PSYCHOMEDIA --> HOME PAGE
A e P --> HOME PAGE --> N° 2 - Gennaio 2001




Anno I - N° 2 - Maggio 2001

Fra sedia e divano




Psicoanalisi e psicoterapia dell’adolescente nel pensiero di R. Cahn

Piergiorgio Laniso *



L ’Autore che propongo all’inizio del nostro cammino è Raymond Cahn, grande e autorevole conoscitore di adolescenti, perché nel suo ultimo libro “L ’adolescente nella Psicoanalisi” (Borla, 2000), entra direttamente nel merito del conflitto che avevo raffigurato simbolicamente con il titolo “Fra sedia e divano”.
A mio parere lo fa in maniera mirabile, specialmente nel III capitolo, intitolato “Pensieri in libertà di uno psicoanalista di adolescenti.”
Percorriamone succintamente alcuni .

Il I paragrafo recita testualmente:
“ L’adolescenza, per Anna Freud, è “il parente povero della teoria psicoanalitica”, la sua Cenerentola. Il compito dell’analista sarebbe particolarmente ingrato, la tecnica troppo spesso empirica, anche se, al fine di rassicurarsi, il terapeuta a posteriori può adoprarsi per giustificarla. Come riuscirci, quindi, quando i riferimenti clinici o i modelli teorici si rivelano più o meno evanescenti o inappropriati e gli effetti terapeutici piuttosto imprevedibili?
In questo contesto il riferimento alla giovane eroina dei racconti di Perrault non è fortuito: l’oscura e disdegnata serva è un giorno riconosciuta al suo giusto posto e per il suo vero valore. Fantasma compensatorio sonnecchiante in ogni analista di adolescenti o felice metafora? Oppure il posto dell’adolescente nella psicoanalisi non riporterebbe altrove, e cioè alla situazione, in ogni analista, della propria adolescenza? “

Qui è opportuno fare un passo indietro, tornare nel II capitolo del libro, nel quale, nell’ambito di un discorso rigoroso e innovativo, alla ricerca di modelli utilizzabili da parte dello psicoanalista che si occupa di adolescenti, Cahn esprime con chiarezza il paradosso nel quale la teoria classica pone l ’adolescenza, assegnandole un posto nello stesso tempo “infimo” e “decisivo”. Egli scrive: “... infimo poiché l’adolescenza è la grande assente sia sul piano metapsicologico (quando prevale l ’asse di riferimento nevrosi di transfert-nevrosi infantile), sia sul piano dell’esperienza pratica delle terapie (quando si omologano o si contrappongono quelle del bambino a quelle dell’adulto), sia sul piano clinico (quando ci si riduce ad un confronto quasi esclusivo tra la psicopatologia infantile e quella adulta). La possibilità teorica di una nevrosi di transfert a questa età è stata,invero, concessa, ma chiaramente considerata come sfumata se non addirittura inafferrabile.”
“ ... Decisivo nella misura in cui l’adolescenza si iscrive fondamentalmente nel registro della posteriorità, intorno al quale si organizza l ’intera problematica della terapia in quanto la posteriorità consente, a livello preconscio la definizione e il significato di un desiderio, di una conflittualità rimasti a lungo latenti. Questi vanno a costituire la materia stessa del lavoro analitico e della comprensione clinica, sotto forma di fantasmi, di ricordi - schermo, di ciò che sottende le associazioni.”

Poco prima l ’Autore aveva sostenuto il ruolo determinante dell’adolescenza nel rendere possibile la prospettiva temporale della posteriorità: “ É tutto ciò che si costruisce in quel dato momento rende contemporaneamente conto del passato. Di fatto, dal punto di vista sia evolutivo che strutturale, la nevrosi infantile si costituisce in adolescenza: il difasismo della sessualità umana, la risessualizzazione alla pubertà, dopo la rimozione, dopo l ’amnesia infantile, fa sì che solo ora, secondo la stessa formulazione di Freud, si costituiscano i ricordi d ’infanzia. “Anche se, (come sottolinea Blos), la nevrosi infantile trova consistenza solo nella formazione della nevrosi adulta o in tarda adolescenza e solo allora è possibile parlare di nevrosi di transfert “, e “ ... si compiono quelle modalità che consentono l’analizzabilità.” (pag. 41) .

Ma riprendiamo il III capitolo e leggiamo cosa scrive Cahn nel II paragrafo: “In analisi lo spazio dell’adolescenza ha di per sé confini indefinibili. Nei soggetti agli inizi dell’adolescenza e fino a verso 15 anni, il transfert può senz’altro dispiegarsi, ma è appena o per nulla analizzabile. Da quando, allora, si può parlare di qualche cosa che abbia a che vedere con un processo analitico completo? Ammettiamo che, il più delle volte, esso possa concepirsi a partire da 16 anni: dovremmo allora aspettarci di trovare, per lo più in letteratura, la descrizione di casi di età compresa fra 16 e 18 anni. Invece, quale che sia la base o il riferimento teorici degli autori, molti dei loro esempi clinici riguardano adolescenti il cui trattamento è cominciato a 18 o a 19 anni, se non più tardi.
Dove si trova poi il limite superiore, se non nel postulato o nell’intuizione - effettivamente fondata - che anche intorno al ventesimo anno, il più delle volte, la problematica dei casi trattati n o n è ancora quella dell’adulto? Nello spazio fluido e mobile caratterizzato dal transfert, ormai più o meno analizzabile e allo stesso tempo non ancora corrispondente con il modello della nevrosi di transfert strictu sensu, è allora l’empirismo l’unica soluzione, salvo poi dover riconoscere che è in gioco una entità specifica con criteri suoi propri?”

Passiamo al IV paragrafo: “ Ma che ne è dei veri adolescenti? In questo caso il capovolgimento rispetto all’adulto è totale. Coloro la cui sintomatologia corrisponde a una modalità di funzionamento nevrotico - cioè quando, come dice Ladame, esiste un preconscio funzionale - possono, il più delle volte, ricevere un ascolto analitico all’interno di un dispositivo leggero, con una o due sedute settimanali vis à vis per una durata variabile, spesso relativamente breve. Sono piuttosto gli adolescenti con disturbi gravi, tali da rischiare di gravare pesantemente sul loro futuro, a vedersi proporre una serie di opportunità che si avvicinano molto di più all’analisi classica e alle sue esigenze. L’inversione delle indicazioni, rispettivamente, ad un trattamento sistematico o a un approccio psicoterapeutico ridotto non è fortuito. In effetti l’adolescenza è un passaggio, un periodo di riorganizzazione più o meno lungo e arduo che sfocia in un modo di essere duraturo, quali che siano le ulteriori trasformazioni. I suoi disturbi, che siano attuali o che siano l’espressione di un’antica problematica, rischiano di ridurre, in modo più o meno molesto o invalidante, le capacità di vivere e di “ funzionare “ del soggetto. Lo scopo del terapeuta è dunque soprattutto quello di permettere il completamento, anche se relativo, del processo evolutivo piuttosto che la rimessa in discussione più o meno totale che il trattamento implica nell’adulto. Sarà quindi il grado di arresto di tale processo, insieme con le capacità di rimuoverlo, a determinare la scelta dei mezzi É Una volta fatta questa scelta, resta l’aspetto più delicato: quale strategia, quale tattica adottare per utilizzare quei mezzi al meglio?”

A questo punto per comprendere appieno quello che Cahn intende dire ritengo necessario ricercare nel II capitolo quanto egli afferma riguardo al processo di soggettivazione come modello evolutivo. (pagg. 52 e seguenti).

“ Il concetto di processo di soggettivazione e delle sue vicissitudini potrebbe risultare particolarmente appropriato sul piano euristico, in quanto è suscettibile non di sostituirsi al modello nevrosi infantile- nevrosi di transfert, bensì di completarlo, dal momento che riscopre tutti i registri dello sviluppo dalla nascita all ’ ingresso nella età adulta .
Esso inoltre riserva al periodo dell’adolescenza un’importanza analoga al precedente periodo di latenza e al contempo rende conto delle particolarità strutturali dell’insieme dei quadri clinici e delle relative modalità di approccio analitico, a qualsiasi età .
Questo processo di soggettivazione progressiva, perseguito dalla nascita alla morte, ci sembra un modo di considerare l’insieme dei fenomeni nella duplice prospettiva sincronica e diacronica. Esso si rivela determinante non solo nei primi anni, ma anche in adolescenza, che è un periodo di rimaneggiamento e di conclusione provvisoria, date le angosce identitarie e la qualità dell’oggetto, contemporaneamente ipereccitante e minacciosa, che rappresenta.
Tra il ripristino di precedenti legami e la creazione di nuovi si apre una serie considerevole di possibilità, data l’ampiezza e l’intensità dell’attività di slegamento che si mette in moto. Il margine lasciato o meno alla dimensione di indeterminatezza, tra apertura possibile all’ignoto o al nuovo e permanenza nell’automatico e nell’identico, acquista un valore considerevole. Su questo margine la nuova spinta al tempo stesso interna (pulsionale) ed esterna (ambientale e oggettuale) andrà ratificando in modo più o meno radicale le precedenti modalità del processo di soggettivazione, che si presenta più come processo di differenziazione che come processo di separazione-individuazione. Un processo di differenziazione che, in virtù dell’esigenza interna di un proprio pensiero, consente l’appropriazione di un corpo sessuato e nel migliore dei casi, l’uso delle capacità creative del soggetto in un movimento di disimpegno, di disalienazione dal potere e dal piacere dell'altro, cioè un movimento di trasformazione del Super-Io e di costituzione dell’Ideale dell’Io.
Questo processo di soggettivazione, ininterrotto per tutta la vita, implica un soggetto che ha da inventare se stesso senza sosta mediante i legami, nella loro necessità come nella loro incessante rimessa in discussione e nella potenzialità permanente di disfarli, rifarli, gli stessi o altri, allo stesso modo o diversamente. S i tratta di una specie di “ funzione soggetto “ che potrebbe essere annoverata nella metapsicologia in quanto concernente i diversi fattori in causa nell’appropriazione soggettiva della realtà psichica. Il processo di soggettivazione ha senza dubbio a che fare con l’Io o, più esattamente, con le funzioni dell’Io che lo consentono, ma in realtà esso è transizionale.”

Più sotto leggiamo: “ Ma si verifica anche troppo spesso che la cura sfoci sulla constatazione di un’assenza o una insufficienza di questa funzione soggetto. Ciononostante il soggetto si svelerà a chi è andato a cercarlo nella gamma dei vari procedimenti a cui la psiche è stata costretta a ricorrere per dissimulare il suo stato di soffocamento o di subornazione: la perspicacia dell’analista consisterà proprio nel reperirlo dietro ciò che dissimula o lo ha fatto apparentemente scomparire É Questa ipotesi teorica É è partita proprio dallo studio dei fallimenti del processo di sviluppo e di trasformazione in adolescenza e in età adulta, dei modi di funzionamento che rendono impossibile o particolarmente ostico il processo della cura É Sono stati che sarebbe opportuno considerare in modo appropriato come limiti, non già tra nevrosi e psicosi, ma tra capacità e incapacità di accedere alla posizione di soggetto. “

Ritorniamo al III capitolo, paragrafi V, VI, VII. In essi Cahn entra più specificamente nel merito della scelta di un trattamento analitico degli adolescenti con gravi disturbi, nei quali il processo di soggettivazione è seriamente minacciato.
Si tratta in ogni caso di un tipo di trattamento problematico e impegnativo per il concorso di molteplici fattori.
Innanzitutto richiede una lunga disponibilità di tempo già inizialmente allo scopo di trovare la conferma della indicazione, far emergere la domanda e ottenere il consenso motivato del giovane paziente (e dei suoi familiari).
Poi necessita di condizioni di supporto diverse rispetto alle sole risorse e tenuta dell’Io che vengono ritenute sufficienti nell’adulto. Bisogna cioè poter contare su elementi terzi affidabili, che possono essere un farmacoterapeuta, un’istituzione protetta, o un ospedale addirittura, da integrare, in caso di necessità all’analisi.
Infatti l’esperienza clinica richiede di mettere in conto l’irruzione di tensioni da slegamenti e fantasmi collegati, di intensità tale che, in soggetti con compromissione grave dello schermo antistimolo sfociano spesso in messe in atto che né l’analista, né l’ambiente riescono a volte a contenere adeguatamente .
Cahn non nasconde la problematicità di questa scelta, ma prima consiglia l’opportunità di una supervisione dell’analista, poi esplicita: “Non sarebbe allora un abuso di linguaggio parlare qui di analisi classica?” E ancora: “Dato che le sedute si svolgono vis à vis, alcuni si domanderanno se si tratta ancora di una vera e propria psicoanalisi o se non si ha a che fare con una psicoterapia psicoanalitica. Questa distinzione ci sembra relativamente secondaria. Se siamo di fronte a una scissione, essa si colloca piuttosto fra questo tipo di cura e la ’semplice’ psicoterapia che implica l’utilizzo ragionato da parte di uno psicoanalista delle procedure più diverse per ridurre più direttamente i sintomi o proporre un processo elaborativo più superficiale o limitato.”

Nel VI paragrafo l’Autore pone l’accento piuttosto che sul numero delle sedute, sulla “É possibilità che si possa dispiegare un processo utilizzabile come tale da uno psicoanalista.”

Il VII paragrafo inizia così: “ In questa fase della vita l ’analisi di lunga durata risulta essere comunque del tutto imprevedibile per non dire avventurosa, quali che siano i criteri seguiti. Il pessimismo è più che giustificato.
L’adolescente, ancora incapace di differenziare sufficientemente gli oggetti interni dagli oggetti della realtà, non “ trasferisce “, oppure con tutte le forze mantiene rimossi i suoi bisogni relazionali con gli oggetti primari.
Resta disponibile solo una libido narcisistica capace di investire un doppio o dei sostituti genitoriali all’altezza della grandiosità dell’ideale.”
E termina così: “ Pertanto l’obiettivo analitico consisterà nell’utilizzare, via via che fanno la loro comparsa,gli elementi suscettibili di essere elaborati, ma forse più ancora nel favorirne l’emergenza o ridurre gli ostacoli che si frappongono a ciò. Ostacoli che vanno certamente intesi come resistenze abituali in rapporto ai conflitti infantili inconsci, ma soprattutto come impedimenti, nel contesto specifico di questa età, alla possibilità stessa di pensare, desiderare ed agire per proprio conto. Quindi il processo di soggettivazione potrà mettersi in moto nella misura in cui saranno state messe in evidenza e ridotte quelle forze che ne ostacolano lo sviluppo.”

Nei paragrafi successivi Cahn sviluppa ulteriormente il suo discorso mostrando grande sensibilità nel cogliere le occasioni in cui si dispiega il transfert e le opportunità di utilizzarlo, che risultano ben più consistenti di quelle assai rare, per la verità, di poterlo interpretare. In quest’ultimo caso un particolare lavoro di controtransfert è richiesto all’analista: quello di tenere costantemente presente la dialettica fra pertinenza delle interpretazioni e capacità o incapacità di integrarle da parte dell’adolescente. Su questo aspetto cruciale Cahn confronta il proprio approccio clinico e il proprio modello concettuale con quelli di E. e M. Laufer, verso i quali esprime forte perplessità sulla base dell’esperienza clinica e della valutazione dei risultati. (paragrafi VIII, IX, X).

Nel paragrafo X, dopo aver presentato e discusso approfonditamente un caso clinico significativo, fa un’affermazione che mi sembra da menzionare: “ L’adolescente in analisi non ha la fortuna dell’adulto, il quale ha completato l’introiezione delle imago genitoriali che gli fornisce il supporto di un’autentica autonomia psichica, per quanto relativa possa essere. Egli invece resta più o meno dipendente dagli oggetti genitoriali nella loro realtà, confondendo quasi inevitabilmente ciò che si gioca ancora nel registro della realtà con questi ultimi e ciò che di fatto è determinato dal modo in cui ormai egli stesso colloca, si rappresenta, ha soggettivato quelle relazioni. “
E più oltre: “Eppure, paradossalmente, è proprio questo tipo di situazioni ambigue, dove vengono ad intrecciarsi realtà psichica e realtà tout court, a costituire le migliori opportunità per fargli scoprire la dimensione della realtà psichica.”
Inoltre in questo lungo paragrafo dapprima menziona la difficoltà dell’analista a circoscrivere il “campo operatorio“ entro il quale si svolge il processo analitico per la tenace resistenza dell’adolescente a riconoscere la dipendenza dall’oggetto esterno e a riconoscere di quest’ultimo il desiderio e l’autonomia. Ne conseguono vissuti difensivi di onnipotenza e onniscienza che si tramutano in quelli opposti, penosissimi, di impotenza e castrazione,quando prima o poi il giovane paziente “...è costretto a riconoscere i punti in cui si è bloccato.“ Questo aspetto rende comprensibili: “Le oscillazioni fra violenza e disperazione, trionfo ed umiliazione (che) stanno a sottolineare la connotazione narcisistica determinante delle sue relazioni con l’oggetto e a rendere tanto più sgradevole l’instaurazione e il mantenimento del campo neutro di esperienza che permette quel minimo di gioco, di spazio transizionale che è indispensabile al processo elaborativo.” (Naturalmente Cahn ha nella mente in particolare il giovane del quale ha presentato il caso clinico .)
Quindi l’Autore coglie l ’occasione per fornire una serie di osservazioni preziose, che possono essere considerate come “consigli all’analista“ che si occupa di questo tipo di adolescenti. “A questo proposito non si ricorderà mai abbastanza che, per quanto riguarda il registro dello schermo antistimolo, ci si ritrova sempre con l’adolescente in condizioni limite. Da qui la necessità assoluta di raddoppiare le precauzioni circa il setting.”
Ne indica tre. La prima, “a livello più superficiale“ riguarda la scelta del sesso dell’analista che è preferibile certamente che sia lo stesso del paziente per evitare rischi di “eccesso di eccitazione“.
La seconda, a livello profondo, è relativa alla certezza che l’adolescente deve avere riguardo all’affidabilità dell’analista, “nella sua capacità simultanea d’identificazione e di distanziamento, di coinvolgimento e di distacco.“
La terza riguarda l’affidabilità del setting nella funzione di contenitore che salvaguardi il più possibile il giovane dallo sperimentare: “É qualunque cosa abbia a che fare con un vissuto o un sentimento di abbandono, con una minaccia di perdita d’amore che è inscindibilmente legata all’autostima.”

Il XIII paragrafo prende in considerazione la presenza, nella problematica di transfert - controtransfert dell’ “edipo non risolto“ quando si accompagna nel paziente a disturbi che hanno la loro fonte in esperienze profondamente destrutturanti o fallimentari nelle prime relazioni con l ’oggetto, collocabili quindi “al di qua“ della nevrosi infantile.
Queste esperienze precoci così sfavorevoli producono in adolescenza effetti molto distruttivi o disorganizzanti, sia a livello pulsionale che identificatorio .

Nei restanti paragrafi Cahn offre ulteriori consigli all’analista di adolescenti.

Per esempio nel XIV paragrafo leggiamo, fra l’altro: “In genere la più elementare prudenza consiglia, almeno in una prima fase, di utilizzare il transfert prima di analizzarlo. Il procedimento consiste nel pilotare progressivamente il soggetto, valutando continuamente i rischi sempre presenti di ferita narcisistica o di esacerbazione delle resistenze, verso la scoperta dei legami fino ad allora insospettati all’interno dei suoi comportamenti e dei suoi pensieri. A questo riguardo l’agito costituisce un oggetto di elaborazione spesso determinante, sia che si manifesti all ’ interno delle sedute o al di fuori di esse, in transfert laterali che attenuano molto il peso della posta in gioco fra il terapeuta e l ’analizzando e il cui significato può essere proposto con meno rischi.”
E più avanti: “Da qui la nostra personale convinzione che a questo livello comprendere (da parte del terapeuta) è già terapeutico e che un tale insight da parte sua indurrà necessariamente in lui un modo di essere, nuovi controatteggiamenti che generano fra i due protagonisti interrelazioni di cui l’adolescente farà esperienza progressiva .
Anche se sarà a lungo iterativamente rimessa in dubbio, è solo a partire da tale esperienza che la formulazione verbalizzata di ciò che è in gioco potrà essere, a sua volta, da lui riconosciuta e ripresa.“
Infine: “Si misura qui l Ôimportanza del punto di vista economico, a condizione, come sottolinea Green, di non limitarlo al rapporto quantitativo ma di includervi il ruolo dell’oggetto nella capacità di trasformazione.
Se una delle funzioni essenziali del setting è certamente quella di tollerare le tensioni estreme, si può anche considerare che molte di queste funzioni possono trovarsi delegate al controtransfert. Così ad esempio la capacità dell’analista di restare tanto a lungo quanto è necessario un oggetto immutabile, inalterabile, oppure di reperire i movimenti di odio, di seduzione, di impossessamento che emanano tanto dal soggetto che da lui stesso. Così pure la sua possibilità di accogliere, di riconoscere i movimenti o gli aspetti più regressivi del paziente in un ascolto del loro significato latente.”

Nel XVI paragrafo si legge: “Tuttavia, quale che sia il caso clinico, l’essenziale per l’analista è prima di tutto e soprattutto instaurare e far sviluppare uno spazio di rappresentazione, un luogo di scambio in cui l’adolescente, a poco a poco, riscopra o scopra la possibilità di parlare di se stesso o di tutto ciò che, da vicino o da lontano, abbia a che vedere con i suoi investimenti ed i suoi conflitti, ma anche e forse soprattutto, di stabilire o di permettere nuovi legami, un nuovo sguardo.“
E più avanti Cahn indica come un ascolto attento da parte dell’analista del materiale comunicato, nella sua forma manifesta e in quella latente, già di per sé può favorire nel paziente un processo elaborativo che lo porta a illuminazioni, a un’attività di insight con scoperte di sé verbalizzabili, quindi Ôsoggettivate’. Relative ad un processo transferale operante anche se non esplicitato.

Il paragrafo XVIII va meditato da cima a fondo. Parla delle sollecitazioni di controtransfert che incontra l’analista di adolescenti, venendo a contatto “... con un animo palpitante e con un corpo nuovo ...”. Poi si dilunga sulla “neutralità benevola“.

Infine segnalo l’apertura del XIX Paragrafo: “In queste circostanze si rivela il ruolo capitale, nel terapeuta, delle sue capacità di identificazione con l’adolescente e di trovare una distanza sufficiente nei suoi confronti, tutti elementi
fondamentalmente legati alla relazione con la propria adolescenza.” (Compresa l’elaborazione del lutto di essa, aggiungerei io) .

Per concludere, sarà apparso evidente che questo Capitolo di Cahn, contenente i “Pensieri in libertà É” mi è piaciuto molto e che, per quanto complesso, mi ha indotto a leggerlo tutto d’un fiato. (Dirò per inciso che l’intero libro merita un ’attenzione particolare) Mi ha stimolato pensieri, echi, riflessioni, associazioni relative all’esperienza nella stanza d’analisi numerose e rimarchevoli, che esporrò brevemente .
LÔ approccio emozionale e concettuale di Cahn all’adolescente e al suo modo di essere testimonia, attraverso la proposta del modello dell’ “Avventura della soggettivazione“, la necessità di essere creativi, alla quale ci costringe la realtà dei fallimenti terapeutici da un lato, e dall’altro la incapacità - impossibilità di numerosi adolescenti sofferenti di utilizzare la proposta terapeutica secondo il modello psicoanalitico classico (nevrosi infantile - nevrosi di transfert) o anche altri modelli elaborati successivamente (costruiti dopo aver esplorato l’al di qua della nevrosi infantile e del funzionamento che ruota intorno all ’edipo)
Insomma assetti della mente e modelli sperimentati efficacemente con adulti da un lato, e con bambini dall’altro, sembrano poco fruttuosi e specifici nel trattamento degli adolescenti.
Mi sembra apprezzabile che la ricerca clinica e il discorso innovativo di Cahn si svolgano coerentemente all ’interno della visione psicoanalitica dei problemi, innestandosi sulle sue radici, a partire da Freud, tentando di riempirne lacune, come gli adolescenti ci costringono a fare .
L ÔAutore stesso dice chiaramente che la soggettivazione non va intesa in opposizione o in alternativa agli altri modelli, ma come integrazione di essi, a cominciare da quello classico. E non la propone in modo enfatico, come toccasana, ma in modo problematico, ponendo più volte l ’accento sulla imprevedibilità che è intrinseca dell’adolescenza, anche per quanto riguarda il suo futuro.
Un’ultima considerazione. Mi è sembrato di cogliere nel pensiero di Cahn l’ipotesi di lavoro secondo la quale l’adolescenza dei giovani che soffrono di un blocco o di una grave compromissione del processo di soggettivazione, può essere usata come modello di approccio e comprensione degli adulti che presentano funzionamenti prevalentemente borderline, come se certe soluzioni psicopatologiche adottate in adolescenza, se consolidate e non trattate, potessero sfociare nel disturbo borderline dell’adulto.


Pier Giorgio Laniso
Email: pglaniso@inwind.it





PSYCHOMEDIA --> HOME PAGE
A e P --> HOME PAGE --> N° 2 - Gennaio 2001