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Anno I - N° 1 - Gennaio 2001

Figure della violenza in adolescenza




I destini della violenza in ospedale diurno

Gianluigi Monniello *



Introduzione

Le manifestazioni di violenza dell'adolescente borderline spesso non rimandano a contenuti inconsci, né assumono con il tempo un significato psicodinamico. Piuttosto, alla luce dei contributi clinici e teorici più recenti, esse possono essere considerate come figurazioni, tracce esteriorizzate di una condizione traumatica interna che ha difficoltà a trovare una rappresentazione psichica, ad accedere alla simbolizzazione (Novelletto e al., 2000). Tali figurazioni violente avvengono "in corsa", per mancanza di autoregolazione (Stern, 1985) e di capacità riflessive (Fonagy, 1995). L'adolescente ha perso il controllo su di sé, si è frammentato e violentemente tenta di riconquistare una certa coesione del Sé (Marohn, 1994).

La violenza a cui mi riferisco è caratterizzata dal ricorso alla forza fisica. Il setting della terapia individuale può escluderla, metterla ai bordi, richiedendo che nulla venga distrutto e il terapeuta non sia leso. Nello spazio dell'Ospedale Diurno, invece, i limiti alle manifestazioni di violenza non possono essere posti ed anzi esse spesso costituiscono un prodotto prepsicologico che circola, pervade ed invade il luogo e le persone, talvolta sovraesponendole.

E' mia intenzione descrivere come, in presenza di gravi impedimenti alla soggettivazione (Cahn, 1998), l'ambiente istituzionale sia il luogo privilegiato per offrire all'adolescente, quando le condizioni e il tempo sono favorevoli e a fronte di progressioni e di regressioni, le opportunità per un percorso di ricomposizione dello sviluppo.
Proporre un movimento verso la soggettivazione - principale obiettivo dell'Ospedale Diurno - pone molte difficoltà. Tra queste c'è la presunzione cosciente di presentarsi come un oggetto esterno molto prima di essere l'eco di un oggetto interno.

L'intervento terapeutico in Diurno consiste nel fornire all'adolescente, oltre alla psicoterapia individuale o di gruppo ed ai colloqui con i genitori, un ambiente terapeutico che si configuri come un contenitore e come un supporto figurativo di contenuti interni, e che proponga attraverso attività occupazionali, ricreative ed educative le possibili mediazioni utili alla simbolizzazione. Penso al Diurno come ad una comunità transferale dove i transfert si dispiegano, si muovono in una dimensione intersoggettiva (Monniello, 2000). Il Diurno mette in contatto l'adolescente con una struttura organizzata che permette la diffrazione dei movimenti transferali, che offre una diversificazione nelle relazioni ed una gamma di oggetti esterni sui quali i diversi aspetti del suo funzionamento psichico possono svolgersi. Le proiezioni e le scissioni dell'adolescente possono così dispiegarsi sull'insieme dei curanti e sul terapeuta. E' la possibilità o meno di articolare ed integrare i diversi vissuti dei curanti nelle discussioni di gruppo a permettere di raccogliere e contenere tali modalità di espressione del loro disagio.


L'esperienza clinica in Ospedale Diurno: il caso di Ennio

Al fine di descrivere tutto questo presento il caso di un ragazzo che, pur con qualche interruzione, ha impegnato ed impegna i diversi operatori, oltre che me, suo terapeuta, da circa due anni. Ennio ha attualmente 17 anni ed ha da tempo abbandonato la scuola. Le sue manifestazioni violente hanno compreso agiti distruttivi in famiglia, autolesionismo, idee e comportamenti suicidari, scontri fisici per la strada, frequentazioni di bande ed uso di sostanze. Nel corso del trattamento la sua violenza si è espressa anche all'interno del Diurno. Non si tratta complessivamente di atti estremi ma della violenza della vita quotidiana, del sistematico rifarsi ad immagini, modelli, linguaggi violenti che hanno reso difficile avvicinarlo alla consapevolezza dei suoi momenti di perdita di controllo e di incapacità di riflettere e di calmarsi.
Ennio è stato un bambino violento. Il suo primo ricovero in ospedale pediatrico, ad otto anni, è motivato da crisi di agitazione psicomotoria alternate ad arresti motori. Il sospetto di epilessia non trova conferma. A casa rompe gli oggetti, ed è violento con la madre e con la sorella di sette anni più grande. La diagnosi è di disturbo di personalità borderline.
Di quel periodo dell'infanzia Ennio ricorda un sogno ricorrente che lo ha terrorizzato per anni.
"C'era una forza che mi risucchiava nella mia cameretta in fondo al corridoio. Cercavo di aggrapparmi alla porta della cucina, dove c'erano tutti i miei familiari, ma finivo schiacciato contro il muro, al buio. Ero terrorizzato. Compariva una figura, era l'immagine del Bernini. Sapevo che era lui perché aveva lo stesso viso presente sulla banconota da 50000 lire! Al risveglio avevo paura di quello spirito violento, del suo sguardo terribile! Me lo sentivo continuamente addosso. In altri momenti cambiavo voce e mi sentivo posseduto dal diavolo. Per questo mi hanno portato dall'esorcista".
I segni della scissione sono qui in primo piano. La rabbia di Ennio nei confronti della figura materna è lontana dall'essere compresa per la concomitante necessità di restare strettamente legato a lei. Tale rabbia deve pertanto essere radicalmente collocata nella figura del diavolo. Questo meccanismo si ripresenta sotto altra forma, questa volta coinvolgendo il corpo, al momento della pubertà, che compare con violenza. La sua prima eiaculazione, ricordata dopo diverso tempo, quando il ragazzo è meno sopraffatto dall'angoscia traumatica, è contrassegnata da un urlo terribile. Mi racconta di essersi nuovamente sentito violentato da una forza inquietante che lo possedeva.

Quando si presenta per la prima volta in Diurno, a 15 anni, i disturbi del comportamento di Ennio mi appaiono come tentativi caricaturali di affermazione di sé dovuti ad una scarsa capacità rappresentativa e di comunicazione verbale. L'ideazione e l'attività di pensiero sono limitate, l'esame di realtà è ridotto. Presenta crisi distruttive verso gli altri e verso se stesso, è assorto in una masturbazione compulsiva e manifesta comportamenti esibizionistici a sfondo sessuale a casa e fuori. Le crisi di rabbia dell'infanzia sembrano aver trovato nuove forme di espressione nelle attuali figurazioni violente. Dice di avere avuto intensi rapporti sessuali con una ragazza, si esibisce in proposte erotiche nei confronti di alcune dottoresse, le chiama a casa. Racconta di sognare di fare a turno l'amore con loro e si chiede se, in realtà, sia successo sul serio.
I genitori stanno svolgendo una terapia di coppia per i loro seri problemi individuali e relazionali. La sorella, qualche anno prima, in occasione degli esami di maturità, ha manifestato una crisi psicotica con delirio di persecuzione. Ennio ha sempre rifiutato qualsiasi aiuto psicologico.

Propongo due sogni del tempo del suo ingresso in Diurno per sottolineare alcune caratteristiche del ragazzo e della relazione di transfert con me, intensa fin dall'inizio.
"Ho sognato che tornavo al paese d'origine di mia madre. Facevo a botte con un ragazzo forte, ma alla pari. Poi mi ritrovavo a casa sua, dove entrambi ci masturbavamo. Lui aveva poco sperma. Io invece tanto, mi sporcavo anche la faccia. Compariva mio padre che mi diceva di vergognarmi. Allora mi pulivo. Quindi uscivo per strada con il pisello di fuori, tutti mi salutavano ed io mi vergognavo".
Poi il secondo sogno: "Ho sognato che stavo in montagna con lei (il terapeuta) e con Teresa (la persona che organizza le attività ricreative e occupazionali). Sto con lei e portiamo in giro le pecore. Teresa ci aspetta a casa. Troviamo un cane husky. Lo prendiamo con noi. Voglio portarlo a casa mia, a Roma, ma i miei genitori non vogliono. Mi arrabbio, urlo, mi dispero e alla fine i miei dicono di sì. Allora me lo coccolo, sdraiato sul divano, fino quasi a soffocarlo".
In quel primo periodo interpreto i molti contenuti omosessuali dei suoi sogni (ma anche dei suoi intensi coinvolgimenti nei confronti di alcuni capi delle bande giovanili che frequenta), con il suo bisogno di trarre forza e sicurezza dalla figura maschile per fronteggiare il grave rischio di essere risucchiato dall'universo femminile. La forza di attrazione verso l'edipo lo espone alla percezione della sue falle narcisistiche e identitarie. La sua immagine maschile è lontana dall'essersi definita. La dimensione infantile prevale sui timidi accenni di scenari adolescenziali.
Ben presto emerge come il padre di Ennio sia profondamente preoccupato che il figlio possa essere schizofrenico, patologia presente nella propria famiglia d'origine. Questo spettro è molto presente nella loro relazione e quando il padre cerca di contrastare il figlio lo fa come si può farlo con il lato oscuro di se stessi, alla pari, senza speranze di potercela fare. Tra l'altro il padre spesso si presta, dicendosi un po' imbarazzato, a che il figlio si sieda sulle sue gambe, gli prenda in bocca il pollice ed inizi, dondolandosi, a succhiarlo per calmarsi. Spesso poi accetta di farsi toccare i genitali, gesto che rassicura Ennio. Dal canto suo la madre minimizza sistematicamente qualsiasi episodio, negando le violenze, le aggressioni, il turpiloquio erotico, le esibizioni sessuali, rendendosi come un muro di gomma, elastico che dopo l'attacco si ricompone come se nulla fosse accaduto. Ripete che è necessario avere pazienza perché il figlio ha preso dal padre e dalla sua famiglia. Così ella conserva il suo aspetto mansueto, curato, ordinato, carino, tutte caratteristiche che l'hanno aiutata a fronteggiare le sue esperienze di deprivazione.
Racamier (1992) parla di "incestuale", forma di relazione fra madre e figlio, che non è l'incesto realizzato e neppure un fantasma sessuale, ma "una seduzione narcisistica chiusa", che si caratterizza per l'assenza di rappresentazioni fantasmatiche.
Nel sogno Ennio si raffigura poi come un cane husky abbandonato e non voluto, anche se di razza, solo alla fine accettato ed a questo punto vezzeggiato.
Considero tali contenuti come espressioni del suo vissuto profondo a proposito delle sue origini e dei primi scambi relazionali con la madre.

Ennio ha i suoi modelli di riferimento; sono due cantanti, Marilyn Manson e Kurt Cobain. Il primo è un personaggio molto ambiguo sessualmente, transessuale, violento e provocatore; l'altro il leader del gruppo dei Nirvana che si è suicidato, sparandosi, nel 1994. Il ragazzo spesso riprende il tema di Kurt Cobain dei Nirvana ripetendo: "La rabbia giovanile ha pagato bene, adesso sono vecchio e annoiato. So che ho imparato ad odiare il mondo ad otto anni. Andavo a letto e cercavo di farmi scoppiare la testa trattenendo il respiro". Dice di non concepire le fantasie. "Se io penso, allora sono pazzo. Mio padre mi ripete continuamente che sono pazzo. Per questo quando sogno, sono cosciente; così posso controllare tutte le fantasie".
Il ricorso a tali personaggi sembra essere la sua modalità per controllare onnipotentemente il suo difficile accesso al processo di soggettivazione, in assenza di un sufficiente schermo antistimolo interno.
Le sollecitazioni relazionali e la partecipazione alla vita istituzionale, che la permanenza in Diurno implicano, costituiscono però altrettanti stimoli ad agire, in quanto è continuamente chiamato in causa il precario equilibrio di Ennio fra investimenti narcisistici ed oggettuali. I limiti sono messi sistematicamente alla prova; agli slanci ed ai contatti costruttivi fanno immediatamente seguito le reazioni distruttive. L'eccitazione pulsionale e la reattività agli stimoli esterni fanno vacillare le fragili basi narcisistiche e aprono la strada ad altre figurazioni violente.

La relazione terapeutica con Ennio si caratterizza sempre più per reminiscenze fatte di percezioni brute, non simbolizzate, traumatiche, di tracce di una storia non soggettivata che tentano, infiltrandosi in modo allucinatorio nel suo presente, di inscriversi nella sua storia. Durante la presenza di Ennio in Diurno si ha l'impressione di assistere all'attualizzazione di una zona traumatica primaria, cioè non rappresentata e - aggiungerei - storicamente non rappresentabile per lui, di una verità storica del trauma. Si verificano vari episodi che hanno una forte risonanza emotiva su tutto il personale. Resta in uno stato di stupore depressivo, senza parlare, immobile, per un'intera mattinata; manifesta irrigidimento muscolare, tremori agli arti superiori, clonie palpebrali, scialorrea, si spoglia disperandosi di avere i genitali piccoli e si ferisce seriamente il viso, lancia oggetti dalla finestra, resta impietrito a lungo mentre il viso gli si riempie di lacrime. Gli ci vuole del tempo per riprendere contatto con la realtà. Afferma di non ricordare cosa avviene in quei momenti. Tali episodi coprono un arco di tempo di parecchi mesi.
Il fatto di essere presenti e di assistere a questi ripetuti episodi critici ha portato tutti noi a considerare come dietro a tali manifestazioni parossistiche di angoscia e di agitazione motoria, al di là dell'iniziale vuoto psichico di tali crisi epilettiformi, si stesse delineando qualcosa dell'ordine della figurazione che non riusciva ad accedere alla coscienza e che tali crisi potessero essere prodotte da reminiscenze di ricordi traumatici.
Non si tratta del ritorno del rimosso, ad essere in gioco, ma del ritorno di ciò che è scisso (Birraux,1997). Alla coppia rimosso e ritorno rappresentativo del rimosso e allo iato intrapsichico che essa suppone, si sostituisce allora un'altra coppia processuale, la coppia scissione dell'Io e ritorno percettivo allucinatorio di esperienze traumatiche non simbolizzate.

In questo caso le figurazioni violente possono essere, dunque, considerate come l'espressione del ritorno dello scisso.

Dopo un appuntamento mancato con una ragazza conosciuta in Diurno (l'amico che doveva accompagnarlo non si era presentato e lui da solo aveva rinunciato), scoppia una delle sue crisi più violente. Già in precedenza Ennio aveva ostentato la sua sessualità dentro casa, dormito con i genitori e tormentato la sorella, ora si spoglia e chiede violentemente alla madre e alla sorella di avere un rapporto orale con loro. Si avventa contro la madre che faticosamente cerca di sottrarsi. Il giorno dopo non ricorda quasi nulla di quanto è avvenuto.
L'episodio segna un passaggio importante nel rapporto fra Ennio e la madre. In questa occasione, dopo circa un anno di provocazioni e sollecitazioni fortemente incestuose, tante volte segnalate nei colloqui con il ragazzo e con i genitori, la madre per la prima volta non minimizza la portata simbolica del gesto del figlio. Riesce a dire effettivamente basta, a reagire fisicamente ed a contenerlo, chiudendolo in casa fino a quando non si calmano le acque. Il senso di questo episodio sta nel fatto che non viene superata, nella realtà, la barriera dell'incesto e che perciò non viene compiuto un matricidio (Marty, 1997), piuttosto l'incesto è, in questo caso, rappresentato sotto forma di drammatizzazione.

L'elaborazione della violenza puberale richiede che siano rimosse le fantasie incestuose e parricide e necessita di un sostegno narcisistico genitoriale, che i genitori, cioè, sostengano attivamente il processo puberale ed il processo di soggettivazione del figlio adolescente.

In seguito Ennio si iscrive ad un corso per parrucchiere. Frequenta per alcuni giorni, poi quando si trova a mettere i rolli sui capelli di una parrucca, non ci riesce e finisce per andarsene, abbandonando tutto. Per strada rischia di essere investito, si scaglia contro un vecchio che lo guarda in autobus, litiga con l'autista e giunto a casa si strappa violentemente l'apparecchio dei denti, che aveva di recente accettato di mettersi. Quella decisione era stata considerata come il segno di un iniziale riconoscimento della possibilità di essere contenuto e di contenersi.
Gli interpreto allora, a più riprese, la sua autocastrazione, in primo piano ogni volta che si profila una suo risultato. Gli segnalo il ruolo attivo che egli cerca di assumere di fronte ai fallimenti che sente ineluttabili, anche se l'esito di tutto ciò è comunque negativo per lui. Di rimando mi parla di un episodio di un fumetto - Dylan Dog - dove un personaggio sposa la propria madre. Si ripresenta dunque il tema dell'incesto con la madre, che ripropone anche nel transfert. Sogna che una operatrice, Alessandra, a cui chiede di poter parlare per raccontarle un sogno, lo fa aspettare, gli dice che ha altre sedute, altri pazienti, e questo lo fa molto arrabbiare.
Gli faccio notare come lui spesso, nei suoi sogni, mi rappresenti come una donna. Sono io ad essere tante volte occupato, a farlo aspettare o a rimandare le sue richieste di parlarmi. Aggiungo poi che, spesso, a casa, il padre non c'è, che comunque si tiene a distanza da lui, anche se Ennio vorrebbe che ci fosse di più.
Sogna quindi una situazione diversa: "Cercavo disperatamente Alessandra per l'intero Dipartimento. Alla fine la trovavo e la abbracciavo. Allora lei mi diceva di cercarla ma di tanto in tanto". Commenta che ora, finita la seduta, andrà a cercarla per abbracciarla. Poi inizia a piangere disperatamente.
E' stato sottolineato come nei pazienti borderline la separazione sia al di là della rappresentazione. Il sogno segnala, a questo punto, un passaggio. La presenza in Diurno confronta il paziente con una struttura che cerca di proporre continuità e stabilità nel proprio funzionamento, così che siano prevedibili presenza e assenza, vicinanza e distanziamento. L'interiorizzazione della funzione contenitiva espressa dal Diurno costituisce un importante obiettivo terapeutico. Con l'avvio di tale processo Ennio si affaccia alla possibilità di rappresentare il distacco e la separazione.

E' a questo punto che Ennio stringe un'alleanza con altri due ragazzi molto agitati ed oppositori. Il loro tentativo dichiarato è quello di trasgredire e di far saltare le regole del servizio. Insieme interrompono i colloqui in corso irrompendo nelle stanze, oppure fanno grandi corse nei corridoi e si azzuffano, fumano ostentatamente dove non si può, restando in ogni caso fuori dalla stanza delle attività. Il gruppetto tende a tiranneggiare gli altri ragazzi ed il gruppo dei curanti.
Le diverse componenti terapeutiche della vita quotidiana del Diurno, quali la definizione dei limiti, l'ascolto, l'accettazione, la valorizzazione delle competenze (nel disegno, nei giochi, nella musica), il confronto con gli altri ragazzi in difficoltà, l'esplicita espressione dei sentimenti e il riconoscimento di ciascuno all'interno del gruppo sembrano non avere più nessuna presa su Ennio.

In questa situazione vengo spesso chiamato, in quanto responsabile del servizio, ad uscire dalla mia stanza per calmare gli animi. Pacatamente ed a distanza talvolta la mia presenza sortisce un certo effetto. Altre volte è necessaria la presenza fisica di qualcuno dei genitori dei tre ragazzi, chiamati ad essere presenti in sala d'attesa, perché si realizzi la separazione del trio.
Devo dire che tali situazioni mi inducono ad una bonaria comprensione, evocandomi i cortei interni studenteschi ai tempi del liceo. Si trattava, allora, di chiamare a raccolta gli altri studenti perché partecipassero alle assemblee. In particolare mi ricordo un episodio: avevo partecipato ad una concitata rivendicazione di fronte alla presidenza. Era stata sfondata la porta. Anch'io ero stato presente. Quando tornò la calma un amico si avvicinò e mi disse che avevo un'aria sconvolta. Rimasi molto stupito, gli dissi che si sbagliava e di rimando pensai che era invece lui ad avere un'aria sconvolta. Le diverse versioni di quell'episodio mi si ripresentano ora alla mente.
Similmente fra gli operatori del Diurno quei momenti concitati sono vissuti in modi diversi. C'è chi cerca di dare un significato di comunicazione agli avvenimenti, chi, invece, si sente completamente soggiogato. Prevale, comunque, la sensazione di essere in balìa degli eventi, di essere esclusi e sotto controllo, e pervasi da una diffusa eccitazione. Diventa difficile assolvere pienamente agli altri impegni, concentrarsi, essere disponibili per nuovi pazienti. Tali vissuti riescono solo in parte ad essere riconosciuti e affrontati nelle discussioni di gruppo. Persiste un senso di inefficienza, di insoddisfazione e di rivendicazione.
Così come è difficile mettere dei limiti ai ragazzi e sostenere dei divieti, così anche il funzionamento dei singoli operatori e del gruppo sembra indicare una iperattività inconcludente. Spesso la vita istituzionale evidenzia la chiara specularità fra il debordare dei comportamenti dei pazienti e la dispersione del funzionamento istituzionale. Balier (1998) parla, a proposito di questi momenti istituzionali, di "situazione terapeutica primitiva", per sottolineare la confusione identitaria fra curanti e pazienti. I primi sperimentano frequenti amnesie dei contenuti delle sedute e degli scambi relazionali; i secondi vivono tutto ciò che ricevono come una intrusione.
In ogni caso il gruppo dei curanti, tende a far gestire a me, in quanto terapeuta di Ennio, la violenza del ragazzo. Come la madre di Ennio minimizza e poi sopraffatta lascia la mano al padre, così gli operatori quando non riescono a contenere il ragazzo, lo lasciano a me, mi chiamano a guardiano del setting istituzionale. Nuovamente viene a mancare la figura del terzo. Ennio arriva al padre perché rifiutato in certe sue espressioni caotiche e violente dalla madre. A questo punto il comportamento violento e punitivo del padre non fa che rappresentare concretamente il rifiuto della madre. Del resto nell'esperienza di Ennio gli interventi del padre sono vissuti come totalmente estranei e dissonanti dal mondo della madre. Vengono così a cadere i tentativi di costruire i presupposti per una organizzazione maturativa di fantasie parricide, conflittuali ed edipiche.

La violenza sorge a partire dal momento in cui la psiche, privata della sua relazione con l'oggetto, non può più assicurare la propria funzione di legame dell'eccitazione.

Un giorno Ennio è particolarmente provocatorio. Si presenta con la catena, le borchie alle braccia e al collo, un coltello in tasca e gli occhiali scuri: è la fase dei naziskin ed intende farsi rispettare.
Dichiara di non voler deporre la sua attrezzatura per partecipare alle attività di gruppo, ricreazionali ed occupazionali. Dopo una faticosa negoziazione lascia il coltello e la catena ma conserva il resto.
Iniziano comunque le scorribande. Sono chiamato ad intervenire, poiché i limiti vengono oltrepassati. Sono fermo e deciso nel mio intervento: esigo che si levi anche gli occhiali da sole. La sua "protesi" gli viene sottratta da me. In un crescendo progressivo, mi chiede di ridargli gli occhiali, piange e infine si scatena la sua rabbia. Sferra un pugno contro il muro, quindi si avventa contro di me. Cerco di scansarmi e di evitare i suoi colpi. Sono mortificato da quel suo gesto e provo un senso di rassegnazione. Ennio insiste ed inizia a spingermi. Reagisco e lo immobilizzo con decisione. Urla per i suoi occhiali da sole.
I miei occhiali cascano per terra; lo tengo comunque fermo sulla sedia. Si è fatto male alla mano. Io sono affaticato e con il fiatone.
Un po' alla volta Ennio si calma e, dietro mio suggerimento, respira profondamente. Accenna a scusarsi e a voler pagare eventuali danni. Gli dico che lui ha portato i suoi colpi ma che, per fortuna, non è riuscito a colpirmi.
Mi chiede: "E se l'avessi colpita ?"
Mi trovo a rispondergli, con immediatezza: "Ti avrei steso !"
Mi parla allora della sua incapacità di controllarsi da solo, a casa, in tanti momenti della sua giornata, e del suo bisogno di un contenimento più protratto che vada oltre le ore che il Diurno gli offre. Considero con lui l'eventualità di ricorrere ad un periodo di degenza ospedaliera a tempo pieno.

Constato il fatto di aver utilizzato la mia forza fisica. Penso anche di aver resistito, di essere sopravvissuto alla sua distruttività. Inoltre ho la sensazione di aver vissuto un incontro carnale dove hanno certamente trovato una chiara espressione sia l'aggressività che la sessualità. Dentro di me mi auguro che quella unione molto primitiva abbia permesso di filtrare gli impulsi sessuali ed aggressivi attraverso la relazione con me.

Avviene però che nei giorni successivi c'è una certa euforia nel gruppetto dei ragazzi. Circola il racconto che io sono stato colpito, che nello scontro con Ennio ho avuto la peggio. Così anche gli altri due ragazzi potrebbero facilmente avere la meglio sui loro operatori e su di me !
Ma c'è dell'altro: quest'ultima versione dei fatti, accennata da Ennio, si insinua anche tra alcuni operatori. Nei ragazzi all'euforia si affianca un senso di pacato trionfo. Tra gli operatori, invece, si presentano segni di depressione e di ritiro: si ipotizza che i ragazzi debbano essere trasferiti altrove, che i dosaggi dei farmaci vengano aumentati, ci si chiede se il ricovero sia ancora procrastinabile. Mi rendo conto dei rischi che il gruppo dei curanti sta correndo e della necessità di recuperare una posizione di fermezza da parte di tutti. E' l'analisi del controtransfert di tutto il gruppo dei curanti nelle riunioni ad arginare la deriva verso comportamenti eccessivamente controllanti o totalmente evasivi. Nel frattempo Ennio non si presenta per alcuni giorni.

Da parte mia mi chiedo cosa abbia generato in Ennio la fantasia del mio cedimento. Certamente lo scontro mi ha affaticato ed anche avvilito. In particolare c'è la presenza di quella sensazione iniziale di scoramento. Ritengo che tutto ciò vada oltre il fatto di essere stato costretto ad uscire dalla mia posizione riflessiva ed analitica. Non sono solo il peso del transfert ed i miei vissuti controtransferali a mettermi in una condizione di impasse. Mi sento convocato ad un lavoro di autoanalisi.

Queste vicende mi riportano a parecchio tempo fa, agli inizi della mia professione, quando subii un violento attacco da parte di un quindicenne che seguivo con sedute quotidiane nel corso della sua lunga degenza in ospedale. Federico era un giovane pastore che si aggirava completamente nudo e che non accettava di vestirsi per nessuna ragione, reagendo con una forza ed una violenza enormi. L'aggressione fisica era avvenuta fuori dal setting terapeutico, in corridoio, a seguito della richiesta di un mio intervento da parte dell'infermiera. In quel caso il parricidio era stato realizzato. Federico mi aveva messo fuori gioco, fatto uscire violentemente di scena.
Quell'episodio, varie volte riemerso nella mia analisi, credo abbia contribuito a produrre in me un naturale ridimensionamento delle mie aspettative di trasformazione nei pazienti gravi e violenti ed un più benevolo accoglimento degli aspetti più notturni di me stesso e degli altri.

Mi rendo poi conto che, da allora, in fondo, ho pensato, ho creduto di mettere il più possibile a tacere il mio corpo, nello scambio con i pazienti. Con Ennio questo non è più stato possibile.

Del resto prendere coscienza della propria legittima violenza è certamente un elemento essenziale della maturazione dell'essere umano e non è pensabile esaurire tale presa di coscienza una volta per tutte.

Dopo l'episodio, nelle sedute con Ennio diventa possibile parlare di qualcosa che è successo fra di noi, che ci ha coinvolti entrambi. Si definisce un campo comune di osservazione che assume una funzione di terzo. Questa nuova condizione sostituisce la precedente, più segnata da agiti incontrollati e dal confronto fra due narcisismi. Si realizza una reciprocità di immagini e di sensazioni, legate allo scontro fisico fra di noi, che permette di legare l'eccitazione, di comunicare con le parole e di riflettere sui comportamenti.

Le figurazioni violente devono poter essere immaginate piuttosto che agite ed una immagine violenta comune a due persone definisce uno spazio terzo.

L'episodio assume il senso di un atto fondante permettendo la costruzione di uno spazio terapeutico più riservato, dove lavorare insieme su qualcosa di nostro, che ci esenta dalla necessità di far partecipi gli altri dei contenuti delle sedute. E' questo un aspetto delicato delle psicoterapie condotte in ambiente istituzionale, che suggerisce a molti di proporre solo psicoterapie esterne, dopo un periodo di supporto psicoterapeutico nell'istituzione (Birraux, 2000; Braconnier, 2000). Questo caso ha seguito un'altra strada.
Qualche giorno dopo finisco con il fare con Ennio a braccio di ferro. Lo batto con decisione, senza sottrarmi. Lui pubblicizza la mia forza con i ragazzi e con gli operatori. L'idealizzazione torna ad essere in primo piano. Nella quotidianità del Diurno i limiti tornano ad essere posti con fermezza. Le giornate di Ennio si riempiono di qualcosa di nuovo, di più costruttivo, inizia a frequentare la palestra, sottolineando che io sono il più forte. Da parte mia sono sollecitato dall'idea di riprendere a fare un po' di sport.

Infine mi organizzo per avere con lui un setting più protetto, sospendo gli incontri con i genitori e i farmaci che prendeva a suo piacimento e stabilisco orari per la sua psicoterapia individuale tali da non poter essere modificati dagli impegni istituzionali. Ennio prosegue la sua partecipazione alle attività del Diurno.
Ultimamente racconta questo sogno: "Sono alla finestra della casa del paese. Vedo avvicinarsi una violenta tromba d'aria. In strada c'è il padre di una ragazza del paese, seduto su di una sedia. Il vortice lo solleva con tutta la sedia. Quel signore però non si scompone e si afferra con disinvoltura ad una finestra e resta così, in quella posizione, sorridente e tranquillo. Piano piano tutto si calma".


Discussione

Per l'adolescente borderline la violenza ha una forza d'attrazione indubbia, collocandosi fra il disperato tentativo di superare gli impedimenti alla soggettivazione ed il rischio che si produca quella particolare ristrettezza mentale senza la quale la crudeltà non potrebbe perpetuarsi (Brenman, 1985). Se infatti la sana aggressività è dialogante, la violenza genera silenzio, così come, penso sia psichicamente silenzioso chi è preso, immerso nell'atto violento.
Inoltre certamente la violenza tende a disumanizzare chi la subisce e se tale esperienza avviene precocemente, in età evolutiva, essa determina una falla nella capacità di sviluppo. Si è oggetto di una cancellazione da parte dell'altro, quasi come avviene con un file nel computer. Tale falla rischia di trasmettersi alle generazioni successive (Fonagy, Moran, Target, 1993) .
Lavorando in un Diurno penso che i destini della violenza e delle sue diverse figurazioni dipendano dall'offerta di un appoggio psichico da parte del terapeuta e del gruppo dei curanti e di una cornice istituzionale di contenimento che fornisca modelli per la simbolizzazione. La violenza deve poter essere pazientemente addomesticata grazie al rafforzamento delle basi narcisistiche dell'adolescente.
Scrive Jeammet (1995): "Il ruolo chiave attribuito al narcisismo nello scatenamento della violenza fa sì che l'aggressività (la pulsione di morte) non sia necessaria per suscitarla. Il solo desiderio per l'oggetto e l'attrazione che esso esercita possono essere vissuti come una minaccia narcisistica. La violenza può nascere dal paradosso stesso del desiderio, quando l'oggetto del desiderio destabilizza un Io fragilizzato, senza che sia necessario fare appello a dei fattori quantitativi all'origine dello scatenamento. La sola apparente contraddizione fra appetenza oggettuale e supponenza narcisistica genera una tensione dell'Io che minaccia il suo equilibrio e può suscitare una risposta violenta nei confronti dell'oggetto".
Il senso positivo o negativo che sarà dato alla violenza dipenderà, in ultima analisi, dal modo in cui essa verrà accettata come istintuale, naturale e innata e così utilizzata nel movimento relazionale che lega, nei primi momenti della vita, il bambino al suo ambiente (Bergeret, 1998).
La risposta terapeutica o preventiva riposa sulla serenità dell'adulto di fronte all'ineluttabile presenza della violenza in ogni immaginario, nella vita fantasmatica di ciascuno. Mostrare che la violenza è naturale ed inevitabile, che si fonda su un bisogno difensivo e non sadico in sé, anche se potrebbe diventarlo, costituisce il filo conduttore della risposta dell'adulto di fronte all'inquietudine dell'adolescente verso i propri sentimenti violenti e verso la tentazione rappresentata dalla trasformazione di questa violenza in distruttività cieca.
In conclusione, se Anna Freud a proposito dell'aggressività del bambino faceva riferimento al gioco dei cubi, dove piacere di costruire e piacere di distruggere erano equivalenti, quale esempio di una possibile forma di acquisizione della capacità di padronanza, a proposito degli adolescenti propongo un'altra immagine. Infatti l'elaborazione della violenza dell'evento puberale richiede innanzi tutto che l'adolescente incontri un adulto che abbia gestito l'impatto della propria pubertà ed anche della propria violenza. L'immagine è questa: il giovane Milarepa è invitato, dal maestro che egli ha fortemente cercato, a costruire una torre e poi a distruggerla e questo per più e più volte. Non si tratta di compiere il lavoro di Sisifo, spettro dell'"essere passivizzati" (Balier, 1998), devastante per l'adolescente, ma di esercitare l'attività sostenendo il peso della presa di coscienza di quello che si perde e di quello da cui ci si distacca. Ciò significa, in altri termini, arrivare alla consapevolezza di poter costruire e di poter distruggere, e quindi consolidarla dentro di sé.
Scrive Gibeault (1993): "Si può riassumere anche così il funzionamento simbolico del trattamento: due protagonisti che all'interno del setting arrivano, alla fine, ad evitare la collusione e la lotta narcisistica attraverso uno sguardo obliquo piuttosto che diretto su di una storia condivisa.


Bibliografia

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* Neuropsichiatra infantile. Dirigente dell'Ospedale Diurno per adolescenti del Dipartimento di Scienze Neuropsichiatriche dell'Età Evolutiva, Università di Roma "La Sapienza".

E-mail gianluigi.monniello@tin.it





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