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A e P --> HOME PAGE --> N° 3 - Settembre 2001




Anno I - N° 3 - Settembre 2001

Adolescenza e legislazione




LA PROMOZIONE DELL'ESPERIENZA DEL GRUPPO IN ADOLESCENZA (prima parte)
Riflessioni sui centri di aggregazione giovanile attivati con il Fondo Nazionale Per L'infanzia e l'Adolescenza (Legge 285/97)


1 - Le politiche sociali per i giovani
Con l'approvazione della Legge 285/97 "Piano Nazionale per l'Infanzia e l'Adolescenza" si sono improvvisamente rese disponibili, negli ultimi anni, consistenti risorse finanziarie per l'apertura di nuovi servizi educativi e sociosanitari per adolescenti. La logica della legge è quella della prevenzione primaria, del potenziamento delle risorse individuali e della costruzione del benessere, piuttosto che quella tradizionale dell'assistenzialismo e della cura. Ciò ha promosso i nuovi servizi per gli adolescenti caratterizzati dalla bassa soglia d'accesso, dalla trasversalità dell'utenza, dall'autoreferenzialità, dalla sviluppo diritti e della cittadinanza attiva dei giovani, che già prima dell'approvazione della legge si stavano sperimentando nel nostro paese. Tali servizi trovano nella promozione dell'esperienza del gruppo dei pari (gruppo d'aggregazione, gruppo terapeutico, gruppo classe ecc.) la loro più immediata applicazione. I promotori degli interventi sono stati fortemente spinti dal legislatore a realizzare tali servizi secondo una metodologia integrata dell'intervento pubblico con quello del privato sociale (quello che oggi è definito "lavoro di rete").
La legge ha raccolto l'eredità storica della legge 216/91 che aveva l'obiettivo di intervenire nelle situazioni di rischio di coinvolgimento dei minori in attività criminose. Una legge , dunque, che interveniva nell'area del disagio giovanile e che aveva ben chiaro il rapporto fra quest'ultimo e la carenza ambientale, intesa come carenza di risorse educative e preventive., di presidi territoriali, di iniziativa e di presenza sociale nei quartieri a rischio. Iniziative prima lasciate al volontariato ed al privato sociale (in particolare quello cattolico degli oratori e degli scout) venivano così per la prima volta assunte dallo Stato come proprio specifico compito.Questa nuova dignità istituzionale dei Centri di Aggregazione Giovanile (C.A.G.)segna un importante passaggio delle politiche sociali giovanili del nostro Paese. Dall'assistenzialismo individualizzato e dagli interventi episodici di prevenzione del disagio, realizzati con campagne pubblicitarie o con raid informativi nelle scuole (spacciati per educazione alla salute) si passa gradualmente ad un impegno più continuativo, ma soprattutto più rispettoso delle esigenze dei ragazzi, i quali vengono coinvolti nella realizzazione del progetto, anzi ne diventano i protagonisti, mentre prima ne erano solo destinatari passivi. L'ulteriore passo avanti, che la legge 285/97 fa compiere alle strategie di politica sociale per i giovani, è quello di superare la categoria di "giovani a rischio", che nella legge 216/91 era inevitabilmente correlata a condizioni familiari e sociali svantaggiate, per rivolgersi a tutti gli adolescenti, indipendentemente dalla loro condizione socio-economica. Molte erano ormai le osservazioni sui comportamenti a rischio dei giovani che smentivano la correlazione classe sociale-disagio. Ad esempio, numerose ricerche hanno dimostrato che il consumo delle "nuove droghe" coinvolge in maniera trasversale i giovani e viene accettato nella normalità dei loro stili di vita (Lazzaroni,2000). Finito il tempo dell'intervento preventivo su categorie specifiche di giovani e constata la difficoltà sempre maggiore di descrivere e categorizzare il complesso universo giovanile, la politica sociale per i giovani si orienta maggiormente sulla scelta dei contenuti piuttosto che per l'individuazione di specifici fasce d'utenza.
I percorsi di crescita che sono stati attuati con gli adolescenti grazie alla legge 285/97, sono i più variegati : sono stati concordati con i ragazzi azioni legate all'uso del territorio; sono stati siglati patti per l'utilizzo di strutture (a cominciare dalla scuola) per fare musica, sport, teatro, computer ecc. e per incontrarsi, in cambio dell'impegno sulla loro manutenzione da parte degli adolescenti, in un'ottica di patto. Sono state realizzate microazioni di educativa di strada e d'informagiovani nei parchi o nei luoghi (il muretto, il bar, la piazza) dove si riuniscono i gruppi o le compagnie; sono stati aperti numerosi centri d'aggregazione di quartiere dove i ragazzi hanno potuto incontrarsi con altri coetanei grazie all'impegno di educatori, assistenti sociali e psicologi; sono stati realizzati sportelli d'ascolto nei luoghi di vita naturali degli adolescenti (a cominciare dalla scuola) dove psicologi di formazione clinica erano a disposizione dei ragazzi che ne avevano bisogno.
Per attuare questo tipo di azioni educative e di sostegno alla crescita è stato necessario per gli adulti fare un passo indietro rispetto alle tradizionali prassi educative e sanitarie, e mettersi nella condizione di porre dei "limiti frangibili" con i quali i ragazzi potevano confrontarsi (Centro Nazionale di Documentazione ed Analisi per l'Infanzia e l'Adolescenza, 2000)

A quattro anni dalla promulgazione della legge 285 e dell'attivazione in tutto il territorio nazionale di servizi e progetti per adolescenti, è possibile avviare una prima riflessione su tali esperienze, al fine anche di sostenere l'importante processo istituzionale avviato dalla legge, che sta trasformando significativamente la cultura dei servizi educativi e di accoglienza degli adolescenti. Significativo a tal proposito è il lavoro che stanno svolgendo nel nostro Paese alcune istituzioni scientifiche che operano a livello nazionale (Istituto degli Innocenti di Firenze) e a livello locale (ad esempio l'Osservatorio sul Disagio Adolescenziale del Comune di Roma, , istituito dall'Assessorato alle Politiche Sociali e affidato per convenzione all'Associazione Romana di Psicoterapia dell'Adolescenza), in quanto stanno monitorando le esperienze realizzate all'interno dei diversi servizi promossi dalla legge. Numerosi sono i problemi con i quali si sono dovuti confrontare coloro che si sono occupati delle esperienze attivate nei servizi e nei progetti per adolescenti attivati con la legge 285, ma qui intendo concentrarmi sulle problematiche emergenti nel lavoro educativo e di accoglimento psicologico realizzato all'interno dei C.A.G., di cui ho personale esperienza.

2- Un ambiente per la promozione della crescita degli adolescenti
La nuova dimensione relazionale del lavoro educativo aperta dai C.A.G , sta producendo un nuovo modello d'intervento che, pur se provvisoriamente, possiamo incominciare a descrivere, coscienti della insufficienza dei dati a nostra disposizione, ma anche della necessità di incominciare a riflettere in maniera sistematica sull'esperienze che si stanno conducendo nel nostro Paese. Necessità ancor più urgente, se si pensa ai rischi insiti in una pratica educativa che ignora la complessità delle problematiche in campo, e quindi inevitabilmente tende ad appiattirsi in una esperienza sostanzialmente improvvisata e volontaristica. In questo caso i rischi sono molti, il più grave dei quali mi sembra essere quello del deterioramento delle funzioni del C.A.G. che comporta inevitabilmente la frustrazione degli operatori e la loro conseguente demotivazione (o burn-out). Queste condizioni rappresentano le condizioni perché il C.A.G diventi terreno di cultura di diverse patologie adolescenziali, quali la demotivazione, l'antisocialità, l'egoismo consumistico, la delusione e la disperazione.
Il rischio più comune mi sembra essere quello di incappare nell'iperattivismo pedagogico e vedere così drammaticamente confermata l'inconsistenza e la superficialità delle proposte educative dei mass-media, centrate sul consumismo e sulla strumentalizzazione a fini di mercato delle mode giovanili.
Spesso dietro allo slogan dell'aggregazione giovanile si nasconde una tendenza autoreferenziale di attribuire significato e senso a questo tipo di esperienze. Come se fosse sufficiente mettere insieme diversi adolescenti in una sala prove per la musica o in un laboratorio informatico per costruire un'esperienza che abbia senso educativo ed evolutivo.Come afferma Pietropolli Charmet (2000) questo tipo di esperienze non aiutano l'adolescente a rapportarsi con il Sé, non sostengono la funzione introspettiva. Al contrario non lo salvano dal gruppo come contenitore protettivo in cui non si cresce, perché spesso fa perdere contatto con la realtà interiore. In questi casi al rischio di realizzare un'esperienza effimera che insegue le mode giovanili più o meno imposte dal mercato si somma, più o meno inevitabilmente, il rischio di esautorare la figura dell'adulto o di tecnicizzare la sua funzione (l'educatore diventa il tecnico del computer o quello del suono a cui ricorrere in caso di necessità, con una funzione , dunque, meramente ancillare). Insomma l'attività diventa il fine e non il mezzo attraverso cui raggiungere il mondo interiore del ragazzo.
D'altro canto, occorre tener presente che anche nel C.A.G. meglio orientato al mondo interno del ragazzo , ci sono dei bisogni che esulano dalle competenze dell'educatore, il quale deve lasciare spazio a (e possibilmente introdurre l'intervento di) altre figure professionali. L'operatore , infatti, può ricevere una richiesta d'aiuto che va al di là dell'aggregazione o delle sue competenze relazionali ed affettive (Marchesi, 2000). In questo caso mi sembra essenziale il ruolo di orientamento verso altri servizi che può realizzare l'operatore del C.A.G. Quando ciò non avviene il rischio del C.A.G.è quello di surrogare funzioni non proprie, saturando velocemente domande e bisogni degli adolescenti che hanno bisogno di specifici percorsi. Il C.A.G. diventa così una specie di mondo autarchico chiuso, incapace di accedere alle risorse del territorio.

Un rischio abbastanza simile per certi ragazzi, è quello di restare incastrati nel centro di aggregazione, continuando a frequentarlo anche quando l'età non lo giustifica più, a volte mimetizzati nel ruolo di operatore. In questo caso i ragazzi non vengono aiutati ad elaborare la separazione dalla loro adolescenza ed il compito del centro di traghettarli nell'età adulta è del tutto fallito.
Ciò succede da un lato perché questo tipo di servizi tendono in alcuni casi, per fortuna rari, a legittimarsi attraverso il raggiungimento dei parametri quantitativi che ne fissano l'utenza, per cui una volta raggiunto il limite massimo non si fa più attività promozionale nel territorio. Ciò comporta inevitabilmente la difficoltà di rinnovare l'utenza del servizio , che si trasforma in un ambiente "riservato" ad un certo numero di aficionados, con i rischi di ghettizzazione che ciò comporta..

Mi sembra che questi rischi sono il frutto di una banalizzazione dell'esperienza che nega la complessità delle variabili in gioco. Improvvisazione, giovanilismo, autoreferenzialità, superficialità, dipendenza, inconsistenza sono , dunque, alcuni delle carenze più comuni che possono caratterizzare il funzionamento del C.A.G.. Quali allora le caratteristiche che possono permettere al C.A.G. di funzionare in termini educativi ed evolutivi? Proviamo ad individuare quali sono le condizioni che permettono di realizzare questi non facili ed appassionanti compiti esistenziali nel contesto del Centro di Aggregazione Giovanile.

Al fine di poter meglio sviluppare le proprie potenzialità educative, il C.A.G deve poter realizzare un modello d'intervento basato sulla relazione poliedrica, che riesce cioè a tenere conto delle molteplici variabili in gioco. Tale relazione può avere diverse facce e possiamo divertirci ad immaginare diversi solidi geometrici per rappresentarla . Ad esempio possiamo partire dalla piramide (fig.1) che prevede l'incontro di tre facce poligonali piane : quella dell'operatore (con il suo gruppo di lavoro, la sua organizzazione d'apparternenza e la sua attidudine personale mista alla sua teoria di riferimento), quella dell'adolescente (con il gruppo dei pari, i suoi contesti di riferimento, in primis famiglia e scuola, ed il suo Sé privato) e, infine, quella delle'istituzione (con l'aspetto normativo che ne istituisce l'intervento, quello dei diversi ambiti d'intervento tecnico, organizzativo, , politico e quello economico ed amministrativo che sostiene il servizio). Ognuna di queste tre facce è composta da una figura piana : il triangolo. Possiamo, dunque, immaginare una piramide a base triangolare, dove la base è costituita dallo specifico ambiente per gli adolescenti che vogliamo prendere in considerazione (in questo caso il C.A.G, ma potremmo applicare lo stesso schema allo sportello d'ascolto nelle scuole o all'ambulatorio riservato agli adolescenti di una A.S.L) e le tre facce laterali triangolari sono date dal mondo dell'operatore, da quello del ragazzo e da quello dell'istituzione di riferimento (il Comune, o la scuola, o la A.S.L.).
Potremmo immaginare poliedri con più facce, ma ciò che conta è comprendere la complessità delle dinamiche in campo.
Nella nostra piramide è importante considerare che ogni faccia ha rapporti con le altre tre facce. Pensando al centro di aggregazione giovanile (faccia n.1 della fig.1.) possiamo provare ad immaginare come funziona il rapporto di una delle tre facce (ad esempio quella degli operatori) con le altre. La faccia relativa agli operatori (faccia n.3) ha tre lati : il primo (lato b-d), relativa al proprio gruppo di appartenenza, è quella che forma la base (il C.A.G., cioè ha come sua componente irrinunciabile gli operatori, e questo lo differenzia nettamente dal centro sociale autogestito); il secondo (lato a-b) è quello relativa alla propria attitudine personale e alle teorie di riferimento che è più direttamente in contatto con gli aspetti profondi del Sé dell'adolescente (e comporta, quindi, la necessità che l'operatore abbia una certa familiarità con il proprio mondo interno ed una chiara consapevolezza dei problemi tecnici e degli aspetti relazionali in campo, e questo differenzia il C.A.G. dall'oratorio); il terzo lato (a-d) è quello relativo all'Istituzione d'appartenenza che comprende aspetti come il ruolo sociale, la sicurezza economica, l'identificazione istituzionale ecc.(e questo protegge dall'improvvisazione e dall'autoreferenzialità).

Fig. 1 : Dimensione relazionale del lavoro educativo nel C.G.A.

La complessità delle variabili in gioco, che interferiscono nel funzionamento del centro e di ogni suo attore, come è facile dedurre, non consentono alcuna improvvisazione o impreparazione da parte degli operatori, che altrimenti sono i primi a pagarne le conseguenze, e da parte dei promotori del centro, che hanno una responsabilità istituzionale forte nella costruzione di un servizio il cui funzionamento globale rispetti standard di qualità accettabili. Come afferma Scotti (1992) l'istituzione che si occupa di esseri umani abbandonata a se stessa tende a degenerare ed a funzionare al livello più basso di qualità ed efficienza. A tal proposito, aggiunge Bonfiglio (1999), occorre tenere presente che se i processi di sviluppo non sono garantiti dal continuo monitoraggio e comprensione dell'evoluzione delle dinamiche dell'istituzione, lasciano ben presto il posto a quelli di decadimento.
Al fine di evitare tale malfunzionamento istituzionale occorre che il C.A.G. sia dotato di un suo assetto organizzativo che permetta di integrare tutte le sue diverse funzioni (educative, politiche, sociali, lavorative, relazionali, terapeutiche ecc.). A funzioni diverse devono corrispondere ruoli diversi (educatore, coordinatore, psicologo, responsabile organizzativo ecc.) coordinati da un modello organizzativo adeguato.
Il primo compito dell'organizzazione è quello di correlare i bisogni degli utenti e del territorio con l'offerta dei servizi che il C.A.G. è in grado di offrire, attraverso un'attenta analisi della domanda della comunità. Per poter assolvere questo compito l'organizzazione deve essere in rete con gli altri servizi per adolescenti del territorio (scuole, servizi sanitari, servizi sociali pubblici e del privato-sociale) e realizzare con loro uno stretta alleanza, non solo per ricevere l'invio di ragazzi, ma soprattutto per fronteggiare con il loro aiuto tutti quei problemi (ad esempio invio di un ragazzo per una psicoterapia) che il C.A.G. non è in grado di affrontare solo con le proprie risorse. Momenti d'incontro con questi servizi del territorio sono estremamente utili per evitare che il C.A.G. si affidi ad una navigazione solitaria che rischia di affondarlo durante le bufere. Accanto a questi compiti esterni l'organizzazione deve farsi carico della gestione dei problemi interni di tipo economico, amministrativo e del personale connessi al funzionamento del C.A.G . Problemi come il ritardo del pagamento degli stipendi (comune ai progetti che dipendono da finanziamenti nazionali) o il cambiamento d'orario del centro (perché in estate, ad esempio, piuttosto che il primo pomeriggio si preferisce tenere aperto la sera) o la rinuncia di un operatore a proseguire il proprio impegno e la conseguente necessità di sostiuirlo, devono essere condivisi all'interno del gruppo di lavoro e tradotti in scelte organizzative.
Mi sembra importante che questa funzione organizzativa del gruppo sia chiaramente differenziata dalla funzione elaborativa, inerente le dinamiche affettive e relazionali del gruppo degli operatori e di questi con i ragazzi.. Insomma occorre che il C.A.G. oltre che del suo assetto organizzativo si prenda cura del suo assetto affettivo, consapevole tanto dell'interrelazione fra i due che della loro precisa differenziazione.. Questo non per legittimare un funzionamento scisso del servizio, ma per evitare una pericolosa confusione delle lingue che mischia i problemi sindacali o logistici con gli aspetti relazionali, in uno psicologismo interpretativo onnivoro. Al fine di evitare il rischio della scissione dei due aspetti, quando necessario, alcuni dei problemi organizzativi possono anche essere affrontati nel gruppo esperenziale al fine di comprendere gli aspetti affettivi o comunicativi connessi : ad esempio un educatore può andar via perché condizioni oggettive esterne, comunicate al gruppo di lavoro con buon anticipo, impongono tale sua decisione (e la sua sostituzione è dunque un problema da affrontare nel gruppo organizzativo), oppure perché si è verificato un conflitto irrimediabile con il gruppo di lavoro e con il progetto del C.A.G.( analizzare tale conflitto, elaborarlo e possibilmente risolverlo è compito del gruppo esperenziale). Il compito di gestire il gruppo organizzativo è del coordinatore delle attività o del responsabile del servizio, mentre il compito di gestire il gruppo esperenziale deve essere affidato ad un conduttore esterno (che deve essere uno psicologo esperto nelle dinamiche di gruppo e nei problemi dell'adolescenza) . Quest'ultima è una condizione necessaria perché nel gruppo esperenziale possano essere sinceramente affrontate le dinamiche affettive del gruppo di lavoro.
Il gruppo esperenziale, è stato da molti individuato come lo strumento più adatto ad affrontare e fronteggiare la complessità del lavoro di animazione, socio-educativo e psico-educativo che si svolge nei centri per adolescenti. E'in questi gruppi che si possono realizzare movimenti oscillatori d'integrazione fra i vari componenti del gruppo (conduttore compreso) che sono il riflesso degli aspetti frammentati e scissi che gli adolescenti hanno proiettato negli operatori (Montinari, 2001) Tutto ciò permette al Centro di funzionare al meglio in termini relazionali ed evolutivi. Un funzionamento che permette alla C.A.G. di funzionare per il gruppo degli adolescenti che lo frequenta come un luogo ricco di potenzialità evolutive e di arricchimento del proprio Sé, e per quegli adolescenti che ne hanno bisogno, in termini terapeutici.
Mi sembra importante ricordare questo doppio versante, educativo e terapeutico, su cui si muove l'esperienza del C.A.G. Un doppio versante che vede inevitabilmente uniti gli aspetti tecnici con quelli ideali ed etici, come bagaglio culturale specifico del C.A.G..
Per assumersi il compito di educare le nuove generazioni, occorrono adulti divergenti rispetto all'attuale assetto sociale che ha rinunciato all'educazione. Per dirla con Massa : "i ragazzi oggi crescono al di fuori di un contesto educativo, al di fuori di un ambiente dal quale trarre valori che consentano un inserimento e anche un raccordo con le generazioni adulte" (Massa , 2000). Non solo la società non si preoccupa di offrire ai ragazzi degli ambienti per la crescita, troppo preoccupata com'è ad offrire prodotti da consumare ma, a complicare il compito di quegli adulti che ancora credono nella validità formativa dell'incontro fra le generazioni, ci sono gli stessi giovani che sono diventati sempre più sfuggenti e giustamente diffidenti nei confronti delle iniziative (purtroppo quasi sempre strumentali) degli adulti nei loro confronti. Per tali motivi difficilmente il C.A.G. può funzionare al pieno delle sue potenzialità se si cristallizza su un funzionamento burocratico o tecnicizzato privo di tensione ideale, di desiderio di esplorare e sperimentare seriamente l'incontro trasformativo con le nuove generazioni.Privo di quest'anima che dovrebbe coinvolgere tutte le componenti del C.A.G., tali iniziative perdono vitalità ed incisività ( Whiteley 1998, Hinshelwood 1998).Occorrono ,dunque, operatori con una vocazione specifica , aperta alle diverse dimensioni del loro lavoro, non cristallizzati in pratiche routinarie, ideologizzate o tecnicizzate, ma capaci di funzionare con un'ottica elastica e multifocale coerente con la natura più profonda del C.A.G. L'ottica organizzativa, attenta alla proposta delle attività, alla costruzione degli spazi e dei tempi adeguati ed alle condizioni di contesto che fanno da cornice all'esperienza del C.A.G. deve , dunque, coniugarsi con l'ottica psicologica attenta alla dimensione profonda delle relazioni e degli affetti che si consumano nel C.A.G., con quella pedagogica attenta a dare voce al ragazzo , potenziarne le capacità espressive e quella sociale attenta allo sviluppo delle competenze che facilitano l'inserimento del giovane nel mondo del lavoro e della scuola..
Se tale vocazione multifocale del C.A.G. viene rispettata, esso può funzionare per i ragazzi come un "porto sicuro" (Bonfiglio,1999) nel senso che potrà offrire sempre un operatore che offrirà accoglienza, ascolto e disponibilità a "leggere" i diversi bisogni dell'adolescente. L'operatore riesce così a funzionare come "ruota di scorta" (Bonfiglio, 19999), del processo evolutivo, di cui ci si ricorda solo quando diviene necessaria , altrimenti resta discretamente presente, segue senza prevaricare e nello stesso tempo registra le dinamiche individuali e del gruppo. Tale funzionamento evolutivo e terapeutico, nel senso lato del termine, è il risultato, come afferma Bonfiglio, del funzionamento in toto della struttura e non è dato dalla sommatoria delle singole attività. Ciò comporta che ogni operatore "deve avere una qualche visione globale di ciò di cui si occupa ma, soprattutto devono esserci momenti dedicati alla costruzione di una visione d'insieme di ciò che accade. Mi riferisco sia al piano organizzativo che a quello dell'elaborazione emotiva, che a quello della comprensione della comunicazione" (Bonfiglio, 1999)
Queste le condizioni di base per far funzionare un C.A.G.. A questo punto possiamo chiederci se come psicoanalisti di adolescenti possiamo dare un contributo al fine di creare le condizioni prima descritte. Insomma che competenza ha uno psicoanalista, anche se si occupa di adolescenti, per collaborare con un Centro Giovani ? Una domanda, questa, che ne contiene diverse altre : ad esempio quella inerente alla possibilità di utilizzare strumenti conoscitivi e tecniche di una scienza (quella psicoanalitica), all'interno di contesti e settings diversi da quelli in cui essa viene solitamente utilizzata.


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Daniele Biondo
E-mail: d.biondo@tiscalinet.it





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