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Anno II - N° 1 - Gennaio 2002


Lavori originali




Peculiarità dell’adolescenza attuale e dei suoi contesti.

Dott. Anna M. Pandolfi - Dott. T. Ferraresi



Scopo di questo lavoro è contribuire al dibattito in corso nella comunità scientifica, ma avvertito anche presso la più vasta collettività, relativo alle peculiari modificazioni del periodo adolescenziale nel corso degli ultimi decenni e segnatamente negli ultimi anni. Intendiamo proporre tre linee di argomentazioni .
Una prima argomentazione concerne le profonde, complesse e per certi aspetti radicali modificazioni cui l’adolescenza è andata incontro. Modificazioni cronologiche e qualitative, concernenti soprattutto l’aspetto emancipativo, tali che fanno pensare già da tempo che il concetto stesso di crisi adolescenziale vada profondamente rivisitato, sì da rendere problematica questa stessa definizione e mostraci comunque che oggi, quando parliamo di adolescenza e soprattutto di “crisi adolescenziale”, parliamo di qualcosa di abbastanza diverso da quello che intendevamo anche solo 10 o 20 anni fa.
Una seconda argomentazione è che le diffuse e spesso drammatiche modificazioni attuali dell’adolescenza sono inestricabilmente intrecciate, anzi coesistenti e consostanziali alle modificazioni strutturali della società e in particolare della famiglia e della coppia parentale, in un tale viluppo di reciproche codeterminazioni che ha ormai poco senso occuparsene in modo separato.
Le riflessioni esposte in queste pagine nascono infatti dalla esperienza di operatori che si occupano a livello individuale anche di adolescenti e che si interessano contemporaneamente di psicoanalisi della famiglia e della coppia. Tali due ambiti sono a nostro avviso profondamente interconnessi. Le nostre riflessioni derivano però anche dall'attenzione a ciò che accade nel mondo attuale degli adolescenti, problematiche già bene evidenziate da altri Colleghi che hanno scritto su ciò pagine illuminanti. Da tali constatazioni nasce la domanda che può riassumersi nel “che fare? ” in quanto clinici psicoanaliticamente orientati.
La terza argomentazione, ipotesi di risposta alla precedente domanda, è che la psicoanalisi e la clinica ad orientamento psicoanalitico possono e debbono dare un loro specifico contributo teorico e clinico a queste problematiche, in modo che non si resti nello stallo di una preoccupata ma inerte constatazione di ciò che accade e di uno sterile e spesso colpevolizzante, ma soprattutto astratto, palleggio di responsabilità tra scuola, famiglia e sistema sociale. Certo non è nelle nostre competenze e possibilità modificare queste istituzioni in quanto tali e meno che meno le cose del mondo; tuttavia possiamo utilizzare il punto di vista antropoanalitico per comprendere in che modo e in quale misura i funzionamenti generali della collettività e delle istituzioni abbiano un’influenza sulle nostre giovani generazioni e viceversa.
Queste riflessioni di tipo sociologico, che pure non sono abituali nel nostro ambito, hanno, secondo noi, una notevole rilevanza sul nostro agire clinico in quanto non è possibile occuparci di un determinato oggetto nella sua realtà effettiva e attuale, senza avere presenti le interfacce che esso ha con la realtà più generale. E’ chiaro che il nostro compito specifico è quello di occuparci dei singoli casi, ma ciò noi possiamo fare al meglio se teniamo conto anche degli assetti sociali e dei contesti più generali in cui i nostri adolescenti sono immersi e in particolare per quanto ci concerne, se vediamo i fatti clinici secondo una prospettiva più articolata che comprenda contemporaneamente sia la generazione degli adolescenti che quella dei genitori. Del resto la prospettiva psicoanalitica verte sulle relazioni tra persone e quindi ci fornisce gli strumenti per abbozzare almeno delle ipotesi per capire le relazioni tra classi di persone, come sono appunto quelle tra generazioni contigue.

L'adolescenza, i suoi contesti e i loro cambiamenti.

L'adolescenza è di per sé un fenomeno e un prodotto socioculturale e la sua costituzione ha accompagnato la nozione fondamentale delle distanze e delle differenze generazionali. Con alcune difficoltà e ritardi si sta acquisendo l'altra nozione, altrettanto fondamentale, relativa al fatto che non è possibile studiare e comprendere le persone, se enucleate e isolate dai loro specifici contesti micro e macro sociali e dalla loro storia. Se oggi siamo convinti in teoria della necessità di questa visione eco-sistemica della realtà umana, siamo però talora lenti e riluttanti a trarne le conseguenze sul piano clinico. Dobbiamo infatti considerare che la rete relazionale, “l'ubi consistam“ dell'individuo, è presente e agisce non solo come fattore etiopatogenetico appartenente al passato, dato su cui esiste ormai un generale accordo, ma anche come agente attivo nella concreta realtà attuale dell’esistenza, capace di favorire a volte ampiamente il mantenimento della condizione disfunzionale, come la clinica familiare continuamente ci conferma. Pertanto una lettura separata dei comportamenti e dei vissuti del soggetto e del suo ambiente pare sostanzialmente falsificante, in quanto, così facendo, ciò che non vediamo é il gioco relazionale nei suoi vari livelli, interattivo, transpersonale interpersonale, che autoalimenta tali comportamenti e vissuti, gioco reciproco complesso e vincolante, costellato di notevoli disfunzionalità circolari che, nonostante gli aspetti a volte esplosivi, hanno però effetti sostanzialmente immobilizzanti sul mondo interno di ciascuno e sulla rete relazionale. E' a nostro avviso questo gioco che dovrebbe invece essere uno se non il principale o preliminare nostro oggetto di comprensione e di intervento diretto o indiretto. L'esperienza clinica ci mostra che molto spesso è necessario prima sgombrare il campo dalle più importanti interferenze del gioco familiare in cui figli e genitori sono intrappolati, per poi poter lavorare in modo più proficuo con il giovane sui suoi personali problemi. Naturalmente questo può essere fatto anche senza la diretta presenza dei familiari, ma avendone presente la rilevanza dinamico-relazionale concreta e attuale. In questa prospettiva pensiamo che salute e malattia non siano un mero fatto individuale ma sempre, entro certi limiti, anche gruppale. Sarà il criterio clinico che ci farà poi optare per i vari tipi di trattamenti e per il loro timing, successivo o contemporaneo, sulla base del setting mobile che uno di noi ha studiato e realizzato con altri colleghi, possibilmente sulla base di una rete curante differenziata nelle specifiche funzioni, ma alleata e sinergica nell’individuare la natura intrinsecamente relazionale del “paziente” costituito dall’insieme soggetto-contesto e nel trovare e inventare le strategie terapeutiche idonee di volta in volta a operare con efficacia.

Alcuni specifici percorsi psicopatologici.

Per una larga fascia di giovani appaiono assai modificate le modalità espressive del disagio adolescenziale. Dobbiamo constatare che, accanto a un periodo critico adolescenziale fisiologico che pure ha, come ho prima accennato, notevolmente cambiato i suoi connotati, specie quelli di tipo emancipativo, ai giorni nostri il disagio degli adolescenti, quando si declina in termini psicopatologici franchi, tende sovente ad avviarsi ed avvitarsi, almeno tendenzialmente, lungo tre percorsi preferenziali che raggruppiamo schematicamente e certo non esaustivamente così:
Un percorso è quello rappresentato da una tendenza allo stallo evolutivo con una cospicua difficoltà a vedere nell’esistere un senso, una direzione, un progetto, condizione cui corrispondono complessi vissuti di tipo depressivo, e rabbioso insieme, tinti anche di spunti di disperazione negata e scissa e talora di ideazioni suicidarie.
Un altro percorso è quello additivo in senso lato, la cui caratteristica peculiare è l’impossibilità di porre un limite al bisogno e al desiderio, che sia questo di cibo, di droga, di oggetti o di potere. Tale percorso denuncia un disperante e intollerabile senso di vuoto identitario e relazionale.
Un altro percorso infine é quello rappresentato dai comportamenti impulsivi e violenti anche estremamente gravi, all'interno della coppia e della famiglia, sia auto che eterolesivi., sovente a carattere mortifero, che passano senza discontinuità dal dramma alla tragedia, accadimenti che anche recentemente ci hanno assai occupato e preoccupato. Di questi aspetti fenomenicamente criminali pensiamo che la psicoanalisi dovrebbe interessarsi a fondo. Infatti se ad avvenimenti accaduti è la criminologia che tiene il campo, la psicoanalisi, in quanto chiave di lettura dei funzionamenti e dei comportamenti umani, può non solo aiutare a comprendere meglio le motivazioni di tali accadimenti, ma anche essere in grado talora di avvertirne i segnali premonitori. Soprattutto una buona cultura psicoanalitica può cercare di evitare che di tali accadimenti si diano all'opinione pubblica spiegazioni immediate e pericolosamente futili che, nel loro semplicistico appiattimento, improntato a un falso buonismo e perdonismo e a troppo facili pseudointerpretazioni per lo più monocausali, non rendono ragione né giustizia alla complessità e densità degli eventi, perpetrando così un'ulteriore violenza alla drammaticità già imponente di queste vicende.
Anticipiamo fin da ora che questi pur differenti percorsi, gravidi di sofferenza e di disfun-zionalità, sia per le singole persone coinvolte che il più vasto gruppo sociale, possono a nostro avviso riconoscere, almeno in parte, dei fattori comuni, in modo peculiare la ridu-zione e l’offuscamento dell’idea dei limiti e delle categorie delle distanze e delle differenze intersoggettive, fenomeni che sono d’altra parte caratteristici di questo periodo storico.

Cenni sulle modificazioni cronologiche e qualitative dell'adolescenza.

L'adolescenza è stata per lunghi anni un periodo relativamente ignorato dalla clinica psicologica, tranne che per rare isole felici dove alcuni maestri hanno condotto un’opera teorica e clinica d’avanguardia. Da molti anni invece assistiamo a un vero e proprio “boom”, con il proliferare di centri e di operatori specialistici e anche iperspecialistici, essendosi compresa la funzione centrale di questo periodo. Ora è diventata anche un argomento di moda. Il che é bene e male nello stesso tempo. Pare a noi infatti che si parli molto degli adolescenti ma che si parli ben poco con loro. Di fatto le difficoltà di comunicazione tra mondo degli adulti e mondo degli adolescenti sono esistite da sempre e riguardano certo non solo la comunicazione, ma anche il mondo degli affetti e del pensiero. Difficoltà in larga misura fisiologiche che come tali andrebbero accettate e non bypassate o negate con atteggiamenti falsamente paritari o peggio seduttivi e complici, atteggiamenti che hanno una più o meno consapevole tonalità manipolativa e perversa.
Ma ora lo scarto sembra essere assai aumentato quantitativamente e qualitativamente ed essersi fatto a volte incolmabile, talché quelle che erano delle fisiologiche discontinuità tra mondo adulto e mondo adolescenziale si sono accentuate a tale punto che sembra che questi due mondi finiscano con l’ignorarsi l’un l’altro; quando il mondo adolescenziale non si trovi a considerare quello adulto come “il nemico” e il mondo adulto non consideri quello adolescenziale come un territorio inesplorabile e pericoloso, da temere, da escludere, da eludere o da sedurre. Per parlare davvero con gli adolescenti gli adulti dovrebbero poter rivisitare le loro stesse problematiche adolescenziali, sicché possano capirli empaticamente, conservando però la loro peculiare posizione di adulti, senza pensare di dovere sempre e necessariamente evitare all’adolescente di passare per le intrinseche e vitali difficoltà e conflittualità di questo periodo della vita che è, o dovrebbe essere, in primo luogo all’insegna della separazione rispetto al passato e dell’ incontro-scontro con le realtà della vita.
E’ nota da sempre la conflittualità fisiologica di una generazione con la precedente, conflittualità che favorisce la tendenza differenziativa, competitiva ed emancipativa della generazione più giovane, situazione conflittuale che era pur sempre una relazione densa dal punto di vista affettivo. Schema relazionale tra classi di individui che di nuovo sottolinea l’importanza delle distanze e delle differenze nella vita in generale e nello sviluppo in particolare, perché si effettui un percorso che per essere realmente evolutivo deve anche avere una direzione e soprattutto deve poter fruire del concetto di limite.

La riduzione delle differenze generazionali.

La situazione, rispetto a questa nota mappa tradizionale, si è ora assai modificata, talora in modo radicale. La conflittualità si è da un lato radicalizzata, riducendo la possibilità di una composizione e di un discorso comune, anche se aspro e polemico, dall’altro è stata bypassata mediante un egualitarismo falsificante. Mentre nel passato gli adolescenti avevano generalmente come modello da perseguire, sia pure in modo sanamente conflittuale, il mondo adulto che fungeva da polo imitativo e identificatorio, ora questo fenomeno non solo si è molto ridotto ma sovente addirittura invertito. Questo anche per un giovanilismo imperante del quale certa pubblicità dà esempi perfino grotteschi. Al polo estremo di questa posizione assistiamo a una diffusa negazione, spesso intrisa da una sorta di vergogna e mortificazione, per tutto ciò che riguarda il mondo della maturità e della vecchiaia, età oltre la quale è necessario affacciarsi sulla conclusione della vita, cioè sulla morte. Esiste da questo punto di vista una grossolana mistificazione e negazione di qualità perversa delle realtà della vita, di cui la nostra natura mortale fa integralmente parte. Integrazione o negazione che hanno una importanza non indifferente proprio sui cambiamenti, sui percorsi maturativi e sulle espressività adolescenziali, come uno di noi ha segnalato già molto tempo fa in "Gli adolescenti e l'idea della morte".
Se oggidì gli adulti tendono spesso a imitare i giovani, i giovani tendono assai meno a i-mitare gli adulti, imitandosi invece piuttosto tra loro e avendo i loro pari come prevalente polo identificatorio e modello di riferimento. Questo aspetto è stato molto ben studiato e illustrato da G. Pietropolli Charmet. Si tratta in modo evidente di un tipo molto particolare di identificazione, in quanto ha come modello un proprio simile - pari, al limite un proprio doppio, e non un altro, veramente altro da sé, identificazione che avviene dunque entro un asse orizzontale e limitato al presente e non più verticale, dispiegantesi lungo il parametro inserito nella temporalità e nella generazionalità. Ciò dà luogo a una identificazione particolare di tipo tendenzialmente imitativo, piuttosto che a una vera e propria identificazione che comporta, a differenza dell'imitazione, una modificazione strutturale più profonda, e che in quanto si confronta con un oggetto differente da sé, sembra più capace di portare a un reale cambiamento anche del mondo rappresentazionale e relazionale interno.
Le modificazioni della vicenda adolescenziale.

Sono note le modificazioni cui l’adolescenza è andata incontro negli ultimi 20 -30 anni.
L’allungamento in termini cronologici e il carattere sfumato sia dell’inizio che della fine, per la scomparsa dei riti di passaggio o di quegli eventi che li rappresentavano simbolicamente. Da un certo punto di vista l'adolescenza tende a cronicizzarsi ed è questo uno dei motivi delle enunciate perplessità a parlare di condizione di crisi, in quanto che sul piano terminologico indica un cambiamento che si svolge in un periodo di tempo relativamente determinato. Questo fenomeno è collegato alla riduzione delle barriere generazionali che per l’appunto non costituiscono più delle effettive barriere; il che ci pare un dato di importanza capitale nella generale tendenza del nostro periodo storico alla riduzione delle differenze e dunque all’omologazione, quando non all’indifferenziazione.
La riduzione di quella che era una volta la stretta interdipendenza tra pubertà e adole-scenza, essendo questa divenuta sempre più un fenomeno psicologico e sociale.
L'autonomizzazione molto anticipata, sia per moda che per necessità, spesso però non più coerente a uno specifico bisogno dell'adolescente, che si trova talora a vivere una e-mancipazione che non ha avuto né il tempo né il modo di aver autonomamente deside-rata; emancipazione che avviene, se e quando avviene, in modo per così dire silente e a-lienata da sé in termini di un significato relativo al passaggio tra un prima e un dopo.
La liberalizzazione e precocizzazione della vita sessuale, ora peraltro in una nuova inver-sione di tendenza, che corrisponde però molto a bisogno di contatto, compagnia, ascolto, conforto, garanzia di essere presente nella mente di qualcuno, bisogni che sono forse meno fruibili nell’ambito familiare.

Le modificazioni della famiglia, delle barriere generazionali, dell'autorevolezza, del potere.

Le importanti, spesso radicali, modificazioni della coppia e della famiglia, avvenute con estrema rapidità, che ha certamente reso difficile una loro reale e autentica metabolizzazione. Queste sono consistite soprattutto nel fatto che le identità, le funzioni, i ruoli della donna e dell’uomo si sono profondamente modificati, soprattutto nel senso che entrambe hanno visto ridursi le loro peculiari e differenziate qualità e caratteristiche, sicché anche l’equilibrio dinamico della coppia è del pari largamente modificato, sia nel suo livello coniugale che specialmente in quello parentale. Tali modificazioni, in particolare per il discorso che ci interessa, hanno visto un relativo ma incisivo spostamento di potere e di competenze a favore della donna. “Mutatis mutandis” queste modificazioni all’interno della coppia maschio - femmina si ritrovano anche nelle coppie dei nostri adolescenti. La coppia coniugale e parentale ha visto così innescarsi insoddisfazioni, conflitti e rivalse di nuova marca e per molti aspetti assai più sotterranei e che concorrono probabilmente in parte all’aumento delle separazioni e dei divorzi; ciò anche sulla base di una sfiducia nelle possibilità riparative di ciascuno e della coppia. La giusta tendenza all’uguaglianza dei diritti ha comunque comportato anche una sorta di confusione tra persone, funzioni, identità e ruoli; anche qui con una riduzione delle differenze costitutive che stanno alla base di un rapporto di una dinamica e reciproca integrazione.
In modo solo apparentemente paradossale rispetto a quanto prima detto sulla precoce autonomizzazione dell’adolescente, constatiamo però che c’è stata una progressiva e generale tendenza alla maternalizzazione riguardante però la collettività in generale, con una inclinazione iperprotettiva, accondiscendente, giustificazionista ai limiti dell’assurdo e deresponsabilizzante, che si accompagna alla tendenza non solo ad anticipare la soddisfazione dei bisogni, ma addirittura a crearli, soddisfacendo di fatto prima il mercato che le persone. Può essere che certi fraintendimenti della psicoanalisi abbiano fornito alibi pseudoscientifici, di fatto falsi alla generale tendenza a evitare ai minori, dunque anche agli adolescenti, quelle frustrazioni ottimali e quei conflitti che noi invece sappiamo essere la “conditio sine qua non” perché si instauri un Sé abbastanza solido e insieme duttile, sufficientemente fiducioso nelle proprie risorse da sentirsi in grado di affrontare anche le difficoltà e transitare così per le vicende della vita. Di fatto questa tendenza ha reso i nostri adolescenti assai più fragili di un tempo, soprattutto nel tollerare le perdite e le frustrazioni. Ma sono anche così percepiti dall'ambiente, il che concorre a creare un circolo vizioso. Sono spesso queste situazioni che scatenano quei comportamenti distruttivi gravi prima enunciati, al limite mortiferi, che hanno come caratteristiche peculiari quelle di non transitare per la fantasia e la fantasmatizzazione, di cortocircuitare il pensiero e quindi di non poter immaginare né tanto meno anticipare le conseguenze, di essere quindi un agito fatto della sola pulsione nuda e cruda.
Per tornare alla generale tendenza ad accondiscendere ai bisogni, è da segnalare un a-spetto che pensiamo fondamentale. In generale vengono molto e prontamente soddisfatti i bisogni che si riferiscono al possesso materiale di cose o di condizioni di vita, anche in funzione del bisogno di omologarsi agli altri. Sono invece altrettanto e spesso pesantemente disattesi i bisogni che sappiamo invece ancora più fondamentali, quelli di attenzione, di interessamento, di rispecchiamento e di riconoscimento del valore della persona, di fiducia nelle sue risorse, della legittimità delle sue opinioni, desideri, ambizioni, progetti, anche se diversi da quelli degli adulti. In breve sembra fare difetto la nozione che un desiderio è e deve essere considerato legittimo, senza per questo dover essere né subito né necessariamente soddisfatto. Si nota infatti in molte famiglie attuali che i bisogni di cose e di condizioni materiali di vita in senso lato sono spesso prontamente esauditi, più per tacitarli che per capirli e soddisfarli veramente, allo scopo di non creare contrasti che confronterebbero con l’altro e soprattutto perché non vengano fatte richieste di attenzione e di ascolto che appartengono a un altro livello, quello più autenticamente affettivo, e che sono molto più importanti ma anche più impegnativi da soddisfare, in quanto chiamano in causa una reale intersoggettività, non oscurata dalle cose. Tutto ciò conferma l’attitudine a privilegiare l’avere e il mostrare, per essere riconosciuti, al posto dell’essere. E’ uno dei drammi di molti nostri adolescenti, che riflette il dramma della nostra epoca e che corri-sponde a una tendenza additiva, in un circolo vizioso per il quale più si ottiene meno si ha, in funzione della confusione tra i livelli dei bisogni.
Si nota infatti spesso nella famiglia attuale un sostanziale indebolimento degli investimenti oggettuali, cui corrisponde un intensificarsi dei legami di appropriazione narcisistica indifferenziante, che per sua natura è assai meno capace di giocare sulle categorie delle distanze e delle differenze. Risulta quindi assai modificata la qualità dell’appartenenza.
Oggettivamente i membri della famiglia passano meno tempo insieme, parlano meno tra loro, sono meno interessati l'un l'altro. Nel complesso appare diminuito il senso dell’appartenenza familiare con le sue valenze di reciproca dipendenza, insieme rassicu-rante e costrittiva. In questo senso la famiglia svolge meno di un tempo la sua funzione di contenitore ma anche di mediatore gruppale attraverso la rappresentabilità, la fantasmatizzazione, il pensiero condivisi, anche se a differenti gradi di consapevolezza, delle pulsioni che vedono ridotte le loro modulazioni dalle condizioni primitive a quelle più evolute. Tali pulsioni, ancora allo stato iniziale "del tutto o nulla", talora di traducono in quegli agiti auto o eterodistruttivi di cui si è detto all’inizio, agiti che esplodono sotto la pressione dell’amalgama delle pressioni interne non metabolizzate dall'Io e degli stimoli esterni che hanno raggiunto quantità e qualità tali da renderli traumatici.
Al limite possiamo dire che non solo l’istituzione ma l’idea stessa della famiglia, per come l’abbiamo concepita finora, si va avviando af una importante situazione di crisi che non sappiamo quali destini avrà.
Il dato fondamentale pare tuttavia essere costituito dalla riduzione delle differenze rappre-sentate dalle barriere generazionali, oltre che di quelle sessuali, fenomeni che avviano a quell’abbassamento della polarità differenziativa che comporta di per sé una riduzione e un offuscamento del senso del limite. A queste modificazioni si associa una redistribuzione del potere che non si basa più sul principio di autorità e di responsabilità. Questo fenomeno della riduzione se non abolizione del principio di autorità esplicito si è verificato a quasi tutti i livelli sociali, ma esso si ripresenta però sotto mentite spoglie di tipo falsificante, dunque perverso. Si tratta comunque di una riduzione che ha profondamente trasformato l'assetto di quelle istituzioni, così significative per il nostro discorso, che sono la famiglia e la scuola. Ora, qualsiasi gruppo che intenda funzionare con un minimo di efficacia in vista di scopi condivisi e peculiari a quel determinato gruppo, deve avere una struttura che gli permetta di cercare almeno di perseguire tali scopi. Uno degli elementi di questa struttura è costituita dal principio di autorità espresso in termini di autorevolezza e non di potere tout-court. Il principio di autorità infatti, ormai desueto e condannato, si coniuga invece in modo irrinunciabile con quello di responsabilità e si basa anche su un certo ordine gerar-chico. Ma ormai nella diffusa confusione di concetti e di termini, l’autorità - autorevolezza è percepita molto spesso come un potere arbitrario dell’altro, sprovvisto di un significato comprensibile e di una sua funzione, al quale non si può che accondiscendere passivamente o ribellarsi rabbiosamente.
Altri cambiamenti strutturali e funzionali e relazionali si sono verificati in modo rilevante nell’assetto del gruppo familiare. E' noto che la famiglia, prima di tipo esteso, con la pre-senza concreta e relazionale - affettiva di almeno tre generazioni e di molti collaterali, co-stituiva una nicchia di appartenenza nella quale l'individuo era inserito fino dalla nascita e anche prima sul piano delle rappresentazioni affettive, e poi concretamente durante il corso della vita, nicchia nella quale riconosceva le sue origini e immaginava ciò che sarebbe stato dopo di lui, percependo sia pure conflittualmente e ambivalentemente le aspettative che su di lui si convogliavano. Nella compagine familiare sono sempre esistite anche importanti conflittualità e lotte per il potere, soprattutto tra le generazioni contigue, conflittualità e lotte che marcavano le distanze e le differenze e la linea generazionale. Oggi assai meno o non più, in quanto distanze, differenze, generazionalità e conflittualità si sono fatte molto evanescenti. Tutto questo ha comportato una rilevante riduzione dei limiti e della funzione che essi svolgono. Circa trent’anni fa Mitscherlich descriveva, nella sua opera “Una società senza padri”, il passaggio da una cultura dei padri a una cultura dei fratelli. Accanto alla conseguente tendenza all’omologazione abbiamo assistito al trasferimento della rivalità e della lotta per il potere, prima esistente tra le due generazioni successive, all’interno della stessa generazione. L’evanescenza della figura paterna e un certo conseguente disinvestimento della triangolarità della mappa familiare, con il presentificarsi di appetenze incestuali regressivanti, ha avuto effetti di non poco conto sulla percezione delle regole, dei limiti, del principio di realtà e, alla lunga, sui percorsi del pensiero. Recentemente un giovane adulto, in uno stallo evolutivo che si era accompagnato a un consistente disturbo dell’identità, mi diceva: "non ho mai potuto diventare indipendente perché non sono mai stato dipendente e perché sono figlio non di una coppia ma di una madre".
Sicché il lavoro terapeutico, peraltro relativamente contenuto nel tempo, è stato quello di prospettargli la natura specifica delle carenze dell'ambiente, che non gli aveva fornito nel modo congruo le distanze, le differenze e i limiti, ma insieme la natura della sua personale collusione con tale gioco antiemancipogeno che lo aveva mantenuto in un area illusoria. E di indicare che spettava ora a lui, da un lato di fare il lutto di ciò che non aveva avuto e non si era dato, e dall'altro di intraprendere questo compito che non era stato fatto.
Abbiamo detto che ora la famiglia è non più estesa bensì nucleare, ma questa afferma-zione rischia un fraintendimento, poiché ora assistiamo all'emergere di un nuovo tipo di famiglia estesa; estesa e diversificata per la presenza dei nuovi compagni e compagne che, a seguito di separazioni e divorzi, entrano a far parte dell'universo familiare dei minori. Questa nuova famiglia propone un assetto gruppale particolare, più orizzontale, con maggiori e assai diversificate possibilità di identificazioni, peculiarità che vanno tenute presenti sia nella comprensione che nel trattamento delle dinamiche familiari.
Al limite possiamo constatare che non solo l’istituzione, ma l’idea stessa di famiglia così come l’abbiamo concepita finora, è profondamente cambiata.
La riduzione - scomparsa del principio di autorità e dell’assetto gerarchico hanno, come si è detto, una conseguenza di fondamentale rilievo, che consiste nella progressiva riduzione ed evanescenza delle barriere differenziative generazionali. Le due generazioni vengono poste quasi sullo stesso piano, il loro fisiologico conflitto generazionale si trova ridotto o addirittura abolito e si assiste a una redistribuzione del potere, non più sulla base dell’autorevolezza - responsabilità, inscindibili tra loro, che dovrebbe essere appannaggio della generazione adulta, ma sulla base del bisogno di potere che ciascuno esercita a sua discrezione, poiché il concetto stesso di limite e il suo realizzarsi nella concretezza quotidiana, si é reso a volte singolarmente evanescente. Sembra in particolare che la possibilità di dire no a una richiesta sia percepita come impossibile oppure come segno di una inimicizia e faccia presumere il rischio di una frattura insanabile. In due casi di consultazione familiare i genitori hanno assistito meravigliati e increduli al fatto che i clinici ricordavano il preannunciato divieto di fumare nella stanza di lavoro e che ottenevano in un caso una accettazione, seppure riluttante; nell'altro la controproposta da parte del giovane di "uscire a fare un giro per farsi una sigaretta". Onorevole sano compromesso, capace comunque di non innescare un ennesimo litigio con accuse e controaccuse. Sono questi episodi che, presi dal vivo dell'esperienza, possono apparire assai banali e piatti, ma evidenziano come spesso, mediante comportamenti non verbali aventi valenza interpretativa, si possono mostrare prospettive semplici ma nuove.
Nei casi francamente patologici assistiamo al costituirsi di situazioni pervertite in cui ai figli è delegata la funzione di farsi genitori dei loro stessi genitori, per lo più di uno, apparentemente il più debole, appoggiandolo, consigliandolo, sorreggendolo, spesso contro l’altro genitore. In altri casi molto particolari ma certo non infrequenti si assiste a situazioni in cui il figlio assume le caratteristiche del "dittatore folle" che i genitori non sanno, non riescono, spesso non vogliono limitare, esercitando la loro fisiologica funzione di contenimento, e pretendono che sia il figlio stesso a porsi da solo i limiti che nessuno ha pensato di porgli, in funzione di una più o meno grave incapacità parentale a tollerare la distanza, la differenza, il conflitto, la frustrazione e l’aggressività, ma anche per la convinzione che il no non possa che essere distruttivo. Sono queste le situazioni nelle quali si manifesta nel modo più lampante quanto si diceva prima: essere il disturbo non di pertinenza del singolo soggetto ma della relazionalità gruppale nel suo complesso intrico disfunzionale autoriverberantesi. L’incapacità di autorevolezza sfocia spesso o in un permissivismo che non contiene, poiché non tollera la frustrazione né propria né altrui e meno che meno il conflitto, o in un autoritarismo impulsivo e sadico, posizioni entrambe disfunzionali e di marca perversa. In queste situazioni cliniche è possibile mostrare a tutti, ma soprattutto perché sia l'adolescente a intendere, che l'estenuante sequela di litigi, provocazioni, controprovocazioni, serve il distruttivo ma per tutti irrinunciabile vincolo e convoglia in questa inane lotta tutte le energie che vengono così distratte dal compito primario di costruzione della personalità. Un giovane quindicenne si trova ora con chiarezza di fronte alla scelta se rovinare la sua vita e il suo futuro, per vendicarsi dei genitori, o scegliere la strada più pagante per se stesso ed il suo futuro.

La realtà mediatica.

L'altro elemento che non si può sottovalutare è la prepotente e invadente presenza della realtà mediatica, contemporaneamente e ambiguamente animata e inanimata, vero nuovo membro del contesto familiare, con il quale esiste da parte dei singoli membri e dell’intera famiglia un altrettanto ambiguo rapporto di dipendenza - controllo. Tale realtà mediatica costituisce ormai un punto di riferimento e una sorta di interlocutore di notevole importanza, dotato di un suo singolare anche se non dichiarato peso che tacita altre voci, peso dovuto non tanto a una sua autorevolezza, quanto a una tendenza passiva dello spettatore che tende a farsi ipocritico, anche perché il messaggio è a senso unico. E’ un mezzo che riduce e appiattisce lo spazio intermedio, luogo dei fantasmi e del pensiero, dell’elaborazione, dei dubbi costruttivi; che tende a contrarre il senso e la direzione del tempo, l’idea di processualità e, soprattutto, a favorire la confusione tra realtà e finzione. La realtà mediatica rende superfluo lo spostarsi per cercare stimoli nuovi, nuove informazioni, poiché gli uni e gli altri arrivano direttamente a domicilio spesso senza essere davvero cercati, e penetrano largamente, con modalità cui non è sempre facile resistere, gli spazi interni di ciascuno e della famiglia.

I riflessi dei cambiamenti storici sulla vita psichica individuale e gruppale.

Nel complesso la carenza di punti di repere, di modelli di riferimento attendibili, di limiti accettabili e significativi si verifica spesso in occasione di svolte storiche importanti della società, come forse quella cui noi stiamo ora assistendo. Una vicenda vagamente assimilabile è stata drammaticamente ed emblematicamente vissuta a livello storico politico e quindi anche necessariamente psicologico con la rovinosa caduta dell'Impero asburgico. Kafka, Weiss, Roth, Musil, per citare solo i primi nomi che vengono alla mente, e in generale tutta la letteratura del "post Austria felix", ci hanno lasciato in proposito pagine memorabili. Kohut ci avrebbe poi fornito nel suo modello psicoanalitico una penetrante comprensione di questo passaggio dall'uomo edipico, capace di responsabilità e di colpa, all'uomo tragico, più preda di inconsistenza identitaria, dunque della vergogna, perché appunto deprivato di un suo significato personale, di una direzione, di un progetto.
Assistiamo a un fenomeno apparentemente paradossale per cui gli adolescenti di oggi, pur essendo molto più liberi e almeno in apparenza rispettati da un ambiente anche troppo accondiscendente, incontrano, come si é detto all’inizio, notevoli condizioni di stallo evolutivo. Essi assai più raramente di un tempo debbono sfidare la famiglia per ottenere la loro libertà. E' probabilmente per questo che il bisogno di sfida così fisiologico e importante a questa età, trova altre e spesso assai più pericolose strade. Certi disordini della condotta a volte anche gravi e ingravescenti, certe assurde esposizioni ai rischi costituiscono, oltre che il segno di un troppo scarso amore di sé, anche delle vere e proprie "escalations" volte al tentativo, spesso inane, di ottenere finalmente un fermo divieto, che è il vero atto d’amore e di preoccupazione parentale, divieto che serva a ricostituire o costituire quei limiti fino ad allora carenti e però così indispensabili per esistere.
E’ possibile che questo insieme complesso di condizioni e modificazioni che si sono evocate possono concorrere a spiegare, specialmente nella loro peculiare caratteristica di riduzione e offuscamento dell’idea dei limiti della categorie delle distanze e delle differenze, quei particolari percorsi psicopatologici che ho richiamato all’inizio. D’altra parte dobbiamo riconoscere che si tratta di fenomeni propri a tutta la collettività attuale nel suo complesso e alla tendenza verso cui essa sta andando. A un individualismo notevole si accompagna una tendenza omologante che abbassa la ricchezza delle differenze che hanno sempre caratterizzato il variegato panorama umano.

Le difficoltà dei genitori, i loro bisogni, la nostra funzione.

Spesso la carenza di una fisiologica conflittualità è determinata anche, soprattutto, da una specifica difficoltà o rifiuto dei genitori a svolgere la loro funzione che è o dovrebbe essere anche superegoica, sia in senso protettivo che restrittivo. E’ del resto superfluo aggiungere che, sia il sistema del super-io che quello dell’Ideale dell’Io, hanno ridotto e comunque modificato le loro funzioni, spesso assumendo qualità più primitive.
Fare i genitori non è mai stato né facile né semplice né comodo, però ora si assiste a una sorta di ritiro di fronte a questa difficoltà. Troppo spesso la tendenza al quieto vivere, determinata anche dalla stressante vita quotidiana fatta di fretta oltre che di fatica, quieto vivere al di sotto del quale peraltro è talora percepibile un profondo anche se negato disinteresse per l'altro, suggerisce un lassismo educativo che non concorre certo a favorire l'instaurarsi di una personalità abbastanza sana da potersi confrontare con l'area del conflitto, in grado di tollerare il vissuto della frustrazione, della perdita e del dolore, della colpa, della vergogna e più in generale della depressione senza sentirsene sommersi e distrutti.
Per un’ampia serie di motivi, molto spesso l'adulto non si costituisce più per l'adolescente come un necessario interlocutore, meno che meno come un interlocutore attendibile. Esiste da questo punto di vista un grave e drammatico fraintendimento. L'adulto pensa, aiutato però in questo da cattivi suggeritori, di dovere sempre capire ma non nel senso proprio del termine, cioè capire per poter poi rispondere secondo i propri personali criteri e assumendosene la responsabilità e accettando il dissenso, ma in quello di sempre consentire, sempre mediare e, nel tentare di fare ciò, cercare di omologarsi all’altro, riducendo la polarità intersoggettiva, in particolare quella adolescente - adulto, che è invece nella natura dell'esistenza e delle sue differenze costitutive. L'adolescente ha bisogno di rispecchiarsi in qualcuno di diverso da lui, che rispettando se stesso lo rispetta, e così facendo tollera, anzi promuove l'alterità e la libertà di ciascuno. Ha bisogno di imparare a non procrastinare troppo scelte e decisioni e a non aspettarsi anche nella vita illusori "debiti formativi”.
Ma chi aiuta i genitori a farsi adulti e genitori attendibili? Crediamo che questo ci spetti. E ricordiamo qui quella che abbiamo già accennato come la nostra terza argomentazione. Spesso invece il clinico è spinto anche inconsapevolmente a vicariare il ruolo di genitore, fornendo al giovane ciò che gli è mancato, ma anche operando in questo modo una sottile squalifica dei genitori. Sarebbe invece più auspicabile aiutare i genitori a reimparare o imparare, quando sia possibile, a svolgere il suo proprio ruolo, non mediante vacue e talora pseudopedagogiche raccomandazioni più o meno vagamente colpevolizzanti, ma comprendendo e lavorando analiticamente, quando possibile, sulle loro disfunzioni parentali, individuali e di coppia, che spesso celano vicende anche assai dolorose. In primo luogo restaurando il loro narcisismo ferito. Non intendo certo proporre che i genitori debbano essere analizzati, ma analiticamente capiti e aiutati, questo sì. Bisogna prendere atto della fondamentale solitudine degli adolescenti, della loro incertezza, delusione, paura del futuro, più che mai sovraccaricate oggi, dopo i tragici avvenimenti dell’autunno scorso. Ma bisogna anche vedere le speculari difficoltà, le incertezze, le ambivalenze, la sfiducia dei genitori in se stessi e rivolgere dunque la nostra attenzione di curanti a entrambe le generazioni e al rapporto che le lega nel singolo caso clinico.
E’ in questo senso che noi pensiamo che l’attenzione degli psicologi e psicoanalisti dell’adolescenza debba ormai di necessità contemplare il nuovo oggetto clinico costituito dalla famiglia e dalla coppia parentale, oggetto nuovo nel senso che solo ora ci rendiamo realmente conto della sua presenza e ineludibile importanza.

Bibliografia

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L'adolescente e il problema della morte, in "L'adolescenza, Psicologia, psichiatria e sociologia", a cura di Giovanni Lanzi, Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, 1983


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Il rapporto con le famiglie, in Psicoanalisi e psichiatria, a cura di G. Berti Ceroni e A. Correale, Raffaello Cortina Editore, Milano, 1999.

Storia - quadro per una bibliografia psicoanalitica della famiglia: Dalla sua nascita agli anni '80 (parte prima) - C. Monari e T. Ferraresi - Interazioni, Z-1999/14, Franco Angeli Roma

I nuovi adolescenti - G. P. Charmet - Cortina Ed. 2000

Processi di lutto, processi di cambiamento nell'adolescente e nella famiglia - S. Taccani, A. Fava Pilotto, T. Ferraresi - Imago, vol. VIII, n. 1 Marzo 2001, Cortivo Padova

Adolescenza e autorità: Riflessioni dalla clinica individuale, familiare, gruppale. - C. Monari, T. Ferraresi, S. Taccani - Imago vol. VIII, n. 3 Settembre 2001, Cortivo Padova



Riassunto

Si discutono le importanti modificazioni dell'adolescenza e le loro reciproche e concomitanti interconnessioni con i cambiamenti della famiglia e della coppia e la messa in crisi del concetto stesso di famiglia come l'abbiamo conosciuto finora, con un blocco più o meno grave della comunicazione tra le generazioni contigue. Si segnalano come fattori prioritari di questa condizione l'abbassamento delle barriere generazionali, del principio di autorevolezza e responsabilità. Tutto ciò di convoglia un una riduzione delle categorie delle distanze e delle differenze intersoggettive e nell'evanescenza del concetto di limite. Tale situazione si accompagna a tendenze relazionali ed educative che non facilitano nell'adolescente lo sviluppo di una personalità solida.
Si evidenziano tre grandi percorsi psicopatologici che riconoscono in queste modificazioni un loro comune denominatore. Si sottolinea la necessità che da parte dei clinici si prendano in considerazione contemporaneamente le difficoltà e le disfunzioni sia della categoria dei genitori che di quella dei figli.





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