PSYCHOMEDIA --> HOME PAGE
A e P --> HOME PAGE --> N° 1 - Gennaio 2002




Anno II - N° 1 - Gennaio 2002


Seminari romani di F. Ladame e M. Perret-Catipovic




Primi incontri con l’adolescente : indicazioni e opzioni terapeutiche.

SEMINARI ROMANI DI FRANÇOIS LADAME e MAJA PERRET-CATIPOVIC
Seminario n° 1 - Sabato 19 Febbraio 2000

Associazione Romana per la Psicoterapia dell’Adolescenza



Ladame
Esprimo il mio immenso piacere di ritrovarmi con voi in quest’aula. L’idea dei seminari articolati in tre incontri ci consentirà di creare scambi, dialoghi e di cercare insieme di evolvere, crescere e migliorare le conoscenze in questo campo. Il programma di oggi riguarderà in particolare i problemi della valutazione e le opzioni terapeutiche. Innanzitutto la valutazione, che è da intendere come valutazione di un processo, importante a sua volta per la trattabilità del caso. Due assi di riferimento nella nostra esperienza ci sono sembrati cruciali proprio per il problema della trattabilità. Essi sono i seguenti:
1. - L’articolazione tra investimento narcisistico e investimento oggettuale. E’ evidente che la questione dello statuto dell’oggetto pone la questione del nostro proprio statuto, in quanto probabili terapeuti del soggetto.
2. - La funzionalità del preconscio.
Tuttavia prima di inoltrarci in questioni teoriche preferirei condividere con voi un’esperienza clinica recente, che riguarda un’adolescente ricoverata presso l’unità di crisi di Ginevra, una struttura ospedaliera che accoglie adolescenti tra i sedici e i ventuno anni che sono a rischio di passaggio all’atto suicida o che hanno già tentato il suicidio. Due giorni fa ho avuto un colloquio di valutazione per definire gli obiettivi terapeutici con una ragazza di 16 anni, Alessandra (A). A. aveva richiesto personalmente il ricovero su consiglio della sua psicoterapeuta, che la segue da due anni con frequenza base di una volta a settimana, salvo periodi di frequenza bisettimanale. La psicoterapeuta era stata consultata in quanto A. aveva tentato per due volte il suicidio intorno ai 14 anni. Lo schema di cura comprendeva da un lato il trattamento farmacologico con antidepressivi e dall’altro la psicoterapia. Dopo tre-quattro mesi la situazione psicologica della ragazza è nettamente peggiorata, malgrado la psicoterapia e la terapia farmacologica. A livello dellarealtà esterna A. ha un curriculum scolastico adeguato, ma presentadifficoltàà di apprendimento, manifestatesi in correlazione al suo peggioramento psicologico. Sottolineo gli elementi salienti emersi dal colloquio. Innanzi tutto un distacco emotivo notevole: A. appariva come distaccata dalla parte più viva di se stessa e ciò è indicativo dei tentativi di padroneggiamento e di controllo che ella effettuava in termini onnipotenti. Il punto del colloquio che mi pare più essenziale è stato quando, a proposito dell’aiuto che poteva esserle dato dall’esterno, A. ha esclamato: “Chi può aiutarmi dall’esterno, se non sono in grado di aiutarmi da me?”. Questa osservazione colpisce la nostra attenzione perché ci troviamo di fronte ad un paradosso totale. A. aveva voluto volontariamente la consultazione e il ricovero, è in psicoterapia, (sebbene lei la intenda come una relazione di conversazione, non come una cura), però nello stesso tempo non può accettare l’aiuto dall’altro, dal momento che non riconosce a se stessa la capacità di curarsi. Questo esempio clinico è adatto ad evidenziare la questione teorica riguardante la rottura del legame tra investimento narcisistico oggettuale e lo statuto dell’oggetto. Dobbiamo chiederci se A. da due anni fa realmente una psicoterapia oppure no. Forse la psicoterapeuta crede di fare una psicoterapia anche se le condizioni per farla non ci sono più? Si tratta di una pseudopsicoterapia? Si tratta di una fase in cui si sta lavorando per mettere le basi per una futura psicoterapia? Oppure quando si tratta di un adolescente con disturbi narcisistici del genere le cose vanno sempre in questo modo? E’ chiaro che con queste domande sto ponendo le basi per la discussione.

Perret-Catipovic
Nei primi incontri con l’adolescente, quando siamo impegnati in una valutazione della diagnosi e dellepossibilitàà terapeutiche, tutto è di una importanza estrema e anche il nostro intervento non può essere che denso e complesso. Nel nostro lavoro di diagnosi ciò che conta è essere capiti, non dimostrare quanto siamo bravi! Certamente è importante per la valutazione la questione del legame trarealtà interna e quella esterna, ivi compresa la persona che rappresenta l’oggetto. Negli incontri di valutazione è necessario valutare il lavoro che il terapeuta deve fare per capire il suo paziente e, essendo evidente che tale lavoro non ha senso se l’adolescente dopo i primi incontri non viene più, per invogliare l’adolescente a tornare e a interessarsi al suo funzionamento mentale. Si tratta di una questione paradossale, come spesso succede in adolescenza.
Per affrontare tale questione vorrei partire dalla valutazione della capacità di pensare in adolescenza. E’ importante, nel primo incontro con l’adolescente, porsi il problema di valutare le sue capacità di pensiero. Nel modello analitico lo scambio avviene attraverso parole, pensieri che secondo la teoria bioniana sono traduzioni di vissuti sensoriali ed emotivi. Talvolta, come estremo ricorso per evitare la sofferenza, gli adolescenti evitano di pensare mediante un disinvestimento del pensiero o una sua disorganizzazione. Perciò non appena invitiamo l’adolescente a pensare con noi andiamo ad attaccare una sua difesa e ciò significa che impediamo il trattamento se prima non si fa tutto un lavoro di rifornimento narcisistico. E’ quindi importante la valutazione della capacità di pensiero dell’adolescente, prima ancora di invitarlo a pensare. Il pensiero si trova al centro della negoziazione tra interno ed esterno. La teoria sul pensiero più articolata e complessa è quella di Bion. In base a tale teoria il pensiero è il processo che permette di legare i pensieri tra loro, legame tra i dati forniti attraverso i vari sensi, quindi tra interno ed esterno, in quanto il pensiero permette di portare all’esterno i dati del mondo interno e viceversa. Bion parla di funzione di pubblicazione, in base alla quale il pensiero avrebbe la funzione di rendere pubblico ciò che è intimo. Si tratta dunque di legame tra le emozioni, legame tra dentro e fuori, tra investimento di se stesso e dell’altro, vale a dire di un’interfaccia tra dentro e fuori, tra sé e l’oggetto. L’istanza che regola questa negoziazione è il preconscio. Abbiamo introdotto da tempo il termine “funzionalità del preconscio” in relazione alla indicazione di psicodramma, nel senso che quando il preconscio non funziona si può intervenire con lo psicodramma. Riprendo alcune definizioni di Freud per dimostrare perché in adolescenza è importante la valutazione del funzionamento mentale e quanto essa può essere problematica. Nel 1911 Freud ha definito come ruolo fondamentale del pensiero quello di differenziare il dentro e il fuori in base al principio direaltà. L’azione ha il ruolo di differenziare ciò che è percepito da ciò che è rappresentato. In seguito egli ha distinto tra pensiero e azione, definendo il pensiero come una azione di prova in una prospettiva economica. Questo punto di vista economico è estremamente importante in adolescenza, in quanto con l’evento della pubertà l’adolescente scopre una nuovarealtà. Cosa il pensiero apporta alla adolescenza? In base alla teoria di Piaget l’ultimo stadio del pensiero si completa dopo i dodici anni. Anche se tiene distante l’affettività, Piaget nota che il pensiero permette di passare ad un altro mondo, intendendo con ciò la capacità di distaccarsi dal mondo concreto per passare al mondo dell’astratto. Dopo i dodici anni il pensiero diventa azione di prova e deve essere autosufficiente, non deve avere il bisogno di verificare. L’adolescente in pratica deve rinunciare a rendere concreto ciò che è da lui pensato, in relazione soprattutto alla rinuncia dell’Edipo. Durante l’infanzia la conclusione dell’Edipo era stata rimandata più tardi ed è proprio quando diventa possibile la realizzazione dell’incesto e del parricidio che bisogna rinunciare, dato che nell’inconscio nulla scompare veramente.
I desideri incestuosi e parricidi si allontanano dalla coscienza ma vengono ripresi nell’attività fantasmatica, dove è possibile un investimento piacevole di queste idee senza legame con larealtà esterna.
Presupposti per avere un buon sviluppo del pensiero sono:
1. La prevalenza del processo secondario con una permeabilità al processo primario e quindi alla pulsione;
2. L’investimento narcisistico, vale a dire il desiderio e il bisogno di tradurre in pensieri i propri sentimenti e poi il desiderio di comunicarli nell’investimento oggettuale;
3. Il pensiero per potersi sviluppare deve essere contenuto. E’ necessario contenere il pensiero per poter pensare, oltre un certo quantitativo di energia nulla si può sviluppare. I vuoti di pensiero sono frequenti tra gli adolescenti, viste le espressioni comuni come “la mia testa scoppia”.
4. Lapossibilitàà di slegamenti e rilegamenti successivi.

Ladame
Possiamo vedere una puntuale esemplificazione clinica dei punti teorici esposti tenendo presente il caso di Alessandra. Per A. era andato tutto bene fino all’et di 12 anni, epoca della sua pubertà. A. all’inizio del colloquio dice di avere un grande desiderio di avere bambini. Fino a 12 anni ha giocato con le bambole e non sa spiegarsi perch dopo di allora questo gioco dopo non stato pi divertente. Con la pubertà molto probabilmente qualcosa si rotto. A. dunque non riesce a contenere il desiderio di passare dall’infanzia all’et adulta senza transizione, per evitare di operare il lavoro del lutto dell’onnipotenza infantile, cortocircuitando l’adolescenza. A. in pratica immagina di poter perpetuare il gioco delle bambole con la sorellina, senza il bisogno di distinguere se stessa dalla sorella e i relativi ruoli assunti (madre, padre, figlio). L’età adulta viene ad essere una semplice trasposizione della vita infantile senza che si debba attraversare alcun cambiamento n in termini di perdite n di guadagni. Ci va collegato al ruolo centrale del pensiero come azione di prova, cio comepossibilità di distinguere il desiderio dalla realizzazione del desiderio, cosa che presuppone non solo il pensiero, ma anche un contenente del pensiero.

Perret-Catipovic
L’opera di Freud “Sui due principi dell’accadere psichico” ci mostra che una delle funzioni del pensiero quella di separare ci che reale da ciò che rimane nel mondo interno. C’ un’area che è indipendente dal principio di realtà ma ubbidisce al principio del piacere, vale a dire l’area delle fantasie. La megalomania infantile nell’adolescenza non mai del tutto abbandonata, ma si ritrova e sopravvive nelle fantasticherie. Quindi una parte del pensiero non si sottometter mai al principio di realtà. Mentre lo sviluppo prosegue per tutto ci che riguarda le pulsioni dell’Io, le pulsioni sessuali si separano in modo significativo. Le pulsioni sessuali si comportano da principio in un modo autoerotico, trovano la loro soddisfazione e non raggiungono mai lo stato di limitazione imposto dal principio di realtà. Tra le varie funzioni del pensiero c’ la capacit di tollerare le frustrazioni. Freud nel 1911 ci dice che il pensiero nasce dalla frustrazione. Per Bion il pensiero nasce dall’unione di una preconcezione con una frustrazione e anche per Piaget il pensiero nasce da un confronto che possiamo paragonare a una frustrazione. Quindi la frustrazione e la capacit di tollerare la frustrazione sono basilari per laqualità del funzionamento del pensiero. E’ molto importante valutare la capacit di pensiero in adolescenza, quando ci deve essere una capacit di tollerare le frustrazioni per accedere al pensiero. Nel caso di A. forse non si verificato l’investimento di quella attivit immaginativa, di quell’area del pensiero che si sottrae al principio di realtàˆ.

Ladame
Nell’offerta di trattamento all’adolescente noi facciamo la proposta di giocare con i pensieri coscienti e preconsci, cio con le fantasie. Ma come pensiamo di uscire da questo paradosso quando ci troviamo di fronte un adolescente, e gli proponiamo una cosa che non capace di fare?

Monniello
Parlando del funzionamento psichico dell’adolescente siamo abituati ad utilizzare il termine “densit”, riferendoci alla densit dei liquidi che poi gradualmente si depositano sul fondo e creano una condizione di maggiore limpidit. A questo proposito, riprendendo il caso di A., mi interessa mettere in discussione questa densità. Chi la dissolve? La precipitazione di una situazione densa avviene sia sul fronte dell’adolescente che sul fronte della relazione col terapeuta. Mi sembrato molto intenso il momento in cui A. dice “Chi mi pu aiutare, se non mi posso aiutare da me?” Un modo possibile di leggere questa fase potrebbe essere che questa ragazza sta riducendo il suo controllo onnipotente, cio ammette una sua fragilit rispetto ad una fantasia di poter fare tutto da sé. Come restituire questa sua riflessione? E’ un suo primo passo di autoriflessione che pu essere rilanciata nella relazione come indizio di aver effettivamente cominciato a chiedere aiuto? In questo caso si tratterebbe di aiuto ad una persona terza, che offre lapossibilità di contenere la propria riflessione e quindi di cominciare a pensare.

Ladame
Monniello ha perfettamente centrato il punto, parlando di una persona terza. Infatti io ho dato disposizione ai colleghi dell’unit di crisi di centrare l’obiettivo proprio con il proporsi come funzione terza. Attualmente i contenuti della relazione tra A. e la psicoterapeuta non sono in grado di mettere in gioco una relazione terza. L’ospedalizzazione d quindi un’occasione unica di introdurre una persona terza, che rende possibile una decondensazione della frase di A.: che cosa significa aiutare e chi aiuta chi. Sono quasi sicuro che A. abbia la fantasia di essere lei stessa l’analista della sua psicoterapeuta. Questa mia ipotesi si basa sul fatto che A. ha detto che avrebbe voluto fare la psicologa o psichiatra ed esprime il rammarico per non aver potuto curare il padre, affetto da psicosi maniaco-depressiva. Immagino quindi che la psicoterapeuta si trovi con A. in una relazione speculare e ribadisco l’importanza dell’ospedalizzazione comepossibilità di introdurre una persona terza.

Novelletto
Quando si parla di funzione terza, in che misura questo si pu tradurre in termini edipici oppure preedipici? Nel rapporto di A. con la psicoterapeuta è possibile che l’interesse si sia rivolto prevalentemente a problemi preedipici attraverso un meccanismo di empatia e di identificazione, si sia ripetuta quindi una situazione di bambina che gioca con la bambola. Invece la sessualità, con il segreto della procreazione, non affrontato, in questo senso non c’ funzione terza e il gioco solamente tra una madre e una bambina che comparsa in maniera miracolosa.

Ladame
Il mancato riferimento ad una persona terza riguarda una relazione speculare con la psicoterapeuta, il transfert narcisistico, il doppio. Dinanzi ad adolescenti dotati in termini di potenziale, di ricchezza c’ un rischio di seduzione narcisistica. In tale contesto con l’adolescente non si tratta tanto di riferirsi alla funzione terza in termini edipici o preedipici. L’importante invece considerare la scomparsa del terzo nella mente del terapeuta. A volta in maniera inconscia ci che spinge un terapeuta a proporre il ricovero qualcosa dell’ordine della salvaguardia del terapeuta stesso.

Ricciardi
L’espressione di A. “Chi pu aiutarmi, se non posso aiutarmi?” va contrapposta ad un’altra frase frequente negli adolescenti “Nessuno mi pu aiutare, io solo posso aiutare me stesso”. La prima affermazione sembra avere una coloritura depressiva e può sottendere lapossibilità di una persona terza come possibilità di relazione. La seconda frase invece pone l’accento sul polo narcisistico e sottende una certa sfiducia nella possibilità di relazionarsi con l’oggetto. Credo che questi siano due momenti fondamentali per valutare il tipo di pensabilità.

Perret-Catipovic
Il suo intervento pone un problema fondamentale. Dobbiamo sempre rispondere alla richiesta dell’adolescente? Dobbiamo sempre intraprendere un discorso di trattamento o aspettare che egli riproponga la domanda in seguito, in altri modi? Siamo di fronte ad un problema relativo al narcisismo di vita e al narcisismo di morte. Se in un primo incontro l’adolescente dice “Voglio che mi aiutate, ma so che solo io posso aiutarmi” ci troviamo di fronte ad una valutazione del narcisismo di questo adolescente. Abbiamo l’impressione di entrare in relazione con questo adolescente che ritiene che nessuno pu aiutarlo e spingerlo quindi verso una situazione che comporti la sua distruzione, unicapossibilità di affermare la sua esistenza. Ci sono adolescenti che hanno tentato il suicidio e dicono “La mia unicalibertà è quella di suicidarmi”.


Maltese
Vorrei spostare la riflessione sulla differenza tra seduzione narcisistica - come nel caso di A.- e transfert narcisistico. Nel primo caso c’ unadifficoltà da parte dell’analista di mantenere la funzione pensante, mentre il transfert narcisistico rimanda all’esigenza di vivere nel corso del trattamento con adolescenti una condizione speculare, gemellare con l’analista.

Perret-Catipovic
Il termine “transfert narcisistico” stato introdotto da Freud quando si interrogava sulla trattabilit delle nevrosi narcisistiche. Il transfert narcisistico normalmente presente in ogni terapia, riguarda il paziente e non pregiudica affatto le capacit di pensare dell’adolescente. La seduzione narcisistica si sviluppa quando il riferimento a terzi scompare sia nella mente dell’adolescente che in quella dell’analista. Si ristabilisce la simbiosi, ma non nei termini di empatia di cui ha parlato Bion a proposito degli psicotici. Questa relazione di seduzione narcisistica traduce una condizione di aconflittualità, quando il paziente attacca il terapeuta, non lo ritiene differenziato da s. Tale indifferenziazione difficilmente tollerabile con l’approssimarsi della sospensione per vacanza. Il terapeuta pu non rispondere all’attacco del paziente come oggetto differenziato, ma seguire la linea della non-differenziazione. Questa secondo me la condizione pi pericolosa nel trattamento con adolescenti, in quanto conduce alla morte psichica e a questo punto si ottengono trattamenti in cui tutto calmo, ma tutto morto.

Ladame
Aggiunger due punti. Innanzitutto il transfert narcisistico non pu essere mai evitato durante un trattamento psicoterapeutico. Come secondo punto vi chiedo: è possibile fronteggiare un transfert narcisistico con una cadenza monosettimanale senza che questo transfert evolva in termini di relazione e seduzione narcisistica? Quello che sto dicendo molto provocatorio.

Carbone
Mi sembra opportuno sottolineare che nell’incontro con l’adolescente molto importante tener presente lapossibilità di non proporre un trattamento. Ora si parla molto di accoglimento. Questo termine ha un suo valore ma anche una certa ambiguit, nel senso che sembra che impronti ad una sorta di “buonismo”, per cui se un adolescente sta male noi dobbiamo proporgli una psicoterapia. Credo che l’effetto iatrogeno delle psicoterapie interrotte sia un evento catastrofico e dobbiamo cercare di evitare che questo si verifichi. A questo proposito vorrei tornare al caso di A. e riprendere la sua affermazione di non credere di poter essere aiutata da altri, perch se non si aiuta da s nessuno lo pu fare. Mi chiedo se si possa leggere questo tipo di proposizione cercando di valutare l’intensit e la qualità del legame dell’adolescente con gli oggetti genitoriali dell’infanzia. Secondo me in questi casi l’adolescente sta parlando di un legame molto importante, che non si pu interrompere, in quanto un legame che lo sequestra insieme a un oggetto genitoriale che ha assoluto bisogno di questo legame per sopravvivere. Allora tale adolescente deve continuare a dimostrare che l’unico oggetto che lo pu aiutare il genitore e che nel momento in cui ci fosse un altro in grado di aiutarlo, questo comporterebbe una catastrofe. In effetti il padre di A. con la sua psicosi maniaco-depressiva sembra presentare un legame che non si può tagliare investendo su un altro oggetto. Quindi mi chiedo se possiamo pensare in termini di narcisismo anche in questa prospettiva, che pi quella del processo di soggettivazione che quella del rapporto oggettuale.

Perret-Catipovic
Talvolta una indicazione pu essere anche una non-indicazione (“Per ora non se ne fa nulla”). Le condizioni per un trattamento non si basano soltanto sulla richiesta dell’adolescente. E se la richiesta bizzarra? Il trattamento va posto come obiettivo da raggiungere e la valutazione dellapossibilità di un trattamento pu richiedere molto tempo. E’ proprio l’urgenza quella che richiede pi tempo.

A questo punto l’organizzazione del seminario prevede la presentazione di un caso clinico da parte della dott.ssa Eleda Spano, membro dellArpad e psicologa presso l’Ospedale Diurno della II Divisione di Neuropsichiatria Infantile, diretta dalla prof.ssa T. Carratelli.


Spano
La consultazione che esporr molto recente ed ancora in via di definizione per quanto riguarda la proposta di un progetto di terapia.
L'Ospedale Diurno si caratterizza per il fatto di proporre una possibile articolazione tra valutazione diagnostica e approccio psicoterapico, offrendo un periodo di osservazione prolungata ad adolescenti con disturbi psichici medio-gravi, in vista della definizione di un progetto terapeutico. L'inserimento dei ragazzi in un gruppo di attivit di tipo ricreazionale per lintera mattinata, svolge molteplici funzioni:
1) offre un'osservazione del funzionamento del paziente nel gruppo dei coetanei; 2) permette leventuale sviluppo di transfert laterali e di spostamenti d’investimento su operatori diversi, che possono cos fungere da contenitori o portavoce di istanze psichiche del paziente, realizzando una esternalizzazione del funzionamento psichico delladolescente allinterno dello spazio istituzionale allargato; 3) consente, soprattutto nei casi caratterizzati da isolamento e ritiro, una graduale ripresa degli investimenti e degli interessi, attraverso l'offerta di stimoli e di attività volte a promuovere il graduale riconoscimento di un proprio apparato psichico.

Rosa, 17 anni, è una ragazza alta, piuttosto magra, aggraziata nei movimenti, con un bel viso. Sebbene non sia molto truccata, i toni scuri e marcati dello stile di moda tra le sue coetanee le danno unaria cos emaciata e sofferente da farmi pensare ad un disturbo alimentare. Per contrasto, lo sguardo aperto, limpido e sorridente.
Al primo incontro, appena entrata nella stanza e prima ancora di sedersi, mi chiede con subitanea familiarità, “Ha passato bene il Natale ?”. Le rilancio: “E tu?”. Risponde in tono piatto: “Tutto bene. Normale.” Supera tuttavia rapidamente la delusione rispetto alla mia mancata risposta e dopo un breve silenzio comincia ad espormi i suoi problemi, a partire da quello del bere. Da circa 2 anni, quando nervosa, entra in un bar e ordina due o tre bicchieri di liquore, whisky o rum. Bere non le piace e non la fa sentire meglio, anzi ne disgustata e si vergogna. Le capita piu spesso in casa, dove attinge ai liquori di famiglia, allungando poi la bottiglia con acqua. I genitori non se ne sono mai accorti, ed stata lei a confidarsi con loro pochi mesi fa. Non sa spiegarsi perch ha questo impulso, pensa che sia per contrastare lansia che sempre l’accompagna e che attribuisce allo stress causato dal troppo studio. Frequenta il 3° anno di un liceo psicopedagogico dove si bene inserita, nonostante una difficoltà iniziale. Ricorda problemi analoghi anche nel passaggio dalle elementari alle medie. Quando ha tanti compiti le sembra che non ce la far e tende a rinunciare. Sente come “un vuoto dentro” e si butta a mangiare smodatamente, per poi sentirsi peggio. Ci tiene a precisare che, nonostante si senta disgustata e sul punto di scoppiare, non le viene da vomitare, n si provoca il vomito.
Un altro problema che si sveglia spesso durante la notte e non riesce a riprendere sonno. Ritiene l'adolescenza un periodo particolarmente difficile della vita. I ragazzi sono tutti stressati dai troppi impegni. E' stata l'insegnante di psicologia a consigliarle di cercare un aiuto “per la sua nevrosi”.
Ha una sorella di 11 anni con cui non va daccordo. Nemmeno con i genitori va daccordo, perche sono apprensivi e assillanti, in casa c’ “una brutta atmosfera”, i genitori litigano spesso.
Ha avuto il menarca a 15 anni, ma non ne è sicura, perch già dai 12 anni circa aveva periodicamente delle “striature”. Ritiene che si sia trattato di un problema ormonale dovuto alleccessiva magrezza. Infatti mangiava pochissimo perché la sua insegnante di ginnastica artistica (attivit che ha iniziato a 7 anni e proseguito fino al livello agonistico), le diceva che doveva restare magra. Poi si resa conto che non era mai abbastanza, voleva continuare a dimagrire anche se non aveva più forza per eseguire gli esercizi. Intorno ai 12 anni, in concomitanza quindi con linizio dello sviluppo puberale, ha deciso di smettere, sia pure con dispiacere, anche perch gli allenamenti erano diventati troppo gravosi e inconciliabili con la scuola. Da allora ingrassata 10 kg. “Se vuole, le porto una fotografia”.
Da circa 8 mesi sta con Alberto, che ha quasi 20 anni e con il quale ha avuto il suo primo rapporto sessuale. Con lui si trova bene perche dolce, non come il ragazzo precedente che era un po brutale. Si sente capita, anche se lui ha una mentalit un po troppo arretrata e maschilista. Non gli ha mai parlato dei suoi problemi, ne della consultazione, visto che lui diffida degli psicologi.

Al momento di far entrare nella stanza i genitori, come d'abitudine nel primo colloquio di accoglienza, Rosa dice che preferirebbe di no. Accetta solo dopo essere stata nuovamente rassicurata sulla riservatezza delle sue comunicazioni e sul fatto che successivamente i genitori avranno degli incontri separati con un’altra dottoressa.
Il colloquio con i genitori si riduce a pochi minuti ed ha lunico scopo di presentarmi, sondare il tipo di preoccupazione che li ha condotti qui e concordare il proseguimento della consultazione.
Il padre ha un aspetto un po dimesso, molto agitato, ha un leggero tremito alle mani e gli occhi sbarrati. La madre appare piu calma, curata, un po distante. Lamenta subito il fatto che Rosa vuol fare sempre di testa sua e diventa molto aggressiva se viene contrariata. Non si sa pi come prenderla. Quando lei aveva la sua et, non metteva in discussione i genitori, si faceva come volevano loro e basta. Il padre invece manifesta la sua preoccupazione, fa un breve accenno, carico di sensi di colpa, a un momento di dissapori con la moglie, di nervosismo in casa. Dice che non si sono resi conto del malessere della figlia finch lei non ne ha parlato alla madre. Dichiara un senso di incertezza rispetto a come regolarsi con le figlie, quando rimproverarle, fino a che punto lasciar correre.
Concordo lappuntamento per Rosa e informo i genitori che per loro previsto un successivo incontro con unaltra collega. Mentre li sto congedando, il padre chiede se pu comunicarmi qualcosa in privato. Rispondo che mi sarebbe impossibile diventare depositaria di un segreto che Rosa ignora, e lo incoraggio a condividerlo qui e ora. Il padre esita, poi preferisce tacere, “per non condizionare” la figlia. Lo rinvio, quindi, al successivo appuntamento con l’altro operatore.

Al secondo incontro, due giorni dopo, Rosa porta vari sogni. Innanzi tutto, si ricordata di un sogno fatto da piccola: C una strega dentro un letto, la strega si mette a girare vorticosamente e il letto diventa piccolissimo.
Pi di recente ha sognato di trovarsi al centro di una piazza, con unamica. Lei è la vittima di unesecuzione. Ci sono soldati allineati. Non sa se la fucilano o si salva.
Un altro sogno recente: incinta, ma sa di essere troppo giovane e non vuole il bambino.
Poi ricorda un sogno fatto circa a 12 anni: si trova di sotto, nel suo garage, unavventuriera. C una specie di strega che cerca di catturarla tirandole contro lance e scudi, ma non ci riesce. Scappa a casa di un’amica, ma la strega la raggiunge e le getta addosso delle spighe. Va in coma e la portano in ospedale. Si sveglia quando gli amici la vanno a trovare.
Commenta che spesso le capita di sognare di correre, di scappare, ma che questi sogni sono anche piacevoli, lei ama correre e ama le avventure. Le chiedo associazioni e mi dice che non ha amiche, non crede pi nellamicizia. Aveva unamica del cuore con cui ha litigato per via di un ragazzo che piaceva ad entrambe. Per riconciliarsi con lei, le ha scritto 25 lettere in un mese, ma laltra non le ha mai risposto. Pensa di essere una persona senza mezze misure, le dicono che non ha personalit, perch a volte “dolcissima”, a volte “arrogante e prepotente”. Non sa regolarsi, non conosce una via di mezzo.
A proposito della strega dei sogni, il suo ex ragazzo le ha detto che lei “una strega” perch fa “discorsi incantatori”. Inrealtà le piace molto parlare, soprattutto discorsi filosofici. “Gli avevo regalato quel disegno antico, luomo al centro del mondo, quello nel cerchio, con le braccia aperte... Di certo lei lo ha presente. A me piace parlare di queste cose, ma lui non sapeva neanche cosera!”
Rispetto alla comunicazione fatta dal padre la volta precedente, mi dice che pensa volesse informarmi che andato per anni da una psichiatra, fino a due anni fa. Lei ne era perfettamente al corrente, anche se non ne conosce i motivi.

Tra questi primi due incontri e i successivi trascorrer un periodo pi lungo a causa delle vacanze di Natale.
Al terzo colloquio trovo Rosa di un umore del tutto diverso dai due incontri precedenti. E’ chiusa, silenziosa, non mi guarda in faccia, palesemente arrabbiata. E arrabbiata con i genitori che le hanno proibito di uscire, dopo che lei ha confessato loro che ha di nuovo bevuto. Non avrebbero dovuto punirla, visto che lei “onestamente” aveva detto ci che le era capitato. Inoltre non è daccordo con quanto i genitori, senza consultarla, hanno scritto sul questionario che avevano ricevuto alla prima visita. Riteneva di dover scrivere personalmente i motivi della consultazione. E venuta qui per il problema del bere e del mangiare, non come ha scritto la madre, perch sempre nervosa e ribelle. In un impeto di rabbia, ha stracciato il questionario. E molto arrabbiata anche con la sorella, che prepotente, immatura e pretende di essere sempre al centro dellattenzione, come una bambina di 2 anni.
In questa seduta mi appare molto ripetitiva nella descrizione fenomenologica di tutti i suoi comportamenti “autodistruttivi”, verso i quali si dichiara scoraggiata e rassegnata. Elude sistematicamente ogni mio tentativo di esplorare i possibili moventi e gli stati d’animo che accompagnano la bevuta o labbuffata, limitandosi ad una piatta descrizione dei fatti. Emerge tra le righe un vissuto di fragilit, di sopraffazione da parte degli altri, di facile esauribilit. Provo a dirle che, certo, c anche stata uninterruzione pi lunga dallultimo incontro, in cui aveva raccontato tante cose di sé, per poi ritrovarsi da sola alle prese con i soliti problemi. Nega educatamente, ma poi sorride e mi guarda. Tace per un momento, poi sposta immediatamente il discorso su un terreno pi sicuro, chiedendomi certificati per la scuola. Ha parlato con gli insegnanti del fatto che viene qui e vorrebbe sapere da me se deve parlarne anche al suo ragazzo.
Comincio dentro di me a prendere in considerazione lapossibilità di proporle linserimento nel gruppo del Diurno, con una cadenza monosettimanale. A ci mi inducono diverse osservazioni: 1) la rapidit del transfert, che fin dal primo incontro mi sembrato particolarmente intenso e di stampo più oggettuale che narcisistico; 2) l’aspettativa e la curiosit verso unistituzione che offre una dinamica di gruppo per lei nuova; 3) lambivalenza tra una richiesta pressante di venire pi spesso ed il rifiuto di farlo per non perdere la scuola.
Lintento quello di offrirle unapossibilità di investimento anche sugli altri operatori e di confronto con gli altri ragazzi presenti. Mi sono successivamente chiesta se in questa decisione non abbia giocato un ruolo importante la spinta controtransferale a proteggere entrambe dal suo attacco bulimico.
Rosa accetta la proposta, ma vuole essere rassicurata che continuerà ad avere i suoi colloqui individuali.
Si inserisce bene nel gruppo, anche perch globalmente il suo funzionamento assai superiore a quello degli altri ragazzi e questo le consente di avere un ruolo preminente. E gentile, interessata, collaborativa, parla molto di s, soprattutto della scuola, racconta anche dei sogni. Nelle sedute con me mi riferisce che va molto meglio, ha potuto parlare, si sfogata, non ha tenuto tutto dentro. Durante la settimana ha provato a controllarsi, non ha pi bevuto, ha chiesto ai genitori di non darle soldi quando esce, cos non ha tentazioni. Cerca di “distogliersi” da quel pensiero. Visto che è brava a disegnare, si portata a casa un cartellone sulleducazione, da fare per la scuola, ed servito. Si anche distribuita meglio i compiti durante la settimana. Appare ottimista e soddisfatta di s.
Salta una seduta, a causa di un tirocinio pratico previsto dalla scuola, e quando torna di nuovo scoraggiata. La settimana andata malissimo, il tirocinio stato molto divertente ma per il resto ha di nuovo bevuto e di nuovo mangiato molto. Stavolta per azzarda un’ipotesi: forse stato perch la madre lha rimproverata per una dimenticanza relativa allacquisto di alcuni libri di testo e le ha proibito di uscire o di far venire amici a casa. Una cosa ingiusta. Allora ha stappato una bottiglia e se lè bevuta quasi tutta. Dopo quasi svenuta. Non ce la fa pi, credeva che le cose andassero meglio, invece anche venire qui non serve a niente...Le amiche la deludono, una di loro si era offerta di studiare con lei le lezioni saltate a causa del tirocinio, ma poi si sottratta... Nel Diurno non si fa nulla di interessante, si annoia, i ragazzi non sono interessati a nulla. Oggi stava leggendo il giornale ad alta voce ma quelli parlavano daltro, ridacchiavano, lei non vuole essere presa in giro...”Se ognuno si fa i fatti suoi, allora anche io me ne sto per conto mio!” Penso tra di me che mi sta accusando di essermi sottratta, di non prestarle abbastanza attenzione proponendole il gruppo, e che forse le pesata anche la settimana che non venuta.
Si ricorda di un sogno fatto in settimana: cera una specie di riccio, forse una talpa, che la inseguiva. Si trovava in un istituto psichiatrico, come questo, c’erano tanti letti e lei cercava di nascondercisi sotto.
Le dico che sembra abbia a che fare con ciò che sta nascosto nel suo profondo, come la talpa, o difeso come un riccio, e che ora chiede di essere preso in considerazione, anche se ne spaventata. Mi risponde sorridendo che a lei queste cose piacciono, ci molto portata, desidera migliorarsi, da grande vuole fare lUniversit, trovare la sua strada, magari fare la psicologa. E piena di entusiasmo, poi cala leggermente di tono e aggiunge pi mestamente: “se non sar possibile, pazienza...”.
Sebbene la consultazione sia ancora in via di definizione, in seno allquipe stato possibile abbozzare una prima valutazione, tenendo conto anche dei contributi dei colleghi.
La gravidanza e la nascita di Rosa devono essere state contrassegnate per la madre da sentimenti depressivi, relativi al tradimento del marito, nel doppio senso di una relazione extraconiugale e del fallimento delle sue aspirazioni separative rispetto alla propria famiglia dorigine. Il rifiuto di qualsiasi sostituto del seno materno a 4 mesi, per via di una mastite della madre, oltre a costituire per Rosa un modello per il successivo disturbo anoressico della latenza, sembra aver ulteriormente scoraggiato la signora circa le proprie capacit nutritive e materne. Per problematiche sue proprie, sullasse narcisistico, ella sembra non essere mai stata in grado di fornire alla figlia un sufficiente schermo antistimolo, muovendosi in modo discontinuo tra momenti di eccessivo distacco ed altri di intrusione dei propri contenuti psichici nella figlia. L’esordio adolescenziale di Rosa coincide con la relazione competitiva ed esibita della signora, cui si accompagna una denigrazione della figura paterna. Daltra parte, le caratteristiche del padre, di tipo pi depressivo e riparativo, sono tali da indurre una certa confusione di ruoli e complicare notevolmente i processi di identificazione. Le qualità maschili e femminili appaiono in Rosa piuttosto contraddittorie, e si riflettono sullincertezza di un ideale di S che oscilla da un polo allaltro ( “dolcissima, oblativa”/ “dura, decisa”). Nonostante una buona capacit di autosservazione, ella sembra ancora estremamente dipendente dal giudizio delladulto per la definizione delle proprie caratteristiche e alla ricerca di un contenitore esterno rispetto al pericolo rappresentato dalle proprie pulsioni. Lesordio puberale, a 12 anni, è accompagnato da incertezza circa la sua reale comparsa e differito nei fatti per altri 3 anni, finch i genitori non prendono l’iniziativa di una visita endocrinologica. Labbandono dellattivit agonistica, il rapido cambiamento (aumento di peso) dellimmagine del corpo, il passaggio alla scuola media con le relativedifficoltà di inserimento, sembrano rappresentare un momento traumatico e di rottura di un regime di latenza piuttosto autarchico in quella bambina silenziosa e diligente. Tuttavia solo verso i 14 anni (il primo ragazzo), che la madre sembra accorgersi dei cambiamenti e reagire con una rigida restrizione dellalibertà di Rosa. Le liti in casa, il clamore provocato dalla relazione della signora, il sentirsi chiamata a prendere parte per luno o per laltra dei genitori, hanno messo in evidenza che, pur disponendo di una sufficiente differenziazione degli oggetti interni, la paziente fa un uso ancora immaturo delle identificazioni con i genitori. Basta considerare, ad esempio, che ella sembra pi contare sulla confidenzialit con una madre che si rivelata fredda, competitiva e discontinua, mentre appare piuttosto guardinga nei confronti di un padre che, pur mostrando dei tratti apparenti di tipo femminile, presenta una dinamica intrapsichica depressiva che lo rende molto pi attento alle vicissitudini del legame con la figlia e al timore di nuocerle.

Perret-Catipovic
Ringrazio vivamente per questo contributo perché ci riporta al tema centrale, cio che cosa si fa in un primo incontro con un adolescente, quindi valutare le trappole e il potenziale su cui lavorare. C’ qualcosa di particolarmente seduttivo in questa adolescente che richiede di essere valutato. R. fa una domanda pesante “Ecco il mio problema, prendetelo”. Mi viene per prima cosa da chiedere il motivo per il quale la consultazione richiesta proprio ora, dal momento che i problemi ci sono da due anni. Mi riferisco allimportanza di muoversi in maniera tale che ladolescente non venga deposseduto della sua problematica, quindi evitare la trappola di essere vissuti come oggetti onnipotenti, quindi da distruggere. Penso che ci sia una trappola nella richiesta di R., cio quella di offrirsi allaltro e poi disimpegnarsi dalla relazione. R. ha una sua teoria sullorigine del suo disturbo, una teoria di fatti (stress, lavoro scolastico) come puri aspetti fenomenologici. La questione come poter utilizzare questi aspetti in modo che siano utili per ladolescente. Nell’ottica di un lavoro a due, cè da una parte la comprensione di quella che ladolescente porta come sua storia e dallaltra linterrogarsi insieme sulla sua teoria. Unadifficoltà che si pu incontrare con questa paziente il rifiuto di pensare quando largomento diventa scottante. Quando R. sente il vuoto, la mancanza dell’oggetto, si precipita nellalcool e nel cibo. Il caso particolarmente illuminante perch ci permette di vedere come negoziare investimento narcisistico e investimento oggettuale, e se il soggetto pu investire loggetto senza disinvestire se stesso. Laltro aspetto riguarda lapossibilità di come un pensare comune possa rimediare a unadifficoltà di pensare del soggetto.

Ladame
Mi complimento innanzitutto per la prudenza con la quale è stato condotto il caso, optando per una frequenza monosettimanale, al diurno in contemporanea con i colloqui. Questo mi permette anche di riprendere il discorso sull’investimento narcisistico e oggettuale. Il caso clinico illustra il dilemma narcisistico-oggettuale, vale a dire una situazione che è esattamente l’inverso del movimento evolutivo normale in adolescenza. Normalmente in adolescenza l’investimento narcisistico positivo di sé consente di andare verso l’oggetto. Lo scambio con l’oggetto rinforza il narcisismo e ciò consente, in un movimento di inflazione, di poter scambiare sempre di più con l’oggetto. Nel caso di R. ho l’impressione che ci troviamo nella situazione inversa: R. ha un bisogno enorme dell’altro, ma l’incontro con l’altro rischia di sgretolare ancora di più il suo narcisismo. Come ha detto già Maja Catipovic, R. porta tutta se stessa nella consultazione, per esempio porta quattro sogni, ma nello stesso tempo, in questo primo incontro, dice qualcosa che ci rende particolarmente prudenti, cioè dice che da due anni ha trovato la sua soluzione nel fatto che si ubriaca, si abbrutisce ed è in effetti capace di ingannare l’oggetto (diluisce con l’acqua l’alcool nelle bottiglie). Ha la cortesia di stabilire le regole del gioco invitando alla prudenza la terapeuta, che ha predisposto un dispositivo in modo tale da avere da un lato la frequenza dell’ospedale diurno e dall’altro gli incontri con lei, almeno in questo momento iniziale.
Relativamente al preconscio e al pensiero, in R. c’è qualcosa di ambiguo; porta dei sogni e potremmo essere indotti a pensare che il suo preconscio lavori, ma questi sogni sono veramente un materiale su cui si può pensare oppure sono materiali da evacuare? A me questo materiale onirico sembra più dell’ordine dell’evacuazione che non materiale adatto ad un copensiero. Credo che proprio questo ha colpito la terapeuta e l’ha indotta ad avere prudenza, dal momento che tutto questo non è stato scambiato per oro. C’è il rischio, evitato dalla terapeuta, di essere sedotti da questo materiale onirico così ricco che però non si presta assolutamente ad un lavoro di pensiero. In fondo R. descrive la capacità di scrivere venticinque lettere ad un’amica, che somiglia molto al rovesciamento di questo materiale onirico abbondante, materiale di cui né terapeuta né paziente possono fare uso. Forse la pubertà è stata per R. qualcosa di traumatico, con tentativi forsennati di controllare larealtà, che in fondo si completa tre anni dopo e che una volta arrivata coincide con una perdita di controllo: ciò è indicativo di un difetto di contenimento del pensiero. Dal momento che R. dice di avere la sensazione di essere alienata dall’altro, questo mi sembra un caso tipico (ci si riferiva prima anche Paola Carbone nel suo intervento) di rischio di interruzione del trattamento. L’interruzione del trattamento diventa drammatica solo quando l’adolescente ne ha bisogno e questa paziente ne ha bisogno. Allora bisogna lavorare sulle condizioni che possono rendere possibile un trattamento.
Però questa ragazza pone anche un altro problema, ed è che quando ci troviamo di fronte ad un giovane paziente che presenta un difetto di contenimento psichico, ci dobbiamo muovere con molta prudenza verso un consolidamento del funzionamento psichico, grazie all’apporto dell’ospedale diurno o di un’altra sistemazione. Ora non posso dilungarmi su questo punto, sul quale potremo eventualmente tornare più avanti.
Desidero invece attirare la vostra attenzione sui disturbi del pensiero che possiamo incontrare in adolescenza. Bisogna innanzitutto fare una distinzione fondamentale tra quello che è ancora nell’ordine della difesa e ciò che è già il risultato della difesa, quindi inscritto nell’ordine di un funzionamento. Dobbiamo cercare di valutare la capacità di pensiero, per valutare ciò che è psicotico da ciò che non lo è. Ci sono adolescenti che hanno uno scompenso psicotico esplosivo, spettacolare che fa molto spesso pensare ad un esordio di psicosi. Per valutare uno scompenso psicotico in adolescenza, ritengo sia fondamentale la valutazione della capacità di pensiero. Bion in particolare ha parlato dei disturbi del pensiero in un contesto psicotico. E’ possibile che adolescenti si presentino in uno stato di scompenso psicotico senza essere entrati in una psicosi vera e propria. Probabilmente questo è dovuto ad un disturbo del pensiero.
Sia in teoria sia nei casi presentati questa mattina compare sempre il concetto di legame. Vi propongo quindi di fare dei legami tra le diverse teorie, che vengono spesso soltanto giustapposte. Nell’adolescente c’è un apparato psichico in fase maturazione biologica e cognitiva. Ciò che consente il passaggio dalla pubertà al processo adolescenziale è il rovesciamento del principio direaltà. La pubertà dà nuovepossibilitàà al bambino che diventa adolescente, in particolare gli dà lapossibilitàà di realizzazione dei suoi desideri edipici. Per poter accettare questarealtà senza diventare folle, l’adolescente deve rinunciare alla megalomania infantile assoluta e dirsi “io posso, ma non è vero che tutto è possibile”. Intanto la maturazione cognitiva consente al pensiero di sviluppare moltepossibilitàà, facendo leva sull’astratto. Questa congiuntura fa esplodere il contenitore del pensiero, in una modalità diversa da prima, che Gutton ha chiamato esplosione puberale. Questa definizione sottolinea la dimensione traumatica della pubertà, intesa in senso psicoanalitico come sopraffazione dell’Io da parte degli eccitamenti che vengono dall’esterno e dall’interno. Vi è un crollo dell’Io, per cui quello che dovrebbe essere inconscio diventa conscio e viceversa, non c’è piùpossibilitàà di censura. Vediamo spesso adolescenti che si presentano con questo quadro di crollo psicotico e bisogna, fin dai primi incontri, valutare se ci troviamo di fronte già a qualcosa che si è inscritto, come risultato di un processo difensivo, oppure se questo crollo è momentaneo, reversibile nella misura in cui l’adolescente può utilizzare il contenitore del pensiero del terapeuta. Un altro aspetto riguardante sempre la psicosi è il ricorso alla scarica motoria, dovuto all’incapacità di fare dei legami. Nessun adolescente può evitare il periodo in cui lo scioglimento del legame diventa indispensabile, ma ciò libera un’enorme energia che rischia di essere distruttiva. Questi scioglimenti sono indispensabili affinché nuovi legami possano essere realizzati, in modo che l’adolescenza introduca una innovazione e non una ripetizione. Questo è il motivo per cui ci troviamo molto spesso di fronte a quadri clinici che somigliano a dei quadri psicotici. Bisogna valutare quindi se si tratta di una soluzione definitiva o se invece l’adolescente è ancora alla ricerca di un’altra soluzione che non sia quella della scarica, ma che comprenda il legame all’oggetto. Il criterio fondamentale che permette di distinguere se ci troviamo di fronte ad un atteggiamento difensivo o al risultato di un atteggiamento difensivo, è quello di considerare qual è il residuo di appetenza oggettuale. Anche se l’adolescente non è in grado al momento di utilizzare l’oggetto, è importante valutare il desiderio dell’oggetto. Tornando al caso di Rosa, Maja Catipovic ha appena detto qualcosa di importantissimo sull’appetenza oggettuale. Almeno in apparenza R. sembra soddisfare questa appetenza all’oggetto ma ciò che complica le cose è il fatto che R è stata vista per la prima volta due anni dopo lo sviluppo dei sintomi. Mi lascio andare con la mia fantasia a fare delle ipotesi che potranno essere verificate soltanto dalla dottoressa Spano. Si può fare l’ipotesi che R. abbia avuto una rottura psicotica due anni fa e che sia stata immediatamente curata a partire non da un disturbo del pensiero, ma da un disturbo comportamentale. Ha trovato quindi una specie di soluzione o meglio un adattamento in termini perversi, attraverso la tossicomania, cioè una dipendenza da uno stato di abbrutimento da alcool. Credo che ciò sia molto importante e ritengo, contrariamente a ciò che si insegna nel campo della psichiatria, che forse è più facile vedere il paziente nel momento dello scompenso, piuttosto che vederlo quando ha già trovato una autosoluzione riparativa. Il problema nel caso di R è che questa appetenza oggettuale può ritrovarsi già pervertita. Il rischio, su cui sarà centrato il lavoro della dottoressa Spano, è che qualsiasi oggetto, anche nuovo, sarà vissuto come oggetto alcool. Stiamo quindi nell’ordine di una ripetizione, che non è fatta in vista di un rinnovamento, ma nell’ordine del ripetere l’identico. Non mi sto occupando in maniera specifica del caso di R. ma sto focalizzando l’asse centrale su cui si basa la valutazione.

Perret-Catipovic
Una terza forma di disturbo del pensiero che passa spesso inosservata, in quanto valorizzata dalla società, riguarda la condizione in cui il pensiero è distaccato, è separato dalla sua fonte pulsionale. Certamente un adolescente che va bene a scuola, che eccelle in matematica non è considerato patologico! Non è malato se conserva il piacere di pensare. Questa dimensione del piacere di pensare è un aspetto fondamentale nella valutazione dell’adolescente. È veramente preoccupante quando l’adolescente vive il proprio pensare come un nemico. Un esempio del genere lo troviamo nell’Amleto di Shakespeare, il quale nel porsi il problema “essere o non essere” si angoscia sempre più ed è talmente inflazionato dai pensieri che lo rinviano sempre al parricidio e all’incesto, a un punto tale che non può dormire per la paura di sognare. A questo punto si intravvede la morte psichica. Si può trattare di morte psichica quando l’adolescente dice che le fantasticherie sono fonte di sofferenza, tanto da sopprimerle. È molto importante verificare quanto l’adolescente possa appoggiarsi all’oggetto per sopportare il carico pulsionale legato alla fantasticheria. Nel considerare i disturbi del pensiero che possono essere sottesi o meno da una patologia psicotica, è importante valutare la capacità dell’adolescente di mantenere il legame all’oggetto e di che tipo di legame è capace. Sarà proprio questa doppia valutazione che consentirà di fare la scelta di un setting terapeutico.

Ladame
Vorrei aggiungere qualche altra cosa. Si è molto parlato (in modo particolarmente originale lo ha fatto Laufer) del concetto di appropriazione del corpo, per integrare l’idea che il corpo appartiene alla persona e che è un bene proprio, inalienabile. Dipende dall’adolescente decidere se mettere in ballo il suo corpo nello scambio con l’altro e le condizioni in cui questo scambio si verificherà. Quindi la scelta dell’altro dipende da lui. Riprendo questo concetto perché ci troviamo nel pieno del problema tra investimento narcisistico e investimento oggettuale. Nellarealtà clinica di adolescenti particolarmente malati, il corpo è considerato estraneo, quasi di proprietà altrui, per cui l’adolescente se ne trova deposseduto. Io e Maja Catipovic insieme proponiamo di accettare l’idea che anche per il pensiero accade come per il corpo. L’appropriazione del pensiero come qualcosa di inviolabile è l’equivalente dell’appropriazione del corpo. Una espropriazione del pensiero potrebbe corrispondere ai noti quadri di automatismo mentale, ma in ambito psicoanalitico vi sono quadri più sfumati che sarebbero l’equivalente della espropriazione del corpo. Bisogna rivolgere molta attenzione alla esistenza o meno della capacità di pensare in comune. Usare il proprio pensiero insieme all’altro va di pari passo con l’usare il proprio corpo insieme con l’altro. Quello che noi in fondo chiediamo all’adolescente, quando gli proponiamo un trattamento, è se lui accetta di essere pensato da noi.

Segue la presentazione di un secondo caso clinico da parte della dott.ssa Q. Cocciante, neuropsichiatra infantile allieva dell’Arpad.

Cocciante
Chiara ha 18 anni, viene in consultazione nella Cooperativa “Rifornimento in volo”, su suggerimento di sua madre, per un disturbo del comportamento alimentare. E’ una ragazza minuta, molto magra, con un’aria tenera ed un po’ arruffata, sembra più piccola della sua età. Riconosce due motivi alla base delle suedifficoltàà: il rapporto con il cibo ed il sentirsi, in quest’ultimo periodo, emotivamente molto fragile. Mi dice che gli altri la vedono un po’ “smortina” e sente di riconoscersi in questa immagine. Parliamo di cosa significhi per lei riconoscersi in questa definizione di sé. Chiara si intristisce parlandomi del suo sentirsi perennemente indecisa e sempre pronta a piangere. Sente che la sua indecisione la porta a fare ai genitori continue richieste di rassicurazione e di conferma, ed anche a tiranneggiarli troppo. Dice: “ Mi sembra di fare capricci senza senso e senza fondamento”.
Sottolineo il suo sentirsi capricciosa come qualcosa che la fa sentire bisognosa nei confronti dei suoi genitori ed anche un po’ arrabbiata per questo. Risponde che è così, non c’è veramente un solo motivo valido ed importante perché debba stare male e rendersi così insopportabile per chi le sta accanto. Dice: “ Mia madre si preoccupa per me, si sente responsabile e vuole che qualcuno le dica che è colpa sua...Questo non è giusto perché non è vero, loro hanno fatto tutto per me, mi hanno lasciato vivere sempre la mia vita... ed invece io sento una grande rabbia dentro e credo che non sia giusto prendermela con loro.”
Le parole di Chiara e l’intensità che le accompagna, mi fanno pensare ad un suo grande timore di ferirsi e sentirsi feriti nella relazione con i genitori, ma anche alladifficoltàà di accedere al conflitto. Le dico che forse la preoccupazione della madre è un po’ anche la sua, nel momento in cui prova a chiedersi cosa le stia succedendo.
Mi parla dei suoi genitori e di come li senta preoccupati sopra tutto del suo rapporto con il cibo e della sua magrezza, in un modo che le sembra esagerato. La sua versione del problema è che la difficoltà di mangiare sia iniziata poco più di un anno fa, mentre la madre lo fa risalire più indietro nel tempo. Tutto è iniziato con un fastidio, un senso di oppressione allo stomaco ogni volta che mangiava, poi la visita di gastroenterologo e la graduale modificazione e riduzione del regime alimentare. E’ molto evasiva sulla perdita effettiva di peso. Dice: “Ho perso solo qualche chilo.. non sono mai stata una cicciona”. Non si è mai piaciuta, né prima né ora. Quando si guarda si accorge di essere troppo magra, ma il corpo non è importante, importante è ciò che c’è dentro. Pensa di essersi sentita sempre un po’ diversa dalle compagne, più piccola di loro. Ha avuto le prime mestruazioni a 16 anni, senza troppa preoccupazione per il ritardo perchè anche per la madre era stato così. L’iniziale sentimento di diversità dalle coetanee sul confronto puberale sembra trapassare velocemente in un sentimento di estraneità. Dice: “Solo due o tre cicli, poi sono sparite.. in fondo è come non averle mai avute..”.
Mi sento molto preoccupata per la durata e persistenza dell’amenorrea, avverto l’intensità dell’angoscia e della rabbia ed anche la negazione con cui questa ragazza sembra proporsi in rapporto al proprio corpo. Dico che la preoccupazione da parte dei suoi genitori è comprensibile, anche se lei mi sta dicendo che è più importante in questo momento ciò che le succede dentro, il suo confrontarsi con un sentimento di fragilità e tristezza.
Chiara dice che il mangiare non è importante, non ne sente il bisogno, non ha mai veramente fame. Il problema vero è non riuscire a portare avanti più nulla, la scuola, il rapporto con gli amici. Passare le ore sui libri pensando che il tempo non è mai abbastanza. Dice: ”Sto lì a studiare, mi chiamano perché è pronto da mangiare ed io penso che non è possibile, non ho concluso nulla, non ho consumato abbastanza. Prima lo studio per me era una passione, ora lo vivo come una costrizione... forse non sono abbastanza intelligente...”. Frequenta l’ultimo anno del liceo scientifico, quest’anno dovrà affrontare la maturità, non solo, ma anche scegliere cosa fare e se continuare. Si sente fluttuante tra scelta umanistica o scientifica. Dice: “E’ come dover scegliere tra il cuore e la ragione... ma questo forse non è collegato”. Io penso ad un cedimento narcisistico di fronte ad un momento di passaggio importante. Le faccio notare che forse il collegamento sta proprio nel sentire un grande sovraccarico emotivo di fronte a nuove richieste che la pongono a confronto con una situazione di fragilità già esistente.
Chiara sembra accogliere le mie osservazioni, ma aggiunge di trovarsi spesso a pensare che una scelta è inutile, che è meglio rinunciare. Tanto va tutto male, anche con gli amici, che sono quelli di sempre, della scuola. Loro le sono anche vicini, è lei che sente di non volerli caricare dei suoi problemi, di essere un fardello, con i suoi silenzi, le sue tristezze e le sue indecisioni. Dice: “Faccio i capricci anche con loro.. è una cosa infantile....a volte penso davvero di non essere mai cresciuta.” E’ per questo motivo che spesso preferisce non vederli e restare sola. Pensa che forse per lei le cose non sono mai molto cambiate, né fisicamente, né mentalmente. Si accorge che gli altri vanno avanti, si fanno delle idee, dei progetti mentre lei rimane ferma, perché in fondo la verità è che non ha nulla dentro, nulla da dare né da offrire.
Sento e commento con lei quanto questo possa farla sentire sola e quanto possa trovare difficile pensare di potersi fare aiutare rispetto ad un bisogno. Le chiedo anche cosa si aspetti nel venire qui, quale desiderio abbia. Mi risponde che si aspetta di cambiare, anche i suoi genitori se lo aspettano, pensa che la psicoterapia possa essere una specie di rieducazione di qualcosa di sbagliato dentro di lei.
Le dico che possiamo provare a comprendere insieme il significato di ciò che mi sta confidando, ladifficoltàà ed il conflitto con il corpo e con il cibo, ma anche il suo sentirsi proprio in questo momento così esposta e sofferente, che è stato un motivo in più del suo arrivare qui. Sottolineo l’importanza di darci un po’ di tempo, dicendole che potremo incontrarci di nuovo tra una settimana.
Ripensando a questo primo incontro con Chiara, che ho vissuto in maniera molto intensa e con un sentimento di grande simpatia, mi sono confrontata con una forte preoccupazione, legata sicuramente all’angoscia che un sintomo così restrittivo come il suo porta in sé. In questo caso mi ha fatto molto pensare ad aspetti depressivi di inibizione della crescita. Mi sono chiesta come affrontare il tema del corpo e dell’anoressia, tenendo conto del livello di scissione che questa adolescente sembra proporre. Mi sono anche domandata quanto la sua richiesta possa divenire veramente sua e come sostenerla, in considerazione della grande fragilità ma anche della suadifficoltàà di riconoscere il proprio stato di bisogno. La sensazione è stata quella di un buon clima affettivo, insieme alla consapevolezza di dovermi muovere con attenzione e cautela, offrendomi, soprattutto con una funzione di sostegno narcisistico.
Nei due incontri successivi che ho con lei, Chiara mi comunica di aver pensato che vuole provare a capire cosa le sta succedendo, perché si sente troppo piena di dubbi. Ha parlato con i suoi genitori, che sente di avere già molto deluso, e ha rifiutato la richiesta della madre di venire a parlare con me, anche se con grandedifficoltàà. Riconosce che lasciarla fuori è difficile, sia perché la fa sentire un’egoista (come se pensasse solo a sé) sia perché sente che questo è un modo per escluderla.
Questo mi fa pensare molto all’intensità del suo coinvolgimento nel rapporto con la madre, al suo sentirsene profondamente assorbita, e alladifficoltàà di potersene differenziare. Le dico che forse sta provando a vedere se è possibile pensare ad uno spazio di riflessione per sé che tenga anche conto dellaqualità di questo legame e di come sia possibile comprenderlo insieme.
Mi dice che i suoi genitori sono sempre molto attenti a lei, unica loro figlia. Suo padre è in pensione, ha più tempo a disposizione e per farle piacere le chiede in continuazione cosa può fare per lei, facendola a volte arrabbiare. E’ anche per questo che ha deciso di uscire di più, di restare meno sola. Mi racconta di una nuova esperienza di questo periodo, un corso di teatro a scuola. Ne parla come di un’esperienza di drammatizzazione collettiva in cui ognuno è chiamato ad esprimersi in termini di maggiore o minore propensione alla razionalità o alla passionalità. Si è sentita molto scossa da questa scelta, ha pensato che la sua componente passionale è quella che soffre di più. Dice: “La mia passionalità piange perché soffre del mio bisogno di controllare sempre tutto con la mia mente”. Ha anche scoperto che c’è un ragazzo che si interessa a lei. Ne è stupita e sorpresa, si chiede come sia possibile che qualcuno possa provare interesse per lei, a chi possa mai piacere. Non ha mai avuto un’esperienza affettiva con un ragazzo, non ha mai permesso che potesse succedere.
Le propongo di esplorare insieme a lei quali fantasie questa nuova situazione possa averle suscitato. Chiara si sente preoccupata da cosa lui potrebbe scoprire conoscendola meglio, perché si accorgerebbe che non ha nulla dentro, che è vuota. Mi comunica anche la paura di scoprire di non poter sentire niente, nessuna emozione dentro di sé. Questo offre lo spunto per una riflessione sulle cose che sente perdute, interessi e cose che le piaceva fare, come la pittura e la scrittura. Ricorda il periodo della scuola media: “Quello è stato un periodo bruttissimo della mia vita, ero sempre un po’ isolata dagli altri, forse perché mettevo un grande impegno nello studio ed una grande fatica per mantenerlo...a volte penso che il problema è che ho un concetto troppo alto di me, mi sento troppo superiore”. Ricorda in particolare un episodio in cui si è sentita accusata e rifiutata dai compagni. Fanno un tema in classe, lei ne scrive uno lunghissimo, deve finirlo a casa. Gli insegnanti decidono di premiarlo, ma i compagni le si scagliano contro, accusandola di non averlo fatto da sola e di non meritarsi per questo il riconoscimento che le viene dato. Ci soffre ancora molto, piange, dice che non è giusto. Mi sento molto colpita dalla sua sofferenza e da come la sua angoscia assuma sfumature fortemente persecutorie. Come tener conto di questo nella relazione con lei? Mi pare che Chiara si stia domandando cosa sta cambiando per lei e cosa può significare trovare un oggetto d’amore diverso dai genitori, con tutto ciò che questo può significare in termini di desiderio ma anche di paura di una vicinanza eccessiva.
A conclusione di questi primi incontri, sto riflettendo su quale percorso sia più idoneo offrire a questa adolescente. Ho sentito di poter restituire a Chiara la percezione di quanto possa essersi sentita sottoposta ad una richiesta interna sempre molto pressante e di quanto però sia difficile continuare a sostenerla di fronte a situazioni nuove di sollecitazione e di confronto con la sua crescita. Ho condiviso con lei il fatto di averla sentita preoccupata ed arrabbiata per come tutto ciò si riflette profondamente nel rapporto con il suo corpo e con ciò che per lei è importante. Quindi sottolineo molto con lei il fatto che abbia richiesto una consultazione in questo momento come una possibilità importante che si è voluta dare per cercare di comprendere meglio insieme una fase delicata e ricca di sviluppi della sua crescita.

Perret-Catipovic
L’obiettivo da tener presente, nei primi incontri con l’adolescente, consiste nel vedere qual è il modo di essere più utile per lui o lei. Ritengo che questa domanda “che cosa può essere più utile per l’adolescente” sia una domanda guida, che spesso dimentichiamo. Spesso ci troviamo più all’ascolto dei nostri bisogni narcisistici che non dei reali bisogni del paziente. Ascoltando le riflessioni della dottoressa Cocciante relative al caso di Chiara, si può dire in fondo che Chiara è stata fortunata! Vorrei aggiungere qualche riflessione a quelle già fatte. Da un lato abbiamo una ragazza che chiede molto per se stessa. E’ molto intelligente, ha già fatto una riflessione su se stessa e sulle sue difficoltà e si presenta in una maniera talmente valida che ci si dimentica che esiste un corpo, il quale tende a scomparire dalla scena. La dottoressa Cocciante è stata molto attenta a non dimenticare mai larealtà del corpo.
Il problema sta nel come impostare un setting che impedisca la trappola della scissione. Il caso di Chiara mi ha evocato altri casi in cui per definizione non possiamo procedere da soli, preoccupandoci esclusivamente dei contenuti psichici. Dobbiamo invece tener presente anche il corpo in quanto può essere necessario un ricovero per condizioni fisiche gravi. La grande problematica che Chiara ci pone nel momento in cui, a 18 anni, deve prendere la sua vita nelle proprie mani, è l’importanza di aver presente insieme larealtà del corpo e un’elaborazione psichica che al momento è invece staccata.

Ladame
Possiamo ora discutere delle zone d’ombra presenti nel caso di Chiara. La dr.ssa Catipovic ha sottolineato gli aspetti positivi dell’incontro, gli aspetti anche piacevoli del funzionamento di questa adolescente. Ora riprenderò il concetto di scissione mente-corpo più dal punto di vista psichico. Un punto in particolare della relazione della dr.ssa Cocciante mi ha colpito, punto da cui partire per decidere il trattamento e le sue condizioni. La paziente ha utilizzato gran parte del primo incontro per convincere l’interlocutore che niente deve cambiare, eppure alla domanda su “cosa si aspetta dagli incontri” dice di voler cambiare. In questo modo fa due proposte contraddittorie, di cui non è cosciente. La dr.ssa Catipovic ha parlato dell’aspetto cognitivo del pensiero e a questo proposito ora mi chiedo quanto l’adolescente possa fare uso della contraddizione. Può l’adolescente usare la contraddizione e inserirla in una dimensione conflittuale? Oppure è costretto a ricorrere alla scissione in maniera tale che gli opposti non sono più dialettizzabili e si impongono come tali? Ritengo fondamentale il concetto di tolleranza della conflittualità, perché è su questo che si basa un processo psicoanalitico. Torniamo così sulla questione se un comportamento è difensivo o se è già andato oltre: a che cosa serve la scissione in questa paziente, cosa le consente di evitare? A proposito di questa contraddizione cambiare- non cambiare vorrei ricordare la Aulagnier che, parlando di problematiche psicotiche, utilizza una bellissima espressione: “che tutto cambi, che nulla cambi”. Tutto ciò rimanda al crollo narcisistico e al concetto di contenitore del pensiero. In effetti “che nulla cambi” è un modo di difendersi dal fatto che un minimo cambiamento comporti un cambiamento totale e che quindi il soggetto sia perso a se stesso. Tutto ciò ha a che vedere col rischio di crollo narcisistico, di perdita del Sé.
Ci sono altri punti di valutazione rispetto alla capacità di pensiero di Chiara che vanno considerati. È un pensiero molto vivace, brillante, ma c’è un aspetto di morte che si insinua, basti pensare all’immagine che i compagni le rimandano di essere smortina, che è anche approvata da lei, quindi c’è veramente il rischio di un mondo interno morto e il rischio che, come il corpo, anche il pensiero vada incontro alla stessa sorte, diventando razionale e non creativo. Questo rischio è così grave che come primo obiettivo di un intervento ci si può porre quello di preservare l’aspetto vivo e creativo del pensiero di Chiara. Infine ci troviamo di fronte ad un ideale dell’Io megalomanico e di ciò da parte di Chiara c’è coscienza. Bisogna quindi valutare che fine farà tale ideale megalomanico quando la paziente si troverà ad accettare di essere malata e bisognosa di cure. In termini generali c’è sempre un grande rischio quando ci troviamo di fronte ad una persona dotata di una mente brillante e vediamo psicoterapeuti poco preparati che si precipitano a proporre un trattamento prima che se ne siano stabilite le condizioni. Esistono due posizioni manichee: da una parte psicoanalisti che fuggono gli adolescenti come la peste e dall’altra parte uno schieramento di analisti pronti ad irretire gli adolescenti. Esiste però comunque una terza categoria intermedia, che è rappresentata da noi! Il caso di Chiara si presta benissimo ad illustrare che da una parte è appropriato un trattamento psicoterapeutico, però è anche appropriata una certa prudenza, in modo da assicurare lapossibilitàà che questo trattamento si sviluppi e che sia un trattamento lungo.

Perret-Catipovic
Vorrei sottolineare l’importanza del setting. Il setting non corrisponde soltanto a due persone che sono d’accordo per vedersi e fare qualcosa insieme. Ho apprezzato notevolmente la prudenza del prof. Novelletto a proposito della sua osservazione che “strategie terapeutiche” rinvia comunque ad un concetto di guerra, di combattimento, come se il terapeuta si identificasse con un generale che imporrà un piano di battaglia. Mi sembra molto adeguato il concetto di negoziazione, quindi negoziare con l’adolescente. Bisogna assolutamente evitare consultazioni che si prolungano senza sapere quale sia l’obiettivo, ad un certo punto si possono anche concludere le consultazioni e passare ad un progetto terapeutico oppure finire e passare ad altro, ma sempre spiegando. Penso che il contratto corrisponda ad un accordo consapevole da parte di due persone e non qualcosa che si sviluppa inconsapevolmente. Prima di valutare il setting, dobbiamo valutarne i rischi. Il caso di Chiara illustra bene questo aspetto, soprattutto il lavoro che bisogna fare prima di proporre un trattamento. Bisognerebbe portare la ragazza a riflettere su quella che potrebbe essere una relazione terapeutica sopportabile per lei, dal momento che Chiara mette in guardia la dr.ssa Cocciante sullapossibilitàà di una fuga, dice che è sola, ha amiche, ma queste vanno avanti, fanno progetti, mentre lei rimane ferma perché in fondo la verità è che non ha nulla dentro, nulla da dare né da offrire. Chi si vive in questi termini come può impegnarsi nella negoziazione con l’altro? Si avvicina agli altri, ma poi se ne deve distaccare prima che l’altro scopra il suo vuoto interno. Bisognerebbe dire a Chiara che è sì importante quello che ha dentro, come lei stessa dice, però bisogna pensare a come potrà sopportare il rischio che dentro non ci sia nulla e che qualcuno si possa interessare a questo. Nella mia esperienza molti pazienti danno molto al terapeuta, ma poi interrompono perché non hanno più nulla da dare. Queste sono tutte cose da chiarire prima ancora di parlare di setting terapeutico.

Ricciardi
Vorrei innanzitutto fare i miei complimenti alla dr.ssa Cocciante per le capacità di ingaggiarsi nella relazione con l’adolescente e a mia volta fare due osservazioni sul caso di Chiara. Una riguarda il tipo di setting, cioè come negoziare la distanza tra la mente del terapeuta e l’adolescente nel momento in cui incomincia una terapia. Infatti se il rapporto di dipendenza diventa troppo forte si rischia di non poter entrare in contatto con gli affetti. L’espressione smortina, che può rimandare ad una sorta di aspetto anaclitico negativo nel corso del rapporto, mantiene la scissione mente- corpo, dal momento che gli affetti devono necessariamente passare sotto il registro della mentalizzazione. Altrimenti rischiano di rimandare ad unaqualità di affetto propria della relazione primitiva madre- bambino, nel qual caso restano scissi e non si possono insediare nel corpo e favorire una relazione con i coetanei.
Per quanto riguarda la seconda osservazione, vorrei partire dalla frase “mi sembra di fare capricci senza senso e senza fondamento”. Mi sembra che essa metta in evidenza la perplessità che la stessa adolescente ha rispetto allaqualità del suo funzionamento mentale, che a sua volta rimanda al concetto di paura della regressione nella relazione e quindi al problema di dosare e negoziare la regressione. Inoltre il concetto di negoziazione suggerito da Novelletto mi fa pensare non solo alla negoziazione tra adolescente e terapeuta, ma anche a una negoziazione all’interno del terapeuta tra i vari livelli di assetto mentale, nel momento in cui deve ingaggiare una relazione.

Perret-Catipovic
Ci vorrebbe un’altra giornata di lavoro soltanto per rispondere a queste domande, alle quali posso rispondere solo schematicamente. Credo che uno dei punti sia quello di valutare insieme con l’adolescente come egli potrà sopportare una relazione di dipendenza. Si tratta di una valutazione che è valida in fondo per qualsiasi tipo di trattamento, anche con adulti e bambini, ma che diventa cruciale con l’adolescente perché noi lo immettiamo in una relazione asimmetrica proprio quando l’adolescente deve fare il lutto della dipendenza genitoriale. Nell’uscire dalla sua infanzia l’adolescente rimane terribilmente deluso dai suoi genitori. Per poter tollerare questa deidealizzazione dei genitori, si rivolge al gruppo dei coetanei, che fungono da sostegno narcisistico. In fondo la nostra proposta terapeutica è paradossale, per il fatto che invitiamo l’adolescente ad una relazione asimmetrica per riuscire a superare la sua relazione di dipendenza dai genitori. Quindi la capacità che l’adolescente ha di sopportare una relazione di dipendenza con un nuovo adulto fa parte del compito di valutazione.
La seconda domanda riguarda la questione se questa relazione di dipendenza non possa scatenare una regressione che vada oltre la regressione al servizio dell’Io. In ogni trattamento ci si augura che ci sia una regressione, non è qualcosa di per sé da evitare. Così pure la regressione nel trattamento dell’adolescente: è estremamente dolorosa, difficile da vivere, ma non è da evitare. Ci si può chiedere se in alcuni momenti non possiamo indurre una regressione e anche questo fa parte della valutazione. Chiara, per esempio, mentre sta preparando la maturità chiede una consultazione proprio perché i suoi risultati scolastici sono in declino in quel momento. In questo caso bisogna essere particolarmente prudenti, perché si tratta di proporre un setting che inevitabilmente comporterà un rischio di insuccesso sul piano scolastico, che a sua volta può essere in quel momento narcisisticamente insopportabile. La regressione quindi non è da evitare, ma richiede un’attenta valutazione.

Ladame
Vorrei aggiungere qualcosa circa la domanda sulla dipendenza. Riprendo il filo conduttore di questa mattina, a proposito di Alessandra, quando diceva “nessuno mi cambia se io non sono capace di cambiare” . Qui siamo di fronte a due ipotesi interpretative: si tratta di una difesa contro la relazione di dipendenza oppure si tratta di incapacità a rinunciare all’onnipotenza infantile? Per quanto riguarda il colloquio con A. non posso sbilanciarmi tra le due ipotesi, ma comunque vedete dunque quanto è importante questo punto nella valutazione, allo scopo di trovare le condizioni migliori per un setting che consenta di continuare a lavorare.

Novelletto
Oggi abbiamo appreso molte cose e abbiamo potuto fare molte considerazioni e riflessioni anche dentro di noi, sul nostro modo di fare la valutazione alla luce di quanto è stato detto. Vorrei sottolineare alcuni aspetti positivi dei casi presentati, tornando sul caso di Rosa. La mia domanda verte sul ruolo dell’identificazione con i genitori, argomento di cui oggi si è parlato poco e che secondo me è molto importante anche dal punto di vista della valutazione di trattabilità. Vi ricordate che la madre di R. aveva avuto due aborti, poi ammetteva di aver dei periodi di scacco in cui occuparsi dei figli era problematico. Il padre era quel signore depresso. A me è parso che le identificazioni con i due genitori, malgrado un certo grado di contestazione nei loro confronti, fossero diqualità abbastanza buona, Sebbene R. fosse ancora troppo attaccata a loro e il distacco e lo spostamento su nuovi oggetti fosse ancora da vedere, laqualità delle identificazioni che R. aveva fatto con i genitori dall’inizio fino ai dodici anni sembrava adeguata. Tuttavia R. non ne poteva fare un uso positivo, perché non riusciva a stabilire un rapporto di confidenza con il padre che soffriva di depressione. Tale rapporto lo cercava con la madre, che era piuttosto distaccata. Dal punto di vista diagnostico dellapossibilitàà di investimento e di rappresentazione dell’oggetto, a me sembra che queste identificazioni testimoniassero un funzionamento dell’Io e un tentativo di soggettivazione che in sostanza sono elementi rassicuranti sullapossibilitàà di future identificazioni, altrettanto buone, con oggetti nuovi. C'è certamente il problema dello squilibrio dell’investimento narcisistico-oggettuale che si oppone a questo passaggio di investimento dai vecchi oggetti ai nuovi, però mi sembra che ci sia alle spalle un retroterra sufficientemente rassicurante.

Perret-Catipovic
La passione che condividiamo ci dà la voglia di andare sempre oltre! Sono cosciente del fatto che abbiamo un po’ trascurato gli aspetti positivi, potenziali dei tre casi esposti, essendoci soffermati più sui rischi e sui pericoli. Da quanto detto, la capacità di R. di una buona identificazione è indubbia. E’ probabile che questa ragazza si sia trovata precocemente a dover diventare genitore di se stessa. In fondo due anni prima, con l’inizio della sua sintomatologia, il padre aveva interrotto la sua analisi e la madre era incostante. E’ possibile quindi che R. sia stata costretta a prendersi cura di se stessa al posto dei genitori e attraverso l’alcool. Io non dico che non sia importante che l’adolescente sappia fare tutto da sé. Una buona uscita dalla adolescenza è garantita dalla capacità che l’adolescente ha di identificarsi con gli aspetti protettivi genitoriali, sempre considerandosi il bambino dei suoi genitori e immettendosi in un rapporto di affiliazione, anche con il riconoscimento di una differenza generazionale. A questo proposito la Aulagnier ha considerato in un’ottica particolare l’uscita o la non uscita dall’adolescenza, nel senso di “diventare i titolari del contratto della propria vita”. E’ importante non solo che l’adolescente si appropri della propria storia, ma anche che riconosca che l’origine della propria storia va oltre se stesso. Questo permette un’apertura a nuovi sviluppi e a nuove identificazioni.

Catarci
A proposito del caso di Chiara penso che ci sia un’altrapossibilitàà di vedere il suo funzionamento in termini di una condizione paradossale, visto che il fatto di dire “che tutto cambi, che nulla cambi” ha una dimensione paradossale. Mi chiedo se non possiamo utilizzare la presenza di questa situazione paradossale per riflettere sulla necessità, in prima battuta, di lasciare aperto il paradosso. In altre parole è bene in questi casi non precipitarsi alla soluzione, ma sostenere il paradosso un po’ in una dimensione winnicottiana, con lapossibilità di potersi spostare in un’area non decidibile, proprio perché l’aspetto paradossale non può per ora essere risolto.

Perret-Catipovic
Sono pienamente d’accordo che il paradosso è centrale, ma non è un nemico da abbattere, anzi dobbiamo preoccuparci quando non c’è. Quindi bisogna attendere che emerga e che approdi a una situazione di conflittuabilità.

Ladame
La mia preoccupazione nel caso di Chiara è che per lei non si tratti di un paradosso perché in caso di scissione non si tratta più di paradosso, ma di due aspetti che ormai hanno un percorso autonomo.

Traduzione consecutiva della dr.ssa Marina Sapio, socio ordinario Arpad.




PSYCHOMEDIA --> HOME PAGE
A e P --> HOME PAGE --> Anno II - N° 1 - Gennaio 2002