomento e nella varietà e diversità dell’esperienza clinica riportata da ogni autore. Alcuni articoli focalizzano sull’elaborazione teorica e meta-psicologica dei processi omosessuali nell’adolescenza e si alternano con altri articoli che privilegiano il racconto spesso dettagliato e denso dei trattamenti psicoanalitici degli adolescenti che presentano comportamenti omosessuali.
S’intravede quindi un filo conduttore rappresentato dalla discussione a proposito della clinica: i processi omosessuali analizzati nei pazienti in psicoterapia analitica o in alcuni scrittori come Mishima e Hervé Guibert.
Una delle principali domande è quella richiamata dal Direttore della Rivista, Philippe Gutton, nel suo articolo d’apertura “Processi omosessuali in pubertà”. Egli scrive: “Non c’è normalità, ci sono dei compromessi umani da trovare”, volendo sottolineare così il rischio di rinchiudere queste identificazioni adolescenziali “nel ghetto di uno stato predeterminato anche quando queste sviluppano un’apertura soggettivante”.
Questo autore tiene anche a sottolineare il cammino intrapreso dal gruppo di analisti della rivista Adolescence dal 1989, anno di pubblicazione di un primo numero intitolato “Omosessualità” in cui questo argomento non era ancora stato elaborato così sottilmente come nel corso di questi ultimi anni.
Gutton riprende i due tempi della sessualità: lo sviluppo della sessualità infantile e la sua riorganizzazione successiva nella pubertà. é a partire da questo concetto di processo “pubertario” che egli spiega i processi omosessuali, molto spesso presenti nel corso della crescita adolescenziale. L’autore c’invita all’elasticità e alla prudenza quando ci si occupa d’adolescenti cha abbiano comportamenti relativi a fantasmi d’omosessualità: “La confusione a volte è grande negli interrogativi, fra l’identità sessuata immutabile (paragonabile ad una razza, una sotto cultura) e il comportamento”.
Strutture e comportamento (interni ed esterni) tracciano figure combinate. Gutton s’interroga sulla problematica omosessuale seguendo il percorso delle difficoltà identificative in adolescenza.
Egli evoca delle forme d’omosessualità al funzionamento psicotico che egli avvicina alla “clinica del breakdown”, definita come una “mancanza d’identificazioni”, un’insufficienza degli stadi narcisistici.
Ma la maggior parte delle volte l’omosessualità adolescente è l’espressione delle riorganizzazioni pubertarie in corso. Si tratterebbe allora di un comportamento omosessuale che “riflette una posizione narcisistica pubertaria, completamente paragonabile a quella dell’eterosessualità”. E alla fine del suo articolo Gutton si domanda: “ se la vera domanda non sia, più che la scelta dell’oggetto, la capacità dei comportamenti e dei fantasmi d’infiltrarsi più o meno nel sadomasochismo”.
J. Bergeret, nel suo articolo “Omosessualità o omoerotismo nell’adolescenza”, riprende la nozione di “omoerotismo” così com’è stata descritta da Freud nella sua corrispondenza con Fliess nel 1899. Secondo l’autore, Freud, volendo definire le diverse tappe di costituzione del narcisismo primario e secondario, evoca tre momenti nella trasformazione della libido narcisista: l’autoerotismo, l’omoerotismo e l’eteroerotismo.
E' il termine omoerotismo che Berget riprende, appoggiandosi ugualmente alla definizione della stessa parola annunciata da Ferenczi nel 1911 e collegata all’adolescenza.
Questo termine di omoerotismo corrisponde a una tappa d’integrazione fra il narcisismo primario e secondario prima del passaggio allo stadio genitale. L’investimento dell’oggetto è ancora di natura narcisistica nel corso del periodo adolescenziale. Bergeret si erge contro l’utilizzo del termine “omosessualità” nell’adolescenza e scrive “essendo incompatibili le due componenti di questo termine, poiché non si può essere allo stesso tempo “omo” (che rimanda solo ad una rappresentazione di se stesso) e “sessuale” (cioè rapportandosi a due Ôoggetti diversi di sé’ in quanto identità primarie, e differenti fra loro in quanto identità secondarie)”.
Quest’autore preferisce usare il termine omoerotismo per i passaggi all’atto omosessuale degli adolescenti. Ritrova così tre forme d’omoerotismo di gravità diversa.
La prima sarebbe di tipo transitorio, espressione di un “rafforzamento difensivo del fallicismo narcisista” e visibile nella maggior parte degli adolescenti di ambedue i sessi.
La seconda caratterizzerebbe le patologie di tipo narcisistico. Questa forma patologica d’omoerotismo, sarebbe piuttosto una difesa contro degli attacchi depressivi intollerabili per l’adolescente che utilizzerà i comportamenti omosessuali per sopportare il peso della sua angoscia per condividerla con un “doppio” narcisistico.
La terza forma di omoerotismo conferma una patologia più grave di tipo pre-psicotico o anche psicotico e la scelta di un personaggio doppio di se servirebbe, in questo caso, all’adolescente a sentirsi sostenuto dai suoi propositi deliranti o quasi deliranti piuttosto che ad essere sollevato da un’angoscia depressiva.
Bergeret ci mette in guardia a proposito dell’utilizzo del termine “sessualità” nel corso dei trattamenti con gli adolescenti. é essenziale, secondo lui, che gli analisti siano rigorosi, sia nella terminologia sia nei diversi approcci clinici con gli adolescenti.
C. Chailand ci riporta la sua esperienza con alcuni giovani adulti transessuali. Egli tiene a sottolineare che l’attrazione per una persona dello stesso sesso non ha lo stesso significato per i transessuali che per gli omosessuali. In effetti, le persone transessuali non si considerano omosessuali, ma dicono di essere attratti da una persona di sesso opposto al loro sesso di assegnazione (quindi dello stesso sesso del loro così detto sesso biologico).
Le persone omosessuali non si definiscono membri dell’altro sesso. L’atteggiamento e le sensazioni legati ai rapporti sessuali sono così diversi. I transessuali si sentono vittime di un errore della natura.
é durante la pubertà che i futuri omosessuali e transessuali esprimono il loro malessere. C. Chailand fa allusione alla sua esperienza clinica constatando che gli adolescenti che abbiano richiesto una trasformazione ormono-chirurgica del sesso rinunciano spesso, dopo una lunga psicoterapia, a questa richiesta e si dichiarano omosessuali.
L’autore insiste ugualmente sulla difficoltà per l’analista di ascoltare un paziente transessuale: “I pazienti non parlano il linguaggio del desiderio e dei conflitti psichici familiari; essi mettono a disagio il loro analista parlando solamente della loro castrazione o della loro mastectomia (...). E, nonostante ciò, essi hanno il desiderio di comunicare (...), ma (...) non si può ascoltare un transessuale come se si trattasse di una nevrosi”.
D. Marcelli ci propone di leggere l’agire omosessuale nell’adolescenza alla luce delle distorsioni del rapporto madre/bambino. L’autore si propone di differenziare, nel raggio di tutti i casi clinici, alcuni casi d’omosessualità maschile da altri casi d’omosessualità femminile.
Altri autori, come C. Sevinaud, interpretano l’omosessualità adolescenziale come una mancanza nella costituzione degli autoerotismi infantili legata ad una carenza del funzionamento materno di co-eccitazione durante l’infanzia e ad un investimento massiccio del personaggio paterno nell’adolescenza. Il padre sarebbe investito in modo idealizzato come una figura “grandiosa”, e ciò costituirebbe un freno alla riorganizzazione identificativa nei ragazzi adolescenti: “La sola apertura possibile intravista da un adolescente sarebbe di ‘fare la ragazza’ per evitare la minaccia castratrice del padre e attirarsi i suoi favori”.
“Omosessualità, omofilia e fantasma di auto-generazione” è il titolo di un articolo ugualmente interessante, scritto da J.B. Chapelier. é a partire da questa pratica clinica con alcuni gruppi di adolescenti che l’autore ci propone di considerare la specificità del fantasma di auto-generazione già descritto nel 1955 da E. Bizouard come “il quinto fantasma organizzatore” nell’adolescenza. Questo fantasma contribuisce, a quest’età, al disconoscimento dei fantasmi di castrazione e della scena primitiva. Secondo l’autore, il fantasma dell’auto-generazione che sostituisce il fantasma della scena primitiva aiuterebbe l’adolescente a rafforzare le sue sedi narcisistiche: il problema edipico è in un primo momento evitato, permettendo così l’allontanamento di effetti depressivi. J.B. Chapelier scrive: “D’altronde, il fantasma di auto-generazione corrisponde all’origine della pubertà e permette d’integrare questa nel soggetto (all’inizio dell’adolescenza, la pubertà è spesso vissuta come uscita da una persecuzione esterna); esso aiuta l’adolescente a prendere il posto nella filiazione (poiché non sarebbe più annesso ad una posizione infantile imposta dal gruppo familiare) e ad avere un ruolo nel gruppo sociale”.
Altri autori come M.C. Aubry et A. Brousselle, così come M.J. Del Volgo e R. Gori, descrivono la nascita del vissuto omosessuale a partire da due casi clinici differenti, dove i movimenti passionali ed erotomanici colorano i rapporti con gli altri e le relazioni transferali.
A. Bernard espone la sua ricerca sul comportamento omosessuale degli adolescenti sordi affetti da AIDS. Questi adolescenti scelgono spesso partners udenti affetti anch’essi da AIDS. Secondo l’autore, l’omosessualità in pazienti sordi sarebbe l’espressione di un omoerotismo transitorio che permette il compimento del lavoro psichico dell’adolescenza.
Altri autori s’interrogano sulla clinica dell’omosessualità femminile nell’adolescenza (C. Ternynck), circa la riorganizzazione della figura del padre a quest’età (chiamata “ipocrisia del padre” da L. Gadeau) e sulla sofferenza psichica dei giovani ragazzi omosessuali fra gli 11 e 15 anni (M. Fize).
Altri articoli di psicoanalisi “comparata” completano questo ricchissimo volume: lo studio clinico di un caso di un’adolescente, che aveva vissuto agli inizi del XIX secolo e che presentava una sindrome di personalità multipla (F. Rausky); una lettura del film “American Beauty” di Sam Mendes (M. Houser) e l’analisi di comportamenti sessuali (“pseudo-sessuali”, ci dice l’autore) dei suoi protagonisti.
Al centro di quest’opera è stato inserito un “dossier” particolarmente interessante, ricco ed emozionante: il “Dossier Joyce Mc Dougall”. Questa parte si compone di quattro parti: un’intervista di J. Mc. Dougall, un articolo di M. Colcos ed E. Sabouret redatto a partire da un intervento fatto da J. Mc Dougall, il racconto di un caso d’analisi di una paziente omosessuale di Mc Dougall ed un estratto di uno dei suoi articoli pubblicati nel 1985 in “Psicoanalisi all’Universià”.
Joyce Mc Dougall ci fa un racconto molto emozionante e pieno di humor di alcuni dei suoi incontri con degli adolescenti seguiti da lei stessa in psicoterapia più di quarant’anni fa.
I suoi pazienti esprimevano, in un modo o nell’altro, vissuti legati all’insorgere della loro sessualità infantile con la sorpresa di un conflitto edipico e dei fantasmi d’incesto e d’omosessualità. J. Mc Dougall ci ricorda le difficoltà riscontrate da S. Freud al momento della sua teorizzazione sulla sessualità femminile e sul “femminile” e ci mostra l’importanza del ruolo avuto dalla madre per la bambina o il bambino: “Credo che una madre trasmetta al suo bambino, come alla sua bambina, alcuni aspetti del suo personale vissuto della femminilità e che questa trasmissione è in seguito immagazzinata nella memoria del corpo”.
Così, in tutto il suo articolo, sottolinea la sua idea che l’identità di genere non è innata ma legata alle esperienze dell’infanzia e al discorso dei genitori sulla sessualità.
A proposito dei pazienti omosessuali, J. Mc. Dougall ritorna sulla sua preoccupazione circa l’importanza dell’avere rispetto per i loro orientamenti sessuali e, prendendo in considerazione la loro sofferenza, sposta il problema di questi pazienti verso “l’identità soggettiva”: “Può essere che il perno non sia più (o non più solamente) l’anatomia e la problematica dell’essere di fronte all’altro, ma l’alterità, e l’esistenza stessa dell’altro nel nostro campo”.
La rilettura delle teorie dell’omosessualità nell’opera di J. Mc. Dougall ci rinvia alla finezza del suo ascolto, alla sua precisione interpretativa, alla sua impressionante creatività e ci ricorda la ricchezza di questo numero di Adolescence..

(Traduzione dal francese di Tito Baldini e Marianna Capretti)





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