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Anno II - N° 2 - Maggio 2002


Adolescenza e legislazione




La promozione dell’esperienza del gruppo in adolescenza (seconda parte)
Riflessioni sui centri di aggregazione giovanile attivati con il Fondo Nazionale Per L'infanzia e l'Adolescenza (Legge 285/97)

Daniele Biondo



1 - Psicoanalisi adolescenza e gruppo e processi educativi
In questo lavoro propongo una lettura delle esperienze realizzate con gli adolescenti all’interno degli specifici contesti promossi dalla legge 285, alla luce degli strumenti teorici e tecnici forniti dalla psicoanalisi dell’adolescenza, da quella dei gruppi e da quella delle istituzioni, che mi sembrano indispensabili per la piena comprensione di tali esperienze.
Il gruppo come dimensione essenziale dell’esperienza umana e della mente adolescente ha trovato nella psicoanalisi classica importanti ed approfondite teorizzazioni che hanno permesso di conoscere la natura dei legami con la tradizione familiare e con certe costellazioni psichiche trasmesse da una generazione all’altra (Kaes,1993) e la natura dei legami con la società che possiamo rintracciare nello sviluppo del senso comune e negli attacchi antisociali (Bion, 1992). Questi studi ci hanno permesso di ricostruire un anello importante del funzionamento mentale degli esseri umani, quello del gruppo, che lega l'individuo alla collettività. La dimensione del gruppo rappresenta per l'adolescente un ambiente centrale ed essenziale per la sua crescita, cioè per il suo inserimento nel mondo degli adulti. Ma il gruppo, come entità psichica, non coinvolge solo l’adolescente, ma, inevitabilmente, anche gli operatori che se ne prendono carico. Per tale motivo, occorre avvalersi degli strumenti conoscitivi forniti dalla psicoanalisi di gruppo per proteggere il raggiungimento degli obiettivi del gruppo di lavoro, altrimenti ostacolato da quelle “tendenze emotive di origine oscura” descritte da Bion (1961).
Come psicoanalisti di adolescenti siamo stati stimolati a dare il nostro contributo per realizzare una prassi educativa e preventiva informata sui processi inconsci delle relazioni affettive che si realizzano nei luoghi di incontro fra adolescenti ed operatori promossi dal nuovo quadro normativo. Gli sportelli di ascolto, i centri di aggregazione e gli altri servizi che la legge ha attivato in molte scuole o nel territorio, hanno permesso di realizzare osservazioni, diffuse su larga scala, in merito alla domanda che gli adolescenti portano ed alle problematiche soggiacenti il loro disagio. Osservazioni preziose per orientare l'offerta dei servizi per adolescenti che molte ASL del nostro Paese stanno attivando.
Già prima della promulgazione della legge, nel nostro Paese erano stati proposti alcuni modelli d'intervento psicoanaliticamente orientati, che si erano posti il problema di uscire dalla logica tradizionale della cura ambulatoriale per creare nuovi luoghi dell'incontro fra il clinico e l'adolescente, in modo da raggiungere aree di disagio più ampie e sommerse. I modelli teorici proposti hanno raccolto le indicazioni dei pionieri italiani della psicoanalisi dell'adolescenza, Tommaso Senise ed Arnaldo Novelletto. Tali modelli rappresentano la prospettiva più attuale ed originale che abbiamo a disposizione per orientare la promozione di nuovi spazi per gli adolescenti. Essa, partendo dalle teorizzazioni sulla "psicoterapia breve di individuazione" (Senise, 1990) e sulla "diagnosi di trattabilità" e "diagnosi prolungata" (Novelletto, 1986), pone il momento dell'accoglimento dell'adolescente come momento fondante della relazione terapeutica.
Da questa tradizione, arricchita dall'incontro con la psicoanalisi francese ed elvetica dell'adolescenza (P. Jammet, 1992, R. Chan, 1991, P.Gutton,1991, F. Ladame, 1981, L. Renard,1992, F. Privat, 199.), sono scaturite nel nostro paese numerose esperienze, che hanno allargato considerevolmente gli ambiti d'intervento dello psicoanalisi dell'adolescenza, grazie all’elaborazione di nuovi modelli concettuali. Questi hanno visto proprio nell’elaborazione di un pensiero gruppale il loro aspetto più innovativo. Mi riferisco, ad esempio, all’esperienza del Gruppo Romano di studio dell’Adolescenza condotta da Arnaldo Novelletto, ma anche ad altre esperienze che si sono realizzate nel nostro Paese all’interno di gruppi di professionisti. Esperienze centrate, ad esempio, sull'intervento con il gruppo-classe (Pietropolli Charmet 1997; Maggiolini 1997; Giori,1998) o con il gruppo di coetanei (Bernabei,1998) e sull'accoglimento degli adolescenti nei loro contesti di vita o in ambienti transizionali (De Vito, 1989 ; Bartolomei e Monterosa, 1993; Pelanda, 1998; Masina e Montinari, 1998).
La nuova prospettiva operativa del lavoro psicoanalitico in adolescenza aperta da queste esperienze, può oggi giovarsi, attraverso il confronto con le esperienze che numerosi colleghi stanno realizzando in varie parti del nostro Paese all’interno degli sportelli d’ascolto e degli ambulatori specializzati per adolescenti, della preziosa opportunità di una verifica e di una validazione su larga scala.
Se è relativamente facile immaginare che si realizzi uno serio confronto scientifico fra le esperienze che si realizzano nelle nuove dimensioni del lavoro clinico con gli adolescenti, mi sembra più difficile riuscire a realizzare un analogo sforzo per quelle esperienze che si realizzano nei contesti educativi, con particolare riferimento a quelli di cui specificatamente si occupa questo articolo, per la minore confidenza con il confronto scientifico degli operatori di questo tipo di servizi. In particolare, le scarne possibilità che vengono offerte agli operatori di questi servizi di fermarsi a pensare , anche perché troppo spesso dominati dall’urgenza del fare, producono una consistente difficoltà a decodificare gli aspetti più profondi della relazione educativa.
Ciò impoverisce notevolmente questo tipo di relazioni, fatto ancor più grave se si pensa che oggi disponiamo, come afferma Novelletto, grazie alle ricerche sulla relazione analitica, di un modello che può risultare utile anche per la comprensione della relazione educativa. “Questo modello consiste nel fatto che il soggetto osservante non tenda a rimuovere o reprimere le reazioni emotive che prova di fronte all’oggetto osservato ma, tollerandole, si soffermi ad interrogarsi sul significato di messaggio che questa interazione può contenere, e a cercare dentro di sé una risposta diversa dalla controreazione emotiva automatica” (Novelletto 1997, pag.11).
Occorre a questo punto ricordare che le resistenze a far incontrare i due ambiti delle relazioni umane, quello educativo e quello della cura psicoanalitica, sono da entrambi i lati consistenti. Penso ai sostenitori dell’intuito e della spontaneità della relazione educativa da un lato (vedi Anim. Soc. É..) e all’impossibilità di utilizzare le rigorose categorie psicoanalitiche fuori dal proprio specifico setting ( Semi, 1988). Credo che si possa rispondere con le parole di Bordi (1995), che ricorda che “ il rigore dell’intelligenza umana è sempre flessibile e che l’intuito risponde sempre all’ordine delle complesse strutture profonde (la sabbia dei deserti ha la stessa ondulazione di quella dei fondi marini)” (Bordi, 1995,pag. 31)
Ritengo importante che le diverse esperienze che si stanno conducendo nel nostro Paese all'interno dei servizi educativi per adolescenti, possano essere raccontate, con l’obiettivo, non trascurabile dal punto di vista simbolico, di dare loro una “pubblic-azione”, nel significato di validazione scientifica dell’esperienza, fornito da Bion (1992) al termine. E' questo un invito che spero possa essere presto accolto dai lettori di A&P.

2 - La relazione educativa fra gli operatori ed i ragazzi
All'interno della complessità data dal crocevia relazionale poliedrico (operatore-utente-committente) prima accennato, possiamo cogliere la peculiarità dell'impegno scientifico, culturale e educativo che è richiesto agli operatori nei servizi educativi promossi dalla legge 285.
Il funzionamento mentale degli operatori, può essere descritto, secondo i tradizionali parametri scientifici, come un funzionamento che prevede l'holding dei bisogni dell'utenza (per dirla con Winnicott), la "reverie" e la costruzione di pensiero dove vige prevalentemente l'azione (per dirla con Bion), il catalizzare le energie creative e l'individuare gli "orizzonti di senso" (per dirla con Paulo Freire). Tale funzionamento, al di là della dimensione educativa in cui si dispiega, ed anche al di là degli specifici riferimenti teorici di ogni specifico gruppo di operatori , è fortemente caratterizzato in termini di transfert-controtrasfert .Nella relazione educativa per transfert s’intende il desiderio nascosto che porta il ragazzo all’educatore, che comporta “la ricerca di soddisfazione rimasta delusa nel rapporto con i genitori, che viene riproposta ad ogni nuovo oggetto” (Novelletto, 1997, pag.9).
Il controtransfert ha, invece, a che fare con le risonanze interiori che il transfert del ragazzo produce nell’educatore, ed è considerato, quando viene da quest’ultimo riconosciuto, “la chiave di volta della relazione educativa” (Novelletto,1997).
Questo mi sembra essere uno dei contributi essenziali forniti dalla psicoanalisi per comprendere le dinamiche che si realizzano all’interno dei C.A.G. Non comprenderli porta operatori e ragazzi a scivolare “ in una collusione difensiva reciproca rispetto alla possibilità di una relazione autentica e differenziante”(Montinari, 2001).
Possiamo facilmente immaginare come queste dinamiche affettive profonde siano strettamente intrecciate con quelle di tipo organizzativo, che come si diceva all’inizio, caratterizzano il funzionamento di questo tipo di ambienti. Se pensiamo, ad esempio, a tutti i problemi economici ed organizzativi che la fase di avvio del piano per l’infanzia e l’adolescenza ha comportato in una grande città come Roma, possiamo immaginare quanto le reazioni emotive degli operatori e dei dirigenti degli enti del terzo settore che conducevano i servizi, abbiano influenzato l'esercizio del loro ruolo, rendendolo più difficile e faticoso (dimensione organizzativa del lavoro). A ciò si aggiunge il dato, estremamente innovativo, che la maggioranza delle esperienze attivate dalla legge si realizzavano in un setting inedito, quello della strada, del muretto , del centro aperto al quartiere, dello spazio per l’accoglimento. Non c'erano più i tradizionali settings in cui si realizzava l'incontro fra l'adolescente e l'operatore : la comunità, il soggiorno estivo, la casa famiglia. Questi semmai rappresentavano il punto di arrivo di un percorso con l'adolescente bisognoso, che prima andava agganciato nei nuovi "servizi cerniera" (Masina e Montinari, 1998). Per fare ciò è richiesto all'operatore un assetto mentale nuovo, capace di farlo stare dentro l'esperienza con la consapevolezza della pluralità dei soggetti in campo interessati da un lato e della nuova utenza che i nuovi settings permettevano di avvicinare. Non è più una situazione duale in un contesto conosciuto, ma una situazione poliedrica, nella quale s’inseriscono altre variabili spesso sconosciute e non facili da integrare (dimensione affettiva del lavoro educativo).
Ad esempio, il ruolo tradizionale dell’educatore era quello di promuovere un modello comportamentale, un modello di valori e di regole da condividere con i ragazzi. Si pensi alle comunità dove c’è un codice di valori ben esplicitato di cui gli educatori sono i portatori. Tale ruolo non può più essere esercitato nei nuovi ambienti educativi (centri di aggregazione, centri informagiovani, interventi di educativa di strada) promossi con i finanziamenti della 285, perché gli adolescenti adesso scelgono autonomamente di frequentare quel posto, non cercano più una guida, non riconoscono all’educatore quel ruolo, cercano intanto un luogo dove incontrarsi, in cui sentirsi accolti silenziosamente dall’adulto, in cui portare se stessi senza correre il rischio di trovare un adulto che li orienti in maniera rigida, normativa, predefinita, ma un adulto che è capace di ascoltarli, di parlare con loro, di farsi usare in maniera elastica, di integrare l'intervento con i ragazzi con quello con le ragazze, dei più giovani con quelli meno giovani, degli italiani con gli stranieri ecc. In queste condizioni, per dirla con Winnicott, l’importante è riuscire a sopravvivere. Il superamento dei modelli tradizionali d'intervento sia in campo educativo (centrati ad esempio sul piano normativo-valoriale come nel caso della proposta scout e dell'oratorio, oppure su quello della rigida divisione disciplinare e sessuale come possiamo vedere nelle palestre o nei campi sportivi) che psicologico (centrato sul binomio bisogno-assistenza), richiede di lavorare sulle differenze di genere, di età, di cultura, di provenienze geografiche, col fine di promuovere lo sviluppo normale dell’adolescente.
Dopo la crisi degli anni '80 dei tradizionali ambienti organizzati per la socializzazione degli adolescenti (l'oratorio, la società sportiva, il gruppo scout, il partito politico ecc.), la nostra società non è riuscita a fornire ai ragazzi alcun ambiente alternativo alla famiglia, lasciando il campo alle sale giochi, alle discoteche, ai bar. Con la legge 285/97 si è aperto un nuovo capitolo per la storia del rapporto fra le generazioni del nostro Paese, grazie alla promozione dei Centri di Aggregazione Giovanile. Tale nuova proposta ambientale è legata ad una profonda trasformazione del modo d'intendere i processi educativi ed è il frutto di un'importante trasformazione sociale. Trasformazione attivata dalla nuova consapevolezza sui rischi che l'adolescente corre nel suo processo evolutivo, che la psicoanalisi dell'adolescenza è riuscita a produrre. Rischi che vengono fortemente amplificati se l'adolescente non può usufruire di adeguati "ambienti naturali extrafamiliari" e, all'occorrenza adeguati "ambienti di soccorso" (Novelletto et al., 2000). All'interno di questi nuovi ambienti l'operatore si trova quindi al centro di un crocevia relazionale : da un lato deve fare i conti con un committente che gli propone nuovi settings all'interno dei quali operare e dall'altro è messo a confronto con una nuova utenza , portatrice di nuove domande e nuovi bisogni.
L’educatore, di conseguenza, non può più fare riferimento alla cultura professionale classica (centrata "sul fare", sulla "proposta") per il quale è stato formato, deve velocemente inventarsi una nuova cultura dell’accoglimento, dell'integrazione e della flessibilità dell'intervento capace di far diventare il centro un "punto di riferimento" per i ragazzi di uno specifico territorio. Una scommessa non facile da vincere! Occorrono dunque, come ben si può immaginare, modelli operativi nuovi, che necessitano oltre che di nuovi riferimenti scientifici, anche di un serrato confronto fra le esperienze realizzate sul campo.
Nei paragrafi precedenti sono stati elencati una serie di fattori presenti nella specifica situazione educativa del C.A.G. che la caratterizzano in termini di complessità. Rispetto alla complessità della relazione poliedrica che s’instaura all’interno dello specifico ambiente preso in considerazione, ogni pretesa efficientista di regolarla, organizzarla e gestirla, in modo da rendere prevedibili le dinamiche interne, prima o dopo è destinata a naufragare. Altrettanto disastroso è l’atteggiamento opposto del lasciarsi trasportare dalla corrente, nella sottomissione ad un modello di funzionamento lassista del C.A.G., che spesso segna la deriva di questo tipo di esperienze. Non resta che affidarsi, come non si è mai stancato di ricordare Bion, alla propria capacità di tollerare ambiguità e confusione, ed abbandonare ogni affannosa ricerca di specifiche tecniche o strumenti che possano magicamente proteggere l’operatore dall’esperienza angosciante di essere solo di fronte ai ragazzi. Di conseguenza l’operatore non può che attrezzarsi a fare fronte alla complessità del compito che gli è stato affidato, attrezzandosi a tollerare e comprendere i sentimenti di smarrimento, impotenza e frustrazione che essa provoca volta per volta in lui. Tale attrezzatura è fornita dal gruppo di colleghi che , grazie alla propria dinamica, può raggiungere un funzionamento mentale più complesso, più allargato e più articolato di quello individuale, consentendo così di fronteggiare la complessità della situazione.
Ancora prima dell'avvio della legge 285/97, l'Osservatorio sul Disagio Adolescenziale di Roma ha avuto il merito di porre la centralità dei bisogni degli operatori che si occupano di adolescenti (Novelletto e coll.,1998, 2001) e di raccomandare loro di valorizzare la dimensione gruppale del loro lavoro, e del gruppo esperienziale in particolare, come specifico strumento in cui elaborare i conflitti connessi alla relazione con il gruppo degli adolescenti e con quello dei colleghi. Conflitti che testimoniano l'oscillazione della mente dell'operatore fra rappresentazioni opposte dell'adolescente (adolescente in difficoltà o adolescente portatore di gran vitalità e ricchezza di potenzialità interiori, adolescente come bambino o come giovane adulto) alle quali corrispondono opposti atteggiamenti controtransferali che possono rappresentare, se non elaborati, un serio ostacolo alla relazione professionale con l'adolescente. Come afferma Novelletto: "Dal momento che l'adolescente è, per definizione, un soggetto che incontra difficoltà a distinguere la realtà interna da quella esterna, l'operatore destinato a lavorare con adolescenti, qualunque sia la sua formazione (psicologo, assistente sociale, educatore, ecc.) dovrebbe essere in grado di riconoscere, tollerare ed elaborare il passaggio dall'uno all'altro versante, ogni qual volta ciò si verifichi nella sua relazione con l'utente" (Novelletto e coll.,1998, pag. 69-70).
Nel gruppo esperienziale è possibile avviare “l’elaborazione degli aspetti narcisistici in quanto difese rispetto ad aspetti relazionali più evoluti, differenziati e maturiÉ.uscire dall’impasse impotenza/passività mediante operazioni mentali di recupero del senso del proprio valore,É.esprimere in ciascun incontro un campione delle dinamiche abitualmente in gioco nella collaborazione professionale quotidiana,Éallargare l’autocoscienza e sviluppare le capacità relazionali ed affettive” (Montinari,2001).

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Daniele Biondo
E-mail: d.biondo@tiscalinet.it





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